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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA, 23.04.2011


Alle ore 21 il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.
La Veglia ha inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e l’accensione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare con il cero pasquale e il canto dell’Exsultet, fanno seguito la Liturgia della Parola, la Liturgia Battesimale e la Liturgia Eucaristica, concelebrata con i Cardinali.
Nel corso della Liturgia Battesimale il Papa amministra i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a sei catecumeni provenienti da diversi Paesi.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Due grandi segni caratterizzano la celebrazione liturgica della Veglia Pasquale. C’è innanzitutto il fuoco che diventa luce. La luce del cero pasquale, che nella processione attraverso la chiesa avvolta nel buio della notte diventa un’onda di luci, ci parla di Cristo quale vera stella del mattino, che non tramonta in eterno – del Risorto nel quale la luce ha vinto le tenebre. Il secondo segno è l’acqua. Essa richiama, da una parte, le acque del Mar Rosso, lo sprofondamento e la morte, il mistero della Croce. Poi però ci si presenta come acqua sorgiva, come elemento che dà vita nella siccità. Diventa così l’immagine del Sacramento del Battesimo, che ci rende partecipi della morte e risurrezione di Gesù Cristo.

Della liturgia della Veglia Pasquale, tuttavia, fanno parte non soltanto i grandi segni della creazione, luce e acqua. Caratteristica del tutto essenziale della Veglia è anche il fatto che essa ci conduce ad un ampio incontro con la parola della Sacra Scrittura. Prima della riforma liturgica c’erano dodici letture veterotestamentarie e due neotestamentarie. Quelle del Nuovo Testamento sono rimaste. Il numero delle letture dell’Antico Testamento è stato fissato a sette, ma può, a seconda delle situazioni locali, essere ridotto anche a tre letture. La Chiesa vuole condurci, attraverso una grande visione panoramica, lungo la via della storia della salvezza, dalla creazione attraverso l’elezione e la liberazione di Israele fino alle testimonianze profetiche, con le quali tutta questa storia si dirige sempre più chiaramente verso Gesù Cristo. Nella tradizione liturgica tutte queste letture venivano chiamate profezie. Anche quando non sono direttamente preannunci di avvenimenti futuri, esse hanno un carattere profetico, ci mostrano l’intimo fondamento e l’orientamento della storia. Esse fanno in modo che la creazione e la storia diventino trasparenti all’essenziale. Così ci prendono per mano e ci conducono verso Cristo, ci mostrano la vera Luce.

Il cammino attraverso le vie della Sacra Scrittura comincia, nella Veglia Pasquale, con il racconto della creazione. Con ciò la liturgia vuole dirci che anche il racconto della creazione è una profezia. Non è un’informazione sullo svolgimento esteriore del divenire del cosmo e dell’uomo. I Padri della Chiesa ne erano ben consapevoli. Non intesero tale racconto come narrazione sullo svolgimento delle origini delle cose, bensì quale rimando all’essenziale, al vero principio e al fine del nostro essere. Ora, ci si può chiedere: ma è veramente importante nella Veglia Pasquale parlare anche della creazione? Non si potrebbe cominciare con gli avvenimenti in cui Dio chiama l’uomo, si forma un popolo e crea la sua storia con gli uomini sulla terra? La risposta deve essere: no. Omettere la creazione significherebbe fraintendere la stessa storia di Dio con gli uomini, sminuirla, non vedere più il suo vero ordine di grandezza. Il raggio della storia che Dio ha fondato giunge fino alle origini, fino alla creazione. La nostra professione di fede inizia con le parole: "Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra". Se omettiamo questo primo articolo del Credo, l’intera storia della salvezza diventa troppo ristretta e troppo piccola. La Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione. No, essa porta l’uomo in contatto con Dio e quindi con il principio di ogni cosa. Per questo Dio ci riguarda come Creatore, e per questo abbiamo una responsabilità per la creazione. La nostra responsabilità si estende fino alla creazione, perché essa proviene dal Creatore. Solo perché Dio ha creato il tutto, può darci vita e guidare la nostra vita. La vita nella fede della Chiesa non abbraccia soltanto un ambito di sensazioni e di sentimenti e forse di obblighi morali. Essa abbraccia l’uomo nella sua interezza, dalle sue origini e in prospettiva dell’eternità. Solo perché la creazione appartiene a Dio, noi possiamo far affidamento su di Lui fino in fondo. E solo perché Egli è Creatore, può darci la vita per l’eternità. La gioia per la creazione, la gratitudine per la creazione e la responsabilità per essa vanno una insieme all’altra.

Il messaggio centrale del racconto della creazione si lascia determinare ancora più precisamente. San Giovanni, nelle prime parole del suo Vangelo, ha riassunto il significato essenziale di tale racconto in quest’unica frase: "In principio era il Verbo". In effetti, il racconto della creazione che abbiamo ascoltato prima è caratterizzato dalla frase che ricorre con regolarità: "Dio disse…". Il mondo è un prodotto della Parola, del Logos, come si esprime Giovanni con un termine centrale della lingua greca. "Logos" significa "ragione", "senso", "parola". Non è soltanto ragione, ma Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che crea essa stessa senso. Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede ed incredulità: sono l’irrazionalità, l’assenza di libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda di cui si tratta in ultima analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con san Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà. Per questo è cosa buona essere una persona umana. Non è così che nell’universo in espansione, alla fine, in un piccolo angolo qualsiasi del cosmo si formò per caso anche una qualche specie di essere vivente, capace di ragionare e di tentare di trovare nella creazione una ragione o di portarla in essa. Se l’uomo fosse soltanto un tale prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina. E siccome è Ragione, essa ha creato anche la libertà; e siccome della libertà si può fare uso indebito, esiste anche ciò che è avverso alla creazione. Per questo si estende, per così dire, una spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo e attraverso la natura dell’uomo. Ma nonostante questa contraddizione, la creazione come tale rimane buona, la vita rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo può essere salvato. Per questo possiamo e dobbiamo metterci dalla parte della ragione, della libertà e dell’amore – dalla parte di Dio che ci ama così tanto che Egli ha sofferto per noi, affinché dalla sua morte potesse sorgere una vita nuova, definitiva, risanata.

Il racconto veterotestamentario della creazione, che abbiamo ascoltato, indica chiaramente quest’ordine delle realtà. Ma ci fa fare un passo ancora più avanti. Ha strutturato il processo della creazione nel quadro di una settimana che va verso il Sabato, trovando in esso il suo compimento. Per Israele, il Sabato era il giorno in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, in cui uomo e animale, padrone e schiavo, grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio. Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. In questo modo, la comunione tra Dio e uomo non appare come qualcosa di aggiunto, instaurato successivamente in un mondo la cui creazione era già terminata. L’alleanza, la comunione tra Dio e l’uomo, è predisposta nel più profondo della creazione. Sì, l’alleanza è la ragione intrinseca della creazione come la creazione è il presupposto esteriore dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio. A Pasqua e dall’esperienza pasquale dei cristiani, però, dobbiamo ora fare ancora un ulteriore passo. Il Sabato è il settimo giorno della settimana. Dopo sei giorni, in cui l’uomo partecipa, in un certo senso, al lavoro della creazione di Dio, il Sabato è il giorno del riposo. Ma nella Chiesa nascente è successo qualcosa di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno. Come giorno dell’assemblea liturgica, esso è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno come giorno dell’incontro con il Risorto. Questo incontro avviene sempre nuovamente nella celebrazione dell’Eucaristia, in cui il Signore entra di nuovo in mezzo ai suoi e si dona a loro, si lascia, per così dire, toccare da loro, si mette a tavola con loro. Questo cambiamento è un fatto straordinario, se si considera che il Sabato, il settimo giorno come giorno dell’incontro con Dio, è profondamente radicato nell’Antico Testamento. Se teniamo presente quanto il corso dal lavoro verso il giorno del riposo corrisponda anche ad una logica naturale, la drammaticità di tale svolta diventa ancora più evidente. Questo processo rivoluzionario, che si è verificato subito all’inizio dello sviluppo della Chiesa, è spiegabile soltanto col fatto che in tale giorno era successo qualcosa di inaudito. Il primo giorno della settimana era il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Era il giorno in cui Egli si era mostrato ai suoi come il Risorto. Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita, che non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione. Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi, è il giorno in cui prende inizio la creazione. Ora esso era diventato in un modo nuovo il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione. Noi celebriamo il primo giorno. Con ciò celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione. Sì, credo in Dio, Creatore del cielo e della terra. E celebriamo il Dio che si è fatto uomo, ha patito, è morto ed è stato sepolto ed è risorto. Celebriamo la vittoria definitiva del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo stesso, come meta della nostra vita. Lo celebriamo perché ora, grazie al Risorto, vale in modo definitivo che la ragione è più forte dell’irrazionalità, la verità più forte della menzogna, l’amore più forte della morte. Celebriamo il primo giorno, perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre. Lo celebriamo, perché sappiamo che ora vale definitivamente ciò che è detto alla fine del racconto della creazione: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gen 1,31). Amen.

