Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Cardinali con i membri della Curia Romana e del Governatorato per la presentazione degli auguri natalizi.
Nel corso dell’incontro, dopo l’indirizzo di omaggio al Santo Padre del Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio, il Papa rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:
● DISCORSO DEL SANTO PADRE IN LINGUA ITALIANA
Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli e sorelle!
Il Natale del Signore è alle porte. Ogni famiglia sente il desiderio di radunarsi, per gustare l’atmosfera unica e irripetibile che questa festa è capace di creare. Anche la famiglia della Curia Romana si ritrova, stamane, secondo una bella consuetudine grazie alla quale abbiamo la gioia di incontrarci e di scambiarci gli auguri in questo particolare clima spirituale. A ciascuno rivolgo il mio saluto cordiale, colmo di riconoscenza per l’apprezzata collaborazione prestata al ministero del Successore di Pietro. Ringrazio vivamente il Cardinale Decano Angelo Sodano, che, con la voce di un angelo, si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti e anche di quanti sono al lavoro nei diversi uffici, comprese le Rappresentanze Pontificie. Accennavo all’inizio alla speciale atmosfera del Natale. Mi piace pensare che essa sia quasi un prolungamento di quella misteriosa letizia, di quell’intima esultanza che coinvolse la santa Famiglia, gli Angeli e i pastori di Betlemme, nella notte in cui Gesù venne alla luce. La definirei "l’atmosfera della grazia", pensando all’espressione di san Paolo nella Lettera a Tito: "Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (cfr Tt 2,11). L’Apostolo afferma che la grazia di Dio si è manifestata "a tutti gli uomini": direi che in ciò traspare anche la missione della Chiesa e, in particolare, quella del Successore di Pietro e dei suoi collaboratori, di contribuire cioè a che la grazia di Dio, del Redentore, diventi sempre più visibile a tutti, e a tutti rechi la salvezza.
L’anno che sta per concludersi è stato ricco di sguardi retrospettivi su date incisive della storia recente della Chiesa, ma ricco anche di avvenimenti, che recano con sé segnali di orientamento per il nostro cammino verso il futuro. Cinquant’anni fa moriva Papa Pio XII, cinquant’anni fa Giovanni XXIII veniva eletto Pontefice. Sono passati quarant’anni dalla pubblicazione dell’Enciclica Humanae vitae e trent’anni dalla morte del suo Autore, Papa Paolo VI. Il messaggio di tali avvenimenti è stato ricordato e meditato in molteplici modi nel corso dell’anno, così che non vorrei soffermarmici nuovamente in questa ora. Lo sguardo della memoria, però, si è spinto anche più indietro, al di là degli avvenimenti del secolo scorso, e proprio in questo modo ci ha rimandato al futuro: la sera del 28 giugno, alla presenza del Patriarca ecumenico Bartolomeo I di Costantinopoli e di rappresentanti di molte altre Chiese e Comunità ecclesiali abbiamo potuto inaugurare nella Basilica di S. Paolo fuori le Mura l’Anno Paolino, nel ricordo della nascita dell’Apostolo delle genti 2000 anni fa. Paolo per noi non è una figura del passato. Mediante le sue lettere, egli ci parla tuttora. E chi entra in colloquio con lui, viene da lui sospinto verso il Cristo crocifisso e risorto. L’Anno Paolino è un anno di pellegrinaggio non soltanto nel senso di un cammino esteriore verso i luoghi paolini, ma anche, e soprattutto, in quello di un pellegrinaggio del cuore, insieme con Paolo, verso Gesù Cristo. In definitiva, Paolo ci insegna anche che la Chiesa è Corpo di Cristo, che il Capo e il Corpo sono inseparabili e che non può esserci amore per Cristo senza amore per la sua Chiesa e la sua comunità vivente.
Tre specifici avvenimenti dell’anno che s’avvia alla conclusione saltano particolarmente agli occhi. C’è stata innanzitutto la Giornata Mondiale della Gioventù in Australia, una grande festa della fede, che ha riunito più di 200.000 giovani da tutte le parti del mondo e li ha avvicinati non solo esternamente – nel senso geografico – ma, grazie alla condivisione della gioia di essere cristiani, li ha anche avvicinati interiormente. Accanto a ciò c’erano i due viaggi, l’uno negli Stati Uniti e l’altro in Francia, nei quali la Chiesa si è resa visibile davanti al mondo e per il mondo come una forza spirituale che indica cammini di vita e, mediante la testimonianza della fede, porta luce al mondo. Quelle sono state infatti giornate che irradiavano luminosità; irradiavano fiducia nel valore della vita e nell’impegno per il bene. E infine c’è da ricordare il Sinodo dei Vescovi: Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti intorno alla Parola di Dio, che era stata innalzata in mezzo a loro; intorno alla Parola di Dio, la cui grande manifestazione si trova nella Sacra Scrittura. Ciò che nel quotidiano ormai diamo troppo per scontato, l’abbiamo colto nuovamente nella sua sublimità: il fatto che Dio parli, che Dio risponda alle nostre domande. Il fatto che Egli, sebbene in parole umane, parli di persona e noi possiamo ascoltarLo e, nell’ascolto, imparare a conoscerLo e a comprenderLo. Il fatto che Egli entri nella nostra vita plasmandola e noi possiamo uscire dalla nostra vita ed entrare nella vastità della sua misericordia. Così ci siamo nuovamente resi conto che Dio in questa sua Parola si rivolge a ciascuno di noi, parla al cuore di ciascuno: se il nostro cuore si desta e l’udito interiore si apre, allora ognuno può imparare a sentire la parola rivolta appositamente a lui. Ma proprio se sentiamo Dio parlare in modo così personale a ciascuno di noi, comprendiamo anche che la sua Parola è presente affinché noi ci avviciniamo gli uni agli altri; affinché troviamo il modo di uscire da ciò che è solamente personale. Questa Parola ha plasmato una storia comune e vuole continuare a farlo. Allora ci siamo nuovamente resi conto che – proprio perché la Parola è così personale – possiamo comprenderla in modo giusto e totale solo nel "noi" della comunità istituita da Dio: essendo sempre consapevoli che non possiamo mai esaurirla completamente, che essa ha da dire qualcosa di nuovo ad ogni generazione. Abbiamo capito che, certamente, gli scritti biblici sono stati redatti in determinate epoche e quindi costituiscono in questo senso anzitutto un libro proveniente da un tempo passato. Ma abbiamo visto che il loro messaggio non rimane nel passato né può essere rinchiuso in esso: Dio, in fondo, parla sempre al presente, e avremo ascoltato la Bibbia in maniera piena solo quando avremo scoperto questo "presente" di Dio, che ci chiama ora.
