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SANTA MESSA "NELLA CENA DEL SIGNORE" NELLA BASILICA DI SAN GIOVANNI IN LATERANO, 21.04.2011


Alle ore 17.30 di oggi, Giovedì Santo, il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la concelebrazione della Santa Messa "nella Cena del Signore".
Nel corso della Liturgia, il Papa compie il rito della lavanda dei piedi a dodici sacerdoti della diocesi di Roma.
Al momento della presentazione dei doni è affidata al Santo Padre un’offerta per le vittime del terremoto e dello tsunami in Giappone.
Al termine della Celebrazione ha luogo la traslazione del SS.mo Sacramento alla Cappella della reposizione.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

 

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

"Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione" (Lc 22,15): con queste parole Gesù ha inaugurato la celebrazione del suo ultimo convito e dell’istituzione della santa Eucaristia. Gesù è andato incontro a quell’ora desiderandola. Nel suo intimo ha atteso quel momento in cui avrebbe donato se stesso ai suoi sotto le specie del pane e del vino. Ha atteso quel momento che avrebbe dovuto essere in qualche modo le vere nozze messianiche: la trasformazione dei doni di questa terra e il diventare una cosa sola con i suoi, per trasformarli ed inaugurare così la trasformazione del mondo. Nel desiderio di Gesù possiamo riconoscere il desiderio di Dio stesso – il suo amore per gli uomini, per la sua creazione, un amore in attesa. L’amore che attende il momento dell’unione, l’amore che vuole attirare gli uomini a sé, per dare compimento con ciò anche al desiderio della stessa creazione: essa, infatti, è protesa verso la manifestazione dei figli di Dio (cfr Rm 8,19). Gesù ha desiderio di noi, ci attende. E noi, abbiamo veramente desiderio di Lui? C’è dentro di noi la spinta ad incontrarLo? Bramiamo la sua vicinanza, il diventare una cosa sola con Lui, di cui Egli ci fa dono nella santa Eucaristia? Oppure siamo indifferenti, distratti, pieni di altro? Dalle parabole di Gesù sui banchetti sappiamo che Egli conosce la realtà dei posti rimasti vuoti, la risposta negativa, il disinteresse per Lui e per la sua vicinanza. I posti vuoti al banchetto nuziale del Signore, con o senza scuse, sono per noi, ormai da tempo, non una parabola, bensì una realtà presente, proprio in quei Paesi ai quali Egli aveva manifestato la sua vicinanza particolare. Gesù sapeva anche di ospiti che sarebbero sì venuti, ma senza essere vestiti in modo nuziale – senza gioia per la sua vicinanza, seguendo solo un’abitudine, e con tutt’altro orientamento della loro vita. San Gregorio Magno, in una delle sue omelie, si domandava: Che genere di persone sono quelle che vengono senza abito nuziale? In che cosa consiste questo abito e come lo si acquista? La sua risposta è: Quelli che sono stati chiamati e vengono hanno in qualche modo fede. È la fede che apre loro la porta. Ma manca loro l’abito nuziale dell’amore. Chi vive la fede non come amore non è preparato per le nozze e viene mandato fuori. La comunione eucaristica richiede la fede, ma la fede richiede l’amore, altrimenti è morta anche come fede.

Da tutti e quattro i Vangeli sappiamo che l’ultimo convito di Gesù prima della Passione fu anche un luogo di annuncio. Gesù ha proposto ancora una volta con insistenza gli elementi portanti del suo messaggio. Parola e Sacramento, messaggio e dono stanno inscindibilmente insieme. Ma durante l’ultimo convito, Gesù ha soprattutto pregato. Matteo, Marco e Luca usano due parole per descrivere la preghiera di Gesù nel punto centrale della Cena: "eucharistesas" ed "eulogesas""ringraziare" e "benedire". Il movimento ascendente del ringraziare e quello discendente del benedire vanno insieme. Le parole della transustanziazione sono parte di questa preghiera di Gesù. Sono parole di preghiera. Gesù trasforma la sua Passione in preghiera, in offerta al Padre per gli uomini. Questa trasformazione della sua sofferenza in amore possiede una forza trasformatrice per i doni, nei quali ora Egli dà se stesso. Egli li dà a noi affinché noi e il mondo siamo trasformati. Lo scopo proprio e ultimo della trasformazione eucaristica è la nostra stessa trasformazione nella comunione con Cristo. L’Eucaristia ha di mira l’uomo nuovo, il mondo nuovo così come esso può nascere soltanto a partire da Dio mediante l’opera del Servo di Dio.

Da Luca e soprattutto da Giovanni sappiamo che Gesù nella sua preghiera durante l’Ultima Cena ha anche rivolto suppliche al Padre – suppliche che al tempo stesso contengono appelli ai suoi discepoli di allora e di tutti i tempi. Vorrei in quest’ora scegliere soltanto una supplica che, secondo Giovanni, Gesù ha ripetuto quattro volte nella sua Preghiera sacerdotale. Quanto deve averLo angustiato nel suo intimo! Essa rimane continuamente la sua preghiera al Padre per noi: è la preghiera per l’unità. Gesù dice esplicitamente che tale supplica non vale soltanto per i discepoli allora presenti, ma ha di mira tutti coloro che crederanno in Lui (cfr Gv 17,20). Chiede che tutti diventino una sola cosa "come tu, Padre, sei in me e io in te … perché il mondo creda" (Gv 17,21). L’unità dei cristiani può esserci soltanto se i cristiani sono intimamente uniti a Lui, a Gesù. Fede e amore per Gesù, fede nel suo essere uno col Padre e apertura all’unità con Lui sono essenziali. Questa unità non è dunque una cosa soltanto interiore, mistica. Deve diventare visibile, così visibile da costituire per il mondo la prova della missione di Gesù da parte del Padre. Per questo tale supplica ha un nascosto senso eucaristico che Paolo ha chiaramente evidenziato nella Prima Lettera ai Corinzi: "Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane" (1Cor 10,16s). Con l’Eucaristia nasce la Chiesa. Noi tutti mangiamo lo stesso pane, riceviamo lo stesso corpo del Signore e questo significa: Egli apre ciascuno di noi al di là di se stesso. Egli ci rende tutti una cosa sola. L’Eucaristia è il mistero dell’intima vicinanza e comunione di ogni singolo col Signore. Ed è, al tempo stesso, l’unione visibile tra tutti. L’Eucaristia è Sacramento dell’unità. Essa giunge fin nel mistero trinitario, e crea così al contempo l’unità visibile. Diciamolo ancora una volta: essa è l’incontro personalissimo col Signore e, tuttavia, non è mai soltanto un atto di devozione individuale. La celebriamo necessariamente insieme. In ogni comunità vi è il Signore in modo totale. Ma Egli è uno solo in tutte le comunità. Per questo, della Preghiera eucaristica della Chiesa fanno necessariamente parte le parole: "una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro". Questa non è un’aggiunta esteriore a ciò che avviene interiormente, bensì espressione necessaria della realtà eucaristica stessa. E menzioniamo il Papa e il Vescovo per nome: l’unità è del tutto concreta, ha dei nomi. Così l’unità diventa visibile, diventa segno per il mondo e stabilisce per noi stessi un criterio concreto.

