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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XLVI GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI, 31.03.2009


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA XLVI GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Il 3 maggio 2009, IV Domenica di Pasqua, si celebra la 46ma Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni sul tema: "La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana".

Pubblichiamo di seguito il Messaggio che il Santo Padre Benedetto XVI invia per l’occasione ai Vescovi, ai sacerdoti ed ai fedeli di tutto il mondo:

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

In occasione della prossima Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, che sarà celebrata il 3 maggio 2009, Quarta Domenica di Pasqua, mi è gradito invitare l’intero Popolo di Dio a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana. Risuona perenne nella Chiesa l’esortazione di Gesù ai suoi discepoli: "Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!" (Mt 9,38). Pregate! Il pressante appello del Signore sottolinea come la preghiera per le vocazioni debba essere ininterrotta e fiduciosa. Solamente se animata dalla preghiera infatti, la comunità cristiana può effettivamente "avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina" (Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis, 26).

La vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata costituisce uno speciale dono divino, che si inserisce nel vasto progetto d’amore e di salvezza che Iddio ha su ogni uomo e per 1’intera umanità. L’apostolo Paolo, che ricordiamo in modo speciale durante quest’Anno Paolino nel bimillenario della sua nascita, scrivendo agli Efesini afferma: "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità" (Ef 1,3-4). Nell’universale chiamata alla santità risalta la peculiare iniziativa di Dio, con cui sceglie alcuni perché seguano più da vicino il suo Figlio Gesù Cristo, e di lui siano ministri e testimoni privilegiati. Il divino Maestro chiamò personalmente gli Apostoli "perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni" (Mc 3,14-15); essi, a loro volta, si sono associati altri discepoli, fedeli collaboratori nel ministero missionario. E così, rispondendo alla chiamata del Signore e docili all’azione dello Spirito Santo, schiere innumerevoli di presbiteri e di persone consacrate, nel corso dei secoli, si sono poste nella Chiesa a totale servizio del Vangelo. Rendiamo grazie al Signore che anche oggi continua a convocare operai per la sua vigna. Se è pur vero che in talune regioni della terra si registra una preoccupante carenza di presbiteri, e che difficoltà e ostacoli accompagnano il cammino della Chiesa, ci sorregge l’incrollabile certezza che a guidarla saldamente nei sentieri del tempo verso il compimento definitivo del Regno è Lui, il Signore, che liberamente sceglie e invita alla sua sequela persone di ogni cultura e di ogni età, secondo gli imperscrutabili disegni del suo amore misericordioso.

Nostro primo dovere è pertanto di mantenere viva, con preghiera incessante, questa invocazione dell’iniziativa divina nelle famiglie e nelle parrocchie, nei movimenti e nelle associazioni impegnati nell’apostolato, nelle comunità religiose e in tutte le articolazioni della vita diocesana. Dobbiamo pregare perché 1’intero popolo cristiano cresca nella fiducia in Dio, persuaso che il "padrone della messe" non cessa di chiedere ad alcuni di impegnare liberamente la loro esistenza per collaborare con lui più strettamente nell’opera della salvezza. E da parte di quanti sono chiamati si esige attento ascolto e prudente discernimento, generosa e pronta adesione al progetto divino, serio approfondimento di ciò che è proprio della vocazione sacerdotale e religiosa per corrispondervi in modo responsabile e convinto. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda opportunamente che la libera iniziativa di Dio richiede la libera risposta dell’uomo. Una risposta positiva che presuppone sempre 1’accettazione e la condivisione del progetto che Dio ha su ciascuno; una risposta che accolga 1’iniziativa d’amore del Signore e diventi per chi è chiamato un’esigenza morale vincolante, un riconoscente omaggio a Dio e una totale cooperazione al piano che Egli persegue nella storia (cfr n. 2062).

Contemplando il mistero eucaristico, che esprime in modo sommo il libero dono fatto dal Padre nella Persona del Figlio Unigenito per la salvezza degli uomini, e la piena e docile disponibilità di Cristo nel bere fino in fondo il "calice" della volontà di Dio (cfr Mt 26,39), comprendiamo meglio come "la fiducia nell’iniziativa di Dio" modelli e dia valore alla "risposta umana". Nell’Eucaristia, il dono perfetto che realizza il progetto d’amore per la redenzione del mondo, Gesù si immola liberamente per la salvezza dell’umanità. "La Chiesa - ha scritto il mio amato predecessore Giovanni Paolo II - ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza" (Enc. Ecclesia de Eucharistia, 11).

A perpetuare questo mistero salvifico nei secoli, sino al ritorno glorioso del Signore, sono destinati i presbiteri, che proprio in Cristo eucaristico possono contemplare il modello esimio di un "dialogo vocazionale" tra la libera iniziativa del Padre e la fiduciosa risposta del Cristo. Nella celebrazione eucaristica è Cristo stesso che agisce in coloro che Egli sceglie come suoi ministri; li sostiene perché la loro risposta si sviluppi in una dimensione di fiducia e di gratitudine che dirada ogni paura, anche quando si fa più forte 1’esperienza della propria debolezza (cfr Rm 8,26-30), o si fa più aspro il contesto di incomprensione o addirittura di persecuzione (cfr Rm 8,35-39).

La consapevolezza di essere salvati dall’amore di Cristo, che ogni Santa Messa alimenta nei credenti e specialmente nei sacerdoti, non può non suscitare in essi un fiducioso abbandono in Cristo che ha dato la vita per noi. Credere nel Signore ed accettare il suo dono, porta dunque ad affidarsi a Lui con animo grato aderendo al suo progetto salvifico. Se questo avviene, il "chiamato" abbandona volentieri tutto e si pone alla scuola del divino Maestro; ha inizio allora un fecondo dialogo tra Dio e l’uomo, un misterioso incontro tra l’amore del Signore che chiama e la libertà dell’uomo che nell’amore gli risponde, sentendo risuonare nel suo animo le parole di Gesù: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15,16).

Questo intreccio d’amore tra l’iniziativa divina e la risposta umana è presente pure, in maniera mirabile, nella vocazione alla vita consacrata. Ricorda il Concilio Vaticano II: "I consigli evangelici della castità consacrata a Dio, della povertà e dell’obbedienza, essendo fondati sulle parole e sugli esempi del Signore, e raccomandati dagli Apostoli, dai Padri, dai dottori e dai pastori della Chiesa, sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva" (Cost. Lumen gentium, 43). Ancora una volta, è Gesù il modello esemplare di totale e fiduciosa adesione alla volontà del Padre, a cui ogni persona consacrata deve guardare. Attratti da lui, fin dai primi secoli del cristianesimo, molti uomini e donne hanno abbandonato famiglia, possedimenti, ricchezze materiali e tutto quello che umanamente è desiderabile, per seguire generosamente il Cristo e vivere senza compromessi il suo Vangelo, diventato per essi scuola di radicale santità. Anche oggi molti percorrono questo stesso esigente itinerario di perfezione evangelica, e realizzano la loro vocazione con la professione dei consigli evangelici. La testimonianza di questi nostri fratelli e sorelle, nei monasteri di vita contemplativa come negli istituti e nelle congregazioni di vita apostolica, ricorda al popolo di Dio "quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli" (Esort. ap. postsinodale Vita consecrata, 1).

Chi può ritenersi degno di accedere al ministero sacerdotale? Chi può abbracciare la vita consacrata contando solo sulle sue umane risorse? Ancora una volta, è utile ribadire che la risposta dell’uomo alla chiamata divina, quando si è consapevoli che è Dio a prendere l’iniziativa ed è ancora lui a portare a termine il suo progetto salvifico, non si riveste mai del calcolo timoroso del servo pigro che per paura nascose sotto terra il talento affidatogli (cfr Mt 25,14-30), ma si esprime in una pronta adesione all’invito del Signore, come fece Pietro quando non esitò a gettare nuovamente le reti pur avendo faticato tutta la notte senza prendere nulla, fidandosi della sua parola (cfr Lc 5,5). Senza abdicare affatto alla responsabilità personale, la libera risposta dell’uomo a Dio diviene così "corresponsabilità", responsabilità in e con Cristo, in forza dell’azione del suo Santo Spirito; diventa comunione con Colui che ci rende capaci di portare molto frutto (cfr Gv 15,5).

Emblematica risposta umana, colma di fiducia nell’iniziativa di Dio, è l’"Amen" generoso e pieno della Vergine di Nazaret, pronunciato con umile e decisa adesione ai disegni dell’Altissimo, a Lei comunicati dal messo celeste (cfr Lc 1,38). II suo pronto "si" permise a Lei di diventare la Madre di Dio, la Madre del nostro Salvatore. Maria, dopo questo primo "fiat", tante altre volte dovette ripeterlo, sino al momento culminante della crocifissione di Gesù, quando "stava presso la croce", come annota l’evangelista Giovanni, compartecipe dell’atroce dolore del suo Figlio innocente. E proprio dalla croce, Gesù morente ce l’ha data come Madre ed a Lei ci ha affidati come figli (cfr Gv 19,26-27), Madre specialmente dei sacerdoti e delle persone consacrate. A Lei vorrei affidare quanti avvertono la chiamata di Dio a porsi in cammino nella via del sacerdozio ministeriale o nella vita consacrata.

Cari amici, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà e ai dubbi; fidatevi di Dio e seguite fedelmente Gesù e sarete i testimoni della gioia che scaturisce dall’unione intima con lui. Ad imitazione della Vergine Maria, che le generazioni proclamano beata perché ha creduto (cfr Lc 1,48), impegnatevi con ogni energia spirituale a realizzare il progetto salvifico del Padre celeste, coltivando nel vostro cuore, come Lei, la capacità di stupirvi e di adorare Colui che ha il potere di fare "grandi cose" perché Santo è il suo nome (cfr ibid., 1,49).