Infine era importante sperimentare che nella Chiesa c’è una Pentecoste anche oggi – cioè che essa parla in molte lingue e questo non soltanto nel senso esteriore dell’essere rappresentate in essa tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo: in essa sono presenti i molteplici modi dell’esperienza di Dio e del mondo, la ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell’esistenza umana e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio. Tuttavia abbiamo anche appreso che la Pentecoste è tuttora "in cammino", è tuttora incompiuta: esiste una moltitudine di lingue che ancora attendono la Parola di Dio contenuta nella Bibbia. Erano commoventi anche le molteplici testimonianze di fedeli laici da ogni parte del mondo, che non solo vivono la Parola di Dio, ma anche soffrono per essa. Un contributo prezioso è stato il discorso di un Rabbì sulle Sacre Scritture di Israele, che appunto sono anche le nostre Sacre Scritture. Un momento importante per il Sinodo, anzi, per il cammino della Chiesa nel suo insieme, è stato quello in cui il Patriarca Bartolomeo, alla luce della tradizione ortodossa, con penetrante analisi ci ha aperto un accesso alla Parola di Dio. Speriamo ora che le esperienze e le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto con le Sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella Liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma la sua vitalità e attualità siano lette e dischiuse nella vastità delle dimensioni dei suoi significati.
Della presenza della Parola di Dio, di Dio stesso nell’attuale ora della storia si è trattato anche nei viaggi pastorali di quest’anno: il loro vero senso può essere solo quello di servire questa presenza. In tali occasioni la Chiesa si rende pubblicamente percepibile, con essa la fede e perciò almeno la questione su Dio. Questo manifestarsi in pubblico della fede chiama in causa ormai tutti coloro che cercano di capire il tempo presente e le forze che operano in esso. Specialmente il fenomeno delle Giornate Mondiali della Gioventù diventa sempre più oggetto di analisi, in cui si cerca di capire questa specie, per così dire, di cultura giovanile. L’Australia mai prima aveva visto tanta gente da tutti i continenti come durante la Giornata Mondiale della Gioventù, neppure in occasione dell’Olimpiade. E se precedentemente c’era stato il timore che la comparsa in massa di giovani potesse comportare qualche disturbo dell’ordine pubblico, paralizzare il traffico, ostacolare la vita quotidiana, provocare violenza e dar spazio alla droga, tutto ciò si è dimostrato infondato. È stata una festa della gioia – una gioia che infine ha coinvolto anche i riluttanti: alla fine nessuno si è sentito molestato. Le giornate sono diventate una festa per tutti, anzi solo allora ci si è veramente resi conto di che cosa sia una festa – un avvenimento in cui tutti sono, per così dire, fuori di sé, al di là di se stessi e proprio così con sé e con gli altri. Qual è quindi la natura di ciò che succede in una Giornata Mondiale della Gioventù? Quali sono le forze che vi agiscono? Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Con o senza la fede, questi festival sarebbero in fondo sempre la stessa cosa, e così si pensa di poter rimuovere la questione su Dio. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita.
Con ciò, tuttavia, la peculiarità di quelle giornate e il carattere particolare della loro gioia, della loro forza creatrice di comunione, non trovano alcuna spiegazione. Anzitutto è importante tener conto del fatto che le Giornate Mondiali della Gioventù non consistono soltanto in quell’unica settimana in cui si rendono pubblicamente visibili al mondo. C’è un lungo cammino esteriore ed interiore che conduce ad esse. La Croce, accompagnata dall’immagine della Madre del Signore, fa un pellegrinaggio attraverso i Paesi. La fede, a modo suo, ha bisogno del vedere e del toccare. L’incontro con la croce, che viene toccata e portata, diventa un incontro interiore con Colui che sulla croce è morto per noi. L’incontro con la Croce suscita nell’intimo dei giovani la memoria di quel Dio che ha voluto farsi uomo e soffrire con noi. E vediamo la donna che Egli ci ha dato come Madre. Le Giornate solenni sono soltanto il culmine di un lungo cammino, col quale si va incontro gli uni agli altri e insieme si va incontro a Cristo. In Australia non per caso la lunga Via Crucis attraverso la città è diventata l’evento culminante di quelle giornate. Essa riassumeva ancora una volta tutto ciò che era accaduto negli anni precedenti ed indicava Colui che riunisce insieme tutti noi: quel Dio che ci ama sino alla Croce. Così anche il Papa non è la star intorno alla quale gira il tutto. Egli è totalmente e solamente Vicario. Rimanda all’Altro che sta in mezzo a noi. Infine la Liturgia solenne è il centro dell’insieme, perché in essa avviene ciò che noi non possiamo realizzare e di cui, tuttavia, siamo sempre in attesa. Lui è presente. Lui entra in mezzo a noi. È squarciato il cielo e questo rende luminosa la terra. È questo che rende lieta e aperta la vita e unisce gli uni con gli altri in una gioia che non è paragonabile con l’estasi di un festival rock. Friedrich Nietzsche ha detto una volta: "L’abilità non sta nell’organizzare una festa, ma nel trovare le persone capaci di trarne gioia". Secondo la Scrittura, la gioia è frutto della Spirito Santo (cfr Gal 5, 22): questo frutto era abbondantemente percepibile nei giorni di Sydney. Come un lungo cammino precede le Giornate Mondiali della Gioventù, così ne deriva anche il camminare successivo. Si formano delle amicizie che incoraggiano ad uno stile di vita diverso e lo sostengono dal di dentro. Le grandi Giornate hanno, non da ultimo, lo scopo di suscitare tali amicizie e di far sorgere in questo modo nel mondo luoghi di vita nella fede, che sono insieme luoghi di speranza e di carità vissuta.