San Luca ci ha conservato un elemento concreto della preghiera di Gesù per l’unità: "Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,31s). Oggi constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, che attraverso le acque agitate della storia va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque. Ma poi segue un annuncio e un incarico. "Tu, una volta convertito…": Tutti gli esseri umani, eccetto Maria, hanno continuamente bisogno di conversione. Gesù predice a Pietro la sua caduta e la sua conversione. Da che cosa Pietro ha dovuto convertirsi? All’inizio della sua chiamata, spaventato dal potere divino del Signore e dalla propria miseria, Pietro aveva detto: "Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!" (Lc 5,8). Alla luce del Signore egli riconosce la sua insufficienza. Proprio così, nell’umiltà di chi sa di essere peccatore, egli viene chiamato. Egli deve sempre di nuovo ritrovare questa umiltà. Presso Cesarea di Filippo Pietro non aveva voluto accettare che Gesù avrebbe dovuto soffrire ed essere crocifisso. Ciò non era conciliabile con la sua immagine di Dio e del Messia. Nel cenacolo egli non ha voluto accettare che Gesù gli lavasse i piedi: ciò non si adattava alla sua immagine della dignità del Maestro. Nell’orto degli ulivi ha colpito con la spada. Voleva dimostrare il suo coraggio. Davanti alla serva, però, ha affermato di non conoscere Gesù. In quel momento ciò gli sembrava una piccola bugia, per poter rimanere nelle vicinanze di Gesù. Il suo eroismo è crollato in un gioco meschino per un posto al centro degli avvenimenti. Tutti noi dobbiamo sempre di nuovo imparare ad accettare Dio e Gesù Cristo così come Egli è, e non come noi vorremmo che fosse. Anche noi stentiamo ad accettare che Egli si sia legato ai limiti della sua Chiesa e dei suoi ministri. Anche noi non vogliamo accettare che Egli sia senza potere in questo mondo. Anche noi ci nascondiamo dietro pretesti, quando l’appartenenza a Lui ci diventa troppo costosa e troppo pericolosa. Tutti noi abbiamo bisogno di conversione che accoglie Gesù nel suo essere-Dio ed essere-Uomo. Abbiamo bisogno dell’umiltà del discepolo che segue la volontà del Maestro. In quest’ora vogliamo pregarLo di guardare anche a noi come ha guardato Pietro, nel momento opportuno, con i suoi occhi benevoli, e di convertirci.

Pietro, il convertito, è chiamato a confermare i suoi fratelli. Non è un fatto esteriore che questo compito gli venga affidato nel cenacolo. Il servizio dell’unità ha il suo luogo visibile nella celebrazione della santa Eucaristia. Cari amici, per il Papa è un grande conforto sapere che in ogni Celebrazione eucaristica tutti pregano per lui; che la nostra preghiera si unisce alla preghiera del Signore per Pietro. Solo grazie alla preghiera del Signore e della Chiesa il Papa può corrispondere al suo compito di confermare i fratelli – di pascere il gregge di Gesù e di farsi garante per quell’unità che diventa testimonianza visibile della missione di Gesù da parte del Padre.

"Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi". Signore, tu hai desiderio di noi, di me. Tu hai desiderio di partecipare te stesso a noi nella santa Eucaristia, di unirti a noi. Signore, suscita anche in noi il desiderio di te. Rafforzaci nell’unità con te e tra di noi. Dona alla tua Chiesa l’unità, perché il mondo creda. Amen.

[00588-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

« J’ai ardemment désiré manger cette Pâque avec vous avant de souffrir ! » (Lc 22, 15). Par ces mots, Jésus a ouvert la célébration de son dernier banquet et de l’institution de la sainte Eucharistie. Jésus est allé au devant de cette heure, en la désirant. Au fond de lui-même, il a attendu ce moment où il se donnerait lui-même aux siens sous les espèces du pain et du vin. Il a attendu ce moment qui aurait dû être en quelque sorte les véritables noces messianiques : la transformation des dons de cette terre et le fait de devenir un avec les siens, pour les transformer et inaugurer ainsi la transformation du monde. Dans le désir de Jésus, nous pouvons reconnaître le désir de Dieu lui-même – son amour pour les hommes, pour sa création, un amour en attente. L’amour qui attend le moment de l’union, l’amour qui veut attirer les hommes à soi, pour ainsi réaliser entièrement le désir de la création elle-même : en effet, celle-ci est tendue vers la manifestation des fils de Dieu (cf. Rm 8, 19). Jésus nous désire, il nous attend. Et nous, le désirons-nous vraiment ? Nous sentons-nous poussés intérieurement à le rencontrer ? Désirons-nous ardemment sa proximité, devenir un avec lui, don qu’il nous fait dans la sainte Eucharistie ? Ou bien sommes-nous indifférents, distraits, remplis d’autres choses ? D’après les paraboles de Jésus sur les banquets, nous savons qu’il connaît la réalité des places restées vides, la réponse négative, le désintérêt pour lui et pour sa proximité. Les places vides au banquet nuptial du Seigneur, avec ou sans excuses, sont pour nous, depuis longtemps désormais, non pas une parabole, mais une réalité présente, précisément dans ces pays auxquels il avait manifesté sa proximité particulière. Jésus savait aussi que des invités seraient venus, oui, mais sans être revêtus de l’habit nuptial – sans la joie de sa proximité, suivant seulement une habitude, et avec une tout autre orientation de leur vie. Saint Grégoire le Grand, dans une de ses homélies, se demandait : quel genre de personnes sont celles qui viennent sans habit nuptial ? En quoi consiste cet habit et comment l’acquiert-on ? Sa réponse est : ceux qui ont été appelés et viennent ont en quelque sorte la foi. C’est la foi qui leur ouvre la porte. Mais il leur manque l’habit nuptial de l’amour. Celui qui ne vit pas la foi en tant qu’amour n’est pas préparé pour les noces et il est jeté dehors. La communion eucharistique requiert la foi, mais la foi requiert l’amour, autrement elle est morte aussi comme foi.

À travers les quatre Évangiles, nous savons que le dernier banquet de Jésus, avant sa Passion, a été aussi un lieu d’annonce. Jésus a proposé encore une fois avec insistance les éléments fondamentaux de son message. Parole et Sacrement, message et don sont inséparablement unis. Cependant, durant son dernier banquet, Jésus a surtout prié. Matthieu, Marc et Luc utilisent deux mots pour décrire la prière de Jésus au moment central de la Cène : « eucharistesas » et « eulogesas » - « remercier » et « bénir ». Le mouvement ascendant du remerciement et celui descendant de la bénédiction vont ensemble. Les paroles de la transsubstantiation font partie de cette prière de Jésus. Ce sont des paroles de prière. Jésus transforme sa Passion en prière, en offrande au Père pour les hommes. Cette transformation de sa souffrance en amour possède une force transformante pour les dons dans lesquels, à présent, il se donne lui-même. Il nous les donne afin que nous-mêmes et le monde soyons transformés. Le but véritable et dernier de la transformation eucharistique c’est notre transformation elle-même dans la communion avec le Christ. L’Eucharistie vise l’homme nouveau, le monde nouveau tel qu’il peut naître uniquement à partir de Dieu à travers l’œuvre du Serviteur de Dieu.

