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CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE, 17.04.2011


Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.

Alla celebrazione prendono parte, in occasione della ricorrenza diocesana della XXVI Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (Col 2, 7) giovani di Roma e di altre Diocesi, come preludio della GMG 2011 che si terrà dal 16 al 21 agosto a Madrid (Spagna).

Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Matteo:

OMELIA DEL SANTO PADRE  

Cari fratelli e sorelle,

cari giovani!

Ci commuove nuovamente ogni anno, nella Domenica delle Palme, salire assieme a Gesù il monte verso il santuario, accompagnarLo lungo la via verso l’alto. In questo giorno, su tutta la faccia della terra e attraverso tutti i secoli, giovani e gente di ogni età Lo acclamano gridando: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"

Ma che cosa facciamo veramente quando ci inseriamo in tale processione – nella schiera di coloro che insieme con Gesù salivano a Gerusalemme e Lo acclamavano come re di Israele? È qualcosa di più di una cerimonia, di una bella usanza? Ha forse a che fare con la vera realtà della nostra vita, del nostro mondo? Per trovare la risposta, dobbiamo innanzitutto chiarire che cosa Gesù stesso abbia in realtà voluto e fatto. Dopo la professione di fede, che Pietro aveva fatto a Cesarea di Filippo, nell’estremo nord della Terra Santa, Gesù si era incamminato come pellegrino verso Gerusalemme per le festività della Pasqua. È in cammino verso il tempio nella Città Santa, verso quel luogo che per Israele garantiva in modo particolare la vicinanza di Dio al suo popolo. È in cammino verso la comune festa della Pasqua, memoriale della liberazione dall’Egitto e segno della speranza nella liberazione definitiva. Egli sa che Lo aspetta una nuova Pasqua e che Egli stesso prenderà il posto degli agnelli immolati, offrendo se stesso sulla Croce. Sa che, nei doni misteriosi del pane e del vino, si donerà per sempre ai suoi, aprirà loro la porta verso una nuova via di liberazione, verso la comunione con il Dio vivente. È in cammino verso l’altezza della Croce, verso il momento dell’amore che si dona. Il termine ultimo del suo pellegrinaggio è l’altezza di Dio stesso, alla quale Egli vuole sollevare l’essere umano.

La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine di qualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù, c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vivente. È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invita. Ma come possiamo noi tenere il passo in questa salita? Non oltrepassa forse le nostre forze? Sì, è al di sopra delle nostre proprie possibilità. Da sempre gli uomini sono stati ricolmi – e oggi lo sono quanto mai – del desiderio di "essere come Dio", di raggiungere essi stessi l’altezza di Dio. In tutte le invenzioni dello spirito umano si cerca, in ultima analisi, di ottenere delle ali, per potersi elevare all’altezza dell’Essere, per diventare indipendenti, totalmente liberi, come lo è Dio. Tante cose l’umanità ha potuto realizzare: siamo in grado di volare. Possiamo vederci, ascoltarci e parlarci da un capo all’altro del mondo. E tuttavia, la forza di gravità che ci tira in basso è potente. Insieme con le nostre capacità non è cresciuto soltanto il bene. Anche le possibilità del male sono aumentate e si pongono come tempeste minacciose sopra la storia. Anche i nostri limiti sono rimasti: basti pensare alle catastrofi che in questi mesi hanno afflitto e continuano ad affliggere l’umanità.

I Padri hanno detto che l’uomo sta nel punto d’intersezione tra due campi di gravitazione. C’è anzitutto la forza di gravità che tira in basso – verso l’egoismo, verso la menzogna e verso il male; la gravità che ci abbassa e ci allontana dall’altezza di Dio. Dall’altro lato c’è la forza di gravità dell’amore di Dio: l’essere amati da Dio e la risposta del nostro amore ci attirano verso l’alto. L’uomo si trova in mezzo a questa duplice forza di gravità, e tutto dipende dallo sfuggire al campo di gravitazione del male e diventare liberi di lasciarsi totalmente attirare dalla forza di gravità di Dio, che ci rende veri, ci eleva, ci dona la vera libertà.

Dopo la liturgia della Parola, all’inizio della Preghiera eucaristica durante la quale il Signore entra in mezzo a noi, la Chiesa ci rivolge l’invito: "Sursum corda – in alto i cuori!" Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui. Questo "cuore" deve essere elevato. Ma ancora una volta: noi da soli siamo troppo deboli per sollevare il nostro cuore fino all’altezza di Dio. Non ne siamo in grado. Proprio la superbia di poterlo fare da soli ci tira verso il basso e ci allontana da Dio. Dio stesso deve tirarci in alto, ed è questo che Cristo ha iniziato sulla Croce. Egli è disceso fin nell’estrema bassezza dell’esistenza umana, per tirarci in alto verso di sé, verso il Dio vivente. Egli è diventato umile, dice oggi la seconda lettura. Soltanto così la nostra superbia poteva essere superata: l’umiltà di Dio è la forma estrema del suo amore, e questo amore umile attrae verso l’alto.

Il Salmo processionale 24, che la Chiesa ci propone come "canto di ascesa" per la liturgia di oggi, indica alcuni elementi concreti, che appartengono alla nostra ascesa e senza i quali non possiamo essere sollevati in alto: le mani innocenti, il cuore puro, il rifiuto della menzogna, la ricerca del volto di Dio. Le grandi conquiste della tecnica ci rendono liberi e sono elementi del progresso dell’umanità soltanto se sono unite a questi atteggiamenti – se le nostre mani diventano innocenti e il nostro cuore puro, se siamo in ricerca della verità, in ricerca di Dio stesso, e ci lasciamo toccare ed interpellare dal suo amore. Tutti questi elementi dell’ascesa sono efficaci soltanto se in umiltà riconosciamo che dobbiamo essere attirati verso l’alto; se abbandoniamo la superbia di volere noi stessi farci Dio. Abbiamo bisogno di Lui: Egli ci tira verso l’alto, nell’essere sorretti dalle sue mani – cioè nella fede – ci dà il giusto orientamento e la forza interiore che ci solleva in alto. Abbiamo bisogno dell’umiltà della fede che cerca il volto di Dio e si affida alla verità del suo amore.