La gioia come frutto dello Spirito Santo – e così siamo giunti al tema centrale di Sydney che, appunto, era lo Spirito Santo. In questa retrospettiva vorrei ancora accennare in maniera riassuntiva all’orientamento implicito in tale tema. Tenendo presente la testimonianza della Scrittura e della Tradizione, si riconoscono facilmente quattro dimensioni del tema "Spirito Santo".
1. C’è innanzitutto l’affermazione che ci viene incontro dall’inizio del racconto della creazione: vi si parla dello Spirito creatore che aleggia sulle acque, crea il mondo e continuamente lo rinnova. La fede nello Spirito creatore è un contenuto essenziale del Credo cristiano. Il dato che la materia porta in sé una struttura matematica, è piena di spirito, è il fondamento sul quale poggiano le moderne scienze della natura. Solo perché la materia è strutturata in modo intelligente, il nostro spirito è in grado di interpretarla e di attivamente rimodellarla. Il fatto che questa struttura intelligente proviene dallo stesso Spirito creatore che ha donato lo spirito anche a noi, comporta insieme un compito e una responsabilità. Nella fede circa la creazione sta il fondamento ultimo della nostra responsabilità verso la terra. Essa non è semplicemente nostra proprietà che possiamo sfruttare secondo i nostri interessi e desideri. È piuttosto dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci e con ciò ci ha dato i segnali orientativi a cui attenerci come amministratori della sua creazione. Il fatto che la terra, il cosmo, rispecchino lo Spirito creatore, significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell’ordine matematico, nell’esperimento diventano quasi palpabili, portano in sé anche un orientamento etico. Lo Spirito che li ha plasmati, è più che matematica – è il Bene in persona che, mediante il linguaggio della creazione, ci indica la strada della vita retta.
Poiché la fede nel Creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo, intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo e quindi una distruzione dell’opera stessa di Dio. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine "gender", si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo – senza modificare il messaggio della creazione – ha poi accolto nella storia della salvezza come sacramento della nuova alleanza. Fa parte dell’annuncio che la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo insieme e in special modo nella natura dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Partendo da questa prospettiva occorrerebbe rileggere l’Enciclica Humanae vitae: l’intenzione di Papa Paolo VI era di difendere l’amore contro la sessualità come consumo, il futuro contro la pretesa esclusiva del presente e la natura dell’uomo contro la sua manipolazione.
2. Solo qualche ulteriore breve accenno circa le altre dimensioni della pneumatologia. Se lo Spirito creatore si manifesta innanzitutto nella grandezza silenziosa dell’universo, nella sua struttura intelligente, la fede, oltre a ciò, ci dice la cosa inaspettata, che cioè questo Spirito parla, per così dire, anche con parole umane, è entrato nella storia e, come forza che plasma la storia, è anche uno Spirito parlante, anzi, è Parola che negli Scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento ci viene incontro. Che cosa questo significhi per noi, l’ha espresso meravigliosamente sant’Ambrogio in una sua lettera: "Anche ora, mentre leggo le divine Scritture, Dio passeggia nel Paradiso" (Ep. 49, 3). Leggendo la Scrittura, noi possiamo anche oggi quasi vagare nel giardino del Paradiso ed incontrare Dio che lì passeggia: tra il tema della Giornata Mondiale della Gioventù in Australia e il tema del Sinodo dei Vescovi esiste una profonda connessione interiore. I due temi "Spirito Santo" e " Parola di Dio" vanno insieme. Leggendo la Scrittura apprendiamo però anche che Cristo e lo Spirito Santo sono inseparabili tra loro. Se Paolo con sconcertante sintesi afferma: "Il Signore è lo Spirito" (2 Cor 3, 17), appare non solo, nello sfondo, l’unità trinitaria tra il Figlio e lo Spirito Santo, ma soprattutto la loro unità riguardo alla storia della salvezza: nella passione e risurrezione di Cristo vengono strappati i veli del senso meramente letterale e si rende visibile la presenza del Dio che sta parlando. Leggendo la Scrittura insieme con Cristo, impariamo a sentire nelle parole umane la voce dello Spirito Santo e scopriamo l’unità della Bibbia.
3. Con ciò siamo ormai giunti alla terza dimensione della pneumatologia che consiste, appunto, nella inseparabilità di Cristo e dello Spirito Santo. Nella maniera forse più bella essa si manifesta nel racconto di san Giovanni circa la prima apparizione del Risorto davanti ai discepoli: il Signore alita sui discepoli e dona loro in questo modo lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo è il soffio di Cristo. E come il soffio di Dio nel mattino della creazione aveva trasformato la polvere del suolo nell’uomo vivente, così il soffio di Cristo ci accoglie nella comunione ontologica con il Figlio, ci rende nuova creazione. Per questo è lo Spirito Santo che ci fa dire insieme col Figlio: "Abba, Padre!" (cfr Gv 20, 22; Rm 8, 15).
4. Così, come quarta dimensione, emerge spontaneamente la connessione tra Spirito e Chiesa. Paolo, in Prima Corinzi 12 e in Romani 12, ha illustrato la Chiesa come Corpo di Cristo e proprio così come organismo dello Spirito Santo, in cui i doni dello Spirito Santo fondono i singoli in un tutt’uno vivente. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Corpo di Cristo. Nell’insieme di questo Corpo troviamo il nostro compito, viviamo gli uni per gli altri e gli uni in dipendenza dagli altri, vivendo in profondità di Colui che ha vissuto e sofferto per tutti noi e che mediante il suo Spirito ci attrae a sé nell’unità di tutti i figli di Dio. "Vuoi anche tu vivere dello Spirito di Cristo? Allora sii nel Corpo di Cristo", dice Agostino a questo proposito (Tr. in Jo. 26, 13).