Grâce à Luc et surtout à Jean, nous savons que Jésus dans sa prière durant la Dernière Cène a aussi adressé des suppliques au Père – suppliques qui, en même temps, contiennent des appels à ses disciples d’alors et de tout temps. En cette heure, je voudrais choisir uniquement une supplique que, selon Jean, Jésus a répétée quatre fois au cours de sa Prière sacerdotale. Combien a-t-elle dû le préoccuper en son for intérieur ! Elle reste constamment sa prière au Père pour nous : c’est la prière pour l’unité. Jésus dit explicitement que cette supplique n’est pas valable seulement pour les disciples présents à ce moment-là, mais qu’elle concerne tous ceux qui croiront en lui (cf. Jn 17, 20). Elle demande que tous soient un « comme toi, Père, tu es en moi et moi en toi, afin que le monde croie » (Jn 17, 21). L’unité des chrétiens ne peut se réaliser que si les chrétiens sont intimement unis à lui, à Jésus. Foi et amour pour Jésus, foi dans son être un avec le Père et ouverture à l’unité avec lui sont essentiels. Cette unité n’est donc pas seulement quelque chose d’intérieur, de mystique. Elle doit devenir visible, visible au point de constituer pour le monde la preuve que Jésus a été envoyé en mission par le Père. C’est pour cela que cette supplique a un sens eucharistique caché que Paul a clairement mis en évidence dans la Première Lettre aux Corinthiens : « Le pain que nous rompons, n’est-il pas communion au corps du Christ ? Puisqu’il y a un seul pain, à plusieurs nous ne sommes qu’un corps, car tous nous participons à ce pain unique. » (1 Co 10, 16s). Avec l’Eucharistie naît l’Église. Nous tous nous mangeons le même pain, nous recevons le même corps du Seigneur, ce qui signifie qu’Il ouvre chacun de nous, au-delà de lui-même. Il nous rend tous un. L’Eucharistie est le mystère de la proximité et de la communion intimes de chacun avec le Seigneur. Et, en même temps, elle est l’union visible de tous. L’Eucharistie est Sacrement de l’unité. Elle parvient jusque dans le mystère trinitaire, et elle crée ainsi, en même temps, l’unité visible. Disons-le encore une fois : elle est la rencontre très personnelle avec le Seigneur et, toutefois, elle n’est jamais seulement un acte individuel de dévotion. Nous la célébrons nécessairement tous ensemble. Dans chaque communauté, le Seigneur est présent de manière totale. Mais il est un seul dans toutes les communautés. C’est pourquoi les paroles : « Una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro » font nécessairement partie de la prière eucharistique de l’Église. Ce n’est pas un ajout extérieur à ce qui se produit intérieurement, mais une expression nécessaire de la réalité eucharistique elle-même. Et nous mentionnons le Pape et l’Évêque par leur nom : l’unité est tout-à-fait concrète, elle porte des noms. Ainsi l’unité devient visible, elle devient signe pour le monde et elle établit pour nous-mêmes un critère concret.

Saint Luc a conservé pour nous un élément concret de la prière de Jésus pour l’unité : « Simon, Simon, voici que Satan vous a réclamés pour vous cribler comme le froment ; mais moi j’ai prié pour toi, afin que ta foi ne défaille pas. Toi donc, quand tu seras revenu, affermis tes frères » (Lc 22, 31s). Aujourd’hui nous constatons de nouveau avec douleur qu’il a été concédé à Satan de cribler les disciples, de manière visible, face au monde entier. Et nous savons que Jésus prie pour la foi de Pierre et de ses successeurs. Nous savons que Pierre qui, à travers les eaux agitées de l’histoire va à la rencontre du Seigneur et risque de couler, est toujours à nouveau soutenu par la main du Seigneur et guidé sur les eaux. Mais après suit une annonce et une tâche. « Toi donc, quand tu seras revenu… » : Tous les êtres humains, excepté Marie, ont continuellement besoin de conversion. Jésus prédit à Pierre sa chute et sa conversion. De quoi Pierre a-t-il dû se convertir ? Au début, lors de son appel, effrayé par le pouvoir divin du Seigneur et par sa propre misère, Pierre avait dit : « Éloigne-toi de moi, Seigneur, car je suis un homme pécheur ! » (Lc 5, 8). À la lumière du Seigneur, il reconnaît son imperfection. C’est précisément ainsi, dans l’humilité de celui qui se sait pécheur, qu’il est appelé. Il doit toujours retrouver à nouveau cette humilité. Près de Césarée de Philippe, Pierre n’avait pas voulu accepter que Jésus ait à souffrir et à être crucifié. Cela n’était pas conciliable avec l’image qu’il se faisait de Dieu et du Messie. Au Cénacle, il n’a pas voulu accepter que Jésus lui lave les pieds : cela n’allait pas avec son idée de la dignité du Maître. Au Jardin des Oliviers, il a frappé de son glaive. Il voulait démontrer son courage. Cependant, devant la servante, il a affirmé ne pas connaître Jésus. À ce moment-là, cela ne lui semblait qu’un petit mensonge, pour pouvoir rester près de Jésus. Son héroïsme s’est effondré à cause d’un jeu mesquin pour une place au centre des évènements. Nous tous nous devons toujours à nouveau apprendre à accepter Dieu et Jésus Christ tel qu’il est, et non tel que nous voudrions qu’il soit. Nous aussi nous avons du mal à accepter qu’il se soit lié aux limites de son Église et de ses ministres. Nous non plus nous ne voulons pas accepter qu’il soit sans pouvoir en ce monde. Nous aussi nous nous cachons derrière des prétextes, lorsque notre appartenance au Christ devient trop coûteuse et trop dangereuse. Nous tous nous avons besoin de conversion pour accueillir Jésus dans son être-Dieu et son être-Homme. Nous avons besoin de l’humilité du disciple qui observe la volonté du Maître. En cette heure, nous voulons le prier de nous regarder nous aussi comme il a regardé Pierre, au moment propice, avec ses yeux bienveillants, et de nous convertir.

Pierre, le converti, est appelé à affermir ses frères. Ce n’est pas un fait extérieur que cette tâche lui soit confiée au Cénacle. Le service de l’unité a son lieu visible dans la célébration de la sainte Eucharistie. Chers amis, pour le Pape c’est un grand réconfort que de savoir qu’au cours de chaque Célébration eucharistique, tous prient pour lui ; que notre prière s’unit à la prière du Seigneur pour Pierre. C’est seulement grâce à la prière du Seigneur et de l’Église que le Pape peut accomplir sa tâche d’affermir ses frères – de paître le troupeau de Jésus et de se porter garant de cette unité qui devient témoignage visible de la mission de Jésus de la part du Père.

« J’ai ardemment désiré manger cette Pâque avec vous ». Seigneur, tu nous désires, tu me désires. Tu désires te donner toi-même à nous dans la sainte Eucharistie, t’unir à nous. Seigneur, suscite aussi en nous le désir de toi. Renforce-nous dans l’unité avec toi et entre nous. Donne à ton Église l’unité, afin que le monde croie. Amen.

[00588-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

"I have eagerly desired to eat this Passover with you before I suffer" (Lk 22:15). With these words Jesus began the celebration of his final meal and the institution of the Holy Eucharist. Jesus approached that hour with eager desire. In his heart he awaited the moment when he would give himself to his own under the appearance of bread and wine. He awaited that moment which would in some sense be the true messianic wedding feast: when he would transform the gifts of this world and become one with his own, so as to transform them and thus inaugurate the transformation of the world. In this eager desire of Jesus we can recognize the desire of God himself – his expectant love for mankind, for his creation. A love which awaits the moment of union, a love which wants to draw mankind to itself and thereby fulfil the desire of all creation, for creation eagerly awaits the revelation of the children of God (cf. Rom 8:19). Jesus desires us, he awaits us. But what about ourselves? Do we really desire him? Are we anxious to meet him? Do we desire to encounter him, to become one with him, to receive the gifts he offers us in the Holy Eucharist? Or are we indifferent, distracted, busy about other things? From Jesus’ banquet parables we realize that he knows all about empty places at table, invitations refused, lack of interest in him and his closeness. For us, the empty places at the table of the Lord’s wedding feast, whether excusable or not, are no longer a parable but a reality, in those very countries to which he had revealed his closeness in a special way. Jesus also knew about guests who come to the banquet without being robed in the wedding garment – they come not to rejoice in his presence but merely out of habit, since their hearts are elsewhere. In one of his homilies Saint Gregory the Great asks: Who are these people who enter without the wedding garment? What is this garment and how does one acquire it? He replies that those who are invited and enter do in some way have faith. It is faith which opens the door to them. But they lack the wedding garment of love. Those who do not live their faith as love are not ready for the banquet and are cast out. Eucharistic communion requires faith, but faith requires love; otherwise, even as faith, it is dead.