[00594-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs !

Deux grands signes caractérisent la célébration liturgique de la Veillée Pascale. Il y a d’abord le feu qui devient lumière. La lumière du cierge pascal, qui au cours de la procession à travers l’église enveloppée dans l’obscurité de la nuit devient une vague de lumières et nous parle du Christ comme véritable étoile du matin, qui ne se couche pas éternellement – du Ressuscité en qui la lumière a vaincu les ténèbres. Le deuxième signe est l’eau. Elle rappelle, d’une part les eaux de la Mer Rouge, l’effondrement et la mort, le mystère de la croix. Ensuite cependant, elle se présente à nous comme une eau de source, comme un élément qui apporte la vie dans la sécheresse. Elle devient ainsi l’image du Sacrement du Baptême, qui nous rend participants de la mort et de la résurrection de Jésus Christ.

Toutefois, les grands signes de la création, la lumière et l’eau ne sont pas les seuls à faire partie de la liturgie de la Veillée Pascale. Une caractéristique absolument essentielle de la Veillée, c’est aussi le fait qu’elle nous conduit à une importante rencontre avec la parole de la Sainte Ecriture. Avant la réforme liturgique il y avait douze lectures de l’Ancien Testament et deux du Nouveau Testament. Celles du Nouveau Testament sont restées. Le nombre des lectures de l’Ancien Testament a été fixé à sept, mais, selon les situations locales, il peut aussi être réduit à trois lectures. À travers une grande vision panoramique, l’Eglise veut nous conduire, tout au long du chemin de l’histoire du salut, depuis la création, à travers l’élection et la libération d’Israël, jusqu’aux témoignages prophétiques, grâce auxquels toute cette histoire se dirige toujours plus clairement vers Jésus Christ. Dans la tradition liturgique toutes ces lectures ont été appelées prophéties. Même quand elles ne sont pas directement des annonces d’évènements futurs, elles ont un caractère prophétique, elles nous montrent le fondement profond et l’orientation de l’histoire. Elles font en sorte que la création et l’histoire laissent transparaître l’essentiel. Ainsi, elles nous prennent par la main et nous conduisent vers le Christ, elles nous montrent la vraie lumière.

Le cheminement sur les routes de la Sainte Ecriture commence, durant la Veillée Pascale, par le récit de la création. La liturgie veut nous dire par là que le récit de la création est aussi une prophétie. Il n’est pas une information sur le déroulement extérieur du devenir du cosmos et de l’homme. Les Pères de l’Eglise en étaient bien conscients. Ils n’ont pas compris ce récit comme une narration sur le déroulement des origines des choses, mais comme un renvoi à l’essentiel, au vrai principe et à la fin de notre être. Or, nous pouvons donc nous demander : mais est-il vraiment important durant la Veillée Pascale de parler aussi de la création ? Ne pourrait-on pas commencer par les évènements au cours desquels Dieu appelle l’homme, se constitue un peuple et crée son histoire avec les hommes sur la terre ? La réponse doit être : non. Omettre la création signifierait se méprendre sur l’histoire même de Dieu avec les hommes, la réduire, ne plus voir son véritable ordre de grandeur. Le rayon de l’histoire que Dieu a fondé parvient jusqu’aux origines, jusqu’à la création. Notre profession de foi commence par les paroles : « Je crois en Dieu, le Père tout-puissant, Créateur du ciel et de la terre ». Si nous omettons ce commencement du Credo, l’histoire du salut tout entière devient trop réduite et trop petite. L’Eglise n’est pas une association quelconque qui s’occupe des besoins religieux des hommes, et qui a justement le but limité de cette association. Non, elle met l’homme en contact avec Dieu et donc avec le principe de toute chose. C’est pourquoi Dieu nous concerne comme Créateur et c’est pour cela que nous avons une responsabilité envers la création. Notre responsabilité s’étend jusqu’à la création, parce qu’elle provient du Créateur. C’est seulement parce que Dieu a tout créé qu’il peut nous donner vie et conduire notre vie. La vie dans la foi de l’Eglise n’embrasse pas seulement un domaine de sensations et de sentiments et peut-être d’obligations morales. Elle embrasse l’homme dans sa totalité, depuis ses origines et dans la perspective de l’éternité. C’est seulement parce que la création appartient à Dieu que nous pouvons nous fier à lui jusqu’au bout. Et c’est seulement parce qu’il est Créateur qu’il peut nous donner la vie pour l’éternité. La joie pour la création, la gratitude pour la création et la responsabilité à son égard sont inséparables.

Le message central du récit de la création se laisse déterminer encore plus précisément. Dans les premières paroles de son Evangile, saint Jean a résumé la signification essentielle de ce récit en cette unique phrase : « Au commencement était le Verbe ». En effet, le récit de la création que nous venons d’écouter est caractérisé par la phrase qui revient régulièrement : « Dieu dit… ». Le monde est un produit de la Parole, du Logos, comme l’exprime Jean avec un terme central de la langue grecque. « Logos » signifie « raison », « sens », « parole ». Il ne signifie pas seulement « raison », mais Raison créatrice qui parle et qui se communique elle-même. C’est une Raison qui est sens et qui crée elle-même du sens. Le récit de la création nous dit, donc, que le monde est un produit de la Raison créatrice. Et ainsi il nous dit qu’à l’origine de toutes choses il n’y avait pas ce qui est sans raison, sans liberté, mais que le principe de toutes choses est la Raison créatrice, est l’amour, est la liberté. Ici nous nous trouvons face à l’alternative ultime qui est en jeu dans le débat entre foi et incrédulité : l’irrationalité, l’absence de liberté et le hasard sont-ils le principe de tout, ou bien la raison, la liberté, l’amour sont-ils le principe de l’être ? Le primat revient-il à l’irrationalité ou à la raison ? C’est là la question en dernière analyse. Comme croyants nous répondons par le récit de la création et avec Saint Jean : à l’origine, il y a la raison. A l’origine il y a la liberté. C’est pourquoi être une personne humaine est une bonne chose. Il n’est pas exact que dans l’univers en expansion, à la fin, dans un petit coin quelconque du cosmos se forma aussi, par hasard, une certaine espèce d’être vivant, capable de raisonner et de tenter de trouver dans la création une raison ou de l’avoir en elle. Si l’homme était seulement un tel produit accidentel de l’évolution en quelque lieu à la marge de l’univers, alors sa vie serait privée de sens ou même un trouble de la nature. Non, au contraire : la raison est au commencement, la Raison créatrice, divine. Et puisqu’elle est Raison, elle a créé aussi la liberté ; et puisqu’on peut faire de la liberté un usage indu, il existe aussi ce qui est contraire à la création. C’est pourquoi une épaisse ligne obscure s’étend, pour ainsi dire, à travers la structure de l’univers et à travers la nature de l’homme. Mais malgré cette contradiction, la création comme telle demeure bonne, la vie demeure bonne, parce qu’à l’origine il y a la Raison bonne, l’amour créateur de Dieu. C’est pourquoi le monde peut être sauvé. C’est pour cela que nous pouvons et nous devons nous mettre du côté de la raison, de la liberté et de l’amour – du côté de Dieu qui nous aime tellement qu’il a souffert pour nous, afin que de sa mort puisse surgir une vie nouvelle, définitive, guérie.