La questione di come l’uomo possa arrivare in alto, diventare totalmente se stesso e veramente simile a Dio, ha da sempre impegnato l’umanità. È stata discussa appassionatamente dai filosofi platonici del terzo e quarto secolo. La loro domanda centrale era come trovare mezzi di purificazione, mediante i quali l’uomo potesse liberarsi dal grave peso che lo tira in basso ed ascendere all’altezza del suo vero essere, all’altezza della divinità. Sant’Agostino, nella sua ricerca della retta via, per un certo periodo ha cercato sostegno in quelle filosofie. Ma alla fine dovette riconoscere che la loro risposta non era sufficiente, che con i loro metodi egli non sarebbe giunto veramente a Dio. Disse ai loro rappresentanti: Riconoscete dunque che la forza dell’uomo e di tutte le sue purificazioni non basta per portarlo veramente all’altezza del divino, all’altezza a lui adeguata. E disse che avrebbe disperato di se stesso e dell’esistenza umana, se non avesse trovato Colui che fa ciò che noi stessi non possiamo fare; Colui che ci solleva all’altezza di Dio, nonostante la nostra miseria: Gesù Cristo che, da Dio, è disceso verso di noi e, nel suo amore crocifisso, ci prende per mano e ci conduce in alto.

Noi andiamo in pellegrinaggio con il Signore verso l’alto. Siamo in ricerca del cuore puro e delle mani innocenti, siamo in ricerca della verità, cerchiamo il volto di Dio. Manifestiamo al Signore il nostro desiderio di diventare giusti e Lo preghiamo: Attiraci Tu verso l’alto! Rendici puri! Fa’ che valga per noi la parola che cantiamo col Salmo processionale; cioè che possiamo appartenere alla generazione che cerca Dio, "che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Sal 24,6). Amen.

[00563-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE  

Chers frères et sœurs,

Chers jeunes !

Chaque année, le dimanche des Rameaux, nous sommes à nouveau émus de gravir avec Jésus le mont vers le sanctuaire, et de l’accompagner tout au long de ce chemin vers le haut. En ce jour, sur toute la face de la terre et à travers tous les siècles, jeunes et personnes de tout âge l’acclament en criant : « Hosanna au fils de David ! Béni soit celui qui vient au nom du Seigneur ! »

Mais que faisons-nous vraiment lorsque nous nous insérons dans une telle procession – parmi la foule de ceux qui montaient avec Jésus à Jérusalem et l’acclamaient comme roi d’Israël ? Est-ce quelque chose de plus qu’une cérémonie, qu’une belle coutume ? Cela a-t-il quelque chose à voir avec la véritable réalité de notre vie, de notre monde ? Pour trouver la réponse, nous devons avant tout clarifier ce que Jésus lui-même a, en réalité, voulu et fait. Après la profession de foi, que Pierre avait faite à Césarée de Philippe, à l’extrême nord de la Terre Sainte, Jésus s’était mis en route, en pèlerin, vers Jérusalem pour les fêtes de la Pâque. Il est en chemin vers le Temple dans la Cité Sainte, vers ce lieu qui, pour Israël, garantissait de façon particulière la proximité de Dieu à l’égard de son peuple. Il est en chemin vers la fête commune de la Pâque, mémorial de la libération d’Égypte et signe de l’espérance dans la libération définitive. Il sait qu’une nouvelle Pâque l’attend et qu’il prendra lui-même la place des agneaux immolés, s’offrant lui-même sur la Croix. Il sait que, dans les dons mystérieux du pain et du vin, il se donnera pour toujours aux siens, il leur ouvrira la porte vers une nouvelle voie de libération, vers la communion avec le Dieu vivant. Il est en chemin vers la hauteur de la Croix, vers le moment de l’amour qui se donne. Le terme ultime de son pèlerinage est la hauteur de Dieu lui-même, à laquelle il veut élever l’être humain.

Notre procession d’aujourd’hui veut donc être l’image de quelque chose de plus profond, l’image du fait qu’avec Jésus, nous nous mettons en route pour le pèlerinage : par la voie haute vers le Dieu vivant. C’est de cette montée dont il s’agit. C’est le chemin auquel Jésus nous invite. Mais comment pouvons-nous maintenir l’allure dans cette montée ? Ne dépasse-t-elle pas nos forces ? Oui, elle est au-dessus de nos propres possibilités. Depuis toujours, les hommes ont été remplis – et aujourd’hui ils le sont plus que jamais – du désir d’"être comme Dieu", d’atteindre eux-mêmes la hauteur de Dieu. Dans toutes les inventions de l’esprit humain, on cherche, en fin de compte, à obtenir des ailes pour pouvoir s’élever à la hauteur de l’Être, pour devenir indépendants, totalement libres, comme Dieu l’est. Nombreuses sont les choses que l’humanité a pu réaliser : nous sommes capables de voler. Nous pouvons nous voir, nous écouter et nous parler d’un bout à l’autre du monde. Toutefois, la force de gravité qui nous tire vers le bas est puissante. Avec nos capacités, ce n’est pas seulement le bien qui a grandi. Les possibilités du mal ont aussi augmenté et se présentent comme des tempêtes menaçantes au dessus de l’histoire. Nos limites aussi sont restées : il suffit de penser aux catastrophes qui, ces derniers mois, ont affligé et continuent d’affliger l’humanité.

Les Pères ont dit que l’homme se tient au point d’intersection entre deux champs de gravitation. Il y a d’abord la force de gravité qui tire vers le bas – vers l’égoïsme, vers le mensonge et vers le mal ; la gravité qui nous abaisse et nous éloigne de la hauteur de Dieu. D’autre part, il y a la force de gravité de l’amour de Dieu : le fait d’être aimé de Dieu et la réponse de notre amour nous attirent vers le haut. L’homme se trouve au milieu de cette double force de gravité et tout dépend de sa fuite du champ de gravitation du mal pour devenir libre de se laisser totalement attirer par la force de gravité de Dieu, qui nous rend vrais, nous élève, nous donne la vraie liberté.