From all four Gospels we know that Jesus’ final meal before his passion was also a teaching moment. Once again, Jesus urgently set forth the heart of his message. Word and sacrament, message and gift are inseparably linked. Yet at his final meal, more than anything else, Jesus prayed. Matthew, Mark and Luke use two words in describing Jesus’ prayer at the culmination of the meal: "eucharístesas" and "eulógesas" – the verbs "to give thanks" and "to bless". The upward movement of thanking and the downward movement of blessing go together. The words of transubstantiation are part of this prayer of Jesus. They are themselves words of prayer. Jesus turns his suffering into prayer, into an offering to the Father for the sake of mankind. This transformation of his suffering into love has the power to transform the gifts in which he now gives himself. He gives those gifts to us, so that we, and our world, may be transformed. The ultimate purpose of Eucharistic transformation is our own transformation in communion with Christ. The Eucharist is directed to the new man, the new world, which can only come about from God, through the ministry of God’s Servant.

From Luke, and especially from John, we know that Jesus, during the Last Supper, also prayed to the Father – prayers which also contain a plea to his disciples of that time and of all times. Here I would simply like to take one of these which, as John tells us, Jesus repeated four times in his Priestly Prayer. How deeply it must have concerned him! It remains his constant prayer to the Father on our behalf: the prayer for unity. Jesus explicitly states that this prayer is not meant simply for the disciples then present, but for all who would believe in him (cf. Jn 17:20). He prays that all may be one "as you, Father, are in me and I am in you, so that the world may believe" (Jn 17:21). Christian unity can exist only if Christians are deeply united to him, to Jesus. Faith and love for Jesus, faith in his being one with the Father and openness to becoming one with him, are essential. This unity, then, is not something purely interior or mystical. It must become visible, so visible as to prove before the world that Jesus was sent by the Father. Consequently, Jesus’ prayer has an underlying Eucharistic meaning which Paul clearly brings out in the First Letter to the Corinthians: "The bread that we break, is it not a sharing in the body of Christ? Because there is one bread, we who are many, are one body, for we all partake of the one bread" (1 Cor 10:16ff.). With the Eucharist, the Church is born. All of us eat the one bread and receive the one body of the Lord; this means that he opens each of us up to something above and beyond us. He makes all of us one. The Eucharist is the mystery of the profound closeness and communion of each individual with the Lord and, at the same time, of visible union between all. The Eucharist is the sacrament of unity. It reaches the very mystery of the Trinity and thus creates visible unity. Let me say it again: it is an extremely personal encounter with the Lord and yet never simply an act of individual piety. Of necessity, we celebrate it together. In each community the Lord is totally present. Yet in all the communities he is but one. Hence the words "una cum Papa nostro et cum episcopo nostro" are a requisite part of the Church’s Eucharistic Prayer. These words are not an addendum of sorts, but a necessary expression of what the Eucharist really is. Furthermore, we mention the Pope and the Bishop by name: unity is something utterly concrete, it has names. In this way unity becomes visible; it becomes a sign for the world and a concrete criterion for ourselves.

Saint Luke has preserved for us one concrete element of Jesus’ prayer for unity: "Simon, Simon, behold, Satan demanded to have you, that he might sift you like wheat, but I have prayed for you, that your faith may not fail; and when you have turned again, strengthen your brethren" (Lk 22:31). Today we are once more painfully aware that Satan has been permitted to sift the disciples before the whole world. And we know that Jesus prays for the faith of Peter and his successors. We know that Peter, who walks towards the Lord upon the stormy waters of history and is in danger of sinking, is sustained ever anew by the Lord’s hand and guided over the waves. But Jesus continues with a prediction and a mandate. "When you have turned again…". Every human being, save Mary, has constant need of conversion. Jesus tells Peter beforehand of his coming betrayal and conversion. But what did Peter need to be converted from? When first called, terrified by the Lord’s divine power and his own weakness, Peter had said: "Go away from me, Lord, for I am a sinful man!" (Lk 5:8). In the light of the Lord, he recognizes his own inadequacy. Precisely in this way, in the humility of one who knows that he is a sinner, is he called. He must discover this humility ever anew. At Caesarea Philippi Peter could not accept that Jesus would have to suffer and be crucified: it did not fit his image of God and the Messiah. In the Upper Room he did not want Jesus to wash his feet: it did not fit his image of the dignity of the Master. In the Garden of Olives he wielded his sword. He wanted to show his courage. Yet before the servant girl he declared that he did not know Jesus. At the time he considered it a little lie which would let him stay close to Jesus. All his heroism collapsed in a shabby bid to be at the centre of things. We too, all of us, need to learn again to accept God and Jesus Christ as he is, and not the way we want him to be. We too find it hard to accept that he bound himself to the limitations of his Church and her ministers. We too do not want to accept that he is powerless in this world. We too find excuses when being his disciples starts becoming too costly, too dangerous. All of us need the conversion which enables us to accept Jesus in his reality as God and man. We need the humility of the disciple who follows the will of his Master. Tonight we want to ask Jesus to look to us, as with kindly eyes he looked to Peter when the time was right, and to convert us.

After Peter was converted, he was called to strengthen his brethren. It is not irrelevant that this task was entrusted to him in the Upper Room. The ministry of unity has its visible place in the celebration of the Holy Eucharist. Dear friends, it is a great consolation for the Pope to know that at each Eucharistic celebration everyone prays for him, and that our prayer is joined to the Lord’s prayer for Peter. Only by the prayer of the Lord and of the Church can the Pope fulfil his task of strengthening his brethren – of feeding the flock of Christ and of becoming the guarantor of that unity which becomes a visible witness to the mission which Jesus received from the Father.

"I have eagerly desired to eat this Passover with you". Lord, you desire us, you desire me. You eagerly desire to share yourself with us in the Holy Eucharist, to be one with us. Lord, awaken in us the desire for you. Strengthen us in unity with you and with one another. Grant unity to your Church, so that the world may believe. Amen.

[00588-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern!

„Mit Sehnsucht habe ich danach verlangt, dieses Paschamahl mit euch zu feiern, ehe ich leide" (Lk 22, 15): Mit diesen Worten hat Jesus die Feier seines letzten Mahls und der Einsetzung der heiligen Eucharistie eröffnet. Jesus ist mit Sehnsucht dieser Stunde entgegengegangen. Er hat von innen her gewartet auf diesen Augenblick, in dem er sich selbst den Seinigen unter den Gestalten von Brot und Wein schenken würde. Er hat auf diesen Augenblick gewartet, der so etwas wie die eigentliche messianische Hochzeit sein sollte: die Verwandlung der Gaben dieser Erde und das Einswerden mit den Seinigen, um sie zu verwandeln und so die Verwandlung der Welt zu eröffnen. In der Sehnsucht Jesu dürfen wir die Sehnsucht Gottes selbst erkennen – seine wartende Liebe für die Menschen, für seine Schöpfung. Die Liebe, die auf den Augenblick der Vereinigung wartet, die Menschen an sich ziehen will, um damit auch die Sehnsucht der Schöpfung selbst zu erfüllen: Sie streckt sich ja aus auf das Erscheinen der Kinder Gottes hin (Röm 8, 19). Jesus sehnt sich nach uns, er wartet auf uns. Haben wir eigentlich Sehnsucht nach ihm? Drängt es uns, ihm zu begegnen? Verlangen wir nach seiner Nähe, nach dem Einswerden mit ihm, das er uns in der heiligen Eucharistie schenkt? Oder sind wir gleichgültig, zerstreut, mit anderem angefüllt? Aus den Mahlgleichnissen Jesu wissen wir, daß er die Wirklichkeit der leer bleibenden Plätze kennt, die Absage, das Desinteresse an ihm und seine Nähe. Die leeren Plätze beim Hochzeitsmahl des Herrn mit oder ohne Entschuldigung – das ist für uns längst kein Gleichnis mehr, sondern gegenwärtige Wirklichkeit gerade in den Ländern, denen er seine besondere Nähe gezeigt hatte. Jesus wußte auch um Gäste, die zwar kommen, aber nicht hochzeitlich bekleidet sein würden – ohne Freude an seiner Nähe, nur einer Gewohnheit folgend und mit ihrem Leben ganz anders ausgerichtet. Der heilige Gregor der Große hat in einer seiner Homilien gefragt: Was sind das für Leute, die ohne hochzeitliches Gewand kommen? Worin besteht dieses Kleid und wie erwirbt man es? Seine Antwort lautet: Die da herbeigerufen sind und kommen, haben irgendwie Glauben. Der Glaube ist es, der ihnen die Tür auftut. Aber ihnen fehlt das hochzeitliche Gewand der Liebe. Wer den Glauben nicht als Liebe lebt, ist nicht für die Hochzeit bereitet und wird hinausgewiesen. Zur eucharistischen Gemeinschaft gehört der Glaube, aber zum Glauben gehört die Liebe, sonst ist er auch als Glaube tot.

