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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL DECRETO DI RIFORMA DEGLI STUDI ECCLESIASTICI DI FILOSOFIA, 22.03.2011


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL DECRETO DI RIFORMA DEGLI STUDI ECCLESIASTICI DI FILOSOFIA

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. ZENON GROCHOLEWSKI

INTERVENTO DI S.E. MONS. JEAN-LOUIS BRUGUÈS, O.P.

INTERVENTO DEL REV.MO P. CHARLES MOREROD, O.P.

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede ha luogo la conferenza stampa di presentazione del Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di filosofia.
Intervengono: l’Em.mo Card. Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi); S.E. Mons. Jean-Louis Bruguès, O.P., Segretario della medesima Congregazione e il Rev.mo P. Charles Morerod, O.P., Rettore Magnifico della Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino (Angelicum).
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. ZENON GROCHOLEWSKI

La Congregazione per l’Educazione Cattolica segue le Istituzioni di studi superiori, per aiutarli a realizzare fruttuosamente la loro specifica missione. I documenti normativi riguardo agli studi ecclesiastici, e quindi anche alla filosofia, sono attualmente la Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II Sapientia christiana del 1979 e le relative Normae applicative della menzionata Congregazione, emanate nel medesimo anno. Comunque, Ecclesia semper est reformanda per rispondere alle nuove esigenze della vita ecclesiale nelle mutevoli circostanze storico-culturali. Questo riguarda anche, o forse particolarmente, la realtà accademica.

Abbiamo già proceduto ad una riforma parziale degli studi di Diritto Canonico (Decreto Novo codice, del 2 settembre 2002) e degli Istituti Superiori di Scienze Religiose (Istruzione del 28 giugno 2008). Ora presentiamo il "Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di filosofia" del 28 gennaio scorso.

1. Perché questa riforma?

I motivi di questa riforma sono principalmente:

– Da una parte, la debolezza della formazione filosofica in molte istituzioni ecclesiastiche, con l’assenza di precisi punti di riferimento, soprattutto riguardo alle materie da insegnare e la qualità dei docenti. Questa debolezza è, inoltre, accompagnata dalla crisi degli studi filosofici in genere in un’epoca in cui la ragione stessa è minacciata dall’utilitarismo, dallo scetticismo, dal relativismo, dalla sfiducia della ragione di conoscere la verità riguardo ai problemi fondamentali della vita, dall’abbandono della metafisica; perfino talvolta il concetto della filosofia non appare chiaro.

– E, d’altra parte, sia la convinzione, espressa nell’Enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II del 1998, dell’importanza della filosofia nella sua componente metafisica per "superare la situazione di crisi che pervade oggi grandi settori della filosofia e per correggere così alcuni comportamenti erronei diffusi nella nostra società" (n. 83d), sia la consapevolezza che la filosofia è indispensabile per la formazione teologica. L’Enciclica Fides et ratio sottolinea: "la teologia ha sempre avuto e continua ad avere bisogno dell’apporto filosofico" (n. 77a). Infatti, "lo studio della filosofia riveste un carattere fondamentale e ineliminabile nella struttura degli studi teologici e nella formazione dei candidati al sacerdozio. Non è un caso che il curriculum di studi teologici sia preceduto da un periodo di tempo nel quale è previsto uno speciale impegno nello studio della filosofia"(n. 62a). In riferimento specificatamente ai futuri sacerdoti, anche l’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis del 1992, ha notato che la preparazione filosofica è un "momento essenziale della [loro] formazione intellettuale": "Solo una sana filosofia può aiutare i candidati al sacerdozio a sviluppare una coscienza riflessa del rapporto costitutivo che esiste tra lo spirito umano e la verità, quella verità che si rivela a noi pienamente in Gesù Cristo" (n. 52).