Le récit vétérotestamentaire de la création, que nous avons entendu, indique clairement cet ordre des réalités. Cependant il nous fait faire encore un pas en avant. Il a structuré le processus de la création dans le cadre d’une semaine qui va vers le samedi, y trouvant son achèvement. Pour Israël, le samedi était le jour où tous pouvaient participer au repos de Dieu, où homme et animal, maître et esclave, grands et petits étaient unis dans la liberté de Dieu. Ainsi le samedi était une expression de l’alliance entre Dieu et l’homme et la création. De cette façon, la communion entre Dieu et l’homme n’apparaît pas comme quelque chose de rajouté, instauré par la suite dans un monde dont la création était déjà terminée. L’alliance, la communion entre Dieu et l’homme, est prévue au plus profond de la création. Oui, l’alliance est la raison intrinsèque de la création comme la création est le présupposé extérieur de l’alliance. Dieu a fait le monde pour qu’il y ait un lieu où il puisse communiquer son amour et d’où la réponse d’amour lui retourne. Devant Dieu, le cœur de l’homme qui lui répond est plus grand et plus important que l’immense cosmos matériel tout entier qui, certainement, nous laisse entrevoir quelque chose de la grandeur de Dieu.

A Pâques et à la suite de l’expérience pascale des chrétiens, nous devons cependant faire encore un autre pas. Le samedi est le septième jour de la semaine. Après six jours, où l’homme participe, en un certain sens, au travail de la création de Dieu, le samedi est le jour du repos. Mais dans l’Eglise naissante, quelque chose d’inouï s’est produit : à la place du samedi, du septième jour, vient le premier jour. Comme jour de l’assemblée liturgique, il est le jour de la rencontre avec Dieu par Jésus Christ qui, le premier jour, le dimanche, a rencontré les siens en tant que Ressuscité, après que ceux-ci eurent trouvé le tombeau vide. La structure de la semaine est maintenant renversée. Elle n’est plus dirigée vers le septième jour, pour y participer au repos de Dieu. Elle commence par le premier jour comme jour de la rencontre avec le Ressuscité. Cette rencontre se renouvelle sans cesse dans la célébration de l’Eucharistie, où le Seigneur vient de nouveau au milieu des siens et se donne à eux, se laisse, pour ainsi dire, toucher par eux, se met à table avec eux. Ce changement est un fait extraordinaire, si on considère que le samedi, le septième jour comme jour de la rencontre avec Dieu, est profondément enraciné dans l’Ancien Testament. Si nous nous rappelons que le parcours depuis le travail jusqu’au jour du repos correspond aussi à une logique naturelle, le caractère dramatique de ce tournant devient encore plus évident. Ce processus révolutionnaire, qui s’est vérifié tout de suite au début du développement de l’Eglise, n’est explicable que par le fait qu’en ce jour quelque chose d’inouï était arrivé. Le premier jour de la semaine était le troisième jour après la mort de Jésus. C’était le jour où il s’était montré aux siens comme le Ressuscité. Cette rencontre, en effet, avait en soi quelque chose de bouleversant. Le monde était changé. Celui qui était mort vivait d’une vie qui n’était plus menacée d’aucune mort. Une nouvelle forme de vie, une nouvelle dimension de la création, avait été inaugurée. Le premier jour, selon le récit de la Genèse, est le jour où commence la création. À présent il était devenu d’une façon nouvelle le jour de la création, il était devenu le jour de la nouvelle création. Nous célébrons le premier jour. Ainsi nous célébrons Dieu, le Créateur, et sa création. Oui, je crois en Dieu, Créateur du ciel et de la terre. Et nous célébrons le Dieu qui s’est fait homme, a souffert, est mort et a été enseveli et est ressuscité. Nous célébrons la victoire définitive du Créateur et de sa création. Nous célébrons ce jour comme origine et, en même temps, comme but de notre vie. Nous le célébrons parce qu’à présent, grâce au Ressuscité, il s’avère de façon définitive que la raison est plus forte que l’irrationnalité, la vérité plus forte que le mensonge, l’amour plus fort que la mort. Nous célébrons le premier jour parce que nous savons que la ligne obscure qui traverse la création ne demeure pas pour toujours. Nous le célébrons, parce que nous savons que maintenant ce qui est dit à la fin du récit de la création est valable définitivement : « Dieu vit tout ce qu’il avait fait : c’était très bon » (Gn 1, 31). Amen.

[00594-03.01] [Texte original: Français]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

The liturgical celebration of the Easter Vigil makes use of two eloquent signs. First there is the fire that becomes light. As the procession makes its way through the church, shrouded in the darkness of the night, the light of the Paschal Candle becomes a wave of lights, and it speaks to us of Christ as the true morning star that never sets – the Risen Lord in whom light has conquered darkness. The second sign is water. On the one hand, it recalls the waters of the Red Sea, decline and death, the mystery of the Cross. But now it is presented to us as spring water, a life-giving element amid the dryness. Thus it becomes the image of the sacrament of baptism, through which we become sharers in the death and resurrection of Jesus Christ.

Yet these great signs of creation, light and water, are not the only constituent elements of the liturgy of the Easter Vigil. Another essential feature is the ample encounter with the words of sacred Scripture that it provides. Before the liturgical reform there were twelve Old Testament readings and two from the New Testament. The New Testament readings have been retained. The number of Old Testament readings has been fixed at seven, but depending upon the local situation, they may be reduced to three. The Church wishes to offer us a panoramic view of whole trajectory of salvation history, starting with creation, passing through the election and the liberation of Israel to the testimony of the prophets by which this entire history is directed ever more clearly towards Jesus Christ. In the liturgical tradition all these readings were called prophecies. Even when they are not directly foretelling future events, they have a prophetic character, they show us the inner foundation and orientation of history. They cause creation and history to become transparent to what is essential. In this way they take us by the hand and lead us towards Christ, they show us the true Light.

At the Easter Vigil, the journey along the paths of sacred Scripture begins with the account of creation. This is the liturgy’s way of telling us that the creation story is itself a prophecy. It is not information about the external processes by which the cosmos and man himself came into being. The Fathers of the Church were well aware of this. They did not interpret the story as an account of the process of the origins of things, but rather as a pointer towards the essential, towards the true beginning and end of our being. Now, one might ask: is it really important to speak also of creation during the Easter Vigil? Could we not begin with the events in which God calls man, forms a people for himself and creates his history with men upon the earth? The answer has to be: no. To omit the creation would be to misunderstand the very history of God with men, to diminish it, to lose sight of its true order of greatness. The sweep of history established by God reaches back to the origins, back to creation. Our profession of faith begins with the words: "We believe in God, the Father Almighty, Creator of heaven and earth". If we omit the beginning of the Credo, the whole history of salvation becomes too limited and too small. The Church is not some kind of association that concerns itself with man’s religious needs but is limited to that objective. No, she brings man into contact with God and thus with the source of all things. Therefore we relate to God as Creator, and so we have a responsibility for creation. Our responsibility extends as far as creation because it comes from the Creator. Only because God created everything can he give us life and direct our lives. Life in the Church’s faith involves more than a set of feelings and sentiments and perhaps moral obligations. It embraces man in his entirety, from his origins to his eternal destiny. Only because creation belongs to God can we place ourselves completely in his hands. And only because he is the Creator can he give us life for ever. Joy over creation, thanksgiving for creation and responsibility for it all belong together.