Après la Liturgie de la Parole, au début de la Prière eucharistique durant laquelle le Seigneur vient au milieu de nous, l’Eglise nous adresse l’invitation : "Sursum corda – Élevons notre cœur !" Selon la conception biblique et la façon de voir des Pères, le cœur est le centre de l’homme où s’unissent l’intellect, la volonté et le sentiment, le corps et l’âme. Ce centre, où l’esprit devient corps et le corps devient esprit ; où volonté, sentiment et intellect s’unissent dans la connaissance de Dieu et dans l’amour pour lui. Ce "cœur" doit être élevé. Mais encore une fois : tout seuls, nous sommes trop faibles pour élever notre cœur jusqu’à la hauteur de Dieu. Nous n’en sommes pas capables. Justement l’orgueil de pouvoir le faire tout seuls nous tire vers le bas et nous éloigne de Dieu. Dieu lui-même doit nous tirer vers le haut, et c’est ce que le Christ a commencé sur la Croix. Il est descendu jusqu’à l’extrême bassesse de l’existence humaine, pour nous tirer en haut vers lui, vers le Dieu vivant. Il est devenu humble, nous dit la deuxième Lecture d’aujourd’hui. Ainsi seulement notre orgueil pouvait être surmonté : l’humilité de Dieu est la forme extrême de son amour, et cet amour humble attire vers le haut.

Le Psaume de procession 24, que l’Église nous propose comme « cantique de montée » pour la Liturgie d’aujourd’hui, indique quelques éléments concrets, qui appartiennent à notre montée et sans lesquels nous ne pouvons être élevés vers le haut : les mains innocentes, le cœur pur, le refus du mensonge, la recherche du visage de Dieu. Les grandes conquêtes de la technique ne nous rendent libres et ne sont des éléments du progrès de l’humanité que si elles sont unies à ces attitudes – si nos mains deviennent innocentes et notre cœur pur, si nous sommes à la recherche de la vérité, à la recherche de Dieu lui-même, et si nous nous laissons toucher et interpeller par son amour. Tous ces éléments de la montée sont efficaces seulement si nous reconnaissons avec humilité que nous devons être attirés vers le haut ; si nous abandonnons l’orgueil de vouloir nous-mêmes nous faire Dieu. Nous avons besoin de lui : il nous tire vers le haut, étant soutenus par ses mains – c'est-à-dire dans la foi – il nous donne la juste orientation et la force intérieure qui nous élève vers le haut. Nous avons besoin de l’humilité de la foi qui cherche le visage de Dieu et se confie à la vérité de son amour.

La question de savoir comment l’homme peut arriver en haut, devenir pleinement lui-même et vraiment semblable à Dieu, a depuis toujours occupé l’humanité. Elle a été discutée avec passion par les philosophes platoniciens du troisième et quatrième siècle. Leur question centrale était : comment trouver des moyens de purification, par lesquels l’homme puisse se libérer du lourd poids qui le tire vers le bas et s’élever à la hauteur de son être véritable, à la hauteur de la divinité. Pendant un certain temps, dans sa quête du droit chemin, saint Augustin a cherché un soutien dans ces philosophies. Mais à la fin il dut reconnaître que leur réponse n’était pas suffisante, qu’avec leurs méthodes, il ne serait pas vraiment parvenu à Dieu. Il dit à leurs représentants : Reconnaissez donc que la force de l’homme et de toutes ses purifications ne suffit pas pour le porter vraiment à la hauteur du divin, à la hauteur qui lui est appropriée. Et il dit qu’il aurait désespéré de lui-même et de l’existence humaine, s’il n’avait pas trouvé Celui qui fait ce que nous-mêmes nous ne pouvons faire ; Celui qui nous élève à la hauteur de Dieu, malgré notre misère : Jésus Christ qui, de Dieu, est descendu vers nous, et dans son amour crucifié, nous prend par la main et nous conduit vers le haut.

Nous allons en pèlerinage avec le Seigneur vers le haut. Nous sommes à la recherche d’un cœur pur et de mains innocentes, nous sommes à la recherche de la vérité, nous cherchons le visage de Dieu. Nous manifestons au Seigneur notre désir de devenir justes et nous le prions : Attire-nous vers le haut ! Rends-nous purs ! Fais que soit valable pour nous la parole que nous chantons dans le Psaume de procession, c’est-à-dire que nous puissions appartenir à la génération qui cherche Dieu, « qui recherche ta face, Dieu de Jacob » (Ps 24, 6). Amen.

[00563-03.01] [Texte original: Français]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE  

Dear Brothers and Sisters,

Dear young people!

It is a moving experience each year on Palm Sunday as we go up the mountain with Jesus, towards the Temple, accompanying him on his ascent. On this day, throughout the world and across the centuries, young people and people of every age acclaim him, crying out: "Hosanna to the Son of David! Blessed is he who comes in the name of the Lord!"

But what are we really doing when we join this procession as part of the throng which went up with Jesus to Jerusalem and hailed him as King of Israel? Is this anything more than a ritual, a quaint custom? Does it have anything to do with the reality of our life and our world? To answer this, we must first be clear about what Jesus himself wished to do and actually did. After Peter’s confession of faith in Caesarea Philippi, in the northernmost part of the Holy Land, Jesus set out as a pilgrim towards Jerusalem for the feast of Passover. He was journeying towards the Temple in the Holy City, towards that place which for Israel ensured in a particular way God’s closeness to his people. He was making his way towards the common feast of Passover, the memorial of Israel’s liberation from Egypt and the sign of its hope of definitive liberation. He knew that what awaited him was a new Passover and that he himself would take the place of the sacrificial lambs by offering himself on the cross. He knew that in the mysterious gifts of bread and wine he would give himself for ever to his own, and that he would open to them the door to a new path of liberation, to fellowship with the living God. He was making his way to the heights of the Cross, to the moment of self-giving love. The ultimate goal of his pilgrimage was the heights of God himself; to those heights he wanted to lift every human being.