Riguardo alla necessità degli adeguati studi filosofici per la formazione teologica, vorrei aggiungere che il Card. Ratzinger, l’attuale successore di Pietro, ha realisticamente notato: "La crisi della teologia postconciliare è in larga misura la crisi dei suoi fondamenti filosofici […]. Quando i fondamenti filosofici non vengono chiariti, alla teologia viene a mancare il terreno sotto i piedi. Perché allora non è più chiaro fino a che punto l’uomo conosce davvero la realtà, e quali sono le basi a partire da cui egli possa pensare e parlare"1.

Avendo presenti i delineati motivi, il Decreto della Congregazione intende rivalorizzare la filosofia soprattutto alla luce della menzionata Enciclica Fides et ratio, che propone una visione precisa come la disciplina in parola deve essere insegnata nelle istituzioni ecclesiastiche; si vuole quindi ridare il primo posto alla metafisica, come spiegherà il professore Morerod nel suo intervento, recuperando la "vocazione originaria"2 della filosofia, ossia la ricerca del vero e la sua dimensione sapienziale e metafisica. In tal modo – per il bene della scienza e degli uomini di oggi – si mira, da una parte, ad insistere sulla necessità di allargare gli spazi della razionalità, limitati nelle attuali correnti di pensiero (concetto espresso vivamente da Benedetto XVI3), e d’altra parte a difendersi dal pericolo del fideismo, pure esso presente nella nostra epoca.

 2. La filosofia di cui parliamo

In questa visuale vorrei soffermarmi un po’ su questo ultimo punto. Oggi i diversi rami della scienza e della tecnica si sono sviluppati in modo impressionante. È inutile insistere sulla loro importanza e sulla loro efficacia. Esse, però, non riassumono l’interezza del sapere; soprattutto non saziano la sete dell’uomo rispetto alle domande ultime: in che cosa consiste la felicità? Chi sono io? Il mondo è frutto di un azzardo? Quale è il mio destino? ecc. Oggi, più che mai, le scienze hanno bisogno di saggezza. I primi filosofi greci si sono definiti "saggi", sophioi; ma i presocratici hanno rapidamente scelto il nome, allo stesso tempo umile e pieno di significato, di "filosofi". La nostra epoca ha bisogno della filosofia di cui Giovanni Paolo II diceva che essa "contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della vita e ad abbozzarne la risposta", e quindi "si configura come uno dei compiti più nobili dell’umanità"4.

Si potrebbe domandare quale è il senso di una Facoltà ecclesiastica di filosofia: questa non è una disciplina profana? Non intendo entrare nel dibattito suscitato dall’espressione "filosofia cristiana" che, con sfumature, l’enciclica Fides et ratio menziona quattro volte5. Vorrei soltanto osservare che la filosofia di cui parliamo rifiuta una separazione indebita tra la ragione e la fede, prospettando l’apertura della prima alla seconda e il bisogno che ha la seconda di ricorrere al sostegno della prima.

Ma l’esistenza di Facoltà ecclesiastiche di filosofia significa che la Chiesa insegna una particolare filosofia? Sicuramente – il nostro documento lo ricorda (cfr Preambolo, n. 12) –, un posto di rilievo ha la filosofia di san Tommaso d’Aquino. Tuttavia, la preferenza attribuita dalla Chiesa al suo metodo ed alla sua dottrina non è esclusiva, ma "esemplare"6. Al riguardo anche l’enciclica Fides et ratio nota: non esiste "una filosofia ufficiale della Chiesa, giacché la fede non è come tale una filosofia" (n. 76a). Comunque, non tutte le filosofie sono compatibili con la fede e anche con una ragione adeguata alla verità. Ci sono punti di passaggio obbligati che il nostro documento ricorda, per esempio la filosofia dell’essere7, la capacità della ragione di raggiungere una verità obiettiva e universale e una conoscenza metafisica valida8; l’unità corpo-anima nell’uomo9; la dignità della persona umana10; l’importanza della legge naturale e delle "fonti della moralità"11; ecc. (cfr Preambolo, n. 11).