The central message of the creation account can be defined more precisely still. In the opening words of his Gospel, Saint John sums up the essential meaning of that account in this single statement: "In the beginning was the Word". In effect, the creation account that we listened to earlier is characterized by the regularly recurring phrase: "And God said ..." The world is a product of the Word, of the Logos, as Saint John expresses it, using a key term from the Greek language. "Logos" means "reason", "sense", "word". It is not reason pure and simple, but creative Reason, that speaks and communicates itself. It is Reason that both is and creates sense. The creation account tells us, then, that the world is a product of creative Reason. Hence it tells us that, far from there being an absence of reason and freedom at the origin of all things, the source of everything is creative Reason, love, and freedom. Here we are faced with the ultimate alternative that is at stake in the dispute between faith and unbelief: are irrationality, lack of freedom and pure chance the origin of everything, or are reason, freedom and love at the origin of being? Does the primacy belong to unreason or to reason? This is what everything hinges upon in the final analysis. As believers we answer, with the creation account and with Saint John, that in the beginning is reason. In the beginning is freedom. Hence it is good to be a human person. It is not the case that in the expanding universe, at a late stage, in some tiny corner of the cosmos, there evolved randomly some species of living being capable of reasoning and of trying to find rationality within creation, or to bring rationality into it. If man were merely a random product of evolution in some place on the margins of the universe, then his life would make no sense or might even be a chance of nature. But no, Reason is there at the beginning: creative, divine Reason. And because it is Reason, it also created freedom; and because freedom can be abused, there also exist forces harmful to creation. Hence a thick black line, so to speak, has been drawn across the structure of the universe and across the nature of man. But despite this contradiction, creation itself remains good, life remains good, because at the beginning is good Reason, God’s creative love. Hence the world can be saved. Hence we can and must place ourselves on the side of reason, freedom and love – on the side of God who loves us so much that he suffered for us, that from his death there might emerge a new, definitive and healed life.

The Old Testament account of creation that we listened to clearly indicates this order of realities. But it leads us a further step forward. It has structured the process of creation within the framework of a week leading up to the Sabbath, in which it finds its completion. For Israel, the Sabbath was the day on which all could participate in God’s rest, in which man and animal, master and slave, great and small were united in God’s freedom. Thus the Sabbath was an expression of the Covenant between God and man and creation. In this way, communion between God and man does not appear as something extra, something added later to a world already fully created. The Covenant, communion between God and man, is inbuilt at the deepest level of creation. Yes, the Covenant is the inner ground of creation, just as creation is the external presupposition of the Covenant. God made the world so that there could be a space where he might communicate his love, and from which the response of love might come back to him. From God’s perspective, the heart of the man who responds to him is greater and more important than the whole immense material cosmos, for all that the latter allows us to glimpse something of God’s grandeur.

Easter and the paschal experience of Christians, however, now require us to take a further step. The Sabbath is the seventh day of the week. After six days in which man in some sense participates in God’s work of creation, the Sabbath is the day of rest. But something quite unprecedented happened in the nascent Church: the place of the Sabbath, the seventh day, was taken by the first day. As the day of the liturgical assembly, it is the day for encounter with God through Jesus Christ who as the Risen Lord encountered his followers on the first day, Sunday, after they had found the tomb empty. The structure of the week is overturned. No longer does it point towards the seventh day, as the time to participate in God’s rest. It sets out from the first day as the day of encounter with the Risen Lord. This encounter happens afresh at every celebration of the Eucharist, when the Lord enters anew into the midst of his disciples and gives himself to them, allows himself, so to speak, to be touched by them, sits down at table with them. This change is utterly extraordinary, considering that the Sabbath, the seventh day seen as the day of encounter with God, is so profoundly rooted in the Old Testament. If we also bear in mind how much the movement from work towards the rest-day corresponds to a natural rhythm, the dramatic nature of this change is even more striking. This revolutionary development that occurred at the very the beginning of the Church’s history can be explained only by the fact that something utterly new happened that day. The first day of the week was the third day after Jesus’ death. It was the day when he showed himself to his disciples as the Risen Lord. In truth, this encounter had something unsettling about it. The world had changed. This man who had died was now living with a life that was no longer threatened by any death. A new form of life had been inaugurated, a new dimension of creation. The first day, according to the Genesis account, is the day on which creation begins. Now it was the day of creation in a new way, it had become the day of the new creation. We celebrate the first day. And in so doing we celebrate God the Creator and his creation. Yes, we believe in God, the Creator of heaven and earth. And we celebrate the God who was made man, who suffered, died, was buried and rose again. We celebrate the definitive victory of the Creator and of his creation. We celebrate this day as the origin and the goal of our existence. We celebrate it because now, thanks to the risen Lord, it is definitively established that reason is stronger than unreason, truth stronger than lies, love stronger than death. We celebrate the first day because we know that the black line drawn across creation does not last for ever. We celebrate it because we know that those words from the end of the creation account have now been definitively fulfilled: "God saw everything that he had made, and behold, it was very good" (Gen 1:31). Amen.

[00594-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

Zwei große Zeichen prägen die liturgische Feier der Osternacht. Da ist zunächst das Feuer, das zum Licht wird. Das Licht der Osterkerze, das in der Prozession in der nächtlichen Kirche zu einer Flut von Lichtern wird, spricht uns von Christus als dem wahren Morgenstern, der in Ewigkeit nicht untergeht – von dem Auferstandenen, in dem das Licht über die Finsternis gesiegt hat. Das zweite Zeichen ist das Wasser. Es erinnert einerseits an die Flut des Roten Meeres, an Untergang und Tod, an das Geheimnis des Kreuzes. Dann aber erscheint es uns als Quellwasser, als Element, das in der Dürre Leben gibt. So wird es zum Bild für das Sakrament der Taufe, das uns an Tod und Auferstehung Jesu Christi beteiligt.

Zur Liturgie der Osternacht gehören aber nicht nur die großen Schöpfungszeichen Licht und Wasser. Ganz wesentlich ist für sie auch, daß sie uns in eine umfassende Begegnung mit dem Wort der Heiligen Schrift führt. Vor der Liturgiereform gab es zwölf alttestamentliche und zwei neutestamentliche Lesungen. Die neutestamentlichen Lesungen sind geblieben. Die Zahl der alttestamentlichen Lesungen ist auf sieben Texte festgelegt, kann aber nach den örtlichen Verhältnissen auch drei Lesungen reduziert werden. Die Kirche will uns in einer großen Überschau den Weg der Heilsgeschichte führen von der Schöpfung über die Erwählung und die Errettung Israels bis zu den prophetischen Zeugnissen, mit denen diese ganze Geschichte immer deutlicher auf Jesus Christus zugeht. In der liturgischen Überlieferung wurden alle diese Lesungen Prophetien genannt. Auch wenn sie nicht direkt Voraussagen künftigen Geschehens sind, haben sie prophetischen Charakter, zeigen sie uns den inneren Grund und die Richtung der Geschichte. Sie lassen Schöpfung und Geschichte durchsichtig werden auf das Wesentliche. So nehmen sie uns an die Hand und führen uns zu Christus hin, zeigen uns das wahre Licht.