Our procession today is meant, then, to be an image of something deeper, to reflect the fact that, together with Jesus, we are setting out on pilgrimage along the high road that leads to the living God. This is the ascent that matters. This is the journey which Jesus invites us to make. But how can we keep pace with this ascent? Isn’t it beyond our ability? Certainly, it is beyond our own possibilities. From the beginning men and women have been filled – and this is as true today as ever – with a desire to "be like God", to attain the heights of God by their own powers. All the inventions of the human spirit are ultimately an effort to gain wings so as to rise to the heights of Being and to become independent, completely free, as God is free. Mankind has managed to accomplish so many things: we can fly! We can see, hear and speak to one another from the farthest ends of the earth. And yet the force of gravity which draws us down is powerful. With the increase of our abilities there has been an increase not only of good. Our possibilities for evil have increased and appear like menacing storms above history. Our limitations have also remained: we need but think of the disasters which have caused so much suffering for humanity in recent months.

The Fathers of the Church maintained that human beings stand at the point of intersection between two gravitational fields. First, there is the force of gravity which pulls us down – towards selfishness, falsehood and evil; the gravity which diminishes us and distances us from the heights of God. On the other hand there is the gravitational force of God’s love: the fact that we are loved by God and respond in love attracts us upwards. Man finds himself betwixt this twofold gravitational force; everything depends on our escaping the gravitational field of evil and becoming free to be attracted completely by the gravitational force of God, which makes us authentic, elevates us and grants us true freedom.

Following the Liturgy of the Word, at the beginning of the Eucharistic Prayer where the Lord comes into our midst, the Church invites us to lift up our hearts: "Sursum corda!" In the language of the Bible and the thinking of the Fathers, the heart is the centre of man, where understanding, will and feeling, body and soul, all come together. The centre where spirit becomes body and body becomes spirit, where will, feeling and understanding become one in the knowledge and love of God. This is the "heart" which must be lifted up. But to repeat: of ourselves, we are too weak to lift up our hearts to the heights of God. We cannot do it. The very pride of thinking that we are able to do it on our own drags us down and estranges us from God. God himself must draw us up, and this is what Christ began to do on the cross. He descended to the depths of our human existence in order to draw us up to himself, to the living God. He humbled himself, as today’s second reading says. Only in this way could our pride be vanquished: God’s humility is the extreme form of his love, and this humble love draws us upwards.

Psalm 24, which the Church proposes as the "song of ascent" to accompany our procession in today’s liturgy, indicates some concrete elements which are part of our ascent and without which we cannot be lifted upwards: clean hands, a pure heart, the rejection of falsehood, the quest for God’s face. The great achievements of technology are liberating and contribute to the progress of mankind only if they are joined to these attitudes – if our hands become clean and our hearts pure, if we seek truth, if we seek God and let ourselves be touched and challenged by his love. All these means of "ascent" are effective only if we humbly acknowledge that we need to be lifted up; if we abandon the pride of wanting to become God. We need God: he draws us upwards; letting ourselves be upheld by his hands – by faith, in other words – sets us aright and gives us the inner strength that raises us on high. We need the humility of a faith which seeks the face of God and trusts in the truth of his love.

The question of how man can attain the heights, becoming completely himself and completely like God, has always engaged mankind. It was passionately disputed by the Platonic philosophers of the third and fourth centuries. For them, the central issue was finding the means of purification which could free man from the heavy load weighing him down and thus enable him to ascend to the heights of his true being, to the heights of divinity. Saint Augustine, in his search for the right path, long sought guidance from those philosophies. But in the end he had to acknowledge that their answers were insufficient, their methods would not truly lead him to God. To those philosophers he said: recognize that human power and all these purifications are not enough to bring man in truth to the heights of the divine, to his own heights. And he added that he should have despaired of himself and human existence had he not found the One who accomplishes what we of ourselves cannot accomplish; the One who raises us up to the heights of God in spite of our wretchedness: Jesus Christ who from God came down to us and, in his crucified love, takes us by the hand and lifts us on high.

We are on pilgrimage with the Lord to the heights. We are striving for pure hearts and clean hands, we are seeking truth, we are seeking the face of God. Let us show the Lord that we desire to be righteous, and let us ask him: Draw us upwards! Make us pure! Grant that the words which we sang in the processional psalm may also hold true for us; grant that we may be part of the generation which seeks God, "which seeks your face, O God of Jacob" (cf. Ps 24:6). Amen.

[00563-02.01] [Original text: English]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA  

Liebe Brüder und Schwestern,

liebe junge Freunde!

Jedes Jahr wieder bewegt es uns, am Palmsonntag mit Jesus den Berg zum Heiligtum hinaufzusteigen, ihn auf dem Weg nach oben zu geleiten. Junge Menschen und Menschen aller Altersstufen rufen ihm an diesem Tag über den ganzen Erdkreis hin und alle Jahrhunderte hindurch zu: „Hosanna dem Sohn Davids! Gepriesen sei, der da kommt im Namen des Herrn."

Aber was tun wir eigentlich da, wenn wir uns in diese Prozession einreihen - in die Schar derer, die mit Jesus nach Jerusalem hinaufstiegen und ihm zujubelten als dem König Israels? Ist das mehr als eine Zeremonie, als schöner Brauch? Hat es mit der eigentlichen Wirklichkeit unseres Lebens, unserer Welt zu tun? Um Antwort zu finden, müssen wir zunächst klären, was eigentlich Jesus selbst gewollt und getan hat. Nach dem Glaubensbekenntnis, das Petrus bei Caesarea Philippi, im äußersten Norden des Heiligen Landes abgelegt hatte, hatte er sich als Pilger auf den Weg gemacht zum Osterfest nach Jerusalem. Er ist unterwegs zum Tempel in der heiligen Stadt, zu dem Ort, der für Israel in besonderer Weise die Nähe Gottes zu seinem Volk verbürgte. Er ist unterwegs zum gemeinsamen Paschafest, das Gedächtnis der Befreiung aus Ägypten und Zeichen der Hoffnung auf die endgültige Befreiung war. Er weiß, daß ein neues Pascha seiner wartet und daß er selbst an die Stelle der geschlachteten Lämmer treten, sich selbst am Kreuz geben werde. Er weiß, daß er sich in den geheimnisvollen Gaben von Brot und Wein den Seinigen für immer schenken werde, ihnen die Tür zu einem neuen Weg der Befreiung, zur Gemeinschaft mit dem lebendigen Gott öffnen werde. Er ist unterwegs auf die Höhe des Kreuzes, zum Augenblick der sich schenkenden Liebe. Sein letztes Pilgerziel ist die Höhe Gottes selbst, zu der er das Menschsein hinauftragen will.