3. Breve iter di preparazione del testo

Senza entrare nei particolari, vorrei notare che già nel 2004 la Congregazione ha istituito una commissione composta da un certo numero di esperti riconosciuti nel campo della filosofia, dotati di una duplice competenza, intellettuale ed istituzionale, che rappresentano le principali aree linguistiche e geografiche, per proporre un progetto di riforma. Dopo diverse riunioni, protratte per oltre un anno e mezzo, e la discussione nella sessione Plenaria del 2005, un primo testo è stato inviato ad un certo numero di decani di facoltà ecclesiastiche di filosofia, ma anche di teologia, nel mondo. Le loro osservazioni sono state poi integrate. Il testo è stato successivamente sottoposto al vaglio dei Padri della Plenaria della Congregazione nel gennaio 2008 che ha espresso il voto favorevole sia sulla necessità del documento che sul suo contenuto. Alcune precisazioni, rimaste ancora aperte, sono state in seguito studiate da parte dalla commissione di esperti di diverse nazioni, in parte nel tempo rinnovata.

Il nuovo testo, arricchito con dovute specificazioni, è stato approvato dalla riunione Ordinaria dei membri della Congregazione del 16 giugno 2010. Circa questo testo, doverosamente interpellati, hanno espresso l’aprezzamento sia la Congregazione per la Dottrina della Fede che il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi.

Infine, il Santo Padre, durante un’udienza concessami nel gennaio scorso, ha approvato "in forma specifica" le modifiche apportate alla Costituzione apostolica Sapientia christiana; invece ha confermato "in forma comune" tutto il resto del testo. Infatti, sono stati riformati soltanto tre articoli della Sapientia christiana e la stragrande maggioranza delle modifiche riguarda le Norme applicative della Congregazione. Il Decreto definitivo riporta la data significativa del 28 gennaio 2011: memoria di San Tommaso d’Aquino.

3. Quadro generale

Il testo della riforma si compone di due parti: a) un preambolo che illustra le ragioni e lo spirito della riforma; b) le nuove norme che devono sostituire quelle della Sapientia christiana e delle relative Norme applicative.

È stata fatta soprattutto una chiara distinzione fra le Facoltà ecclesiastica di filosofia e il biennio filosofico che fa parte integrante degli studi teologici (nelle Facoltà e nei Seminari). La revisione riguarda ambedue le realtà, nonché i rispettivi istituti affiliati ed aggregati. Questo però sarà illustrato in dettaglio da S.E. Mons. Bruguès.

È da augurarsi che questa riforma contribuisca al miglioramento degli studi sia di filosofia che di teologia.

_____________________

1« L’unità di missione e persona nella figura di Giovanni Paolo II », 1998, in J. Ratzinger, Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore, Città del Vaticano e Cinisello Basalmo, 2007, p. 16.
2
Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), n. 6c.
3
Cfr per esempio, Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno nazionale della Chiesa Italiana, Verona, 19 ottobre 2006, cpv. 9.
4
Fides et ratio, n. 3a
5
« Con questo appellativo si vuole piuttosto indicare un filosofare cristiano, una speculazione filosofica concepita in unione vitale con la fede » (ivi, n. 76a).
6
Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale Tomistico, 13 settembre 1980, n. 2.
7
Cfr Fides et ratio, nn. 76, 97.
8
Cfr Fides et ratio, nn. 27, 44, 66, 69, 80, ecc.
9
Cfr Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis splendor (6 agosto 1993), nn. 48-49.
10
Cfr Fides et ratio, nn. 60, 83, ecc.; cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 12-22.
11
Cfr Veritatis splendor, nn. 43-44, 74; cfr Commissione teologica internazionale, Alla ricerca di un’etica universale. Nuovo sguardo sulla legge naturale, 27 marzo 2009.

[00402-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DI S.E. MONS. JEAN-LOUIS BRUGUÈS, O.P.