Aus allen vier Evangelien wissen wir, daß Jesu letztes Mahl vor dem Leiden auch ein Ort der Verkündigung war. Jesus hat noch einmal eindringlich die tragenden Elemente seiner Botschaft vorgelegt. Wort und Sakrament, Botschaft und Gabe gehören untrennbar zusammen. Jesus hat aber während des letzten Mahles vor allem auch gebetet. Matthäus, Markus und Lukas gebrauchen zwei Wörter, um das Beten Jesu am zentralen Punkt des Abendmahls zu beschreiben: eucharistesaseulogesas: danken und segnen. Die aufsteigende Bewegung des Dankens und die absteigende des Segnens gehören zusammen. Die Worte der Verwandlung sind Teil dieses Betens Jesu. Sie sind Gebetsworte. Jesus wandelt seine Passion in Gebet um, in Hingabe an den Vater für die Menschen. Diese Verwandlung seines Leidens in Liebe hat verwandelnde Kraft für die Gaben, in denen er nun sich selber gibt. Er gibt sie uns, damit wir und die Welt verwandelt werden. Das letzte und eigentliche Ziel der eucharistischen Verwandlung ist unsere eigene Verwandlung in die Gemeinschaft mit Christus hinein. Eucharistie zielt auf den neuen Menschen, die neue Welt, wie sie nur von Gott her durch den Dienst des Gottesknechts entstehen kann.

Von Lukas und vor allem von Johannes wissen wir, daß Jesus in seinem Beten während des Letzten Abendmahls auch Bitten an den Vater gerichtet hat – Bitten, die zugleich Anrufe an seine Jünger von damals und für alle Zeiten enthalten. Ich möchte in dieser Stunde nur eine Bitte herausgreifen, die Jesus nach Johannes in seinem hohepriesterlichen Gebet viermal wiederholt hat. Wie sehr muß sie ihn innerlich bedrängt haben! Sie bleibt immerfort seine Bitte an den Vater für uns: Es ist die Bitte um Einheit. Ausdrücklich sagt Jesus, daß diese Bitte nicht nur den anwesenden Jüngern gilt, sondern auf alle zielt, die an ihn glauben werden (Joh 17, 20). Er bittet, daß alle eins werden „wie du, Vater, in mir und ich in dir …damit die Welt glaube" (17, 21). Die Einheit der Christen kann nur sein, wenn die Christen mit ihm, mit Jesus, inwendig geeint sind. Glaube und Liebe zu Jesus, Glaube an sein Einssein mit dem Vater und Öffnungen in die Einheit mit ihm hinein sind wesentlich. Demnach ist diese Einheit nichts bloß Innerliches, nichts bloß Mystisches. Sie muß sichtbar werden, so sichtbar, daß sie für die Welt den Beweis für Jesu Sendung vom Vater her bildet. Insofern hat die Bitte einen verborgenen eucharistischen Sinn, den Paulus im ersten Korinther-Brief offen herausgestellt hat: „Ist das Brot, das wir brechen, nicht Gemeinschaft mit dem Leib Christi? Weil es ein Brot ist, darum sind wir, die vielen, auch ein Leib. Denn wir haben Anteil an dem einen Brot" (1 Kor 10, 16f). Mit der Eucharistie entsteht die Kirche. Wir alle essen dasselbe Brot, empfangen den gleichen Leib des Herrn, und das bedeutet: Er öffnet uns, jeden über sich selbst hinaus. Er macht uns untereinander eins. Eucharistie ist Geheimnis innerster Nähe und Gemeinschaft jedes einzelnen mit dem Herrn. Und sie ist zugleich sichtbare Einigung aller untereinander. Eucharistie ist Sakrament der Einheit. Sie reicht ins trinitarische Geheimnis hinein, und so stiftet sie zugleich sichtbare Einheit. Sagen wir es noch einmal: Sie ist persönlichste Begegnung mit dem Herrn und ist doch nie bloß ein Akt individueller Frömmigkeit. Wir feiern sie notwendig miteinander. In jeder Gemeinde ist der Herr ganz. Aber in allen Gemeinden ist er nur einer. Deswegen gehört notwendigerweise zum Hochgebet der Kirche das Wort: „una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro". Dies ist nicht eine äußerliche Hinzufügung zum inneren Geschehen, sondern notwendiger Ausdruck der eucharistischen Wirklichkeit selbst. Und wir nennen Papst und Bischof mit Namen: Die Einheit ist ganz konkret, sie hat Namen. So wird Einheit sichtbar, wird zum Zeichen für die Welt und richtet für uns selbst einen konkreten Maßstab auf.

Der heilige Lukas hat uns ein konkretes Element der Bitte Jesu um die Einheit aufbewahrt: „Simon, Simon, der Satan hat verlangt, daß er euch wie Weizen sieben darf. Ich aber habe für dich gebetet, daß dein Glaube nicht erlischt. Und wenn du dich wieder bekehrt hast, dann stärke deine Brüder" (Lk 22, 31f). Wir erleben heute wieder schmerzlich, daß dem Satan gestattet ist, die Jünger sichtbar vor aller Welt zu sieben. Und wir wissen, daß Jesus für den Glauben des Petrus und seiner Nachfolger betet. Wir wissen, daß Petrus, der über die unruhigen Wasser der Geschichte dem Herrn entgegengeht und zu versinken droht, immer wieder von der Hand des Herrn gehalten und über die Wasser geführt wird. Dann aber folgt eine Vorhersage und ein Auftrag. „Wenn du dich bekehrt hast…": Alle Menschen, Maria ausgenommen, bedürfen immer wieder der Bekehrung. Jesus sagt dem Petrus seinen Fall und seine Bekehrung voraus. Wovon hat Petrus sich bekehren müssen? Am Anfang seiner Berufung hatte Petrus, erschrocken über die göttliche Macht des Herrn und über seine eigene Armseligkeit, gesagt: „Geh weg von mir, Herr. Ich bin ein sündiger Mensch" (Lk 5, 8). Im Licht des Herrn erkennt er sein Ungenügen. Gerade so, in der Demut dessen, der sich als Sünder weiß, wird er berufen. Zu dieser Demut muß er immer wieder finden. Bei Caesarea Philippi hatte er nicht annehmen wollen, daß Jesus leiden und gekreuzigt werden müsse. Das war mit seinem Bild von Gott und vom Messias nicht zu vereinbaren. Im Abendmahlssaal hat er nicht annehmen wollen, daß Jesus ihm die Füße waschen würde: Dies paßte nicht zu seinem Bild von der Hoheit des Meisters. Im Ölgarten hat er mit dem Schwert zugeschlagen. Er wollte seine Furchtlosigkeit zeigen. Vor der Magd aber hat er behauptet, Jesus nicht zu kennen. Ihm schien es in diesem Augenblick eine kleine Lüge zu sein, um in der Nähe Jesu bleiben zu können. Sein Heroismus ist in einem kleinlichen Spiel um den Ort in der Mitte der Ereignisse zusammengefallen. Wir alle müssen immer wieder lernen, Gott und Jesus Christus so anzunehmen, wie er ist und nicht so, wie wir ihn haben wollen. Auch wir wollen nicht recht annehmen, daß er sich an die Armseligkeit der Kirche und ihrer Diener gebunden hat. Auch wir wollen nicht annehmen, daß er machtlos ist in dieser Welt. Auch wir verstecken uns hinter Ausreden, wenn die Zugehörigkeit zu ihm uns zu kostspielig und zu gefährlich wird. Wir alle brauchen Bekehrung, die Jesus in seinem Gottsein und Menschsein annimmt. Die Demut des Jüngers, der dem Willen des Meisters folgt. In dieser Stunde wollen wir ihn bitten, daß er auch uns wie Petrus im rechten Augenblick mit seinen gütigen Augen ansieht und uns bekehrt.