Dal Vaticano, 20 Gennaio 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Vénérables Frères dans l’Épiscopat et dans le Sacerdoce,

Chers frères et sœurs!

Pour la prochaine Journée Mondiale de prière pour les vocations au sacerdoce et à la vie consacrée, qui sera célébrée le 3 mai 2009, Quatrième Dimanche de Pâques, j’ai choisi d’inviter tout le Peuple de Dieu à réfléchir sur le thème: la confiance en l’initiative divine et la réponse humaine. L’exhortation de Jésus à ses disciples résonne sans cesse dans l’Église: «Priez donc le Maître de la moisson, afin qu’il envoie des ouvriers à sa moisson!» (Mt 9,38). Priez! L’appel pressant du Seigneur montre comment la prière pour les vocations doit être incessante et confiante. C’est, de fait, seulement si elle est animée par la prière que la communauté chrétienne peut effectivement «avoir plus de foi et d'espérance en l'initiative divine» (Exhort. apost. post-synodale Sacramentum caritatis, n. 26).

La vocation au sacerdoce et à la vie consacrée constitue un don divin spécial qui s’insère dans le vaste projet d’amour et de salut que Dieu a sur chaque homme et sur l’humanité entière. Dans sa lettre aux Éphésiens, l’apôtre Paul, dont nous faisons mémoire de façon spéciale pendant cette Année paulinienne du bimillénaire de sa naissance, dit: «Dieu, le Père de notre Seigneur Jésus Christ, qui nous a bénis par toutes sortes de bénédictions spirituelles, aux cieux, dans le Christ, nous a élus en lui dès avant la création du monde pour être saints et immaculés en sa présence, dans l’amour» (Ep 1,3-4).

Dans l’appel universel à la sainteté se détache l’initiative spéciale de Dieu qui choisit certains afin qu’ils suivent son Fils Jésus Christ de plus près et soient ses ministres et ses témoins privilégiés. Le Divin Maître appela personnellement les Apôtres «pour qu’ils soient avec lui et pour les envoyer prêcher avec le pouvoir de chasser les démons» (Mc 3,14-15); ceux-ci, à leur tour, se sont associés d’autres disciples, fidèles collaborateurs dans le ministère missionnaire. Et c’est ainsi que dans l’Église, au long des siècles, en répondant à l’appel du Seigneur et en se montrant dociles à l’action de l’Esprit Saint, une multitude de prêtres et de personnes consacrées se sont mises au service exclusif de l’Évangile. Rendons grâce au Seigneur qui, encore aujourd’hui, continue d’embaucher des ouvriers pour sa vigne. Il est vrai que dans telle ou telle région de la terre on constate un manque préoccupant de prêtres et que des difficultés et des obstacles se dressent sur le chemin de l’Église; cependant nous sommes soutenus par la ferme certitude que le Seigneur guide l’Église avec sûreté sur les sentiers de l’histoire vers l’accomplissement définitif du Royaume, lui qui choisit librement et invite à sa suite des personnes de toute culture et de tout âge, selon les insondables desseins de son amour miséricordieux.

Notre premier devoir est donc de maintenir vivante, par une prière incessante, notre supplication pour que s’exerce cette initiative divine dans les familles et les paroisses, dans les mouvements et les associations engagés dans l’apostolat, dans les communautés religieuses et dans toutes les structures de la vie diocésaine. Nous devons prier pour que le peuple chrétien tout entier grandisse dans la confiance en Dieu, dans la certitude que le «maître de la moisson» ne cesse pas de demander à certains de consacrer librement leur existence pour collaborer plus étroitement avec lui à l’œuvre du salut. Et de la part de ceux qui sont appelés, il faut une écoute attentive et un discernement prudent, une prompte et généreuse adhésion au projet divin, un sérieux approfondissement de ce qui est le propre de la vocation sacerdotale et religieuse afin d’y correspondre de façon responsable et convaincue. Le Catéchisme de l’Église Catholique rappelle avec justesse que la libre initiative de Dieu requiert la libre réponse de l’homme. Il s’agit d’une réponse positive qui présuppose toujours l’acceptation du projet que Dieu a sur chacun et la coopération à celui-ci; une réponse qui accueille l’initiative d’amour du Seigneur et devienne pour qui est appelé une exigence morale qui engage, un hommage reconnaissant à Dieu et une pleine coopération au plan qu’il poursuit dans l’histoire (cf. n. 2062).

En contemplant le mystère eucharistique, qui exprime de la façon la plus haute le don libre fait par le Père dans la Personne de son Fils Unique pour le salut des hommes, et la disponibilité pleine et docile du Christ à boire jusqu’à la lie la «coupe» de la volonté de Dieu (cf. Mt 26,39), nous comprenons mieux comment «la confiance dans l’initiative divine» modèle et donne valeur à la «réponse humaine». Dans l’Eucharistie, don parfait qui réalise le projet d’amour pour la rédemption du monde, Jésus s’immole librement pour le salut de l’humanité. «L'Église - a écrit mon bien-aimé prédécesseur Jean-Paul II - a reçu l'Eucharistie du Christ son Seigneur non comme un don, pour précieux qu'il soit parmi bien d'autres, mais comme le don par excellence, car il est le don de lui-même, de sa personne dans sa sainte humanité, et de son œuvre de salut» (Encycl. Ecclesia de Eucharistia, n. 11).

Les prêtres sont destinés à perpétuer ce mystère salvifique à travers les siècles jusqu’au retour glorieux du Seigneur, et c’est précisément dans le Christ eucharistique qu’ils peuvent contempler le modèle parfait d’un «dialogue vocationnel» entre la libre initiative du Père et la réponse confiante du Christ. Dans la célébration eucharistique, c’est le Christ qui agit en ceux qu’Il choisit comme ses ministres; il les soutient pour que leur réponse se déploie en une attitude de confiance et de gratitude qui dissipe toute peur, même quand devient plus forte l’expérience de la faiblesse personnelle (cf. Rm 8,26-30) ou plus rude le contexte d’incompréhension, voire même de persécution.

La conscience d’être sauvés par l’amour du Christ, que chaque Messe alimente chez les croyants et spécialement chez les prêtres, ne peut pas ne pas susciter en eux un abandon confiant dans le Christ qui a donné sa vie pour nous. Croire au Seigneur et accepter son don conduit donc à s’abandonner à Lui avec un cœur reconnaissance, en adhérant à son projet salvifique. Quand cela advient, volontiers l’«appelé» abandonne tout et se met à l’école du divin Maître; un dialogue fécond s’instaure alors entre Dieu et l’homme, une rencontre mystérieuse se réalise entre l’amour du Seigneur qui appelle et la liberté de l’homme qui lui répond dans l’amour tandis que résonnent en lui les paroles de Jésus: «Ce n’est pas vous qui m’avez choisi, mais moi qui vous ai choisis et vous ai établis pour que vous alliez et portiez du fruit, et que votre fruit demeure» (Jn 15,16).

Cet échange d’amour entre l’initiative divine et la réponse humaine est également présent, d’une manière admirable, dans la vocation à la vie consacrée. Le Concile Vatican II rappelle: «Les conseils évangéliques de la chasteté consacrée à Dieu, de la pauvreté et de l'obéissance, fondés sur les paroles et les exemples du Seigneur et recommandés par les Apôtres, les Pères, les docteurs et les pasteurs de l'Église, sont un don divin que l'Église a reçu de son Seigneur et qu'elle conserve toujours avec sa grâce» (Const. Lumen gentium, n. 43). Là encore, Jésus est le modèle exemplaire d’une pleine et confiante adhésion à la volonté du Père, que chaque personne consacrée doit regarder. Attirés par lui, une multitude d’hommes et de femmes ont, depuis les premiers siècles du christianisme, abandonné famille, propriétés, richesses matérielles et tout ce qui est humainement désirable, pour suivre généreusement le Christ et vivre sans compromis son Évangile devenu pour eux une école de sainteté radicale. Aujourd’hui encore, beaucoup parcourent cet exigeant chemin de perfection évangélique et réalisent leur vocation par la profession des conseils évangéliques. Le témoignage de ces frères et de ces sœurs, dans les monastères de vie contemplative comme dans les instituts et les congrégations de vie apostolique, rappelle au peuple de Dieu «le mystère du Royaume de Dieu, qui agit déjà dans l'histoire, mais qui attend de prendre sa pleine dimension dans les cieux» (Exhort. apost. post-synodale Vita consecrata, n. 1).

Qui peut se juger digne d’accéder au ministère sacerdotal? Qui, en ne comptant que sur ses seules forces humaines, peut embrasser la vie consacrée? Il est utile, une fois encore, de rappeler que la réponse de l’homme à l’appel divin – quand on est conscient que c’est Dieu qui prend l’initiative et que c’est lui aussi qui conduit le projet salvifique à son terme – ne ressemble jamais au calcul craintif du serviteur paresseux qui, par peur, a enfoui dans la terre le talent qui lui a été confié (cf. Mt 25, 14-30), mais s’exprime en une prompte adhésion à l’invitation du Seigneur, comme le fit Pierre quand il n’hésita pas à jeter de nouveau les filets en se fiant à sa parole, alors qu’il avait peiné toute la nuit sans rien prendre (cf. Lc 5,5). Sans abdiquer en rien sa responsabilité personnelle, la libre réponse de l’homme à Dieu devient ainsi «coresponsabilité», responsabilité dans et avec le Christ, dans la puissance de l’action de son Esprit Saint; elle devient communion avec Celui qui nous rend capables de porter beaucoup de fruit (cf. Jn 15,5).