Eminenza, cari decani, cari professori, cari amici,

lo scopo del mio intervento è quello di delineare brevemente il contenuto del documento di riforma. Questa riforma riguarda quattro tipi di istituzioni, e questo in modo differenziato:

- le Facoltà ecclesiastiche di filosofia;

- il primo ciclo delle Facoltà ecclesiastiche di teologia;

- le istituzioni di filosofia che sono affiliate o aggregate ad una Facoltà di filosofia. Il vincolo di affiliazione e di aggregazione permette all’istituzione che ne beneficia di poter rilasciare i gradi accademici, rispettivamente del baccalaureato e della licenza ecclesiastica, attraverso la Facoltà affiliante ed aggregante;

- le istituzioni di teologia che sono affiliate o aggregate ad una Facoltà di teologia.

1) La riforma nelle Facoltà ecclesiastiche di filosofia

La riforma riguarda principalmente tre punti: il numero degli anni di studi, il curricolo degli studi, il corpo docente.

a) Il numero degli anni di studi

Il primo ciclo che conduce al baccalaureato, cioè il primo grado degli studi ecclesiastici, finora durava due anni o quattro semestri. D’ora in poi durerà tre anni o sei semestri o, secondo la misura in vigore in Europa nell’ambito del processo di Bologna, dovrà contare 180 crediti. Quindi durerà un anno in più. Certo, il modello della formazione teologica ha influenzato la decisione che era stata presa per un periodo di due anni: infatti, questa formazione richiede solo un biennio per l’entrata negli studi di teologia. Ma l’esperienza ha dimostrato che questa durata non era sufficiente. L’acquisizione delle competenze fondamentali richiede una durata minima maggiore, che è stata fissata in un triennio.

b) Il curricolo degli studi

Il secondo punto di attenzione riguarda i contenuti, vale a dire il programma di studi. Le Norme applicative della Costituzione Apostolica Sapientia christiana elencano le "discipline obbligatorie" (art. 60, 1): "la Filosofia della conoscenza, la Filosofia della natura, la Filosofia dell’uomo, la Filosofia dell’essere (comprendente anche la Teologia naturale) e la Filosofia morale". Il documento aggiunge una disciplina che è strutturante per la vita della ragione: la logica. In particolare, sottolinea il ruolo della metafisica. P. Charles Morerod affronterà questo tema fondamentale.

Inoltre, la riforma stabilisce una gerarchia tra le materie secondo il loro grado di obbligo, distinguendo fra tre tipi di materie: materie obbligatorie fondamentali (come la Filosofia sistematica e la storia della Filosofia), materie obbligatorie complementari (come la metodologia, le lingue) e materie complementari opzionali (come elementi di letteratura o di scienze umane).

Infine, voglio sottolineare un punto: troppo spesso, in filosofia (così come in teologia), gli studenti si accontentano di leggere i manuali e non hanno accesso alle fonti. Quindi la nostra Riforma sottolinea l’importanza della "lettura dei testi degli autori più significativi" (Ord., art. 60, 1).

c) Il corpo docente

La riforma riguarda infine il corpo docente, che deve rispondere a certe esigenze:

1. Il bene fondamentale di un’istituzione di istruzione superiore, qualunque essa sia, è che il corpo docente sia stabile. Ricordiamo che il requisito della presenza di un docente a tempo pieno, è legato non solo ai carichi di insegnamento, ma anche a tre altre funzioni: attività di ricerca, monitoraggio degli studenti e assunzione dei compiti amministrativi.

2. Gli insegnanti devono essere adeguatamente qualificati, vale a dire, in possesso di un dottorato in filosofia. In linea di principio, questo titolo deve essere ecclesiastico. Data la difficoltà di ottenere un dottorato ecclesiastico in filosofia, il documento prevede le condizioni per accogliere un insegnante con un dottorato non-ecclesiastico.

3. Infine, la Facoltà ecclesiastica di Filosofia deve avere un numero minimo di docenti stabili, vale a dire sette. Il criterio centrale è quello che si applica a tutte le Facoltà ecclesiastiche: devono essere coperte le materie fondamentali.