Petrus, der Bekehrte, ist berufen, seine Brüder zu stärken. Es ist keine Äußerlichkeit, daß ihm dieser Auftrag im Abendmahlssaal auferlegt wurde. Der Dienst der Einheit hat seinen sichtbaren Ort in der Feier der heiligen Eucharistie. Liebe Freunde, für den Papst ist es eine große Stärkung zu wissen, daß in jeder Eucharistiefeier von allen für ihn gebetet wird. Daß unser Beten sich mit dem Beten des Herrn für Petrus vereinigt. Nur vom Gebet Jesu und der Kirche her kann der Papst seinem Auftrag genügen, die Brüder zu stärken – die Herde Jesu zu weiden und für jene Einheit einzustehen, die sichtbares Zeugnis der Sendung Jesu vom Vater her wird.

„Mit Sehnsucht habe ich darauf gewartet, dieses Paschamahl mit euch zu feiern." Herr, du hast Sehnsucht nach uns, nach mir. Du hast Sehnsucht danach, dich uns in der heiligen Eucharistie mitzuteilen, dich mit uns zu vereinigen. Herr, erwecke auch in uns die Sehnsucht nach dir. Stärke uns in der Einheit mit dir und untereinander. Schenke deiner Kirche die Einheit, damit die Welt glaube. Amen.

[00588-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

«Ardientemente he deseado comer esta Pascua con vosotros, antes de padecer» (Lc 22,15). Con estas palabras, Jesús comenzó la celebración de su última cena y de la institución de la santa Eucaristía. Jesús tuvo grandes deseos de ir al encuentro de aquella hora. Anhelaba en su interior ese momento en el que se iba a dar a los suyos bajo las especies del pan y del vino. Esperaba aquel momento que tendría que ser en cierto modo el de las verdaderas bodas mesiánicas: la transformación de los dones de esta tierra y el llegar a ser uno con los suyos, para transformarlos y comenzar así la transformación del mundo. En el deseo de Jesús podemos reconocer el deseo de Dios mismo, su amor por los hombres, por su creación, un amor que espera. El amor que aguarda el momento de la unión, el amor que quiere atraer hacia sí a todos los hombres, cumpliendo también así lo que la misma creación espera; en efecto, ella aguarda la manifestación de los hijos de Dios (cf. Rm 8,19). Jesús nos desea, nos espera. Y nosotros, ¿tenemos verdaderamente deseo de él? ¿No sentimos en nuestro interior el impulso de ir a su encuentro? ¿Anhelamos su cercanía, ese ser uno con él, que se nos regala en la Eucaristía? ¿O somos, más bien, indiferentes, distraídos, ocupados totalmente en otras cosas? Por las parábolas de Jesús sobre los banquetes, sabemos que él conoce la realidad de que hay puestos que quedan vacíos, la respuesta negativa, el desinterés por él y su cercanía. Los puestos vacíos en el banquete nupcial del Señor, con o sin excusas, son para nosotros, ya desde hace tiempo, no una parábola sino una realidad actual, precisamente en aquellos países en los que había mostrado su particular cercanía. Jesús también tenía experiencia de aquellos invitados que vendrían, sí, pero sin ir vestidos con el traje de boda, sin alegría por su cercanía, como cumpliendo sólo una costumbre y con una orientación de sus vidas completamente diferente. San Gregorio Magno, en una de sus homilías se preguntaba: ¿Qué tipo de personas son aquellas que vienen sin el traje nupcial? ¿En qué consiste este traje y como se consigue? Su respuesta dice así: Los que han sido llamados y vienen, en cierto modo tienen fe. Es la fe la que les abre la puerta. Pero les falta el traje nupcial del amor. Quien vive la fe sin amor no está preparado para la boda y es arrojado fuera. La comunión eucarística exige la fe, pero la fe requiere el amor, de lo contrario también como fe está muerta.

Sabemos por los cuatro Evangelios que la última cena de Jesús, antes de la Pasión, fue también un lugar de anuncio. Jesús propuso una vez más con insistencia los elementos fundamentales de su mensaje. Palabra y Sacramento, mensaje y don están indisolublemente unidos. Pero durante la Última Cena, Jesús sobre todo oró. Mateo, Marcos y Lucas utilizan dos palabras para describir la oración de Jesús en el momento central de la Cena: «eucharistesas» y «eulogesas» -«agradecer» y «bendecir». El movimiento ascendente del agradecimiento y el descendente de la bendición van juntos. Las palabras de la transustanciación son parte de esta oración de Jesús. Son palabras de plegaria. Jesús transforma su Pasión en oración, en ofrenda al Padre por los hombres. Esta transformación de su sufrimiento en amor posee una fuerza transformadora para los dones, en los que él ahora se da a sí mismo. Él nos los da para que nosotros y el mundo seamos transformados. El objetivo propio y último de la transformación eucarística es nuestra propia transformación en la comunión con Cristo. La Eucaristía apunta al hombre nuevo, al mundo nuevo, tal como éste puede nacer sólo a partir de Dios mediante la obra del Siervo de Dios.

Gracias a Lucas y, sobre todo, a Juan sabemos que Jesús en su oración durante la Última Cena dirigió también peticiones al Padre, súplicas que contienen al mismo tiempo un llamamiento a sus discípulos de entonces y de todos los tiempos. Quisiera en este momento referirme sólo una súplica que, según Juan, Jesús repitió cuatro veces en su oración sacerdotal. ¡Cuánta angustia debió sentir en su interior! Esta oración sigue siendo de continuo su oración al Padre por nosotros: es la plegaria por la unidad. Jesús dice explícitamente que esta súplica vale no sólo para los discípulos que estaban entonces presentes, sino que apunta a todos los que creerán en él (cf. Jn 17, 20). Pide que todos sean uno «como tú, Padre, en mí, y yo en ti, para que el mundo crea» (Jn 17, 21). La unidad de los cristianos sólo se da si los cristianos están íntimamente unidos a él, a Jesús. Fe y amor por Jesús, fe en su ser uno con el Padre y apertura a la unidad con él son esenciales. Esta unidad no es algo solamente interior, místico. Se ha de hacer visible, tan visible que constituya para el mundo la prueba de la misión de Jesús por parte del Padre. Por eso, esa súplica tiene un sentido eucarístico escondido, que Pablo ha resaltado con claridad en la Primera carta a los Corintios: «El pan que partimos, ¿no nos une a todos en el cuerpo de Cristo? El pan es uno, y así nosotros, aunque somos muchos, formamos un solo cuerpo, porque comemos todos del mismo pan» (1 Co 10, 16s). La Iglesia nace con la Eucaristía. Todos nosotros comemos del mismo pan, recibimos el mismo cuerpo del Señor y eso significa: Él nos abre a cada uno más allá de sí mismo. Él nos hace uno entre todos nosotros. La Eucaristía es el misterio de la íntima cercanía y comunión de cada uno con el Señor. Y, al mismo tiempo, es la unión visible entre todos. La Eucaristía es sacramento de la unidad. Llega hasta el misterio trinitario, y crea así a la vez la unidad visible. Digámoslo de nuevo: ella es el encuentro personalísimo con el Señor y, sin embargo, nunca es un mero acto de devoción individual. La celebramos necesariamente juntos. En cada comunidad está el Señor en su totalidad. Pero es el mismo en todas las comunidades. Por eso, forman parte necesariamente de la Oración eucarística de la Iglesia las palabras: «una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro». Esto no es un añadido exterior a lo que sucede interiormente, sino expresión necesaria de la realidad eucarística misma. Y nombramos al Papa y al Obispo por su nombre: la unidad es totalmente concreta, tiene nombres. Así, se hace visible la unidad, se convierte en signo para el mundo y establece para nosotros mismos un criterio concreto.