Nous trouvons une réponse humaine emblématique, une réponse de totale confiance en l’initiative divine, dans l’«Amen» généreux et plénier que la Vierge de Nazareth a prononcé dans une adhésion humble et décidée aux desseins du Très-Haut que l’envoyé céleste lui a communiqués (cf. Lc 1,38). La promptitude de son «oui» lui permit de devenir la Mère de Dieu, la Mère de notre Sauveur. Marie dut ensuite répéter tant d’autres fois ce premier «fiat», jusqu’au moment culminant de la crucifixion de Jésus, alors qu’elle «se tenait près de la croix», comme le note l’évangéliste Jean, participant à l’atroce douleur de son Fils innocent. Et précisément sur la croix, Jésus mourant nous l’a donnée comme Mère et nous a confiés à elle comme ses fils (cf. Jn 19,26-27), Mère spécialement des prêtres et des personnes consacrées. Je voudrais lui confier ceux qui entendent l’appel de Dieu à se mettre en marche sur la route du sacerdoce ministériel ou de la vie consacrée.

Chers amis, ne vous découragez pas devant les difficultés et les doutes; confiez-vous à Dieu et suivez fidèlement Jésus, et vous serez les témoins de la joie qui jaillit de l’union intime avec lui. A l’imitation de la Vierge Marie, que les génération proclament bienheureuse parce qu’elle a cru (cf. Lc 1,48), engagez-vous avec toute votre énergie spirituelle pour réaliser le projet salvifique du Père céleste, en cultivant comme elle, dans votre cœur, la capacité de vous émerveiller et d’adorer Celui qui a le pouvoir de faire de «grandes choses» parce que Saint est son nom (cf. ibid., 1,49).

Du Vatican, le 20 janvier 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers in the Episcopate and in the Priesthood,

Brothers and Sisters,

On the occasion of the next World Day of prayer for vocations to the priesthood and to the consecrated life, which will be celebrated on 3 May 2009, the Fourth Sunday of Easter, I want to invite all the People of God to reflect on the theme: Faith in the divine initiative - the human response. The exhortation of Jesus to his disciples: "Pray therefore the Lord of the harvest to send out labourers into his harvest" (Mt 9:38) has a constant resonance in the Church. Pray! The urgent call of the Lord stresses that prayer for vocations should be continuous and trusting. The Christian community can only really "have ever greater faith and hope in God's providence" (Sacramentum Caritatis, 26) if it is enlivened by prayer.

The vocation to the priesthood and to the consecrated life constitutes a special gift of God which becomes part of the great plan of love and salvation that God has for every man and woman and for the whole of humanity. The Apostle Paul, whom we remember in a special way during this Pauline Year dedicated to the Two-thousandth anniversary of his birth, writing to the Ephesians says, "Blessed be the God and Father of our Lord Jesus Christ, who has blessed us in Christ with every spiritual blessing in the heavenly places, even as he chose us in him before the foundation of the world, that we should be holy and blameless before him" (Ef 1:3-4). In the universal call to holiness, of particular relevance is God’s initiative of choosing some to follow his Son Jesus Christ more closely, and to be his privileged ministers and witnesses. The divine Master personally called the Apostles "to be with him, and to be sent out to preach and have authority to cast out demons" (Mk 3:14-15); they, in turn, gathered other disciples around them as faithful collaborators in this mission. In this way, responding to the Lord’s call and docile to the movement of the Holy Spirit, over the centuries, countless ranks of priests and consecrated persons placed themselves totally at the service of the Gospel in the Church. Let us give thanks to God, because even today he continues to call together workers into his vineyard. While it is undoubtedly true that a worrisome shortage of priests is evident in some regions of the world, and that the Church encounters difficulties and obstacles along the way, we are sustained by the unshakable certitude that the one who firmly guides her in the pathways of time towards the definitive fulfilment of the Kingdom is he, the Lord, who freely chooses persons of every culture and of every age and invites them to follow him according to the mysterious plans of his merciful love.

Our first duty, therefore, is to keep alive in families and in parishes, in movements and in apostolic associations, in religious communities and in all the sectors of diocesan life this appeal to the divine initiative with unceasing prayer. We must pray that the whole Christian people grows in its trust in God, convinced that the "Lord of the harvest" does not cease to ask some to place their entire existence freely at his service so as to work with him more closely in the mission of salvation. What is asked of those who are called, for their part, is careful listening and prudent discernment, a generous and willing adherence to the divine plan, and a serious study of the reality that is proper to the priestly and religious vocations, so as to be able to respond responsibly and with conviction.

The Catechism of the Catholic Church rightly reminds us that God’s free initiative requires a free response on the part of men and women; a positive response which always presupposes acceptance of and identification with the plan that God has for everyone; a response which welcomes the Lord’s loving initiative and becomes, for the one who is called, a binding moral imperative, an offering of thanksgiving to God and a total cooperation with the plan which God carries out in history (cf. n. 2062).

Contemplating the mystery of the Eucharist, which expresses in a sublime way the free gift of the Father in the Person of his Only Begotten Son for the salvation of mankind, and the full and docile readiness of Christ to drink to the dregs the "cup" of the will of God (cf. Mt 26:39), we can more readily understand how "faith in the divine initiative" models and gives value to the "human response". In the Eucharist, that perfect gift which brings to fulfilment the plan of love for the redemption of the world, Jesus offers himself freely for the salvation of mankind. "The Church", my beloved predecessor John Paul II wrote, "has received the Eucharist from Christ her Lord not as a gift – however precious – among so many others, but as the gift par excellence, for it is the gift of himself, of his person in his sacred humanity, as well as the gift of his saving work" (Ecclesia de Eucharistia, 11).

It is priests who are called to perpetuate this salvific mystery from century to century until the Lord’s glorious return, for they can contemplate, precisely in the Eucharistic Christ, the eminent model of a "vocational dialogue" between the free initiative of the Father and the faithful response of Christ. In the celebration of the Eucharist it is Christ himself who acts in those whom he chooses as his ministers; he supports them so that their response develops in a dimension of trust and gratitude that removes all fear, even when they experience more acutely their own weakness (cf. Rm 8:26-28), or indeed when the experience of misunderstanding or even of persecution is most bitter (cf. Rm 8:35-39).

The awareness of being saved by the love of Christ, which every Mass nourishes in the faithful and especially in priests, cannot but arouse within them a trusting self-abandonment to Christ who gave his life for us. To believe in the Lord and to accept his gift, therefore, leads us to entrust ourselves to Him with thankful hearts, adhering to his plan of salvation. When this does happen, the one who is "called" voluntarily leaves everything and submits himself to the teaching of the divine Master; hence a fruitful dialogue between God and man begins, a mysterious encounter between the love of the Lord who calls and the freedom of man who responds in love, hearing the words of Jesus echoing in his soul, "You did not choose me, but I chose you and appointed you that you should go and bear fruit and that your fruit should abide" (Jn 15:16).

This intertwining of love between the divine initiative and the human response is present also, in a wonderful way, in the vocation to the consecrated life. The Second Vatican Council recalls, "The evangelical counsels of chastity dedicated to God, poverty and obedience are based upon the words and examples of the Lord. They were further commanded by the apostles and Fathers of the Church, as well as by the doctors and pastors of souls. The counsels are a divine gift, which the Church received from its Lord and which it always safeguards with the help of His grace" (Lumen Gentium, 43).

Once more, Jesus is the model of complete and trusting adherence to the will of the Father, to whom every consecrated person must look. Attracted by him, from the very first centuries of Christianity, many men and women have left families, possessions, material riches and all that is humanly desirable in order to follow Christ generously and live the Gospel without compromise, which had become for them a school of deeply rooted holiness. Today too, many undertake this same demanding journey of evangelical perfection and realise their vocation in the profession of the evangelical counsels. The witness of these our brothers and sisters, in contemplative monasteries, religious institutes and congregations of apostolic life, reminds the people of God of "that mystery of the Kingdom of God is already at work in history, even as it awaits its full realization in heaven" (Vita Consecrata, 1).

Who can consider himself worthy to approach the priestly ministry? Who can embrace the consecrated life relying only on his or her own human powers? Once again, it is useful to reiterate that the response of men and women to the divine call, whenever they are aware that it is God who takes the initiative and brings His plan of salvation to fulfilment, is never patterned after the timid self-interest of the worthless servant who, out of fear, hid the talent entrusted to him in the ground (cf. Mt 25:14-30), but rather expresses itself in a ready adherence to the Lord’s invitation, as in the case of Peter who, trusting in the Lord’ word, did not hesitate to let down the net once more even after having toiled all night and catching nothing (cf. Lk 5:5). Without in any sense renouncing personal responsibility, the free human response to God thus becomes "co-responsibility", responsibility in and with Christ, through the action of his Holy Spirit; it becomes communion with the One who makes it possible for us to bear much fruit (cf. Jn 15:5).

An emblematic human response, full of trust in God’s initiative, is the generous and unmitigated "Amen" of the Virgin of Nazareth, uttered with humble and decisive adherence to the plan of the Most High announced to her by God’s messenger (cf. Lk 1:38). Her prompt "Yes" allowed Her to become the Mother of God, the Mother of our Saviour. Mary, after this first "fiat", had to repeat it many times, even up to the culminating moment of the crucifixion of Jesus, when "standing by the cross of Jesus" as the Evangelist John notes, she participated in the dreadful suffering of her innocent Son. And it was from the cross, that Jesus, while dying, gave her to us as Mother and entrusted us to her as sons and daughters (cf. Jn 19:26-27); she is especially the Mother of priests and consecrated persons. I want to entrust to her all those who are aware of God’s call to set out on the road of the ministerial priesthood or consecrated life.