Die Wanderung durch die Wege der Heiligen Schrift beginnt in der Osternacht mit dem Schöpfungsbericht. Auch der Schöpfungsbericht ist Prophetie, will uns damit die Liturgie sagen. Er ist nicht eine Information über den äußeren Hergang des Werdens von Kosmos und Mensch. Den Vätern der Kirche war das sehr bewußt. Sie haben den Bericht nicht als Erzählung über den Verlauf der Entstehung der Dinge verstanden, sondern als Weisung zum Wesentlichen, zum wahren Ursprung und zum Ziel unseres Seins. Nun kann man fragen: Ist es wirklich wichtig, in der Osternacht auch von der Schöpfung zu sprechen? Könnte man nicht mit den Ereignissen beginnen, in denen Gott den Menschen ruft, sich ein Volk bildet und seine Geschichte mit den Menschen auf der Erde schafft? Die Antwort muß lauten: nein. Die Schöpfung wegzulassen, würde bedeuten, die Geschichte Gottes mit den Menschen selbst mißzuverstehen, sie zu verkleinern, ihre wahre Größenordnung nicht mehr zu sehen. Der Radius der Geschichte, die Gott gestiftet hat, reicht bis zu den Ursprüngen, bis zur Schöpfung hin. Unser Glaubensbekenntnis beginnt mit den Worten: „Ich glaube an Gott, den Vater, den Allmächtigen, den Schöpfer des Himmels und der Erde." Wenn wir diesen Anfang des Credo weglassen, wird die ganze Heilsgeschichte zu eng und zu klein. Die Kirche ist nicht irgendeine Vereinigung, die sich um die religiösen Bedürfnisse der Menschen kümmert, aber eben ihr beschränktes Vereinsziel hat. Nein, sie bringt den Menschen in Berührung mit Gott und so mit dem Ursprung aller Dinge. Deshalb geht Gott uns als Schöpfer an, und deswegen tragen wir Verantwortung für die Schöpfung. Unsere Verantwortung reicht bis auf die Schöpfung hin, weil sie vom Schöpfer herkommt. Nur weil Gott das Ganze geschaffen hat, kann er uns Leben geben und unser Leben führen. Das Leben im Glauben der Kirche umfaßt nicht nur einen Bereich von Empfindungen und Gefühlen und vielleicht von moralischen Verpflichtungen. Es umfaßt den Menschen ganz, von seinem Ursprung her und auf die Ewigkeit hin. Nur weil die Schöpfung Gott gehört, können wir bis ins Letzte auf ihn bauen. Und nur weil er Schöpfer ist, kann er uns Leben in Ewigkeit geben. Freude über die Schöpfung, Dankbarkeit für die Schöpfung und Verantwortung für sie gehören zusammen.

Die zentrale Aussage des Schöpfungsberichts läßt sich noch genauer bestimmen. Der heilige Johannes hat in den ersten Worten seines Evangeliums den wesentlichen Sinn des Schöpfungsberichts in dem einen Satz zusammengefaßt: „Im Anfang war das Wort." In der Tat ist der Schöpfungsbericht, den wir vorhin gehört haben, durch den gleichmäßig wiederkehrenden Satz bestimmt: „Und Gott sprach…". Die Welt ist Produkt des Wortes, des Logos, wie Johannes mit einem Zentralwort der griechischen Sprache sagt. Logos bedeutet Vernunft, Sinn, Wort. Er ist nicht bloß Vernunft, sondern sprechende, sich selbst mitteilende, schöpferische Vernunft. Er ist Vernunft, die Sinn ist und selbst wiederum Sinn stiftet. So sagt uns also der Schöpfungsbericht: Die Welt ist Produkt der schöpferischen Vernunft. Und er sagt uns damit: Am Anfang aller Dinge stand nicht das Unvernünftige, das Unfreie, sondern der Ursprung aller Dinge ist die schöpferische Vernunft, ist die Liebe, ist die Freiheit. Hier stehen wir vor der letzten Alternative, um die es im Disput zwischen Glaube und Unglaube geht: Ist die Unvernunft, das Unfreie und der Zufall der Ursprung aller Dinge, oder ist der Ursprung des Seins Vernunft, Freiheit, Liebe? Gilt der Primat der Unvernunft oder der Vernunft? Um diese Frage geht es letztlich. Als Gläubige antworten wir mit dem Schöpfungsbericht und mit dem heiligen Johannes: Am Anfang steht die Vernunft. Am Anfang steht die Freiheit. Deshalb ist es gut, ein Mensch zu sein. Es ist nicht so, daß in dem sich ausdehnenden Universum am Ende in irgendeinem kleinen Winkel des Alls zufällig auch eine Art von Lebewesen entstand, die denken kann und versuchen kann, Vernunft in der Schöpfung zu finden oder in sie hineinzubringen. Wäre der Mensch nur ein solches Zufallsprodukt der Evolution irgendwo am Rand des Alls, dann wäre sein Leben sinnlos oder gar eine Störung der Natur. Aber nein – die Vernunft ist zuerst, die schöpferische, die göttliche Vernunft. Und weil sie Vernunft ist, hat sie auch Freiheit geschaffen, und weil Freiheit mißbrauchbar ist, darum gibt es auch das Schöpfungswidrige; darum zieht sich gleichsam ein dicker dunkler Strich durch den Bau des Universums und durch das Wesen des Menschen. Aber diesem Widerspruch zum Trotz bleibt die Schöpfung als solche gut, bleibt das Leben gut, weil am Anfang die gute Vernunft, die schöpferische Liebe Gottes steht. Darum ist die Welt erlösbar. Darum können und müssen wir uns auf die Seite der Vernunft, der Freiheit und der Liebe stellen – auf die Seite des Gottes, der uns liebt, so sehr, daß er für uns gelitten hat, damit aus seinem Tod neues, endgültiges, geheiltes Leben hervorgehen konnte.

Der alttestamentliche Schöpfungsbericht, den wir gehört haben, zeigt diese Ordnung der Wirklichkeiten eindeutig an. Er führt uns aber noch einen Schritt weiter. Er hat den Vorgang der Schöpfung im Bild einer Woche gestaltet, die auf den Sabbat zuläuft, in ihm ihre Erfüllung findet. Der Sabbat war für Israel der Tag, an dem alle an der Ruhe Gottes teilnehmen durften, an dem Mensch und Tier, Herr und Sklave, Große und Kleine in der Freiheit Gottes geeint waren. So war der Sabbat Ausdruck des Bundes zwischen Gott und Mensch und der Schöpfung. Das Miteinander von Gott und Mensch aber erscheint so nicht als etwas Nachträgliches, das in einer schon fertig geschaffenen Welt noch eingerichtet wurde. Der Bund, das Miteinander von Gott und Mensch ist in der Schöpfung von Grund auf angelegt. Ja, der Bund ist der innere Grund der Schöpfung, wie die Schöpfung die äußere Bedingung des Bundes ist. Gott hat die Welt gemacht, damit eine Stelle sei, an der er seine Liebe mitteilen kann und von der aus die Antwort der Liebe zu ihm zurückkehrt. Vor Gott ist das Herz des Menschen, das ihm antwortet, größer und wichtiger als der ganze gewaltige, materielle Kosmos, der uns freilich etwas von Gottes Größe ahnen läßt.