Unsere Prozession heute will also ein Abbild für Tieferes sein, dafür, daß wir uns mit Jesus auf die Pilgerschaft machen: auf den Höhenweg zum lebendigen Gott. Um diesen Aufstieg geht es. Er ist die Wanderschaft, zu der Jesus uns einlädt. Aber wie können wir bei diesem Aufstieg mithalten? Übersteigt er nicht unsere Kräfte? Ja, er liegt oberhalb unserer eigenen Möglichkeiten. Die Menschen waren immer von der Sehnsucht erfüllt und sind es heute mehr denn je, „wie Gott zu sein" – selber auf die Höhe Gottes zu kommen. In all den Erfindungen des menschlichen Geistes geht es letztlich darum, Flügel zu bekommen, um aufsteigen zu können zur Höhe des Seins, um unabhängig, um ganz frei zu werden, wie Gott es ist. Viel ist der Menschheit gelungen: Wir können fliegen. Rund um die Welt können wir uns sehen und hören und sprechen. Und doch ist die Schwerkraft, die uns nach unten zieht, mächtig. Mit unserem Können ist nicht nur Gutes gewachsen. Auch die Möglichkeiten des Bösen sind größer geworden und stehen wie drohende Gewitter über der Geschichte. Auch unsere Grenzen sind geblieben: Denken wir nur an die Katastrophen, die die Menschheit in diesen Monaten heimgesucht haben und heimsuchen.

Die Väter haben gesagt, daß der Mensch im Schnittpunkt zweier Schwerkraftfelder stehe. Da ist zunächst die Schwerkraft, die nach unten zieht - in die Selbstsucht, in die Lüge und ins Böse hinein; die Schwerkraft, die uns erniedrigt und von der Höhe Gottes entfernt. Auf der anderen Seite steht die Schwerkraft der Liebe Gottes: Das Geliebtsein von ihm und die Antwort unserer Liebe zieht uns nach oben. Zwischen dieser doppelten Gravitation steht der Mensch, und alles käme darauf an, daß er dem Schwerefeld des Bösen entrinnt und frei wird, sich ganz von der Schwerkraft Gottes anziehen zu lassen, die uns wahr macht, die uns Höhe gibt, die uns die wahre Freiheit schenkt.

Nach dem Wortgottesdienst, am Anfang des eucharistischen Hochgebets, in dem der Herr zu uns hereintritt, richtet die Kirche an uns den Ruf: „Sursum corda – das Herz in die Höhe!" Das Herz ist nach biblischer Auffassung und in der Sicht der Väter jene Mitte des Menschen, in der Verstand, Wille und Gefühl, Leib und Seele sich vereinigen. Jene Mitte, in der der Geist Leib und der Leib Geist wird; in der Wille und Gefühl und Verstand sich in der Erkenntnis Gottes und in der Liebe zu ihm vereinigen. Dieses „Herz" soll Höhe bekommen. Aber noch einmal: Wir allein sind zu schwach, unser Herz auf die Höhe Gottes hinaufzuheben. Wir können es nicht. Gerade der Hochmut, es selbst zu können, zieht uns nach unten und entfernt uns von Gott. Gott selbst muß uns hinaufziehen, und das ist es, was Christus am Kreuz begonnen hat. Er ist in die letzte Tiefe des Menschseins heruntergestiegen, um uns hinaufzuziehen zu sich, zum lebendigen Gott. Er ist demütig geworden, sagt uns heute die zweite Lesung. Nur so konnte unser Hochmut überwunden werden: Die Demut Gottes ist die äußerste Form seiner Liebe, und diese demütige Liebe zieht nach oben.

Der Prozessionspsalm 24, den uns die Kirche als „Aufstiegsgesang" für die heutige Liturgie vorgibt, nennt einige konkrete Elemente, die zu unserem Aufstieg gehören und ohne die wir nicht hinaufgezogen werden können: die sauberen Hände, das reine Herz, die Absage an die Lüge, das Suchen nach Gottes Gesicht. Die großen Errungenschaften der Technik machen uns nur frei und sind nur dann Teilelemente des Fortschritts der Menschheit, wenn sie mit diesen Haltungen verbunden sind – wenn unsere Hände sauber, unser Herz rein werden, wenn wir nach der Wahrheit, wenn wir nach Gott selbst suchen und uns von seiner Liebe anrühren, anreden lassen. All diese Elemente des Aufstiegs sind nur wirksam, wenn wir in Demut anerkennen, daß wir hinaufgezogen werden müssen. Wenn wir den Hochmut ablegen, uns selbst zu Gott machen zu wollen. Wir brauchen ihn, der uns hinaufzieht und uns im Gehaltensein von seinen Händen, das heißt im Glauben, die wahre Richtung und die innere Kraft gibt, die uns nach oben hebt. Wir brauchen die Demut des Glaubens, die Gottes Angesicht sucht und sich der Wahrheit seiner Liebe anvertraut.