2) La riforma nel primo ciclo delle Facoltà ecclesiastiche di teologia e degli Istituti affiliati in teologia

La riforma degli studi ecclesiastici di filosofia si riferisce anche agli studi di teologia: "Una solida formazione filosofica […] è necessariamente propedeutica alla teologia", dice la Costituzione Apostolica Sapientia christiana. Ecco perché il primo ciclo delle Facoltà ecclesiastiche di teologia comprende "le discipline filosofiche richieste per la Teologia" (Ord., art. 51, 1, a). Quindi, troviamo nuovamente i tre punti già citati:

a) Il numero di anni di studi

La Costituzione Apostolica Sapientia christiana dice, a proposito della Facoltà ecclesiastica di teologia, che il "primo ciclo, istituzionale, […] si protrae per un quinquennio o dieci semestri, oppure per un triennio, se prima di esso è richiesto il biennio di filosofia" (art. 72, a). La nostra pratica mostra che la durata della formazione filosofica è de iure sufficiente: rimane quindi invariata e non sarà aumentata.

Tuttavia, de facto, troviamo che la formazione filosofica all’interno di tali Facoltà è spesso insufficiente, in quantità e qualità. Pertanto, la riforma precisa la durata esatta della formazione: "Escluse le scienze umane, le discipline strettamente filosofiche (cfr Ord., Art. 60, 1° a) devono costituire almeno il 60% del numero dei crediti dei primi due anni" (Ord., art. 51, 1, a).

Quello che si dice della Facoltà ecclesiastica di teologia vale anche per i Seminari Maggiori affiliati: se la formazione totale è più lunga, in quanto si tratta di un sessennio, tuttavia, la durata della formazione filosofica sarà quella del primo ciclo della Facoltà di teologia.

b) Il curricolo degli studi

La Costituzione Sapientia christiana precisa che, nel primo ciclo, "le discipline filosofiche richieste per la Teologia […] sono soprattutto la Filosofia sistematica, con le sue parti principali, e la sua evoluzione storica" (Ord., art. 51, 1, a). La riforma non modifica il contenuto, ma precisa due punti.

In primo luogo, se altre opzioni hanno la loro coerenza e la loro fecondità, la Congregazione è molto più favorevole – soprattutto nel contesto attuale di "eclissi della ragione" – a che i primi due anni siano principalmente dedicati alla filosofia, dato che generalmente vengono introdotti anche alcuni corsi introduttivi di teologia, Sacra Scrittura, ecc.

Di fronte alla debolezza della formazione filosofica, il decreto ribadisce l’importanza delle materie sistematiche: la sola conoscenza della storia della filosofia e delle varie correnti non basta. L’informazione non è formazione. Quest’ultima consente di acquisire un giudizio e un discernimento nell’ambito propriamente filosofico, oggi ancora più necessario che prima di fronte all’accesso alle conoscenze facilitato da Internet.

c) Il corpo docente

Infine, l’esperienza dimostra che non è raro che manchi un corpo docente abbastanza qualificato in filosofia (ad esempio i corsi saranno affidati a teologi che hanno ricevuto una vaga formazione filosofica), o che siano impiegati quasi esclusivamente docenti esterni, e quindi non stabili, o insegnanti con un grado civile e non ecclesiastico in filosofia. Per questo le Norme applicative (Ordinationes) precisano che "il numero degli insegnanti stabili deve essere almeno due" (art. 62 bis, § 3), con le qualifiche richieste.

3) La riforma all’interno degli Istituti affiliati in filosofia

I punti sviluppati precedentemente mi permettono di essere molto più breve, dal momento che molti punti sono stati già presentati.

Tutto ciò che è stato detto a proposito del primo ciclo della Facoltà ecclesiastica circa la durata degli studi (tre anni) e il curricolo degli studi vale anche per l’istituzione affiliata.

Tuttavia, resta inteso che le prescrizioni nei confronti del corpo docente sono minori. Ciò nonostante, il criterio rimane quello della necessità che le cattedre principali siano coperte da insegnanti stabili dovutamente qualificati. Dato che le materie sistematiche sono cinque (e le parti della storia della filosofia, quattro), "il numero dei docenti stabili in un istituto filosofico affiliato deve essere di almeno cinque con le qualifiche richieste" (Ordinationes, Art. 62 bis, § 1).