An Ostern und von der österlichen Erfahrung der Christen her müssen wir aber nun noch einen weiteren Schritt tun. Der Sabbat ist der siebte Tag der Woche. Nach sechs Tagen, an denen der Mensch gleichsam an der Schöpfungsarbeit Gottes teilnimmt, ist der Sabbat der Tag der Ruhe. Aber in der werdenden Kirche ist etwas Unerhörtes geschehen: An die Stelle des Sabbats, des siebten Tags, tritt der erste Tag. Als Tag der gottesdienstlichen Versammlung ist er der Tag der Begegnung mit Gott durch Jesus Christus, der am ersten Tag, am Sonntag, den Seinen als Auferstandener begegnete, nachdem sie das Grab leer gefunden hatten. Die Wochenstruktur ist nun umgekehrt. Sie läuft nicht mehr auf den siebten Tag zu, um dort an Gottes Ruhe teilzunehmen. Sie beginnt mit dem ersten Tag als Tag der Begegnung mit dem Auferstandenen. Diese Begegnung vollzieht sich immer neu in der Feier der Eucharistie, in der der Herr wieder in die Mitte der Seinen tritt und sich ihnen schenkt, sich von ihnen gleichsam berühren läßt, sich mit ihnen zu Tisch setzt. Diese Änderung ist ein unerhörter Vorgang, wenn man bedenkt, daß der Sabbat, der siebte Tag als Tag der Begegnung mit Gott zutiefst im Alten Testament verankert ist. Wenn wir beachten, wie sehr der Weg von der Arbeit zum Tag der Ruhe auch einer natürlichen Logik entspricht, wird das Dramatische dieses Umschwungs noch deutlicher. Dieser revolutionäre Vorgang, der sich gleich zu Beginn des Werdens der Kirche zugetragen hat, ist nur zu erklären aus der Tatsache, daß an diesem Tag Unerhörtes geschehen war. Der erste Wochentag war der dritte Tag nach Jesu Tod. Es war der Tag, an dem er sich den Seinen als der Auferstandene zeigte. Diese Begegnung hatte in der Tat etwas Umstürzendes an sich. Die Welt hatte sich geändert. Der Tote lebte mit einem Leben, das von keinem Tod mehr bedroht war. Eine neue Weise des Lebens, eine neue Dimension der Schöpfung hatte sich eröffnet. Der erste Tag ist nach dem Genesis-Bericht der Tag, an dem die Schöpfung beginnt. Nun war er auf eine neue Weise zum Schöpfungstag, zum Tag der neuen Schöpfung geworden. Wir feiern den ersten Tag. Wir feiern damit Gott, den Schöpfer und seine Schöpfung. Ja, ich glaube an Gott, den Schöpfer des Himmels und der Erde. Und wir feiern den Gott, der Mensch geworden ist, gelitten hat, gestorben ist und begraben wurde und auferstand. Wir feiern den endgültigen Sieg des Schöpfers und seiner Schöpfung. Wir feiern diesen Tag als Ursprung und zugleich als Ziel unseres Lebens. Wir feiern ihn, weil nun vom Auferstandenen her endgültig gilt, daß die Vernunft stärker ist als die Unvernunft, die Wahrheit stärker als die Lüge, die Liebe stärker als der Tod. Wir feiern den ersten Tag, weil wir wissen, daß der dunkle Strich, der die Schöpfung durchzieht, nicht für immer bleibt. Wir feiern ihn, weil wir wissen, daß nun endgültig gilt, was am Ende des Schöpfungsberichts gesagt ist: „Gott sah alles an, was er gemacht hatte: Es war sehr gut" (Gen 1,31). Amen.

[00594-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

Dos grandes signos caracterizan la celebración litúrgica de la Vigilia pascual. En primer lugar, el fuego que se hace luz. La luz del cirio pascual, que en la procesión a través de la iglesia envuelta en la oscuridad de la noche se propaga en una multitud de luces, nos habla de Cristo como verdadero lucero matutino, que no conoce ocaso, nos habla del Resucitado en el que la luz ha vencido a las tinieblas. El segundo signo es el agua. Nos recuerda, por una parte, las aguas del Mar Rojo, la profundidad y la muerte, el misterio de la Cruz. Pero se presenta después como agua de manantial, como elemento que da vida en la aridez. Se hace así imagen del Sacramento del Bautismo, que nos hace partícipes de la muerte y resurrección de Jesucristo.

Sin embargo, no sólo forman parte de la liturgia de la Vigilia Pascual los grandes signos de la creación, como la luz y el agua. Característica esencial de la Vigilia es también el que ésta nos conduce a un encuentro profundo con la palabra de la Sagrada Escritura. Antes de la reforma litúrgica había doce lecturas veterotestamentarias y dos neotestamentarias. Las del Nuevo Testamento han permanecido. El número de las lecturas del Antiguo Testamento se ha fijado en siete, pero, de según las circunstancias locales, pueden reducirse a tres. La Iglesia quiere llevarnos, a través de una gran visión panorámica por el camino de la historia de la salvación, desde la creación, pasando por la elección y la liberación de Israel, hasta el testimonio de los profetas, con el que toda esta historia se orienta cada vez más claramente hacia Jesucristo. En la tradición litúrgica, todas estas lecturas eran llamadas profecías. Aun cuando no son directamente anuncios de acontecimientos futuros, tienen un carácter profético, nos muestran el fundamento íntimo y la orientación de la historia. Permiten que la creación y la historia transparenten lo esencial. Así, nos toman de la mano y nos conducen hacía Cristo, nos muestran la verdadera Luz.

En la Vigilia Pascual, el camino a través de los sendas de la Sagrada Escritura comienzan con el relato de la creación. De esta manera, la liturgia nos indica que también el relato de la creación es una profecía. No es una información sobre el desarrollo exterior del devenir del cosmos y del hombre. Los Padres de la Iglesia eran bien concientes de ello. No entendian dicho relato como una narración del desarrollo del origen de las cosas, sino como una referencia a lo esencial, al verdadero principio y fin de nuestro ser. Podemos preguntarnos ahora: Pero, ¿es verdaderamente importante en la Vigilia Pascual hablar también de la creación? ¿No se podría empezar por los acontecimientos en los que Dios llama al hombre, forma un pueblo y crea su historia con los hombres sobre la tierra? La respuesta debe ser: no. Omitir la creación significaría malinterpretar la historia misma de Dios con los hombres, disminuirla, no ver su verdadero orden de grandeza. La historia que Dios ha fundado abarca incluso los orígenes, hasta la creación. Nuestra profesión de fe comienza con estas palabras: "Creo en Dios, Padre Todopoderoso, Creador del cielo y de la tierra". Si omitimos este comienzo del Credo, toda la historia de la salvación queda demasiado reducida y estrecha. La Iglesia no es una asociación cualquiera que se ocupa de las necesidades religiosas de los hombres y, por eso mismo, no limita su cometido sólo a dicha asociación. No, ella conduce al hombre al encuentro con Dios y, por tanto, con el principio de todas las cosas. Dios se nos muestra como Creador, y por esto tenemos una responsabilidad con la creación. Nuestra responsabilidad llega hasta la creación, porque ésta proviene del Creador. Puesto que Dios ha creado todo, puede darnos vida y guiar nuestra vida. La vida en la fe de la Iglesia no abraza solamente un ámbito de sensaciones o sentimientos o quizás de obligaciones morales. Abraza al hombre en su totalidad, desde su principio y en la perspectiva de la eternidad. Puesto que la creación pertenece a Dios, podemos confiar plenamente en Él. Y porque Él es Creador, puede darnos la vida eterna. La alegría por la creación, la gratitud por la creación y la responsabilidad respecto a ella van juntas.

El mensaje central del relato de la creación se puede precisar todavía más. San Juan, en las primeras palabras de su Evangelio, ha sintetizado el significado esencial de dicho relato con una sola frase: "En el principio existía el Verbo". En efecto, el relato de la creación que hemos escuchado antes se caracteriza por la expresión que aparece con frecuencia: "Dijo Dios…". El mundo es un producto de la Palabra, del Logos, como dice Juan utilizando un vocablo central de la lengua griega. "Logos" significa "razón", "sentido", "palabra". No es solamente razón, sino Razón creadora que habla y se comunica a sí misma. Razón que es sentido y ella misma crea sentido. El relato de la creación nos dice, por tanto, que el mundo es un producto de la Razón creadora. Y con eso nos dice que en el origen de todas las cosas estaba no lo que carece de razón o libertad, sino que el principio de todas las cosas es la Razón creadora, es el amor, es la libertad. Nos encontramos aquí frente a la alternativa última que está en juego en la discusión entre fe e incredulidad: ¿Es la irracionalidad, la ausencia de libertad y la casualidad el principio de todo, o el principio del ser es más bien razón, libertad, amor? ¿Corresponde el primado a la irracionalidad o a la razón? En último término, ésta es la pregunta crucial. Como creyentes respondemos con el relato de la creación y con san Juan: en el origen está la razón. En el origen está la libertad. Por esto es bueno ser una persona humana. No es que en el universo en expansión, al final, en un pequeño ángulo cualquiera del cosmos se formara por casualidad una especie de ser viviente, capaz de razonar y de tratar de encontrar en la creación una razón o dársela. Si el hombre fuese solamente un producto casual de la evolución en algún lugar al margen del universo, su vida estaría privada de sentido o sería incluso una molestia de la naturaleza. Pero no es así: la Razón estaba en el principio, la Razón creadora, divina. Y puesto que es Razón, ha creado también la libertad; y como de la libertad se puede hacer un uso inadecuado, existe también aquello que es contrario a la creación. Por eso, una gruesa línea oscura se extiende, por decirlo así, a través de la estructura del universo y a través de la naturaleza humana. Pero no obstante esta contradicción, la creación como tal sigue siendo buena, la vida sigue siendo buena, porque en el origen está la Razón buena, el amor creador de Dios. Por eso el mundo puede ser salvado. Por eso podemos y debemos ponernos de parte de la razón, de la libertad y del amor; de parte de Dios que nos ama tanto que ha sufrido por nosotros, para que de su muerte surgiera una vida nueva, definitiva, saludable.