Die Frage, wie der Mensch nach oben kommen, ganz er selbst, wirklich Gott ähnlich werden könne, hat die Menschheit seit eh und je bewegt. Sie ist ganz leidenschaftlich von den platonischen Philosophien des dritten und vierten Jahrhunderts diskutiert worden. Deren zentrale Frage war es, wie man Reinigungen finden könne, durch die der Mensch sich von dem nach unten ziehenden Schwergewicht lösen und aufsteigen kann zur Höhe seines wahren Seins, zur Höhe der Gottheit. Der heilige Augustinus hat auf seiner Suche nach dem rechten Weg einige Zeit bei diesen Philosophien Halt gesucht. Aber schließlich mußte er einsehen, daß ihre Antwort nicht ausreichte, daß er mit ihren Methoden nicht wirklich zu Gott kam. Er hat ihren Vertretern gesagt: Gebt doch zu, daß die Kraft des Menschen und all seiner Reinigungen nicht ausreicht, um ihn wirklich auf die Höhe des Göttlichen, auf die ihm angemessene Höhe zu bringen. Und er hat gesagt, daß er an sich selbst und am Menschsein verzweifelt wäre, wenn er nicht den gefunden hätte, der das tut, was wir selbst nicht können; den, der uns hinaufzieht auf die Höhe Gottes trotz unserer Armseligkeit: Jesus Christus, der von Gott her zu uns herabgestiegen ist und in seiner gekreuzigten Liebe uns an die Hand nimmt und auf die Höhe führt.

Wir pilgern mit dem Herrn nach oben. Wir suchen nach dem reinen Herzen und nach den sauberen Händen, wir suchen nach der Wahrheit, wir suchen nach Gottes Angesicht. Wir zeigen dem Herrn unsere Sehnsucht, recht zu werden, und wir bitten ihn: Ziehe du uns in die Höhe! Mache du uns rein! Gib, daß für uns das Wort gilt, das wir mit dem Prozessionspsalm singen: daß wir zu den Menschen gehören, die nach Gott fragen, „die dein Antlitz suchen, Gott Jakobs" (Ps 24, 6). Amen.

[00563-05.01] [Originalsprache: Deutsch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA  

Queridos hermanos y hermanas,

queridos jóvenes:

Como cada año, en el Domingo de Ramos, nos conmueve subir junto a Jesús al monte, al santuario, acompañarlo en su acenso. En este día, por toda la faz de la tierra y a través de todos los siglos, jóvenes y gente de todas las edades lo aclaman gritando: "¡Hosanna al Hijo de David! ¡Bendito el que viene en nombre del Señor!».

Pero, ¿qué hacemos realmente cuando nos unimos a la procesión, al cortejo de aquellos que junto con Jesús subían a Jerusalén y lo aclamaban como rey de Israel? ¿Es algo más que una ceremonia, que una bella tradición? ¿Tiene quizás algo que ver con la verdadera realidad de nuestra vida, de nuestro mundo? Para encontrar la respuesta, debemos clarificar ante todo qué es lo que en realidad ha querido y ha hecho Jesús mismo. Tras la profesión de fe, que Pedro había realizado en Cesarea de Filipo, en el extremo norte de la Tierra Santa, Jesús se había dirigido como peregrino hacia Jerusalén para la fiesta de la Pascua. Es un camino hacia el templo en la Ciudad Santa, hacia aquel lugar que aseguraba de modo particular a Israel la cercanía de Dios a su pueblo. Es un camino hacia la fiesta común de la Pascua, memorial de la liberación de Egipto y signo de la esperanza en la liberación definitiva. Él sabe que le espera una nueva Pascua, y que él mismo ocupará el lugar de los corderos inmolados, ofreciéndose así mismo en la cruz. Sabe que, en los dones misteriosos del pan y del vino, se entregará para siempre a los suyos, les abrirá la puerta hacia un nuevo camino de liberación, hacia la comunión con el Dios vivo. Es un camino hacia la altura de la Cruz, hacia el momento del amor que se entrega. El fin último de su peregrinación es la altura de Dios mismo, a la cual él quiere elevar al ser humano.

Nuestra procesión de hoy por tanto quiere ser imagen de algo más profundo, imagen del hecho que, junto con Jesús, comenzamos la peregrinación: por el camino elevado hacia el Dios vivo. Se trata de esta subida. Es el camino al que Jesús nos invita. Pero, ¿cómo podemos mantener el paso en esta subida? ¿No sobrepasa quizás nuestras fuerzas? Sí, está por encima de nuestras posibilidades. Desde siempre los hombres están llenos – y hoy más que nunca – del deseo de "ser como Dios", de alcanzar esa misma altura de Dios. En todos los descubrimientos del espíritu humano se busca en último término obtener alas, para poderse elevar a la altura del Ser, para ser independiente, totalmente libre, como lo es Dios. Son tantas las cosas que ha podido llevar a cabo la humanidad: tenemos la capacidad de volar. Podemos vernos, escucharnos y hablar de un extremo al otro del mundo. Sin embargo, la fuerza de gravedad que nos tira hacía abajo es poderosa. Junto con nuestras capacidades, no ha crecido solamente el bien. También han aumentado las posibilidades del mal que se presentan como tempestades amenazadoras sobre la historia. También permanecen nuestros límites: basta pensar en las catástrofes que en estos meses han afligido y siguen afligiendo a la humanidad.

Los Santos Padres han dicho que el hombre se encuentra en el punto de intersección entre dos campos de gravedad. Ante todo, está la fuerza que le atrae hacia abajo – hacía el egoísmo, hacia la mentira y hacia el mal; la gravedad que nos abaja y nos aleja de la altura de Dios. Por otro lado, está la fuerza de gravedad del amor de Dios: el ser amados de Dios y la respuesta de nuestro amor que nos atrae hacia lo alto. El hombre se encuentra en medio de esta doble fuerza de gravedad, y todo depende del poder escapar del campo de gravedad del mal y ser libres de dejarse atraer totalmente por la fuerza de gravedad de Dios, que nos hace auténticos, nos eleva, nos da la verdadera libertad.