Conclusione

Abbiamo parlato della seconda parte, giuridica, del documento. Ma la prima parte, descrittiva e esortativa, del futuro documento sulla riforma degli studi ecclesiastici di filosofia non è solamente un’introduzione. E’ almeno tanto importante quanto l’altra. Lo sappiamo bene: lo spirito conta più della lettera, anche se questa è necessaria per la sua incarnazione. E questo vale anche per "lo spirito delle leggi".

[00403-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DEL REV.MO P. CHARLES MOREROD, O.P. 

L’importanza della metafisica per lo studio della teologia

Il cristianesimo presuppone un’armonia fra Dio e la ragione umana. La ricerca filosofica può dunque essere fiduciosa e il credente può evitare di opporre alla propria fede una verità trovata con la ragione. Questa fiducia spinge addirittura il credente a cercare di capire il mondo, perché "l’errore [sulle creature] può portare all’errore circa le cose di Dio" (S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, libro II, cap.4).

Il Decreto di Riforma degli studi ecclesiastici di Filosofia invita i filosofi a "ricuperare con forza la ‘vocazione originaria’ della filosofia: la ricerca del vero e la sua dimensione sapienziale e metafisica" (§ 3). Si tratta d’una "sottolineatura del carattere sapienziale e metafisico" della filosofia (§ 4) che non nega il ruolo delle altre branche della filosofia stessa. Il ruolo centrale della metafisica deve, dunque, essere capito alla luce dell’importanza di tutta la filosofia nella conoscenza umana.

L’importanza della filosofia è legata direttamente al desiderio umano di conoscere la verità e di organizzarla. L’esperienza mostra che la conoscenza della filosofia aiuta ad organizzare meglio, in cooperazione con altre discipline, lo studio di qualsiasi scienza. La metafisica mira a conoscere l’insieme della realtà – culminante nella conoscenza della Causa prima di tutto – e a mostrare il mutuo rapporto tra i vari campi del sapere, evitando la chiusura delle singole scienze su se stesse. La metafisica evita, anche, di separare i diversi contenuti della stessa filosofia e, addirittura, della vita umana: un metafisico non crederà di dover opporre verità e bene, conoscenza e amore.

Anche la teologia deve essere attenta a non chiudersi in se stessa. Se ciò accadesse, diventerebbero difficili il dialogo dei teologi con gli altri campi del sapere e la risposta alle critiche rivolte contro la fede. In ogni caso, una teologia senza filosofia è semplicemente impossibile, perché nessuno si accosta alla teologia senza avere delle idee previe, che in parte sono filosofiche. La Bibbia, in quanto solo testo, non trasmette la rivelazione: il suo contenuto deve essere conosciuto. Quel che pensa il lettore d’un brano biblico sarà la mescolanza degli elementi contenuti nel testo con altri contenuti. Papa Giovanni Paolo II riassunse l’impatto dell’inevitabile filosofia sulla teologia: "Se il teologo si rifiutasse di avvalersi della filosofia, rischierebbe di far filosofia a sua insaputa e di rinchiudersi in strutture di pensiero poco adatte all’intelligenza della fede." (Fides et ratio, § 77).

Lo studio della filosofia aiuta il teologo ad essere cosciente dei propri presupposti filosofici, a criticarli e ad evitare d’imporre alla sua teologia o alla sua predicazione un quadro concettuale incompatibile con la fede. Per essere giusta, la riflessione critica sulle teorie filosofiche deve cercare la verità al di là delle apparenze. Un filosofo non-cristiano può essere utile alla teologia, mentre un filosofo cristiano che vuole dimostrare l’esistenza di Dio può aver un impatto contrario.