Dear friends, do not become discouraged in the face of difficulties and doubts; trust in God and follow Jesus faithfully and you will be witnesses of the joy that flows from intimate union with him. Imitating the Virgin Mary whom all generations proclaim as blessed because she believed (cf. Lk 1:48), commit yourselves with every spiritual energy, to realise the heavenly Father’s plan of salvation, cultivating in your heart, like her, the ability to be astonished and to adore him who is mighty and does "great things", for Holy is his name (cf. Lk 1:49).

From the Vatican, 20 January 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Verehrte Mitbrüder im Bischofs- und im Priesteramt,

liebe Brüder und Schwestern!

Anläßlich des kommenden Weltgebetstages um Berufungen zum Priestertum und zum geweihten Leben, der am 3. Mai 2009, dem vierten Sonntag der Osterzeit, begangen wird, möchte ich das ganze Gottesvolk dazu einladen, über folgendes Thema nachzudenken: Das Vertrauen in die Initiative Gottes und die menschliche Antwort. In der Kirche ist stets die Mahnung Jesu an seine Jünger zu vernehmen: »Bittet also den Herrn der Ernte, Arbeiter für seine Ernte auszusenden« (Mt 9,38). Bittet! Der eindringliche Aufruf des Herrn macht deutlich, daß das Gebet für die Berufungen unablässig und voll Vertrauen sein muß. Nur wenn sie vom Gebet beseelt ist, kann die christliche Gemeinschaft nämlich wirklich »mit mehr Glauben und Hoffnung auf die Initiative Gottes vertrauen« (Nachsynodales Apostolisches Schreiben Sacramentum caritatis, 26).

Die Berufung zum Priestertum und zum geweihten Leben ist ein besonderes göttliches Geschenk, das sich in den großen Liebes- und Heilsplan einfügt, den Gott für jeden Menschen und für die gesamte Menschheit hat. Der Apostel Paulus, dessen wir ganz besonders jetzt im Paulusjahr anläßlich des 2000. Jahrestages seiner Geburt gedenken, sagt im Brief an die Epheser: »Der Gott und Vater unseres Herrn Jesus Christus: Er hat uns mit allem Segen seines Geistes gesegnet durch unsere Gemeinschaft mit Christus im Himmel. Denn in ihm hat er uns erwählt vor der Erschaffung der Welt, damit wir heilig und untadelig leben vor Gott« (Eph 1,3-4). Innerhalb der allgemeinen Berufung zur Heiligkeit tritt die besondere Initiative Gottes hervor, durch die er einige dazu auserwählt, seinem Sohn Jesus Christus enger nachzufolgen und dessen bevorzugte Diener und Zeugen zu sein. Der göttliche Meister berief persönlich die Apostel, »die er bei sich haben und die er dann aussenden wollte, damit sie predigten und mit seiner Vollmacht Dämonen austrieben« (Mk 3,14-15); sie haben ihrerseits andere Jünger in ihren Kreis aufgenommen, treue Mitarbeiter im missionarischen Dienst. Und so haben im Laufe der Jahrhunderte unzählige Priester und Personen des geweihten Lebens in Antwort auf den Ruf des Herrn und in Bereitschaft gegenüber dem Wirken des Heiligen Geistes sich in der Kirche ganz in den Dienst des Evangeliums gestellt. Wir wollen dem Herrn danken, der auch heute weiter Arbeiter in seinen Weinberg beruft. Wenn es tatsächlich in einigen Regionen der Erde einen besorgniserregenden Priestermangel gibt und Schwierigkeiten und Hindernisse den Weg der Kirche begleiten, so trägt uns doch die unerschütterliche Gewißheit, daß der Herr sie auf den Pfaden der Geschichte sicher führt bis hin zur endgültigen Vollendung des Gottesreiches. Frei erwählt er Personen jeder Kultur und jeden Alters gemäß den unergründlichen Plänen seiner barmherzigen Liebe und lädt sie in seine Nachfolge ein.

Unsere erste Pflicht ist es daher, diesen Ruf der göttlichen Initiative in den Familien und in den Pfarreien, in den Bewegungen und in den apostolisch tätigen Verbänden, in den Ordensgemeinschaften und in allen Gliederungen des diözesanen Lebens durch das unablässige Gebet lebendig zu erhalten. Wir müssen beten, daß das ganze christliche Volk im Vertrauen auf Gott wachsen möge – in der Überzeugung, daß der »Herr der Ernte« nicht aufhört, manche zu rufen, ihr Leben aus freiem Willen dafür einzusetzen, enger mit ihm am Heilswerk mitzuarbeiten. Und von seiten der Berufenen ist aufmerksames Hören und kluges Unterscheiden gefordert, großherzige und bereitwillige Zustimmung zum göttlichen Plan, ernsthafte Vertiefung dessen, was zur Berufung zum Priestertum und zum Ordensleben gehört, um dem in verantwortlicher und überzeugter Weise zu entsprechen. Der Katechismus der Katholischen Kirche erinnert zu Recht daran, daß die freie Initiative Gottes die freie Antwort des Menschen verlangt: eine positive Antwort, die immer voraussetzt, daß der Plan, den Gott mit einem jeden Menschen hat, angenommen und geteilt wird; eine Antwort, die die Initiative der Liebe des Herrn aufgreift und die für den Berufenen zum verbindlichen moralischen Anspruch wird, zur dankbaren Ehrerbietung an Gott und zur völligen Mitwirkung am Plan, den er in der Geschichte verfolgt (vgl. Nr. 2062).

Wenn wir das Geheimnis der Eucharistie betrachten, das in höchstem Maße das freie Geschenk zum Ausdruck bringt, das der Vater in der Person des eingeborenen Sohnes für das Heil der Menschen gemacht hat, sowie die volle und fügsame Bereitschaft Christi, den »Kelch« des Willens Gottes ganz zu leeren (vgl. Mt 26,39), dann verstehen wir besser, wie »das Vertrauen in die Initiative Gottes« die »menschliche Antwort« formt und ihr Wert verleiht. In der Eucharistie, dem vollkommenen Geschenk, das den Liebesplan für die Erlösung der Welt umsetzt, gibt sich Jesus aus freiem Willen für das Heil der Menschheit hin. »Die Kirche« – schrieb mein verehrter Vorgänger Johannes Paul II. – »hat die Eucharistie von Christus, ihrem Herrn, nicht als eine kostbare Gabe unter vielen anderen erhalten, sondern als die Gabe schlechthin, da es die Gabe seiner selbst ist, seiner Person in seiner heiligen Menschheit wie auch seines Erlösungswerkes« (Enzyklika Ecclesia de Eucharistia, 11).

Dieses Heilsgeheimnis durch alle Jahrhunderte hindurch bis zur glorreichen Wiederkunft des Herrn fortzusetzen ist die Bestimmung der Priester, die gerade im eucharistischen Christus das erhabene Vorbild eines »Dialogs der Berufung« zwischen der freien Initiative des Vaters und der vertrauensvollen Antwort Christi betrachten können. In der Feier der Eucharistie handelt Christus selbst in jenen, die er sich als seine Diener erwählt; er stützt sie, damit ihre Antwort sich in einer Dimension des Vertrauens und der Dankbarkeit entfalten kann, die jede Angst vertreibt, auch wenn die Erfahrung der eigenen Schwachheit stärker wird (vgl. Röm 8,26-30) oder wenn das Umfeld durch Unverständnis oder sogar Verfolgung rauher wird (vgl. Röm 8,35-39).

Das Bewußtsein, durch die Liebe Christi gerettet zu sein, das jede Heilige Messe in den Gläubigen und besonders in den Priestern nährt, muß in ihnen eine vertrauensvolle Hingabe an Christus hervorrufen, der für uns sein Leben hingegeben hat. An den Herrn zu glauben und sein Geschenk anzunehmen führt also dahin, sich ihm mit dankbarem Herzen anzuvertrauen und seinem Heilsplan zuzustimmen. Wenn das geschieht, dann verläßt der »Berufene« gerne alles und begibt sich in die Schule des göttlichen Meisters; dann beginnt ein fruchtbarer Dialog zwischen Gott und dem Menschen, eine geheimnisvolle Begegnung zwischen der Liebe des Herrn, der ruft, und der Freiheit des Menschen, der ihm in Liebe antwortet, während er in seinem Herzen die Worte Jesu vernimmt: »Nicht ihr habt mich erwählt, sondern ich habe euch erwählt und dazu bestimmt, daß ihr euch aufmacht und Frucht bringt und daß eure Frucht bleibt« (Joh 15,16).

Dieses Flechtwerk der Liebe aus göttlicher Initiative und menschlicher Antwort ist auch und in wunderbarer Weise in der Berufung zum geweihten Leben vorhanden. Das Zweite Vatikanische Konzil ruft in Erinnerung: »Die evangelischen Räte der Gott geweihten Keuschheit, der Armut und des Gehorsams sind, in Wort und Beispiel des Herrn begründet und von den Aposteln und den Vätern wie auch den Lehrern und Hirten der Kirche empfohlen, eine göttliche Gabe, welche die Kirche von ihrem Herrn empfangen hat und in seiner Gnade immer bewahrt« (Konstitution Lumen gentium, 43). Auch hier ist Jesus wiederum das Vorbild schlechthin für die vollkommene und vertrauensvolle Zustimmung zum Willen des Vaters, auf das jede geweihte Person blicken muß. Von ihm angezogen, haben von den ersten Jahrhunderten des Christentums an viele Männer und Frauen Familie, Besitz, materielle Reichtümer und all das verlassen, was aus menschlicher Sicht erstrebenswert ist, um Christus großherzig nachzufolgen und kompromißlos sein Evangelium zu leben, das für sie zur Schule radikaler Heiligkeit wurde. Auch heute beschreiten viele diesen anspruchsvollen Weg evangeliumsgemäßer Vollkommenheit und verwirklichen ihre Berufung durch das Gelübde der evangelischen Räte. Das Zeugnis dieser unserer Brüder und Schwestern in den Klöstern des kontemplativen Lebens sowie in den Instituten und in den Kongregationen des apostolischen Lebens erinnert das Gottesvolk an »jenes Geheimnis des Gottesreiches, das bereits in der Geschichte wirksam ist, seine Vollendung aber im Himmel erwartet« (Nachsynodales Apostolisches Schreiben Vita consecrata, 1).