Tras la Liturgia de la Palabra, al inicio de la Plegaría eucarística durante la cual el Señor entra en medio de nosotros, la Iglesia nos dirige la invitación: "Sursum corda – levantemos el corazón". Según la concepción bíblica y la visión de los Santos Padres, el corazón es ese centro del hombre en el que se unen el intelecto, la voluntad y el sentimiento, el cuerpo y el alma. Ese centro en el que el espíritu se hace cuerpo y el cuerpo se hace espíritu; en el que voluntad, sentimiento e intelecto se unen en el conocimiento de Dios y en el amor por Él. Este "corazón" debe ser elevado. Pero repito: nosotros solos somos demasiado débiles para elevar nuestro corazón hasta la altura de Dios. No somos capaces. Precisamente la soberbia de querer hacerlo solos nos derrumba y nos aleja de Dios. Dios mismo debe elevarnos, y esto es lo que Cristo comenzó en la cruz. Él ha descendido hasta la extrema bajeza de la existencia humana, para elevarnos hacia Él, hacia el Dios vivo. Se ha hecho humilde, dice hoy la segunda lectura. Solamente así nuestra soberbia podía ser superada: la humildad de Dios es la forma extrema de su amor, y este amor humilde atrae hacia lo alto.

El salmo procesional 23, que la Iglesia nos propone como "canto de subida" para la liturgia de hoy, indica algunos elementos concretos que forman parte de nuestra subida, y sin los cuales no podemos ser levantados: las manos inocentes, el corazón puro, el rechazo de la mentira, la búsqueda del rostro de Dios. Las grandes conquistas de la técnica nos hacen libres y son elementos del progreso de la humanidad sólo si están unidas a estas actitudes; si nuestras manos se hacen inocentes y nuestro corazón puro; si estamos en búsca de la verdad, en busca de Dios mismo, y nos dejamos tocar e interpelar por su amor. Todos estos elementos de la subida son eficaces sólo si reconocemos humildemente que debemos ser atraídos hacia lo alto; si abandonamos la soberbia de querer hacernos Dios a nosotros mismos. Le necesitamos. Él nos atrae hacia lo alto, sosteniéndonos en sus manos – es decir, en la fe – nos da la justa orientación y la fuerza interior que nos eleva. Tenemos necesidad de la humildad de la fe que busca el rostro de Dios y se confía a la verdad de su amor.

La cuestión de cómo el hombre pueda llegar a lo alto, ser totalmente él mismo y verdaderamente semejante a Dios, ha cuestionado siempre a la humanidad. Ha sido discutida apasionadamente por los filósofos platónicos del tercer y cuarto siglo. Su pregunta central era cómo encontrar medios de purificación, mediante los cuales el hombre pudiese liberarse del grave peso que lo abaja y poder ascender a la altura de su verdadero ser, a la altura de su divinidad. San Agustín, en su búsqueda del camino recto, buscó por algún tiempo apoyo en aquellas filosofías. Pero, al final, tuvo que reconocer que su respuesta no era suficiente, que con sus métodos no habría alcanzado realmente a Dios. Dijo a sus representantes: reconoced por tanto que la fuerza del hombre y de todas sus purificaciones no bastan para llevarlo realmente a la altura de lo divino, a la altura adecuada. Y dijo que habría perdido la esperanza en sí mismo y en la existencia humana, si no hubiese encontrado a aquel que hace aquello que nosotros mismos no podemos hacer; aquel que nos eleva a la altura de Dios, a pesar de nuestra miseria: Jesucristo que, desde Dios, ha bajado hasta nosotros, y en su amor crucificado, nos toma de la mano y nos lleva hacia lo alto.

Subimos con el Señor en peregrinación. Buscamos el corazón puro y las manos inocentes, buscamos la verdad, buscamos el rostro de Dios. Manifestemos al Señor nuestro deseo de llegar a ser justos y le pedimos: ¡Llévanos Tú hacia lo alto! ¡Haznos puros! Haz que nos sirva la Palabra que cantamos con el Salmo procesional, es decir que podamos pertenecer a la generación que busca a Dios, "que busca tu rostro, Dios de Jacob" (Sal 23, 6). Amén.

[00563-04.01] [Texto original: Español]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE  

Amados irmãos e irmãs,

Queridos jovens!

A mesma emoção se apodera de nós em cada ano, no Domingo de Ramos, quando subimos na companhia de Jesus o monte para o santuário, quando O acompanhamos pelo caminho que leva para o alto. Neste dia, ao longo dos séculos por toda a face da terra, jovens e pessoas de todas a idades aclamam-n’O gritando: «Hossana ao Filho de David! Bendito o que vem em nome do Senhor!».

Mas, quando nos integramos em tal procissão – na multidão daqueles que subiam com Jesus a Jerusalém e O aclamavam como rei de Israel –, verdadeiramente o que é que fazemos? É algo mais do que uma cerimónia, do que um louvável costume? Porventura terá a ver com a verdadeira realidade da nossa vida, do nosso mundo? Para encontrar a resposta, temos antes de mais nada de esclarecer o que é que o próprio Jesus realmente quis e fez. Depois da profissão de fé que Pedro fizera em Cesareia de Filipe, no extremo norte da Terra Santa, Jesus encaminhara-Se como peregrino na direcção de Jerusalém para as festividades da Páscoa. Caminha para o templo na Cidade Santa, para aquele lugar que, de modo particular, garantia a Israel que Deus estava próximo do seu povo. Caminha para a festa comunitária da Páscoa, memorial da libertação do Egipto e sinal da esperança na libertação definitiva. Jesus sabe que O espera uma Páscoa nova, e que Ele mesmo tomará o lugar dos cordeiros imolados, oferecendo-Se a Si mesmo na Cruz. Sabe que, nos dons misteriosos do pão e do vinho, dar-Se-á para sempre aos seus, abrir-lhes-á a porta para um novo caminho de libertação, para a comunhão com o Deus vivo. Ele caminha para a altura da Cruz, para o momento do amor que se dá. O termo último da sua peregrinação é a altura do próprio Deus, até à qual Ele quer elevar o ser humano.