Così con il tema "Spirito Santo", che orientava le giornate in Australia e, in modo più nascosto, anche le settimane del Sinodo, si rende visibile tutta l’ampiezza della fede cristiana, un’ampiezza che dalla responsabilità per il creato e per l’esistenza dell’uomo in sintonia con la creazione conduce, attraverso i temi della Scrittura e della storia della salvezza, fino a Cristo e da lì alla comunità vivente della Chiesa, nei suoi ordini e responsabilità come anche nella sua vastità e libertà, che si esprime tanto nella molteplicità dei carismi quanto nell’immagine pentecostale della moltitudine delle lingue e delle culture.
Parte integrante della festa è la gioia. La festa si può organizzare, la gioia no. Essa può soltanto essere offerta in dono; e, di fatto, ci è stata donata in abbondanza: per questo siamo riconoscenti. Come Paolo qualifica la gioia frutto dello Spirito Santo, così anche Giovanni nel suo Vangelo ha connesso strettamente lo Spirito e la gioia. Lo Spirito Santo ci dona la gioia. Ed Egli è la gioia. La gioia è il dono nel quale tutti gli altri doni sono riassunti. Essa è l’espressione della felicità, dell’essere in armonia con se stessi, ciò che può derivare solo dall’essere in armonia con Dio e con la sua creazione. Fa parte della natura della gioia l’irradiarsi, il doversi comunicare. Lo spirito missionario della Chiesa non è altro che l’impulso di comunicare la gioia che ci è stata donata. Che essa sia sempre viva in noi e quindi s’irradi sul mondo nelle sue tribolazioni: tale è il mio auspicio alla fine di quest’anno. Insieme con un vivo ringraziamento per tutto il vostro faticare ed operare, auguro a tutti voi che questa gioia derivante da Dio ci venga donata abbondantemente anche nell’Anno Nuovo.
Affido questi voti all’intercessione della Vergine Maria, Mater divinae gratiae, chiedendoLe di poter vivere le Festività natalizie nella letizia e nella pace del Signore. Con questi sentimenti a voi tutti e alla grande famiglia della Curia Romana imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
[01988-01.01] [Testo originale: Italiano]
● DISCORSO DEL SANTO PADRE IN LINGUA TEDESCA
Meine Herren Kardinäle,
verehrte Mitbrüder im bischöflichen und im priesterlichen Dienst,
liebe Brüder und Schwestern!
Das Fest der Geburt des Herrn steht vor der Tür. Jede Familie empfindet das Verlangen, sich zu versammeln, um die einzigartige und unwiederholbare Atmosphäre zu genießen, die dieses Fest herbeiführen kann. Auch die Familie der Römischen Kurie findet sich heute Morgen zusammen, entsprechend einem schönen Brauch, der uns die Freude schenkt, in diesem besonderen geistigen Klima einander zu begegnen und die Glückwünsche auszutauschen. An jeden einzelnen richte ich meinen herzlichen Gruß, voller Dankbarkeit für die geschätzte Mitarbeit am Dienst des Nachfolgers Petri. Herzlich danke ich dem Kardinaldekan Angelo Sodano, der mit der Stimme eines Engels im Namen aller Anwesenden wie auch all derer gesprochen hat, die in den verschiedenen Büros, einschließlich der Päpstlichen Vertretungen, tätig sind. Ich erwähnte zu Beginn die weihnachtliche Atmosphäre. Diese stelle ich mir gerne als eine Art Verlängerung jener geheimnisvollen Freude, jenes inneren Jubels vor, der die heilige Familie, die Engel und die Hirten von Bethlehem in der Nacht erfaßte, da Jesus geboren wurde. Ich würde sie als „Atmosphäre der Gnade" bezeichnen und denke dabei an die Worte des heiligen Paulus im Brief an Titus: „Apparuit gratia Dei Salvatoris nostri omnibus hominibus" (cfr 2, 11). Der Apostel betont, daß die Gnade Gottes für „alle Menschen" erschienen ist: Ich würde sagen, daß darin auch die Sendung der Kirche und speziell die des Nachfolgers Petri sowie seiner Mitarbeiter aufscheint, dazu beizutragen, daß die Gnade Gottes, des Erlösers, immer mehr allen sichtbar werde und allen das Heil bringe.
Das zu Ende gehende Jahr war reich an Rückblicken auf prägende Daten der jüngeren Geschichte der Kirche, aber auch reich an Ereignissen, die Markierungen für unseren weiteren Weg in die Zukunft bedeuten. Vor 50 Jahren ist Papst Pius XII. gestorben, vor 50 Jahren wurde Johannes XXIII. zum Papst gewählt. 40 Jahre sind seit der Veröffentlichung der Enzyklika „Humanae vitae" vergangen und 30 Jahre seit dem Tod ihres Verfassers, Papst Paul VI. Die Botschaft dieser Ereignisse wurde im vergangenen Jahr auf vielfache Weise bedacht, so daß ich sie in dieser Stunde nicht neu kommentieren möchte. Der Blick des Erinnerns reichte aber über die Ereignisse des vergangenen Jahrhunderts noch weiter zurück und wies uns gerade so vorwärts: Am Abend des 28. Juni konnten wir in St. Paul vor den Mauern in Anwesenheit des ökumenischen Patriarchen Bartholomäus I. von Konstantinopel und Vertretern vieler anderer Kirchen und kirchlicher Gemeinschaften das Jahr des heiligen Paulus eröffnen im Gedenken an die Geburt des Völkerapostels vor 2.000 Jahren. Paulus ist für uns keine Gestalt der Vergangenheit. Durch seine Briefe spricht er zu uns. Und wer ins Gespräch mit ihm kommt, wird von ihm weitergeführt zum gekreuzigten und auferstandenen Christus hin. Das Paulus-Jahr ist ein Pilgerjahr nicht nur im äußeren Unterwegssein zu Erinnerungsorten des Apostels, sondern auch und vor allem als Pilgerschaft des Herzens mit Paulus zu Jesus Christus. Schließlich lehrt uns Paulus aber auch, daß die Kirche Christi Leib ist, daß Haupt und Leib untrennbar sind und daß es keine Liebe zu Christus ohne Liebe zu seiner Kirche und ihrer lebendigen Gemeinschaft geben kann.