Wer kann sich für würdig halten, den priesterlichen Dienst auf sich zu nehmen? Wer kann das gottgeweihtes Leben ergreifen, wenn er sich dabei nur auf die menschlichen Fähigkeiten verläßt? Es ist gut, noch einmal zu betonen, daß die Antwort des Menschen auf den göttlichen Ruf – wenn man sich bewußt ist, daß Gott selbst die Initiative ergreift und daß er ebenso seinen Heilsplan zu Ende führt – niemals die Form ängstlicher Berechnung des faulen Dieners annimmt, der aus Angst das ihm anvertraute Talent in der Erde versteckte (vgl. Mt 25,14-30). Vielmehr kommt sie durch eine bereitwillige Annahme der Einladung des Herrn zum Ausdruck – wie bei Petrus, als er nicht zögerte, seinem Wort zu trauen und die Netze aufs neue auszuwerfen, obwohl er die ganze Nacht gearbeitet hatte, ohne etwas zu fangen (vgl. Lk 5,5). Ohne auch nur im geringsten auf die persönliche Verantwortung zu verzichten, wird die freie Antwort des Menschen gegenüber Gott so zur »Mitverantwortung«, zur Verantwortung in und mit Christus, kraft des Wirkens seines Heiligen Geistes; sie wird zur Gemeinschaft mit Christus, der uns fähig macht, reiche Frucht zu bringen (vgl. Joh 15,5).

Die beispielhafte menschliche Antwort, voll Vertrauen in die Initiative Gottes, ist das großherzige und vollkommene »Amen« der Jungfrau von Nazaret, das diese mit demütiger und entschiedener Zustimmung zu den Plänen des Höchsten gesprochen hat, die ihr vom himmlischen Boten mitgeteilt wurden (vgl. Lk 1,38). Durch ihr bereitwilliges »Ja« konnte sie die Mutter Gottes werden, die Mutter unseres Erlösers. Dieses erste »Fiat« mußte Maria später noch viele weitere Male wiederholen, bis hin zum Höhepunkt der Kreuzigung Jesu, als sie »bei dem Kreuz stand«, wie der Evangelist Johannes schreibt, und am schrecklichen Schmerz ihres unschuldigen Sohnes teilhatte. Und eben vom Kreuz herab hat der sterbende Jesus sie uns zur Mutter gegeben und hat uns ihr als Kinder anvertraut (vgl. Joh 19,26-27), als Mutter besonders der Priester und der geweihten Personen. Ihr möchte ich alle anvertrauen, die den Ruf Gottes verspüren, sich auf den Weg zu machen zum Priesteramt oder zum geweihten Leben.

Liebe Freunde, werdet nicht mutlos angesichts von Schwierigkeiten und Zweifeln; vertraut auf Gott und folgt Christus treu nach, und ihr werdet Zeugen der Freude sein, die der innigen Vereinigung mit ihm entspringt. In Nachahmung der Jungfrau Maria, die alle Geschlechter seligpreisen, weil sie geglaubt hat (vgl. Lk 1,48), bemüht euch mit aller geistlichen Kraft, den Heilsplan des himmlischen Vaters zu verwirklichen, indem ihr wie sie in eurem Herzen die Fähigkeit bewahrt zu staunen und den anzubeten, der die Macht hat, »Großes« zu tun, denn sein Name ist heilig (vgl. ebd. 1,49).

Aus dem Vatikan, am 20. Januar 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Venerados Hermanos en el Episcopado y en el Sacerdocio,

Queridos hermanos y hermanas

Con ocasión de la próxima Jornada Mundial de oración por las vocaciones al sacerdocio y a la vida consagrada, que se celebrará el 3 de mayo de 2009, Cuarto Domingo de Pascua, me es grato invitar a todo el pueblo de Dios a reflexionar sobre el tema: La confianza en la iniciativa de Dios y la respuesta humana. Resuena constantemente en la Iglesia la exhortación de Jesús a sus discípulos: «Rogad al dueño de la mies, que envíe obreros a su mies» (Mt 9, 38). ¡Rogad! La apremiante invitación del Señor subraya cómo la oración por las vocaciones ha de ser ininterrumpida y confiada. De hecho, la comunidad cristiana, sólo si efectivamente está animada por la oración, puede «tener mayor fe y esperanza en la iniciativa divina» (Exhort. ap. postsinodal Sacramentum caritatis, 26).

La vocación al sacerdocio y a la vida consagrada constituye un especial don divino, que se sitúa en el amplio proyecto de amor y de salvación que Dios tiene para cada hombre y la humanidad entera. El apóstol Pablo, al que recordamos especialmente durante este Año Paulino en el segundo milenio de su nacimiento, escribiendo a los efesios afirma: «Dios, Padre de nuestro Señor Jesucristo, nos ha bendecido en la persona de Cristo, con toda clase de bienes espirituales y celestiales. Él nos eligió en la persona de Cristo antes de crear el mundo, para que fuésemos santos e irreprochables ante Él por el amor» (Ef 1, 3-4). En la llamada universal a la santidad destaca la peculiar iniciativa de Dios, escogiendo a algunos para que sigan más de cerca a su Hijo Jesucristo, y sean sus ministros y testigos privilegiados. El divino Maestro llamó personalmente a los Apóstoles «para que lo acompañaran y para enviarlos a predicar, con poder para expulsar demonios» (Mc 3,14-15); ellos, a su vez, se asociaron con otros discípulos, fieles colaboradores en el ministerio misionero. Y así, respondiendo a la llamada del Señor y dóciles a la acción del Espíritu Santo, una multitud innumerable de presbíteros y de personas consagradas, a lo largo de los siglos, se ha entregado completamente en la Iglesia al servicio del Evangelio. Damos gracias al Señor porque también hoy sigue llamando a obreros para su viña. Aunque es verdad que en algunas regiones de la tierra se registra una escasez preocupante de presbíteros, y que dificultades y obstáculos acompañan el camino de la Iglesia, nos sostiene la certeza inquebrantable de que el Señor, que libremente escoge e invita a su seguimiento a personas de todas las culturas y de todas las edades, según los designios inescrutables de su amor misericordioso, la guía firmemente por los senderos del tiempo hacia el cumplimiento definitivo del Reino.

Nuestro primer deber ha de ser por tanto mantener viva, con oración incesante, esa invocación de la iniciativa divina en las familias y en las parroquias, en los movimientos y en las asociaciones entregadas al apostolado, en las comunidades religiosas y en todas las estructuras de la vida diocesana. Tenemos que rezar para que en todo el pueblo cristiano crezca la confianza en Dios, convencido de que el «dueño de la mies» no deja de pedir a algunos que entreguen libremente su existencia para colaborar más estrechamente con Él en la obra de la salvación. Y por parte de cuantos están llamados, se requiere escucha atenta y prudente discernimiento, adhesión generosa y dócil al designio divino, profundización seria en lo que es propio de la vocación sacerdotal y religiosa para corresponder a ella de manera responsable y convencida. El Catecismo de la Iglesia Católica recuerda oportunamente que la iniciativa libre de Dios requiere la respuesta libre del hombre. Una respuesta positiva que presupone siempre la aceptación y la participación en el proyecto que Dios tiene sobre cada uno; una respuesta que acoja la iniciativa amorosa del Señor y llegue a ser para todo el que es llamado una exigencia moral vinculante, una ofrenda agradecida a Dios y una total cooperación en el plan que Él persigue en la historia (cf. n. 2062).

Contemplando el misterio eucarístico, que expresa de manera sublime el don que libremente ha hecho el Padre en la Persona del Hijo Unigénito para la salvación de los hombres, y la plena y dócil disponibilidad de Cristo hasta beber plenamente el «cáliz» de la voluntad de Dios (cf. Mt 26, 39), comprendemos mejor cómo «la confianza en la iniciativa de Dios» modela y da valor a la «respuesta humana». En la Eucaristía, don perfecto que realiza el proyecto de amor para la redención del mundo, Jesús se inmola libremente para la salvación de la humanidad. «La Iglesia –escribió mi amado predecesor Juan Pablo II- ha recibido la Eucaristía de Cristo, su Señor, no sólo como un don entre otros muchos, aunque sea muy valioso, sino como el don por excelencia, porque es don de sí mismo, de su persona en su santa humanidad y, además, de su obra de salvación» (Enc. Ecclesia de Eucharistia, 11).

Los presbíteros, que precisamente en Cristo eucarístico pueden contemplar el modelo eximio de un «diálogo vocacional» entre la libre iniciativa del Padre y la respuesta confiada de Cristo, están destinados a perpetuar ese misterio salvífico a lo largo de los siglos, hasta el retorno glorioso del Señor. En la celebración eucarística es el mismo Cristo el que actúa en quienes Él ha escogido como ministros suyos; los sostiene para que su respuesta se desarrolle en una dimensión de confianza y de gratitud que despeje todos los temores, incluso cuando aparece más fuerte la experiencia de la propia flaqueza (cf. Rm 8, 26-30), o se hace más duro el contexto de incomprensión o incluso de persecución (cf. Rm 8, 35-39).