El relato veterotestamentario de la creación, que hemos escuchado, indica claramente este orden de la realidad. Pero nos permite dar un paso más. Ha estructurado el proceso de la creación en el marco de una semana que se dirige hacia el Sábado, encontrando en él su plenitud. Para Israel, el Sábado era el día en que todos podían participar del reposo de Dios, en que los hombres y animales, amos y esclavos, grandes y pequeños se unían a la libertad de Dios. Así, el Sábado era expresión de la alianza entre Dios y el hombre y la creación. De este modo, la comunión entre Dios y el hombre no aparece como algo añadido, instaurado posteriormente en un mundo cuya creación ya había terminado. La alianza, la comunión entre Dios y el hombre, está ya prefigurada en lo más profundo de la creación. Sí, la alianza es la razón intrínseca de la creación así como la creación es el presupuesto exterior de la alianza. Dios ha hecho el mundo para que exista un lugar donde pueda comunicar su amor y desde el que la respuesta de amor regrese a Él. Ante Dios, el corazón del hombre que le responde es más grande y más importante que todo el inmenso cosmos material, el cual nos deja, ciertamente, vislumbrar algo de la grandeza de Dios.

En Pascua, y partiendo de la experiencia pascual de los cristianos, debemos dar aún un paso más. El Sábado es el séptimo día de la semana. Después de seis días, en los que el hombre participa en cierto modo del trabajo de la creación de Dios, el Sábado es el día del descanso. Pero en la Iglesia naciente sucedió algo inaudito: El Sábado, el séptimo día, es sustituido ahora por el primer día. Como día de la asamblea litúrgica, es el día del encuentro con Dios mediante Jesucristo, el cual en el primer día, el Domingo, se encontró con los suyos como Resucitado, después de que hallaran vacío el sepulcro. La estructura de la semana se ha invertido. Ya no se dirige hacia el séptimo día, para participar en él del reposo de Dios. Inicia con el primer día como día del encuentro con el Resucitado. Este encuentro ocurre siempre nuevamente en la celebración de la Eucaristía, donde el Señor se presenta de nuevo en medio de los suyos y se les entrega, se deja, por así decir, tocar por ellos, se sienta a la mesa con ellos. Este cambio es un hecho extraordinario, si se considera que el Sábado, el séptimo día como día del encuentro con Dios, está profundamente enraizado en el Antiguo Testamento. El dramatismo de dicho cambio resulta aún más claro si tenemos presente hasta qué punto el proceso del trabajo hacia el día de descanso se corresponde también con una lógica natural. Este proceso revolucionario, que se ha verificado inmediatamente al comienzo del desarrollo de la Iglesia, sólo se explica por el hecho de que en dicho día había sucedido algo inaudito. El primer día de la semana era el tercer día después de la muerte de Jesús. Era el día en que Él se había mostrado a los suyos como el Resucitado. Este encuentro, en efecto, tenía en sí algo de extraordinario. El mundo había cambiado. Aquel que había muerto vivía de una vida que ya no estaba amenazada por muerte alguna. Se había inaugurado una nueva forma de vida, una nueva dimensión de la creación. El primer día, según el relato del Génesis, es el día en que comienza la creación. Ahora, se ha convertido de un modo nuevo en el día de la creación, se ha convertido en el día de la nueva creación. Nosotros celebramos el primer día. Con ello celebramos a Dios, el Creador, y a su creación. Sí, creo en Dios, Creador del cielo y de la tierra. Y celebramos al Dios que se ha hecho hombre, que padeció, murió, fue sepultado y resucitó. Celebramos la victoria definitiva del Creador y de su creación. Celebramos este día como origen y, al mismo tiempo, como meta de nuestra vida. Lo celebramos porque ahora, gracias al Resucitado, se manifiesta definitivamente que la razón es más fuerte que la irracionalidad, la verdad más fuerte que la mentira, el amor más fuerte que la muerte. Celebramos el primer día, porque sabemos que la línea oscura que atraviesa la creación no permanece para siempre. Lo celebramos porque sabemos que ahora vale definitivamente lo que se dice al final del relato de la creación: "Vio Dios todo lo que había hecho, y era muy bueno" (Gen 1, 31). Amén

[00594-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Amados irmãos e irmãs,

Dois grandes sinais caracterizam a celebração litúrgica da Vigília Pascal. Temos antes de mais nada o fogo que se torna luz. A luz do círio pascal que, na procissão através da igreja encoberta na escuridão da noite, se torna uma onda de luzes, fala-nos de Cristo como verdadeira estrela da manhã eternamente sem ocaso, fala-nos do Ressuscitado em quem a luz venceu as trevas. O segundo sinal é a água. Esta recorda, por um lado, as águas do Mar Vermelho, o afundamento e a morte, o mistério da Cruz; mas, por outro, aparece-nos como água nascente, como elemento que dá vida na aridez. Torna-se assim imagem do sacramento do Baptismo, que nos faz participantes da morte e ressurreição de Jesus Cristo.

Mas não são apenas estes grandes sinais da criação, a luz e a água, que fazem parte da liturgia da Vigília Pascal; outra característica verdadeiramente essencial da Vigília é o facto de nos proporcionar um vasto encontro com a palavra da Sagrada Escritura. Antes da reforma litúrgica, havia doze leituras do Antigo Testamento e duas do Novo. As do Novo Testamento permaneceram; entretanto o número das leituras do Antigo Testamento acabou fixado em sete, que, atendendo às situações locais, se podem reduzir a três leituras. A Igreja quer, através de uma ampla visão panorâmica, conduzir-nos ao longo do caminho da história da salvação, desde a criação passando pela eleição e a libertação de Israel até aos testemunhos proféticos, pelos quais toda esta história se orienta cada vez mais claramente para Jesus Cristo. Na tradição litúrgica, todas estas leituras se chamavam profecias: mesmo quando não são directamente vaticínios de acontecimentos futuros, elas têm um carácter profético, mostram-nos o fundamento íntimo e a direcção da história; fazem com que a criação e a história se tornem transparentes no essencial. Deste modo tomam-nos pela mão e conduzem-nos para Cristo, mostram-nos a verdadeira luz.