Drei einzelne Ereignisse des vergangenen Jahres fallen bei der Rückschau besonders ins Auge. Da war zunächst der Weltjugendtag in Australien, ein großes Fest des Glaubens, das mehr als 200.000 Jugendliche aus allen Teilen der Welt nicht nur äußerlich – geographisch -, sondern inwendig in der Gemeinsamkeit der Freude des Christseins zueinandergeführt hat. Daneben stehen die beiden Reisen in die Vereinigten Staaten und nach Frankreich, in denen Kirche vor der Welt und für die Welt sichtbar wurde als geistige Kraft, die Wege des Lebens zeigt und durch das Zeugnis des Glaubens Licht in die Welt trägt. Denn dies waren Tage gewesen, aus denen Helligkeit kam; Zuversicht, daß es gut ist zu leben, recht das Gute zu tun. Und da ist schließlich der Bischofssynode zu gedenken: Bischöfe aus aller Welt waren versammelt um das Wort Gottes herum, das in ihrer Mitte aufgerichtet war; um das Wort Gottes, dessen große Bezeugung in der Heiligen Schrift zu finden ist. Was uns im Alltag zu selbstverständlich geworden ist, haben wir neu in seiner Größe erfaßt: daß Gott redet. Daß er antwortet auf unser Fragen. Daß er in Menschenworten doch als er selber spricht und wir ihm zuhören, durch das Zuhören ihn kennen und verstehen lernen können; daß er in unser Leben hereintritt und es formt; daß wir aus unserem eigenen Leben heraustreten können in die Weite seines Erbarmens hinein. So wurde uns von neuem klar, daß Gott in diesem seinem Wort zu jedem einzelnen von uns redet, jedem in sein Herz hinein: Wenn unser Herz wach wird und sich das innere Gehör öffnet, dann kann jeder das gerade ihm eigens zugedachte Wort hören lernen. Aber gerade wenn wir Gott so persönlich, mit jedem einzelnen von uns reden hören, erkennen wir auch, daß sein Wort da ist, damit wir zueinander kommen. Damit wir aus dem bloß Eigenen herausfinden. Dieses Wort hat gemeinsame Geschichte geformt und will es weiter tun. So ist uns von neuem klar geworden, daß wir das Wort – gerade weil es so persönlich ist – nur im Wir der von Gott gestifteten Gemeinschaft recht und ganz verstehen können: immer wissend, daß wir es niemals vollends ausschöpfen, daß es jeder Generation Neues zu sagen hat. Wir haben verstanden, daß die biblischen Schriften gewiß zu ganz bestimmten Zeiten entstanden und so in diesem Sinn zunächst ein Buch aus vergangener Zeit sind. Aber wir haben gesehen, daß ihr Wort nicht in der Vergangenheit bleibt und darin eingeschlossen werden kann; daß Gott letztlich immer im Präsens spricht und daß wir der Bibel erst dann ganz zugehört haben, wenn wir das Präsens Gottes entdecken, das uns jetzt ruft.
Schließlich war es bedeutend zu erleben, daß in der Kirche auch heute Pfingsten ist – das heißt, daß sie in vielen Sprachen redet und dies nicht nur in dem äußeren Sinne, daß alle großen Sprachen der Welt in ihr vertreten sind, sondern mehr noch in dem tieferen Sinn, daß die vielfältigen Weisen des Erfahrens von Gott und Welt, der Reichtum der Kulturen in ihr gegenwärtig ist und so erst die Weite des Menschseins und von ihr her die Weite von Gottes Wort erscheint. Freilich haben wir auch gelernt, daß Pfingsten noch immer unterwegs, noch immer unerfüllt ist: Noch immer gibt es eine Vielzahl von Sprachen, die noch auf das Wort Gottes in der Bibel warten. Bewegend waren auch die vielfältigen Zeugnisse von Laien aus aller Welt, die das Wort Gottes nicht nur leben, sondern auch dafür leiden. Kostbar war es, daß ein Rabbi über die Heiligen Schriften Israels sprach, die ja auch unsere Heiligen Schriften sind. Ein großer Augenblick war es für die Synode, ja, für den Weg der Kirche insgesamt, daß Patriarch Bartholomäus uns von der orthodoxen Überlieferung her auf eindringliche Weise zum Wort Gottes hinführte. Nun hoffen wir, daß die Erfahrungen und die Erkenntnisse der Synode ins Leben der Kirche hineinwirken: in den persönlichen Umgang mit den Heiligen Schriften, in ihre Auslegung in der Liturgie und Katechese wie auch in wissenschaftlicher Forschung: daß die Bibel nicht Wort der Vergangenheit bleibe, sondern ihre Lebendigkeit und Gegenwart in der Weite der Dimensionen ihrer Bedeutungen gelesen und erschlossen werden.