El convencimiento de estar salvados por el amor de Cristo, que cada Santa Misa alimenta a los creyentes y especialmente a los sacerdotes, no puede dejar de suscitar en ellos un confiado abandono en Cristo que ha dado la vida por nosotros. Por tanto, creer en el Señor y aceptar su don, comporta fiarse de Él con agradecimiento adhiriéndose a su proyecto salvífico. Si esto sucede, «la persona llamada» lo abandona todo gustosamente y acude a la escuela del divino Maestro; comienza entonces un fecundo diálogo entre Dios y el hombre, un misterioso encuentro entre el amor del Señor que llama y la libertad del hombre que le responde en el amor, sintiendo resonar en su alma las palabras de Jesús: «No sois vosotros los que me habéis elegido, soy yo quien os he elegido, y os he destinado para que vayáis y deis fruto, y vuestro fruto dure» (Jn 15, 16).

Ese engarce de amor entre la iniciativa divina y la respuesta humana se presenta también, de manera admirable, en la vocación a la vida consagrada. El Concilio Vaticano II recuerda: «Los consejos evangélicos de castidad consagrada a Dios, pobreza y obediencia tienen su fundamento en las palabras y el ejemplo del Señor. Recomendados por los Apóstoles, por los Padres de la Iglesia, los doctores y pastores, son un don de Dios, que la Iglesia recibió de su Señor y que con su gracia conserva siempre» (Lumen gentium, 43). Una vez más, Jesús es el modelo ejemplar de adhesión total y confiada a la voluntad del Padre, al que toda persona consagrada ha de mirar. Atraídos por Él, desde los primeros siglos del cristianismo, muchos hombres y mujeres han abandonado familia, posesiones, riquezas materiales y todo lo que es humanamente deseable, para seguir generosamente a Cristo y vivir sin ataduras su Evangelio, que se ha convertido para ellos en escuela de santidad radical. Todavía hoy muchos avanzan por ese mismo camino exigente de perfección evangélica, y realizan su vocación con la profesión de los consejos evangélicos. El testimonio de esos hermanos y hermanas nuestros, tanto en monasterios de vida contemplativa como en los institutos y congregaciones de vida apostólica, le recuerda al pueblo de Dios «el misterio del Reino de Dios que ya actúa en la historia, pero que espera su plena realización en el cielo» (JUAN PABLO II, Exhort. ap. postsinodal Vita consecrata, 1).

¿Quién puede considerarse digno de acceder al ministerio sacerdotal? ¿Quién puede abrazar la vida consagrada contando sólo con sus fuerzas humanas? Una vez más conviene recordar que la respuesta del hombre a la llamada divina, cuando se tiene conciencia de que es Dios quien toma la iniciativa y a Él le corresponde llevar a término su proyecto de salvación, nunca se parece al cálculo miedoso del siervo perezoso que por temor esconde el talento recibido en la tierra (cf. Mt 25, 14-30), sino que se manifiesta en una rápida adhesión a la invitación del Señor, como hizo Pedro, que no dudó en echar nuevamente las redes pese a haber estado toda la noche faenando sin pescar nada, confiando en su palabra (cf. Lc 5, 5). Sin abdicar en ningún momento de la responsabi-lidad personal, la respuesta libre del hombre a Dios se transforma así en «corresponsabilidad», en responsabilidad en y con Cristo, en virtud de la acción de su Espíritu Santo; se convierte en comunión con quien nos hace capaces de dar fruto abundante (cf. Jn 15, 5).

Emblemática respuesta humana, llena de confianza en la iniciativa de Dios, es el «Amén» generoso y total de la Virgen de Nazaret, pronunciado con humilde y decidida adhesión a los designios del Altísimo, que le fueron comunicados por un mensajero celestial (cf. Lc 1, 38). Su «sí» inmediato le permitió convertirse en la Madre de Dios, la Madre de nuestro Salvador. María, después de aquel primer «fiat», que tantas otras veces tuvo que repetir, hasta el momento culminante de la crucifixión de Jesús, cuando «estaba junto a la cruz», como señala el evangelista Juan, siendo copartícipe del dolor atroz de su Hijo inocente. Y precisamente desde la cruz, Jesús moribundo nos la dio como Madre y a Ella fuimos confiados como hijos (cf. Jn 19, 26-27), Madre especialmente de los sacerdotes y de las personas consagradas. Quisiera encomendar a Ella a cuantos descubren la llamada de Dios para encaminarse por la senda del sacerdocio ministerial o de la vida consagrada.

Queridos amigos, no os desaniméis ante las dificultades y las dudas; confiad en Dios y seguid fielmente a Jesús y seréis los testigos de la alegría que brota de la unión íntima con Él. A imitación de la Virgen María, a la que llaman dichosa todas las generaciones porque ha creído (cf. Lc 1, 48), esforzaos con toda energía espiritual en llevar a cabo el proyecto salvífico del Padre celestial, cultivando en vuestro corazón, como Ella, la capacidad de asombro y de adoración a quien tiene el poder de hacer «grandes cosas» porque su Nombre es santo (Cf. Lc 1, 49).

Vaticano, 20 de enero de 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Venerados irmãos no episcopado e no sacerdócio,

queridos irmãos e irmãs!

Por ocasião do próximo Dia Mundial de Oração pelas Vocações ao sacerdócio e à vida consagrada, que será celebrado no IV Domingo de Páscoa, dia 3 de Maio de 2009, desejo convidar todo o Povo de Deus a reflectir sobre o tema: A confiança na iniciativa de Deus e a resposta humana. Não cessa de ressoar na Igreja esta exortação de Jesus aos seus discípulos: «Rogai ao Senhor da messe que envie trabalhadores para a sua messe» (Mt 9, 38). Pedi! O premente apelo do Senhor põe em evidência que a oração pelas vocações deve ser contínua e confiante. De facto, só animada pela oração é que a comunidade cristã pode realmente «ter maior fé e esperança na iniciativa divina» (Exort. ap. pós-sinodal Sacramentum caritatis, 26).

A vocação ao sacerdócio e à vida consagrada constitui um dom divino especial, que se insere no vasto projecto de amor e salvação que Deus tem para cada pessoa e para a humanidade inteira. O apóstolo Paulo – que recordamos de modo particular durante este Ano Paulino comemorativo dos dois mil anos do seu nascimento –, ao escrever aos Efésios, afirma: «Bendito seja o Deus e Pai de Nosso Senhor Jesus Cristo, que, do alto dos céus, nos abençoou com toda a espécie de bênçãos espirituais em Cristo. Foi assim que n’Ele nos escolheu antes da constituição do mundo, para sermos santos e imaculados diante dos seus olhos» (Ef 1, 3-4). Dentro da vocação universal à santidade, sobressai a peculiar iniciativa de Deus ter escolhido alguns para seguirem mais de perto o seu Filho Jesus Cristo tornando-se seus ministros e testemunhas privilegiadas. O divino Mestre chamou pessoalmente os Apóstolos «para andarem com Ele e para os enviar a pregar, com o poder de expulsar demónios» (Mc 3, 14-15); eles, por sua vez, agregaram a si mesmos outros discípulos, fiéis colaboradores no ministério missionário. E assim no decorrer dos séculos, respondendo à vocação do Senhor e dóceis à acção do Espírito Santo, fileiras inumeráveis de presbíteros e pessoas consagradas puseram-se ao serviço total do Evangelho na Igreja. Dêmos graças ao Senhor, que continua hoje também a convocar trabalhadores para a sua vinha. Se é verdade que, em algumas regiões, se regista uma preocupante carência de presbíteros e que não faltam dificuldades e obstáculos no caminho da Igreja, sustenta-nos a certeza inabalável de que esta é guiada firmemente nas sendas do tempo rumo à realização definitiva do Reino por Ele, o Senhor, que livremente escolhe e convida a segui-Lo pessoas de qualquer cultura e idade, segundo os insondáveis desígnios do seu amor misericordioso.

Por conseguinte o nosso primeiro dever é manter viva, através de uma oração incessante, esta invocação da iniciativa divina nas famílias e nas paróquias, nos movimentos e nas associações empenhados no apostolado, nas comunidades religiosas e em todas as articulações da vida diocesana. Devemos rezar para que todo o povo cristão cresça na confiança em Deus, sabendo que o «Senhor da messe» não cessa de pedir a alguns que livremente disponibilizem a sua existência para colaborar mais intimamente com Ele na obra da salvação. Entretanto, por parte daqueles que são chamados, exige-se-lhes escuta atenta e prudente discernimento, generosa e pronta adesão ao projecto divino, sério aprofundamento do que é próprio da vocação sacerdotal e religiosa para lhe corresponder de modo responsável e convicto. A propósito, o Catecismo da Igreja Católica recorda que a livre iniciativa de Deus requer a resposta livre do ser humano. Uma resposta positiva que sempre pressupõe a aceitação e partilha do projecto que Deus tem para cada um; uma resposta que acolhe a iniciativa amorosa do Senhor e se torna, para quem é chamado, exigência moral vinculativa, homenagem de gratidão a Deus e cooperação total no plano que Ele prossegue na história (cf. n. 2062).