San Lucas nos ha conservado un elemento concreto de la oración de Jesús por la unidad: «Simón, Simón, mira que Satanás os ha reclamado para cribaros como trigo. Pero yo he pedido por ti, para que tu fe no se apague. Y tú, cuando te hayas convertido, confirma a tus hermanos» (Lc 22, 31s). Hoy comprobamos de nuevo con dolor que a Satanás se le ha concedido cribar a los discípulos de manera visible delante de todo el mundo. Y sabemos que Jesús ora por la fe de Pedro y de sus sucesores. Sabemos que Pedro, que va al encuentro del Señor a través de las aguas agitadas de la historia y está en peligro de hundirse, está siempre sostenido por la mano del Señor y es guiado sobre las aguas. Pero después sigue un anuncio y un encargo. «Tú, cuando te hayas convertido…»: Todos los seres humanos, excepto María, tienen necesidad de convertirse continuamente. Jesús predice la caída de Pedro y su conversión. ¿De qué ha tenido que convertirse Pedro? Al comienzo de su llamada, asustado por el poder divino del Señor y por su propia miseria, Pedro había dicho: «Señor, apártate de mí, que soy un hombre pecador» (Lc 5, 8). En la presencia del Señor, él reconoce su insuficiencia. Así es llamado precisamente en la humildad de quien se sabe pecador y debe siempre, continuamente, encontrar esta humildad. En Cesarea de Filipo, Pedro no había querido aceptar que Jesús tuviera que sufrir y ser crucificado. Esto no era compatible con su imagen de Dios y del Mesías. En el Cenáculo no quiso aceptar que Jesús le lavase los pies: eso no se ajustaba a su imagen de la dignidad del Maestro. En el Huerto de los Olivos blandió la espada. Quería demostrar su valentía. Sin embargo, delante de la sierva afirmó que no conocía a Jesús. En aquel momento, eso le parecía un pequeña mentira para poder permanecer cerca de Jesús. Su heroísmo se derrumbó en un juego mezquino por un puesto en el centro de los acontecimientos. Todos debemos aprender siempre a aceptar a Dios y a Jesucristo como él es, y no como nos gustaría que fuese. También nosotros tenemos dificultad en aceptar que él se haya unido a las limitaciones de su Iglesia y de sus ministros. Tampoco nosotros queremos aceptar que él no tenga poder en el mundo. También nosotros nos parapetamos detrás de pretextos cuando nuestro pertenecer a él se hace muy costoso o muy peligroso. Todos tenemos necesidad de una conversión que acoja a Jesús en su ser-Dios y ser-Hombre. Tenemos necesidad de la humildad del discípulo que cumple la voluntad del Maestro. En este momento queremos pedirle que nos mire también a nosotros como miró a Pedro, en el momento oportuno, con sus ojos benévolos, y que nos convierta.

Pedro, el convertido, fue llamado a confirmar a sus hermanos. No es un dato exterior que este cometido se le haya confiado en el Cenáculo. El servicio de la unidad tiene su lugar visible en la celebración de la santa Eucaristía. Queridos amigos, es un gran consuelo para el Papa saber que en cada celebración eucarística todos rezan por él; que nuestra oración se une a la oración del Señor por Pedro. Sólo gracias a la oración del Señor y de la Iglesia, el Papa puede corresponder a su misión de confirmar a los hermanos, de apacentar el rebaño de Jesús y de garantizar aquella unidad que se hace testimonio visible de la misión de Jesús de parte del Padre.

«Ardientemente he deseado comer esta Pascua con vosotros». Señor, tú tienes deseos de nosotros, de mí. Tú has deseado darte a nosotros en la santa Eucaristía, de unirte a nosotros. Señor, suscita también en nosotros el deseo de ti. Fortalécenos en la unidad contigo y entre nosotros. Da a tu Iglesia la unidad, para que el mundo crea. Amén.

[00588-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Amados irmãos e irmãs!

«Desejei ardentemente comer convosco esta Páscoa, antes de padecer» (Lc 22, 15): com estas palavras Jesus inaugurou a celebração do seu último banquete e da instituição da sagrada Eucaristia. Jesus foi ao encontro daquela hora, desejando-a. No seu íntimo, esperou aquele momento em que haveria de dar-Se aos seus sob as espécies do pão e do vinho. Esperou aquele momento que deveria ser, de algum modo, as verdadeiras núpcias messiânicas: a transformação dos dons desta terra e o fazer-Se um só com os seus, para os transformar e inaugurar assim a transformação do mundo. No desejo de Jesus, podemos reconhecer o desejo do próprio Deus: o seu amor pelos homens, pela sua criação, um amor em expectativa. O amor que espera o momento da união, o amor que quer atrair os homens a si, para assim realizar também o desejo da própria criação: esta, de facto, aguarda a manifestação dos filhos de Deus (cf. Rm 8, 19). Jesus deseja-nos, aguarda-nos. E nós, temos verdadeiramente desejo d’Ele? Sentimos, no nosso interior, o impulso para O encontrar? Ansiamos pela sua proximidade, por nos tornarmos um só com Ele, dom este que Ele nos concede na sagrada Eucaristia? Ou, pelo contrário, sentimo-nos indiferentes, distraídos, inundados por outras coisas? Sabemos pelas parábolas de Jesus sobre banquetes, que Ele conhece a realidade dos lugares que ficam vazios, a resposta negativa, o desinteresse por Ele e pela sua proximidade. Os lugares vazios no banquete nupcial do Senhor, com ou sem desculpa, há já algum tempo que deixaram de ser para nós uma parábola, tornando-se uma realidade, justamente naqueles países aos quais Ele tinha manifestado a sua proximidade particular. Jesus sabia também de convidados que viriam sim, mas sem estar vestidos de modo nupcial: sem alegria pela sua proximidade, fazendo-o somente por costume e com uma orientação bem diversa na sua vida. São Gregório Magno, numa das suas homilias, perguntava-se: Que género de pessoas são aquelas que vêm sem hábito nupcial? Em que consiste este hábito e como se pode adquiri-lo? Eis a sua resposta: Aqueles que foram chamados e vêm, de alguma maneira têm fé. É a fé que lhes abre a porta; mas falta-lhes o hábito nupcial do amor. Quem não vive a fé como amor, não está preparado para as núpcias e é expulso. A comunhão eucarística exige a fé, mas a fé exige o amor; caso contrário, está morta, inclusive como fé.