Um die Gegenwart von Gottes Wort, von Gott selbst in unserer geschichtlichen Stunde ging es auch bei den Pastoralreisen dieses Jahres: ihr eigentlicher Sinn kann nur sein, dieser Gegenwart zu dienen. Kirche wird da öffentlich wahrnehmbar, mit ihr der Glaube und insofern mindestens die Frage nach Gott. Diese Öffentlichkeit des Glaubens beschäftigt inzwischen all diejenigen, die die Gegenwart und ihre wirkenden Kräfte zu verstehen suchen. Besonders das Phänomen der Weltjugendtage wird zusehends Gegenstand von Analysen, die sozusagen diese Art von Jugendkultur zu verstehen versuchen. Australien hat noch nie so viele Menschen aus allen Kontinenten gesehen wie beim Weltjugendtag, selbst nicht bei der Olympiade. Und wenn vorher die Furcht bestanden hatte, das massenhafte Auftreten junger Menschen könne zu Störungen der öffentlichen Ordnung führen, den Verkehr paralysieren, das tägliche Leben behindern, Gewalt produzieren und der Droge Raum geben, so erwies sich all dies als unbegründet. Es war ein Fest der Freude, die schließlich auch die Widerstrebenden einbezog: Am Ende fühlte sich niemand belästigt. Die Tage waren zu einem Fest für alle geworden, ja, man hatte das erst so richtig erfahren, was das ist: ein Fest – ein Vorgang, bei dem alle sozusagen außer sich, über sich hinaus und gerade so bei sich und beieinander sind. Was also geschieht da eigentlich bei einem Weltjugendtag? Welche Kräfte sind da wirksam? Gängige Analysen tendieren dazu, diese Tage als eine Variante der modernen Jugendkultur, als eine Art von kirchlich abgewandeltem Rockfestival mit dem Papst als Star anzusehen. Ob mit oder ohne Glauben wären diese Festivals im Grunde doch dasselbe, und so glaubt man, die Frage nach Gott beiseitelegen zu können. Es gibt auch katholische Stimmen, die in diese Richtung gehen und das Ganze als ein großes und auch schönes Spektakel ansehen, das aber für die Frage nach dem Glauben und der Gegenwart des Evangeliums in unserer Zeit wenig bedeute. Es seien Augenblicke festlicher Ekstase, die aber dann doch letztlich alles beim Alten beließen, das Leben nicht tiefer gestalten könnten.
Das Besondere dieser Tage und das Besondere ihrer Freude, ihrer gemeinschaftsstiftenden Kraft ist damit aber nicht erklärt. Zunächst ist wichtig zu beachten, daß die Weltjugendtage nicht nur aus der einen Woche bestehen, in der sie für die Welt öffentlich sichtbar werden. Ein langer äußerer und innerer Weg führt auf sie zu. Das Kreuz wandert durch die Länder, begleitet vom Bild der Mutter des Herrn. Der Glaube braucht auf seine Weise das Sehen und Berühren. Die Begegnung mit dem Kreuz, das angefaßt und getragen wird, wird zu innerer Begegnung mit dem, der am Kreuz für uns gestorben ist. Die Begegnung mit dem Kreuz erinnert die jungen Menschen inwendig an den Gott, der Mensch werden und mit uns leiden wollte. Und wir sehen die Frau, die er uns als Mutter gegeben hat. Die festlichen Tage sind nur der Höhepunkt eines langen Weges, in dem man aufeinander und auf Christus zugeht. In Australien ist nicht zufällig der lange Kreuzweg durch die Stadt zum Höhepunkt der Tage geworden. Er faßte noch einmal zusammen, was in den Jahren zuvor geschehen war und wies auf den hin, der uns alle zusammenführt: den Gott, der uns bis ans Kreuz liebt. So ist auch der Papst nicht der Star, um den alles kreist. Er ist ganz und nur Stellvertreter. Er verweist auf den anderen, der in unserer Mitte ist. Endlich ist die festliche Liturgie deshalb der Mittelpunkt des Ganzen, weil in ihr geschieht, was wir nicht machen können und doch immer erwarten. ER ist gegenwärtig. ER tritt zu uns herein. Der Himmel ist aufgerissen, und das macht die Erde hell. Das macht das Leben froh und weit und verbindet miteinander in einer Freude, die mit der Ekstase eines Rockfestivals nicht vergleichbar ist. Friedrich Nietzsche hat einmal gesagt: „Nicht das ist das Kunststück, ein Fest zu veranstalten, sondern solche zu finden, welche sich an ihm freuen." Die Freude ist nach der Schrift Frucht des Heiligen Geistes (Gal 5, 22): Diese Frucht war in den Tagen in Sydney reichlich zu spüren. Wie den Weltjugendtagen eine Wanderung des Kreuzes vorausgeht, so folgt daraus auch das Weitergehen. Es bilden sich Freundschaften, die zu einem alternativen Lebensstil ermutigen und ihn von innen her tragen. Die großen Tage sind nicht zuletzt dazu da, daß solche Freundschaften erwachen und dadurch Lebensorte des Glaubens in der Welt entstehen, die zugleich Orte der Hoffnung und der gelebten Liebe sind.
Freude als Frucht des Heiligen Geistes – damit sind wir beim zentralen Thema von Sydney angelangt, das eben der Heilige Geist gewesen ist. Die Wegweisung, die darin liegt, möchte ich in diesem Rückblick noch einmal zusammenfassend andeuten. Wenn man sich das Zeugnis von Schrift und Überlieferung vor Augen hält, kann man unschwer vier Dimensionen des Themas Heiliger Geist erkennen.
1. Da ist zuerst die Aussage, die uns vom Anfang des Schöpfungsberichts her entgegenkommt: Er erzählt uns von dem Schöpfergeist, der über den Wassern schwebt, die Welt erschafft und immer wieder erneuert. Glaube an den Schöpfergeist ist ein wesentlicher Inhalt des christlichen Credo. Daß die Materie mathematische Struktur in sich trägt, geisterfüllt ist, ist die Grundlage, auf der die moderne Naturwissenschaft beruht. Nur weil Materie geistig strukturiert ist, kann unser Geist sie nachdenken und selbst gestalten. Daß diese geistige Struktur von dem gleichen Schöpfergeist kommt, der auch uns Geist geschenkt hat, bedeutet Auftrag und Verantwortung zugleich. Im Schöpfungsglauben liegt der letzte Grund unserer Verantwortung für die Erde. Sie ist nicht einfach unser Eigentum, das wir ausnützen können nach unseren Interessen und Wünschen. Sie ist Gabe des Schöpfers, der ihre inneren Ordnungen vorgezeichnet und uns damit Wegweisungen als Treuhänder seiner Schöpfung gegeben hat. Daß die Erde, der Kosmos, den Schöpfergeist spiegeln, bedeutet auch, daß ihre geistigen Strukturen, die über die mathematische Ordnung hinaus im Experiment gleichsam greifbar werden, auch sittliche Weisung in sich tragen. Der Geist, der sie geformt hat, ist mehr als Mathematik – er ist das Gute in Person, das uns durch die Sprache der Schöpfung den Weg des rechten Lebens zeigt.