Ao contemplar o mistério eucarístico – onde se exprime sumamente o dom concedido livremente pelo Pai na Pessoa do Filho Unigénito pela salvação dos homens, e a disponibilidade plena e dócil de Cristo para beber completamente o «cálice» da vontade de Deus (cf. Mt 26, 39) – compreendemos melhor como «a confiança na iniciativa de Deus» molde e dê valor à «resposta humana». Na Eucaristia, dom perfeito que realiza o amoroso projecto da redenção do mundo, Jesus imola-Se livremente pela salvação da humanidade. «A Igreja – escreveu o meu amado predecessor João Paulo II – recebeu a Eucaristia de Cristo seu Senhor, não como um dom, embora precioso, entre muitos outros, mas como o dom por excelência, porque dom d’Ele mesmo, da sua Pessoa na humanidade sagrada, e também da sua obra de salvação» (Carta enc. Ecclesia de Eucharistia, 11).

Quem está destinado a perpetuar este mistério salvífico ao longo dos séculos, até ao regresso glorioso do Senhor, são os presbíteros, que podem precisamente contemplar em Cristo eucarístico o modelo exímio de um «diálogo vocacional» entre a livre iniciativa do Pai e a resposta confiante de Cristo. Na celebração eucarística, é o próprio Cristo que age naqueles que Ele escolhe como seus ministros; sustenta-os para que a sua resposta cresça numa dimensão de confiança e de gratidão que dissipe todo o medo, mesmo quando se faz mais intensa a experiência da própria fraqueza (cf. Rm 8, 26-30), ou o ambiente se torna mais hirto de incompreensão ou até de perseguição (cf. Rm 8, 35-39).

A consciência de sermos salvos pelo amor de Cristo, que cada Eucaristia alimenta nos crentes e de modo especial nos sacerdotes, não pode deixar de suscitar neles um confiante abandono a Cristo que deu a vida por nós. Deste modo, acreditar no Senhor e aceitar o seu dom leva a entregar-se a Ele com ânimo agradecido aderindo ao seu projecto salvífico. Se tal acontecer, o «vocacionado» de bom grado abandona tudo e entra na escola do divino Mestre; inicia-se então um fecundo diálogo entre Deus e a pessoa, um misterioso encontro entre o amor do Senhor que chama e a liberdade do ser humano que Lhe responde no amor, sentindo ressoar no seu espírito as palavras de Jesus: «Não fostes vós que Me escolhestes, fui Eu que vos escolhi e vos nomeei para irdes e dardes fruto, e o vosso fruto permanecer» (Jo 15, 16).

Este amoroso enlace entre a iniciativa divina e a resposta humana está presente também, de forma admirável, na vocação à vida consagrada. Recorda o Concílio Vaticano II: «Os conselhos evangélicos de castidade consagrada a Deus, de pobreza e de obediência, visto que fundados sobre a palavra e o exemplo de Cristo e recomendados pelos Apóstolos, pelos Padres, Doutores e Pastores da Igreja, são um dom divino, que a mesma Igreja recebeu do seu Senhor e com a sua graça sempre conserva» (Const. dogm. Lumen gentium, 43). Temos de novo aqui Jesus como o modelo exemplar de total e confiante adesão à vontade do Pai para onde deve olhar a pessoa consagrada. Atraídos por Ele muitos homens e mulheres, desde os primeiros séculos do cristianismo, abandonaram a família, os haveres, as riquezas materiais e tudo aquilo que humanamente é desejável, para seguir generosamente a Cristo e viver sem reservas o seu Evangelho, que se tornou para eles escola de radical santidade. Ainda hoje são muitos os que percorrem este itinerário exigente de perfeição evangélica, e realizam a sua vocação na profissão dos conselhos evangélicos. O testemunho destes nossos irmãos e irmãs, tanto nos mosteiros de vida contemplativa como nos institutos e nas congregações de vida apostólica, recorda ao povo de Deus «aquele mistério do Reino de Deus que já actua na história, mas aguarda a sua plena realização nos céus» (Exort. ap. pós-sinodal Vita consecrata, 1).

Quem pode considerar-se digno de ingressar no ministério sacerdotal? Quem pode abraçar a vida consagrada contando apenas com os seus recursos humanos? Mais uma vez convém reafirmar que a resposta da pessoa à vocação divina – sempre que se esteja consciente de que é Deus a tomar a iniciativa e é Ele também a levar a bom termo o seu projecto salvífico – não se reveste jamais do cálculo medroso do servo preguiçoso, que por medo escondeu na terra o talento que lhe fora confiado (cf. Mt 25, 14-30), mas exprime-se numa pronta adesão ao convite do Senhor, como fez Pedro quando, apesar de ter trabalhado toda a noite sem nada apanhar, não hesitou em lançar novamente as redes confiando na palavra d’Ele (cf. Lc 5, 5). Sem abdicar de forma alguma da responsabilidade pessoal, a resposta livre do homem a Deus torna-se assim «corresponsabilidade», responsabilidade em e com Cristo, em virtude da acção do seu Santo Espírito; faz-se comunhão com Aquele que nos torna capazes de dar muito fruto (cf. Jo 15, 5).

Emblemática resposta humana, repleta de confiança na iniciativa de Deus, é o «Amen» generoso e total da Virgem de Nazaré, pronunciado com humilde e decidida adesão aos desígnios do Altíssimo, que lhe foram comunicados pelo mensageiro celeste (cf. Lc 1, 38). O seu «sim» pronto permitiu-Lhe tornar-Se a Mãe de Deus, a Mãe do nosso Salvador. Maria, depois deste primeiro «fiat», teve de o repetir muitas outras vezes até ao momento culminante da crucifixão de Jesus, quando «estava junto à cruz», como refere o evangelista João, compartilhando o sofrimento atroz do seu Filho inocente. E foi precisamente da cruz que Jesus agonizante no-La deu como Mãe e a Ela nos entregou como filhos (cf. Jo 19, 26-27) – Mãe especialmente dos sacerdotes e das pessoas consagradas. A Ela quero confiar todos quantos sentem o chamamento de Deus para caminhar pela senda do sacerdócio ministerial ou da vida consagrada.

Queridos amigos, não desanimeis perante as dificuldades e as dúvidas; confiai em Deus e segui fielmente Jesus e sereis as testemunhas da alegria que brota da união íntima com Ele. À imitação da Virgem Maria, que as gerações proclamam bem-aventurada porque acreditou (cf. Lc 1, 48), empenhai-vos com toda a energia espiritual na realização do projecto salvífico do Pai celeste, cultivando no vosso coração, como Ela, a capacidade de maravilhar-se e adorar Aquele que tem o poder de fazer «grandes coisas», porque Santo é o seu nome (cf. Lc 1, 49).

Vaticano, 20 de Janeiro de 2009.

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Czcigodni Biskupi i Kapłani,

Drodzy Bracia i Siostry!

Z okazji Światowego Dnia Modlitw o Powołania do kapłaństwa i życia konsekrowanego, który będziemy przeżywać 3 maja 2009, w IV Niedzielę po Wielkanocy, cieszę się, że mogę zaprosić cały Lud Boży do refleksji na temat: Zaufanie w obliczu inicjatywy Boga i odpowiedź człowieka. W Kościele ciągle na nowo rozbrzmiewa wołanie Chrystusa: „Proście więc Pana żniwa, aby posłał robotników na żniwo swoje!" (Mt 9,38). Proście! To stanowcze wezwanie Pana upewnia nas o tym, że modlitwa o powołania powinna być nieustanna i pełna zaufania. Tylko ożywiona modlitwą, wspólnota chrześcijańska może rzeczywiście „żywić silniejszą wiarę i nadzieję w Bożą inicjatywę" (Egzortacja posynodalna, Sacramentum caritatis, 26).

Powołanie do kapłaństwa i życia sakramentalnego to niezwykły dar Boży, który jest przejawem wielkiego planu miłości i zbawienia, jaki Bóg ma dla każdego człowieka i dla całej ludzkości. Św. Paweł Apostoł, którego wspominamy w szczególny sposób w roku właśnie jemu poświęconym z racji dwóch tysięcy lat od jego narodzin, tak pisze w liście do Efezjan: „Niech będzie błogosławiony Bóg i Ojciec Pana naszego Jezusa Chrystusa, który napełnił nas wszelkim błogosławieństwem duchowym na wyżynach niebieskich w Chrystusie. W Nim bowiem wybrał nas przed założeniem świata, abyśmy byli święci i nieskalani przed Jego obliczem" (Ef 1,3-4).

W powszechnym powołaniu do świętości dostrzegamy szczególną inicjatywę Boga, który wybiera niektórych ludzi, aby byli blisko Jego Syna - Jezusa Chrystusa i aby byli Jego uprzywilejowanymi sługami oraz świadkami. Boży Mistrz osobiście powołał Apostołów, „aby Mu towarzyszyli, by mógł wysłać ich na głoszenie nauki, i by mieli władzę wypędzać złe duchy" (Mk 3,14-15). Oni, ze swej strony, znaleźli innych jeszcze uczniów, którzy okazali się wiernymi współpracownikami w misyjnej posłudze. Odpowiadając na wezwanie ze strony Pana i otwarci na działanie Ducha Świętego, niezliczone rzesze kapłanów i osób konsekrowanych, w ciągu wieków, poświęcili się w Kościele wyłącznej służbie Ewangelii. Dziękujemy Zbawicielowi za to, że także dziś nadal powołuje robotników na swoje żniwo. To prawda, że w niektórych częściach naszego globu odnotowujemy niepokojący brak kapłanów i że w swym pielgrzymowaniu Kościół napotyka na trudności oraz bariery. Z drugiej strony wsparciem dla nas staje się niezawodna pewność, że to Pan jest tym, który prowadzi Kościół ku ostatecznemu wypełnieniu się Królestwa i który ze swojej inicjatywy - w swym niezbadanym zamyśle miłości miłosiernej - wybiera i zaprasza ludzi z różnych kultur i w różnym wieku, aby Go naśladowali.