Na Vigília Pascal, o percurso ao longo dos caminhos da Sagrada Escritura começa pelo relato da criação. Desta forma, a liturgia quer-nos dizer que também o relato da criação é uma profecia. Não se trata de uma informação sobre a realização exterior da transformação do universo e do homem. Bem cientes disto estavam os Padres da Igreja, que entenderam este relato não como narração real das origens das coisas, mas como apelo ao essencial, ao verdadeiro princípio e ao fim do nosso ser. Ora, podemo-nos interrogar: mas, na Vigília Pascal, é verdadeiramente importante falar também da criação? Não se poderia começar pelos acontecimentos em que Deus chama o homem, forma para Si um povo e cria a sua história com os homens na terra? A resposta deve ser: não! Omitir a criação significaria equivocar-se sobre a história de Deus com os homens, diminuí-la, deixar de ver a sua verdadeira ordem de grandeza. O arco da história que Deus fundou chega até às origens, até à criação. A nossa profissão de fé inicia com as palavras: «Creio em Deus, Pai todo-poderoso, Criador do Céu e da Terra». Se omitimos este início do Credo, a história global da salvação torna-se demasiado restrita, demasiado pequena. A Igreja não é uma associação qualquer que se ocupa das necessidades religiosas dos homens e cujo objectivo se limitaria precisamente ao de uma tal associação. Não, a Igreja leva o homem ao contacto com Deus e, consequentemente, com o princípio de tudo. Por isso, Deus tem a ver connosco como Criador, e por isso possuímos uma responsabilidade pela criação. A nossa responsabilidade inclui a criação, porque esta provém do Criador. Deus pode dar-nos vida e guiar a nossa vida, só porque Ele criou o todo. A vida na fé da Igreja não abrange somente o âmbito de sensações e sentimentos e porventura de obrigações morais; mas abrange o homem na sua integralidade, desde as suas origens e na perspectiva da eternidade. Só porque a criação pertence a Deus, podemos depositar n’Ele completamente a nossa confiança. E só porque Ele é Criador, é que nos pode dar a vida por toda a eternidade. A alegria e gratidão pela criação e a responsabilidade por ela andam juntas uma com a outra.

Podemos determinar ainda mais concretamente a mensagem central do relato da criação. Nas primeiras palavras do seu Evangelho, São João resumiu o significado essencial do referido relato com uma única frase: «No princípio, era o Verbo». Com efeito, o relato da criação, que ouvimos anteriormente, caracteriza-se pela frase que aparece com regularidade: «Disse Deus…». O mundo é uma produção da Palavra, do Logos, como se exprime João com um termo central da língua grega. «Logos» significa «razão», «sentido», «palavra». Não é apenas razão, mas Razão criadora que fala e comunica a Si mesma. Trata-se de Razão que é sentido, e que cria, Ela mesma, sentido. Por isso, o relato da criação diz-nos que o mundo é uma produção da Razão criadora. E deste modo diz-nos que, na origem de todas as coisas, não está o que é sem razão, sem liberdade; pelo contrário, o princípio de todas as coisas é a Razão criadora, é o amor, é a liberdade. Encontramo-nos aqui perante a alternativa última que está em jogo na disputa entre fé e incredulidade: o princípio de tudo é a irracionalidade, a ausência de liberdade e o acaso, ou então o princípio do ser é razão, liberdade, amor? O primado pertence à irracionalidade ou à razão? Tal é a questão de que, em última análise, se trata. Como crentes, respondemos com o relato da criação e com São João: na origem, está a razão. Na origem, está a liberdade. Por isso, é bom ser uma pessoa humana. Assim o que sucedera no universo em expansão não foi que por fim, num angulozinho qualquer do cosmos, ter-se-ia formado por acaso também uma espécie como qualquer outra de ser vivente, capaz de raciocinar e de tentar encontrar na criação uma razão ou de lha conferir. Se o homem fosse apenas um tal produto casual da evolução num lugar marginal qualquer do universo, então a sua vida seria sem sentido ou mesmo um azar da natureza. Mas não! No início, está a Razão, a Razão criadora, divina. E, dado que é Razão, ela criou também a liberdade; e, uma vez que se pode fazer uso indevido da liberdade, existe também o que é contrário à criação. Por isso se estende, por assim dizer, uma densa linha escura através da estrutura do universo e através da natureza do homem. Mas, apesar desta contradição, a criação como tal permanece boa, a vida permanece boa, porque na sua origem está a Razão boa, o amor criador de Deus. Por isso, o mundo pode ser salvo. Por isso podemos e devemos colocar-nos da parte da razão, da liberdade e do amor, da parte de Deus que nos ama de tal maneira que Ele sofreu por nós, para que, da sua morte, pudesse surgir uma vida nova, definitiva, restaurada.

O relato veterotestamentário da criação, que escutámos, indica claramente esta ordem das coisas. Mas faz-nos dar um passo mais em frente. O processo da criação aparece estruturado no quadro de uma semana que se orienta para o Sábado, encontrando neste a sua perfeição. Para Israel, o Sábado era o dia em que todos podiam participar no repouso de Deus, em que homem e animal, senhor e escravo, grandes e pequenos estavam unidos na liberdade de Deus. Assim o Sábado era expressão da aliança entre Deus, o homem e a criação. Deste modo, a comunhão entre Deus e o homem não aparece como um acréscimo, algo instaurado posteriormente num mundo cuja criação estava já concluída. A aliança, a comunhão entre Deus e o homem, está prevista no mais íntimo da criação. Sim, a aliança é a razão intrínseca da criação, tal como esta é o pressuposto exterior da aliança. Deus fez o mundo, para haver um lugar no qual Ele pudesse comunicar o seu amor e a partir do qual a resposta de amor retornasse a Ele. Diante de Deus, o coração do homem que Lhe responde é maior e mais importante do que todo o imenso universo material que, certamente, já nos deixa vislumbrar algo da grandeza de Deus.

Entretanto, na Páscoa e a partir da experiência pascal dos cristãos, devemos ainda dar mais um passo. O Sábado é o sétimo dia da semana. Depois de seis dias em que o homem, de certa forma, participa no trabalho criador de Deus, o Sábado é o dia do repouso. Mas, na Igreja nascente, sucedeu algo de inaudito: no lugar do Sábado, do sétimo dia, entra o primeiro dia. Este, enquanto dia da assembleia litúrgica, é o dia do encontro com Deus por meio de Jesus Cristo, que no primeiro dia, o Domingo, encontrou como Ressuscitado os seus, depois que estes encontraram vazio o sepulcro. Agora inverte-se a estrutura da semana: já não está orientada para o sétimo dia, em que se participa no repouso de Deus; a semana inicia com o primeiro dia como dia do encontro com o Ressuscitado. Este encontro não cessa jamais de verificar-se na celebração da Eucaristia, durante a qual o Senhor entra de novo no meio dos seus e dá-Se a eles, deixa-Se por assim dizer tocar por eles, põe-Se à mesa com eles. Esta mudança é um facto extraordinário, quando se considera que o Sábado – o sétimo dia – está profundamente radicado no Antigo Testamento como o dia do encontro com Deus. Quando se pensa como a passagem do trabalho ao dia do repouso corresponde também a uma lógica natural, torna-se ainda mais evidente o alcance impressionante de tal alteração. Este processo inovador, que se deu logo ao início do desenvolvimento da Igreja, só se pode explicar com o facto de ter sucedido algo de inaudito em tal dia. O primeiro dia da semana era o terceiro depois da morte de Jesus; era o dia em que Ele Se manifestou aos seus como o Ressuscitado. De facto, este encontro continha nele algo de impressionante. O mundo tinha mudado. Aquele que estivera morto goza agora de um vida que já não está ameaçada por morte alguma. Fora inaugurada uma nova forma de vida, uma nova dimensão da criação. O primeiro dia, segundo o relato do Génesis, é aquele em que teve início a criação. Agora tornara-se, de uma forma nova, o dia da criação, tornara-se o dia da nova criação. Nós celebramos o primeiro dia. Deste modo celebramos Deus, o Criador, e a sua criação. Sim, creio em Deus, Criador do Céu e da Terra. E celebramos o Deus que Se fez homem, padeceu, morreu, foi sepultado e ressuscitou. Celebramos a vitória definitiva do Criador e da sua criação. Celebramos este dia como origem e simultaneamente como meta da nossa vida. Celebramo-lo porque agora, graças ao Ressuscitado, vale de modo definitivo que a razão é mais forte do que a irracionalidade, a verdade mais forte do que a mentira, o amor mais forte do que a morte. Celebramos o primeiro dia, porque sabemos que a linha escura que atravessa a criação não permanece para sempre. Celebramo-lo, porque sabemos que agora vale definitivamente o que se diz no fim do relato da criação: «Deus viu que tudo o que tinha feito; era tudo muito bom» (Gn 1, 31). Amen.

[00594-06.01] [Texto original: Italiano]

[B0235-XX.02]