Weil der Glaube an den Schöpfer ein wesentlicher Teil des christlichen Credo ist, kann und darf sich die Kirche nicht damit begnügen, ihren Gläubigen die Botschaft des Heils auszurichten. Sie trägt Verantwortung für die Schöpfung und muß diese Verantwortung auch öffentlich zur Geltung bringen. Und sie muß dabei nicht nur die Erde, das Wasser und die Luft als Schöpfungsgaben verteidigen, die allen gehören. Sie muß auch den Menschen gegen die Zerstörung seiner selbst schützen. Es muß so etwas wie eine Ökologie des Menschen im recht verstandenen Sinn geben. Es ist nicht überholte Metaphysik, wenn die Kirche von der Natur des Menschen als Mann und Frau redet und das Achten dieser Schöpfungsordnung einfordert. Da geht es in der Tat um den Glauben an den Schöpfer und das Hören auf die Sprache der Schöpfung, die zu mißachten Selbstzerstörung des Menschen und so Zerstörung von Gottes eigenem Werk sein würde. Was in dem Begriff „Gender" vielfach gesagt und gemeint wird, läuft letztlich auf die Selbstemanzipation des Menschen von der Schöpfung und vom Schöpfer hinaus. Der Mensch will sich nur selber machen und sein Eigenes immer nur selbst bestimmen. Aber so lebt er gegen die Wahrheit, lebt gegen den Schöpfergeist. Die Regenwälder verdienen unseren Schutz, ja, aber nicht weniger der Mensch als Geschöpf, dem eine Botschaft eingeschrieben ist, die nicht Gegensatz zu unserer Freiheit, sondern ihre Bedingung bedeutet. Große Theologen der Scholastik haben die Ehe, die lebenslange Verbindung von Mann und Frau als Schöpfungssakrament bezeichnet, das der Schöpfer selbst eingesetzt und das Christus dann – ohne die Schöpfungsbotschaft zu verändern – in die Heilsgeschichte als Sakrament des Neuen Bundes aufgenommen hat. Zur Verkündigungsaufgabe der Kirche gehört das Zeugnis für den Schöpfergeist in der Natur als Ganzer und gerade auch in der Natur des gottebenbildlichen Menschen. Von da aus sollte man die Enzyklika „Humanae vitae" neu lesen: Papst Paul VI. ging es darin darum, die Liebe gegen Sexualität als Konsum, die Zukunft gegen den Alleinanspruch der Gegenwart und die Natur des Menschen gegen ihre Manipulation zu verteidigen.
2. Nur noch ein paar kurze Andeutungen zu den anderen Dimensionen der Pneumatologie. Wenn der Schöpfergeist sich zunächst in der schweigenden Größe des Alls, in seiner geistigen Struktur zeigt, so sagt uns der Glaube darüber hinaus das Überraschende, daß dieser Geist sozusagen auch in Menschenwort redet, in die Geschichte eingetreten und als geschichtsgestaltende Kraft auch sprechender Geist ist, ja, Wort, das uns in den Schriften des Alten und des Neuen Testaments begegnet. Was das für uns bedeutet, hat der heilige Ambrosius in einem Brief wunderbar ausgedrückt: „Auch jetzt ergeht sich Gott im Paradies, während ich die göttlichen Schriften lese" (ep 49, 3). Die Schrift lesend können wir gleichsam auch heute im Paradiesesgarten Gottes herumgehen und dem dort wandernden Gott begegnen: Zwischen dem Thema des Weltjugendtags in Australien und dem Thema der Bischofssynode besteht ein tiefer innerer Zusammenhang. Die beiden Themen Heiliger Geist und Wort Gottes gehören zusammen. Die Schrift lesend lernen wir aber auch, daß Christus und der Heilige Geist untrennbar voneinander sind. Wenn Paulus dramatisch zugespitzt sagt: „Der Herr ist der Geist" (2 Kor 3, 17), so erscheint nicht nur hintergründig die trinitarische Einheit von Sohn und Heiligem Geist, sondern vor allem ihre heilsgeschichtliche Einheit: In der Passion und Auferstehung Christi werden die Schleier der bloßen Buchstäblichkeit zerrissen und die Gegenwart des jetzt sprechenden Gottes sichtbar. Die Schrift mit Christus lesend lernen wir, die Stimme des Heiligen Geistes in den Menschenworten zu hören, und entdecken die Einheit der Bibel.
3. Damit sind wir schon bei der dritten Dimension der Pneumatologie angelangt, die eben in der Untrennbarkeit von Christus und Heiligem Geist besteht. Vielleicht am schönsten erscheint sie im Bericht des heiligen Johannes über die erste Erscheinung des Auferstandenen vor der Jüngergemeinschaft: Der Herr haucht die Jünger an und schenkt ihnen so den Heiligen Geist. Der Heilige Geist ist der Atem Christi. Und wie Gottes Atem am Schöpfungsmorgen den Lehm zum lebendigen Menschen gemacht hatte, so nimmt uns Christi Atem in die Seinsgemeinschaft mit dem Sohn auf, macht uns zu neuer Schöpfung. Deshalb ist es der Heilige Geist, der uns mit dem Sohn sagen läßt: „Abba, Vater!" (Joh 20, 22; Röm 8, 15).
4. So ergibt sich als vierte Dimension der Zusammenhang von Geist und Kirche ganz von selbst. Paulus hat in 1 Kor 12 und Röm 12 die Kirche als Leib Christi und gerade so als Organismus des Heiligen Geistes geschildert, in dem die Gaben des Heiligen Geistes die einzelnen zu einem lebendigen Ganzen zusammenformen. Der Heilige Geist ist der Geist des Leibes Christi. Im Ganzen dieses Leibes finden wir unsere Aufgabe, leben wir füreinander und voneinander, zutiefst von dem lebend, der für uns alle gelebt und gelitten hat und uns durch seinen Geist an sich zieht zur Einheit aller Kinder Gottes. „Willst auch du vom Geist Christi leben? So sei im Leib Christi", sagt Augustinus dazu (in Joa 26, 13).