Sabemos pelos quatro Evangelhos, que o último banquete de Jesus, antes da Paixão, foi também um lugar de anúncio. Jesus propôs, uma vez mais e com insistência, os elementos estruturais da sua mensagem. Palavra e Sacramento, mensagem e dom estão inseparavelmente unidos. Mas, durante o último banquete, Jesus sobretudo rezou. Mateus, Marcos e Lucas usam duas palavras para descrever a oração de Jesus no momento central da Ceia: eucharistesas e eulogesas – agradecer e abençoar. O movimento ascendente do agradecimento e o movimento descendente da bênção aparecem juntos. As palavras da transubstanciação são uma parte desta oração de Jesus. São palavras de oração. Jesus transforma a sua Paixão em oração, em oferta ao Pai pelos homens. Esta transformação do seu sofrimento em amor possui uma força transformadora dos dons, nos quais agora Jesus Se dá a Si mesmo. Ele no-los dá, para nós e o mundo sermos transformados. O objectivo próprio e último da transformação eucarística é a nossa transformação na comunhão com Cristo. A Eucaristia tem em vista o homem novo, com uma novidade tal que assim só pode nascer a partir de Deus e por meio da obra do Servo de Deus.

A partir de Lucas e sobretudo de João, sabemos que Jesus, na sua oração durante a Última Ceia, dirigiu também súplicas ao Pai – súplicas que, ao mesmo tempo, contêm apelos aos seus discípulos de então e de todos os tempos. Nesta hora, queria escolher somente uma súplica que, segundo João, Jesus repetiu quatro vezes na sua Oração Sacerdotal. Como O deve ter angustiado no seu íntimo! Tal súplica continua sem cessar sendo a sua oração ao Pai por nós: trata-se da oração pela unidade. Jesus diz explicitamente que tal súplica vale não somente para os discípulos então presentes, mas tem em vista todos aqueles que hão-de acreditar n’Ele (cf. Jo 17, 20). Pede que todos se tornem um só, «como Tu, ó Pai, estás em Mim, e Eu em Ti, que eles também estejam em nós, para que o mundo acredite» (Jo 17, 21). Só pode haver a unidade dos cristãos se estes estiverem intimamente unidos com Ele, com Jesus. Fé e amor por Jesus: fé no seu ser um só com o Pai e abertura à unidade com Ele são essenciais. Portanto, esta unidade não é algo somente interior, místico. Deve tornar-se visível; tão visível que constitua para o mundo a prova do envio de Jesus pelo Pai. Por isso, tal súplica tem escondido um sentido eucarístico que Paulo pôs claramente em evidência na Primeira Carta aos Coríntios: «Não é o pão que nós partimos uma comunhão com o Corpo de Cristo? Uma vez que existe um só pão, nós, que somos muitos, formamos um só corpo, visto participarmos todos desse único pão» (1 Cor 10, 16-17). Com a Eucaristia, nasce a Igreja. Todos nós comemos o mesmo pão, recebemos o mesmo corpo do Senhor, e isto significa: Ele abre cada um de nós para além de si mesmo. Torna-nos todos um só. A Eucaristia é o mistério da proximidade e comunhão íntima de cada indivíduo com o Senhor. E, ao mesmo tempo, é a união visível entre todos. A Eucaristia é sacramento da unidade. Ela chega até ao mistério trinitário, e assim cria, ao mesmo tempo, a unidade visível. Digamo-lo uma vez mais: a Eucaristia é o encontro pessoalíssimo com o Senhor, e no entanto não é jamais apenas um acto de devoção individual; celebramo-la necessariamente juntos. Em cada comunidade, o Senhor está presente de modo total; mas Ele é um só em todas as comunidades. Por isso, fazem necessariamente parte da Oração Eucarística da Igreja as palavras: «una cum Papa nostro et cum Episcopo nostro». Isto não é um mero acréscimo exterior àquilo que acontece interiormente, mas expressão necessária da própria realidade eucarística. E mencionamos o Papa e o Bispo pelo nome: a unidade é totalmente concreta, tem nome. Assim, a unidade torna-se visível, torna-se sinal para o mundo, e estabelece para nós mesmos um critério concreto.

São Lucas conservou-nos um elemento concreto da oração de Jesus pela unidade: «Simão, Simão, Satanás reclamou o poder de vos joeirar como ao trigo. Mas Eu roguei por ti, para que a tua fé não desfaleça. E tu, uma vez convertido, confirma os teus irmãos» (Lc 22, 31-32). Com pesar, constatamos novamente, hoje, que foi permitido a Satanás joeirar os discípulos visivelmente diante de todo o mundo. E sabemos que Jesus reza pela fé de Pedro e dos seus sucessores. Sabemos que Pedro, que através das águas agitadas da história vai ao encontro do Senhor e corre perigo de afundar, é sempre novamente sustentado pela mão do Senhor e guiado sobre as águas. Mas vem depois um anúncio e uma missão. «Tu, uma vez convertido...». Todos os seres humanos, à excepção de Maria, têm continuamente necessidade de conversão. Jesus prediz a Pedro a sua queda e a sua conversão. De que é que Pedro teve de converter-se? No início do seu chamamento, assombrado com o poder divino do Senhor e com a sua própria miséria, Pedro dissera: «Senhor, afasta-Te de mim, que eu sou um homem pecador» (Lc 5, 8). Na luz do Senhor, reconhece a sua insuficiência. Precisamente deste modo, com a humildade de quem sabe que é pecador, é que Pedro é chamado. Ele deve reencontrar sem cessar esta humildade. Perto de Cesareia de Filipe, Pedro não quisera aceitar que Jesus tivesse de sofrer e ser crucificado: não era conciliável com a sua imagem de Deus e do Messias. No Cenáculo, não quis aceitar que Jesus lhe lavasse os pés: não se adequava à sua imagem da dignidade do Mestre. No horto das oliveiras, feriu com a espada; queria demonstrar a sua coragem. Mas, diante de uma serva, afirmou que não conhecia Jesus. Naquele momento, isto parecia-lhe uma pequena mentira, para poder permanecer perto de Jesus. O seu heroísmo ruiu num jogo mesquinho por um lugar no centro dos acontecimentos. Todos nós devemos aprender sempre de novo a aceitar Deus e Jesus Cristo como Ele é, e não como queríamos que fosse. A nós também nos custa aceitar que Ele esteja à mercê dos limites da sua Igreja e dos seus ministros. Também não queremos aceitar que Ele esteja sem poder neste mundo. Também nos escondemos por detrás de pretextos, quando a pertença a Ele se nos torna demasiado custosa e perigosa. Todos nós temos necessidade da conversão que acolhe Jesus no seu ser Deus e ser-Homem. Temos necessidade da humildade do discípulo que segue a vontade do Mestre. Nesta hora, queremos pedir-Lhe que nos fixe como fixou Pedro, no momento oportuno, com os seus olhos benévolos, e nos converta.

Pedro, o convertido, é chamado a confirmar os seus irmãos. Não é um facto extrínseco que lhe seja confiado este dever no Cenáculo. O serviço da unidade tem o seu lugar visível na celebração da sagrada Eucaristia. Queridos amigos, é um grande conforto para o Papa saber que, em cada Celebração Eucarística, todos rezam por ele; que a nossa oração se une à oração do Senhor por Pedro. É somente graças à oração do Senhor e da Igreja que o Papa pode corresponder ao seu dever de confirmar os irmãos: apascentar o rebanho de Cristo e fazer-se garante daquela unidade que se torna testemunho visível do envio de Jesus pelo Pai.

«Desejei ardentemente comer convosco esta Páscoa». Senhor, Vós tendes desejo de nós, de mim. Tendes desejo de nos fazer participantes de Vós mesmo na Sagrada Eucaristia, de Vos unir a nós. Senhor, suscitai também em nós o desejo de Vós. Reforçai-nos na unidade convosco e entre nós. Dai à vossa Igreja a unidade, para que o mundo creia. Amen.

[00588-06.01] [Texto original: Italiano]

[B0232-XX.01]