Naszym pierwszym obowiązkiem jest podtrzymywanie żywej i nieprzerwanej modlitwy w intencji powołań w rodzinach i parafiach, w ruchach i stowarzyszeniach zaangażowanych w apostolat, we wspólnotach zakonnych i we wszystkich wspólnotach diecezjalnych. Potrzeba naszej modlitwy po to, by cały Lud Boży wzrastał w ufności wobec Boga, upewniony o tym, że „Pan żniwa" nigdy nie przestanie proponować niektórym ludziom, by dobrowolnie zaangażowali swe życie w ścisłą współpracę z Nim w ramach dzieła zbawienia. Od tych, którzy są powołani, możemy oczekiwać uważnego wsłuchiwania się w Boże propozycje oraz wielkodusznego i stanowczego przylgnięcia do Bożego planu, a także poważnego pogłębienia tego wszystkiego, co jest specyficzne w powołaniu kapłańskim i zakonnym, by odpowiedzieć na otrzymane powołanie w sposób odpowiedzialny i z pełnym przekonaniem. Katechizm Kościoła Katolickiego słusznie przypomina, że wolna inicjatywa ze strony Boga wymaga wolnej odpowiedzi ze strony człowieka. Każda pozytywna odpowiedź człowieka zakłada zawsze akceptację i przyjęcie planu, który Bóg ma dla każdego z nas. Taka odpowiedź oznacza przyjęcie od Pana Jego inicjatywy miłości i staje się dla powołanego zobowiązaniem moralnym i pełnym wdzięczności hołdem wobec Boga, a także początkiem wiernej współpracy z planem, który Bóg realizuje w historii (por. KKK, 2062).

Gdy wnikamy w tajemnicę Eucharystii, która wyraża w najwyższy sposób dobrowolny dar, który Ojciec złożył w Osobie Jednorodzonego Syna za zbawienie świata, a także gdy rozważamy całkowitą i posłuszną postawę Jezusa pijącego do końca „kielich" woli Bożej (por. Mk 26, 39), wtedy rozumiemy lepiej, że „zaufanie w inicjatywę Boga" modeluje i nadaje wartości „odpowiedzi człowieka". W Eucharystii, będącej darem doskonałym, w którym wypełnia się plan miłości i odkupienia świata, Jezus składa w ofierze samego siebie za zbawienie ludzkości. Mój ukochany poprzednik, Jan Paweł II napisał: „Kościół otrzymał Eucharystię od swego Pana nie jako jeden z darów, choćby najcenniejszy ze wszystkich, ale jako dar wyjątkowy, gdyż dar z samego siebie, ze swej Osoby w swym świętym człowieczeństwie i ze swego dzieła zbawienia" (Ecclesia de Eucharistia, 11). To właśnie kapłani są powołani do tego, by przedłużać tę tajemnicę zbawienia na przestrzeni wieków, aż do chwalebnego powrotu Pana. W Chrystusie eucharystycznym mogą oni kontemplować wzniosły model „dialogu powołaniowego" między wolną inicjatywą Ojca i pełną ufności odpowiedzią Syna. W celebracji eucharystycznej działa Chrystus we własnej Osobie w tych, których wybrał jako swoje sługi. On ich podtrzymuje, aby ich odpowiedź wzrastała w kierunku zaufania i takiej wdzięczności, która uwalnia od wszelkiego lęku, także wtedy, gdy ktoś mocniej doświadcza własnej słabości (por. Rz 8, 26-30), albo gdy powołany spotyka się z zewnętrznym niezrozumieniem, a nawet z prześladowaniem (por. Rz 8, 35-39).

Świadomość tego, że zostaliśmy zbawieni miłością Chrystusa, którą w każdej Mszy Świętej karmią się wierni świeccy, a zwłaszcza kapłani, wzbudza w nich pełne zaufania zawierzenie siebie Chrystusowi, który oddał za nas życie. Kto wierzy w Pana i kto przyjmuje Jego dar, ten zawierza się Mu z wdzięcznością i stara się przylgnąć do Jego planu zbawienia. Kiedy to ma miejsce, wtedy powołany chętnie opuszcza wszystko i włącza się do szkoły Bożego Mistrza. W ten sposób zaczyna się urodzajny dialog między Bogiem a człowiekiem, tajemnicze spotkanie między kochającym Panem a wolnym człowiekiem, który w duchu miłości odpowiada, słysząc w swoim sercu słowa Jezusa: „Nie wyście Mnie wybrali, ale Ja was wybrałem i przeznaczyłem was na to, abyście szli i owoc przynosili, i by owoc wasz trwał" (J 15,16).

To przenikanie się inicjatywy Boga i odpowiedzi człowieka jest obecne również – w niezwykły sposób – w powołaniu do życia konsekrowanego. Sobór Watykański II przypomina nam, że „ rady ewangeliczne czystości poświęconej Bogu, ubóstwa i posłuszeństwa, mające swój fundament w słowach i w postawie Pana, i zalecane przez Apostołów, Ojców, doktorów i pasterzy Kościoła, są Boskim darem, który Kościół otrzymał od swego Pana i który z Jego łaską ciągle podtrzymuje" (Lumen gentium, 43).

Także w tym przypadku to Jezus jest ostatecznym wzorem całkowitego przylgnięcia do woli Ojca i na Niego powinna spoglądać każda osoba konsekrowana. Od pierwszych wieków chrześcijaństwa liczni zafascynowani Chrystusem mężczyzn i kobiety opuszczali rodzinę, posiadłości i bogactwa materialne oraz to wszystko, co po ludzku jest cenne, aby wielkodusznie pójść za Chrystusem i aby całkowicie żyć Jego Ewangelią, która stała się dla nich szkołą radykalnej świętości. Również dzisiaj liczne osoby wybierają tę drogę ewangelicznej doskonałości i realizują swoje powołanie poprzez ślubowanie rad ewangelicznych. Świadectwo tych naszych braci i sióstr, w klasztorach życia kontemplacyjnego oraz w instytutach i stowarzyszeniach życia apostolskiego, przypomina Ludowi Bożemu „tę tajemnicę Królestwa Bożego, która dokonuje się już w historii i która oczekuje swego wypełnienia w Niebie" (Vita consecrata,1).

Któż może czuć się godnym przyjęcia posługi kapłańskiej? Któż mógłby podjąć się życia konsekrowanego, licząc jedynie na swoje ludzkie siły? Raz jeszcze warto podkreślić, że odpowiedź człowieka na Boże powołanie, kiedy jesteśmy świadomi tego, że to Bóg ma inicjatywę i że to On prowadzi do końca swój plan zbawienia, nie przyjmuje formy wyrachowanej kalkulacji leniwego sługi, który ze strachu ukrywa w ziemi powierzone mu talenty (por. Mt 25,14-30), lecz wyraża się w ochoczym pójściu za zaproszeniem Pana, jak to uczynił Piotr ufny w słowo Zbawiciela, kiedy nie zawahał się ponownie zarzucić sieci, chociaż całą noc trudził się nadaremnie (por. Łk 5, 5). Respektując autonomię osób powołanych, wolna odpowiedź człowieka wobec Boga staje się współodpowiedzią, czyli odpowiedzią w Chrystusie i z Chrystusem, mocą Jego Świętego Ducha. Taka odpowiedź prowadzi do zjednoczenia z Tym, który czyni nas zdolnymi do tego, by przynieść owoc obfity (por. J 15, 5).

Jakże wymowną odpowiedzią człowieka jest pełne zaufania, wielkoduszności i posłuszeństwa w obliczu inicjatywy Boga "Amen" ze strony Dziewicy z Nazaretu, wypowiedziane na potwierdzenie pokornego i stanowczego przylgnięcia do zamiarów Najwyższego, oznajmionych Jej przez niebieskiego posłańca (por. Łk 1, 38). Pełne posłuszeństwa "tak" pozwoliło Maryi na to, by stała się Matką Boga, Matką naszego Zbawiciela. Po tym swoim pierwszym „fiat" Maryja wiele razy powtarzała to słowo, aż do kulminacyjnego momentu ukrzyżowania Jezusa, kiedy „stała pod krzyżem", okrutnie współcierpiąc ze swoim niewinnym Synem, jak to opisuje Jan Ewangelista. To właśnie z wysokości krzyża, umierający Jezus dał Ją nam jako Matkę i Jej zawierzył nas jak synów (por. J 19, 26-27). W sposób szczególny zawierzył Jej kapłanów oraz osoby konsekrowane. To właśnie Jej pragnę zawierzyć wszystkich, którzy odkrywają w sobie Boże powołanie do tego, by pójść drogą kapłaństwa lub życia konsekrowanego.

Drodzy Przyjaciele, nie poddajcie się lękowi w obliczu trudności czy wątpliwości! Miejcie zaufanie do Boga i idźcie za Jezusem z wiernością, a staniecie się świadkami radości, która wypływa z bliskiego zjednoczenia ze Zbawicielem. Na podobieństwo Maryi, którą kolejne pokolenia nazywają błogosławioną, gdyż uwierzyła (por. Łk 1, 48), angażujcie się z całą duchową mocą w plan zbawienia, jaki ma Ojciec Niebieski, zachowując w waszych sercach – tak, jak Ona – zdolność zdumiewania się i adorowania Tego, który ma moc czynić „wielkie rzeczy", gdyż Święte jest imię Jego (por. Łk 1, 49).

Watykan, 20 stycznia 2009

BENEDICTUS PP. XVI

[00493-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0211-XX.01]