So wird mit dem Thema Heiliger Geist, das die Tage in Australien und hintergründig die Wochen der Synode prägte, die ganze Weite des christlichen Glaubens sichtbar, die von der Verantwortung für die Schöpfung und das schöpfungsgemäße Sein des Menschen über die Themen Schrift und Heilsgeschichte zu Christus führt und von da aus in die lebendige Gemeinschaft der Kirche hinein, in ihre Ordnungen und Verantwortungen wie in ihre Weite und Freiheit, die sich in der Vielzahl der Charismen ebenso wie im pfingstlichen Bild von der Vielzahl der Sprachen und Kulturen ausdrückt.
Zum Fest gehört die Freude, hatten wir gesagt. Das Fest kann man organisieren, die Freude nicht. Sie kann nur geschenkt werden, und sie ist uns geschenkt worden in reichem Maß: Dafür sind wir dankbar. Wie Paulus die Freude als Frucht des Heiligen Geistes kennzeichnet, so hat auch Johannes in seinem Evangelium Geist und Freude ganz eng miteinander verknüpft. Der Heilige Geist schenkt uns die Freude. Und er ist die Freude. Die Freude ist die Gabe, in der alle anderen Gaben zusammengefaßt sind. Sie ist Ausdruck für das Glück, für das Einssein mit sich selbst, das nur aus dem Einssein mit Gott und mit seiner Schöpfung kommen kann. Zum Wesen der Freude gehört es, daß sie ausstrahlt, daß sie sich mitteilen muß. Der missionarische Geist der Kirche ist nichts anderes als der Drang, die Freude mitzuteilen, die uns geschenkt wurde. Daß sie in uns allezeit lebendig sei und so auf die Welt in ihren Drangsalen ausstrahle, das ist meine Bitte am Ende dieses Jahres. Verbunden mit dem herzlichen Dank für all Ihr Mühen und Wirken wünsche ich Ihnen allen, daß diese von Gott kommende Freude uns auch im neuen Jahr reichlich geschenkt werde.
Dieses Anliegen vertraue ich der Fürsprache der Jungfrau Maria, der Mater divinae gratiae, an und erbitte von Ihr fröhliche Weihnachtstage im Frieden des Herrn. In diesem Sinne erteile ich Ihnen allen und der großen Familie der Römischen Kurie von Herzen den Apostolischen Segen.
[01988-05.01] [Originalsprache: Deutsch]
● INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL DECANO DEL COLLEGIO CARDINALIZIO
Beatissimo Padre,
All'inizio dell'Avvento un bell'inno delle Lodi mattutine ci invitava a sentire una voce chiara che dal cielo ci annunziava: sta per spuntare la luce di Cristo Salvatore!
"Vox clara ecce intonat...
ab aethre Christus promicat ".
Quest'oggi vorrei avere anch'io "una voce chiara" per esprimere a Vostra Santità tutta la gioia della Curia Romana di poter celebrare con Lei la festa del Natale, in quel clima d'amore che promana dalla Nascita del Salvatore.
Appunto per questo, oggi sono qui riuniti intorno a Lei, Beatissimo Padre, i Signori Cardinali e molti altri Suoi Collaboratori, nei Dicasteri di Curia e nel Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, desiderosi di esprimerLe i loro auguri di liete e sante Feste Natalizie e per assicurarLa di tutta la loro devozione. Da lontano si uniscono a noi in ispirito i Rappresentanti Pontifici sparsi per il mondo, per presentarLe anche loro i voti di ogni bene.
In questi momenti di intensa letizia noi sperimentiamo la Sua paternità spirituale, che continua quella che fu propria dell'Apostolo Pietro, costituito da Cristo come "Vicario del suo amore" (In Lucam, X, 175).
L'incontro odierno è poi un'occasione propizia per ringraziarLa per il Suo generoso servizio alla Santa Chiesa. Ogni giorno Ella ci dà un esempio luminoso di zelo apostolico per la diffusione del Regno di Dio nel mondo d'oggi.
"Faccio tutto per il Vangelo" scriveva San Paolo ai fedeli di Corinto (1 Cor 9,23). "Tutto per il Vangelo, Omnia propter Evangelium " può ben essere la sintesi del Suo ministero petrino.
Con profonda attenzione abbiamo ascoltato gli insegnamenti, che ci ha rivolto nei Suoi documenti e nelle Sue omelie, nei discorsi tenuti in Vaticano o nei Paesi da Lei visitati. Particolare eco ha avuto in noi il messaggio rivolto in aprile al popolo americano: "Cristo è la nostra speranza, Christ our hope "! Così pure abbiamo ascoltato l'appello rivolto, nella sede dell'ONU a New York, alla famiglia delle Nazioni perché costruisca il proprio avvenire sulle basi solide dei principi etici e con la necessaria apertura alla solidarietà internazionale.
A Sydney, in Australia, Vostra Santità ha parimenti riempito di speranza il cuore di molti giovani colà convenuti per la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, ricordando loro il motto dell'incontro: "Avrete forza dallo Spirito Santo e mi sarete testimoni" (At 1,8).
Nel mese d'ottobre, infine, l'Assemblea del Sinodo dei Vescovi è stata un'occasione provvidenziale per indicare alla Chiesa orientamenti sicuri per la diffusione nel mondo della Parola di Dio, o, come scriveva S. Paolo ai Tessalonicesi, "ut sermo Dei currat et clarificetur ", perché la Parola di Dio corra rapidamente e sia così glorificata (2 Tess. 3,1).
Come Buon Samaritano sul cammino del mondo, nel corso dell'anno Ella si è poi chinato su tante popolazioni provate dalla povertà, dalla fame, dalle malattie e dalle guerre, insegnandoci la legge suprema dell'amore. Da parte nostra, faremo tesoro in particolare del recente Messaggio per la prossima Giornata della Pace: "Combattere la povertà, costruire la pace".
Santo Padre, continui a guidarci verso l'avvenire con la Sua mano sicura e con il Suo cuore grande!
Buon Natale, Santità, ed un Nuovo Anno benedetto dal Signore!
[01989-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0806-XX.02]