Assim, a nossa procissão de hoje quer ser imagem de algo mais profundo, imagem do facto que nos encaminhamos em peregrinação, juntamente com Jesus, pelo caminho alto que leva ao Deus vivo. É desta subida que se trata: tal é o caminho, a que Jesus nos convida. Mas, nesta subida, como podemos andar no mesmo passo que Ele? Porventura não ultrapassa as nossas forças? Sim, está acima das nossas próprias possibilidades. Desde sempre – e hoje ainda mais – os homens nutriram o desejo de «ser como Deus»; de alcançar, eles mesmos, a altura de Deus. Em todas as invenções do espírito humano, em última análise, procura-se conseguir asas para poder elevar-se à altura do Ser divino, para se tornar independentes, totalmente livres, como o é Deus. A humanidade pôde realizar tantas coisas: somos capazes de voar; podemos ver-nos uns aos outros, ouvir e falar entre nós dum extremo do mundo para o outro. E todavia a força de gravidade que nos puxa para baixo é poderosa. A par das nossas capacidades, não cresceu apenas o bem; cresceram também as possibilidades do mal, que se levantam como tempestades ameaçadoras sobre a história. E perduram também os nossos limites: basta pensar nas catástrofes que, nestes meses, afligiram e continuam a afligir a humanidade.

Os Padres disseram que o homem está colocado no ponto de intersecção de dois campos de gravidade. Temos, por um lado, a força de gravidade que puxa para baixo: para o egoísmo, para a mentira e para o mal; a gravidade que nos rebaixa e afasta da altura de Deus. Por outro lado, há a força de gravidade do amor de Deus: sabermo-nos amados por Deus e a resposta do nosso amor puxam-nos para o alto. O homem encontra-se no meio desta dupla força de gravidade, e tudo depende de conseguir livrar-se do campo de gravidade do mal e ficar livre para se deixar atrair totalmente pela força de gravidade de Deus, que nos torna verdadeiros, nos eleva, nos dá a verdadeira liberdade.

Depois da Liturgia da Palavra e logo no início da Oração Eucarística, durante a qual o Senhor entra no meio de nós, a Igreja dirige-nos este convite: «Sursum corda – corações ao alto!». O coração, segundo a concepção bíblica e na visão dos Padres, é aquele centro do homem onde se unem o intelecto, a vontade e o sentimento, o corpo e a alma; é aquele centro, onde o espírito se torna corpo e o corpo se torna espírito, onde vontade, sentimento e intelecto se unem no conhecimento de Deus e no amor a Ele. Este «coração» deve ser elevado. Mas, também aqui, sozinhos somos demasiado frágeis para elevar o nosso coração até à altura de Deus; não somos capazes disso. É precisamente a soberba de o podermos fazer sozinhos que nos puxa para baixo e afasta de Deus. O próprio Deus tem de puxar-nos para o alto; e foi isto que Cristo começou a fazer na Cruz. Desceu até à humilhação extrema da existência humana, a fim de nos puxar para o alto rumo a Ele, rumo ao Deus vivo. Jesus humilhou-Se: diz hoje a segunda leitura. Só assim podia ser superada a nossa soberba: a humildade de Deus é a forma extrema do seu amor, e este amor humilde atrai para o alto.

O salmo processional 24, que a Igreja nos propõe como «cântico de subida» para a liturgia de hoje, indica alguns elementos concretos, que pertencem à nossa subida e sem os quais não podemos ser elevados para o alto: as mãos inocentes, o coração puro, a rejeição da mentira, a procura do rosto de Deus. As grandes conquistas da técnica só nos tornam livres e são elementos de progresso da humanidade, se forem acompanhadas por estas atitudes: se as nossas mãos se tornarem inocentes e o coração puro, se permanecermos à procura da verdade, à procura do próprio Deus e nos deixarmos tocar e interpelar pelo seu amor. Mas todos estes elementos da subida só serão úteis, se reconhecermos com humildade que devemos ser puxados para o alto, se abandonarmos a soberba de querermos, nós mesmos, fazer-nos Deus. Temos necessidade d’Ele: Deus puxa-nos para o alto; permanecer apoiados pelas suas mãos – isto é, na fé – dá-nos a orientação justa e a força interior que nos eleva para o alto. Temos necessidade da humildade da fé, que procura o rosto de Deus e se entrega à verdade do seu amor.

A questão de saber como pode o homem chegar ao alto, tornar-se plenamente ele próprio e verdadeiramente semelhante a Deus, desde sempre ocupou a humanidade. Foi objecto de apaixonada discussão pelos filósofos platónicos dos séculos terceiro e quarto. A sua pergunta central era esta: como encontrar meios de purificação, pelos quais o homem pudesse libertar-se do gravoso peso que o puxa para baixo e elevar-se à altura do seu verdadeiro ser, à altura da divindade. Santo Agostinho, na sua busca do recto caminho, durante um certo período procurou apoio em tais filosofias. Mas, no fim, teve de reconhecer que a sua resposta não era suficiente, que ele, com tais métodos, não chegaria verdadeiramente a Deus. Disse aos seus representantes: Reconhecei, pois, que não basta a força do homem e de todas as suas purificações para o levar verdadeiramente à altura do divino, à altura que lhe é condigna. E disse que teria desesperado de si mesmo e da existência humana, se não tivesse encontrado Aquele que faz o que nós mesmos não podemos fazer, Aquele que nos eleva à altura de Deus, apesar da nossa miséria: Jesus Cristo, que desceu de junto de Deus até nós e, no seu amor crucificado, nos toma pela mão e nos conduz ao alto.

Com o Senhor, caminhamos, peregrinos, para o alto. Andamos à procura do coração puro e das mãos inocentes, andamos à procura da verdade, procuramos o rosto de Deus. Manifestamos ao Senhor o desejo de nos tornar justos e pedimos-Lhe: Atraí-nos, Vós, para o alto! Tornai-nos puros! Fazei que se cumpra em nós a palavra do salmo processional que cantamos, ou seja, que possamos pertencer à geração dos que procuram Deus, «que procuram a face do Deus de Jacob» (Sal 24/23, 6). Amen.

[00563-06.01] [Texto original: Português]

[B0222-XX.02]