Un problema cruciale per la teologia è la possibilità di parlare di Dio attraverso le parole plasmate per descrivere il mondo: non abbiamo altre espressioni a nostra disposizione. Prima di tutto, le nostre parole devono poter dire qualcosa di vero a proposito della realtà, altrimenti la stessa Bibbia non affermerebbe niente. Inoltre, le nostre parole devono poter descrivere diversi livelli della realtà: una stessa parola, infatti, utilizzata in biologia, in poesia o in teologia non ha un significato totalmente identico, ma neanche necessariamente un significato totalmente diverso. Capire l’uso del linguaggio presuppone, prima di tutto, uno studio delle diverse dimensioni del reale e, successivamente, dello stesso linguaggio.

In che modo possiamo dire qualcosa a proposito di Dio? Senza risposta filosofica, tale domanda può squalificare la teologia nel suo insieme. Descrivendo Dio come "persona" o come "amore" lo facciamo a nostra immagine? Questo dipende prima di tutto da quel che intendiamo per "causa". Già San Tommaso riteneva che potessimo parlare di Dio con parole umane, perché Dio è la Causa prima del mondo. Tuttavia, se parlassimo di Dio soltanto perché è causa delle creature, "ne seguirebbe che tutti i nomi applicati a Dio, si direbbero di lui per derivazione" (Ia, q.13, a.2). In altre parole, Dio sarebbe immagine del mondo… Per evitare tale trappola, dobbiamo aggiungere che la causa divina è infinitamente superiore ai suoi effetti, tanto che le perfezioni limitate, trovate da noi nelle creature, sono prima in Dio e che in Lui sono infinite e unite nella semplicità. Queste precisazioni sono metafisiche.

Alla critica medievale dell’uso teologico del linguaggio e della causalità, succede la critica moderna. Possiamo parlare di Dio come causa senza farne una parte delle cause di questo mondo? La domanda è cruciale e per parlarne è utile non rinchiudersi totalmente in una prospettiva che limiti la causalità alla causa efficiente, ad un processo intramentale, o che limiti il suo uso ad un solo livello della realtà. Come in ogni dialogo, la critica rinvoltaci deve essere studiata in se stessa, ma non limitata alla prospettiva dell’interlocutore. La metafisica può allargare gli orizzonti.

La causa non è soltanto causa efficiente. In altre parole, per capire noi stessi non basta conoscere i nostri genitori: questo è certamente utile, ma non basta per vivere (perciò i genitori hanno un dovere educativo). La realtà non si capisce senza la causa grazie alla quale si fa qualcosa, cioè la causa finale, lo scopo.

Ad esempio, la catechesi viene spesso confrontata con domande sulla relazione fra l’evoluzione delle specie e la storia biblica della creazione. I tentativi di passare direttamente dalla teologia alla biologia sono poco fruttuosi. Ci vuole una mediazione filosofica. La filosofia dovrà porsi una domanda sulla forma originaria dell’evoluzionismo, quella darwiniana: come fa a spiegare quel che ci sta descrivendo, cioè l’onnipresenza della causa finale? Un evoluzionismo finalizzato non esclude l’azione divina, anche se non la mostra direttamente.

Il catechista che tratta dell’evoluzione è tentato di squalificare la Bibbia come Parola di Dio, o di rinchiudersi in un fondamentalismo che nega la verità delle scoperte scientifiche. Per evitare tale disastrosa alternativa è necessario studiare un altro aspetto della causalità, cioè la relazione fra diversi livelli di causalità in uno stesso effetto. Dietro questa questione tecnica si nasconde la possibilità di capire come il testo biblico può aver Dio come autore, e allo stesso tempo degli autori umani. Lo stesso problema si pone in altri settori della teologia: chi dà la grazia del sacramento, solo Dio o Dio e il sacerdote? In altre parole: perché la Chiesa? Dio non ci può salvare da solo? C’è una risposta teologica: Gesù ha chiamato degli apostoli. Ma per capire il senso di tale risposta, spiegarla e legarla al resto del sapere, è necessaria la metafisica.

[00404-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0166-XX.01]