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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 95a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2009, 08.10.2008


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 95a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2009

INTERVENTO DEL CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO

Alle ore 12.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 95a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (18 gennaio 2009) sul tema: «San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’».

Intervengono alla Conferenza: l’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e S.E. Mons. Agostino Marchetto, Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

INTERVENTO DEL CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

"San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’"

(tenendo presente il mondo della migrazione economica)

I problemi più gravi che, al giorno d’oggi, dobbiamo affrontare, si pongono a dimensione globale. In effetti, nessuna Nazione, da sola, per quanto potente, è in grado di garantire, per esempio, la pace nel mondo, nessuna è capace di salvaguardare l’equilibrio dell’ecosistema o di impedire lo sfruttamento insensato delle risorse naturali. Così è pure nel caso del complesso movimento migratorio contemporaneo, dove tutti sono chiamati a dare un particolare contributo, soprattutto per il miglioramento dei rapporti tra popoli e culture.

A tale proposito, nell’Enciclica Deus caritas est, Benedetto XVI afferma che "chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora" (n. 15).

Mi pare che questo testo pontificio possa bene avviare la presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, per la 95ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Essa si celebrerà a livello mondiale domenica 18 gennaio 2009 ed ha per tema: "San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’".

Il Papa trae spunto dalla figura ricca e complessa di San Paolo, nell’Anno Giubilare indetto in suo onore in occasione del bimillenario della nascita, per cogliere, senza forzature, che l’Apostolo delle genti fu anzitutto un missionario, nel senso che si fece "migrante per vocazione", "autentico ‘missionario dei migranti’, migrante egli stesso e itinerante ambasciatore di Gesù Cristo". "La sua vita e la sua predicazione – prosegue il Papa nel suo Messaggio – furono interamente orientate a far conoscere e amare Gesù da tutti, perché in Lui tutti i popoli sono chiamati a diventare un solo popolo". Del resto, proprio l’incontro di Paolo con Cristo sulla via di Damasco fu la fonte di tutta la sua predicazione e della sua teologia, vale a dire l’annuncio della misericordia di Dio, che, attraverso la morte e la risurrezione di Gesù, entra nell’esistenza storica dell’umanità e la trasforma: "Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore" (Benedetto XVI, Deus caritas est n. 10).

Così, con "lo zelo missionario e la foga del lottatore, che lo contraddistinsero", San Paolo percorse il bacino mediterraneo affrontando gravi pericoli, lavorando senza temere la stanchezza e preoccupandosi "per tutte le Chiese" (2Cor 11,28). Si faceva vanto di annunciare il Vangelo là dove nessuno l’aveva fatto prima di lui, rendendosi in ciò particolarmente vicino alla "Chiesa in diaspora", costituita dai migranti, senza tuttavia cessare di tessere un profondo legame di comunione e di solidarietà, anzitutto con la Chiesa madre di Gerusalemme (cfr. Rm 15,26-27; 1Cor 16,1-4; 2Cor 8,1–9,15). Del resto, la vita e la predicazione dell’Apostolo, espresse nelle sue Lettere, rimandano continuamente all’origine dell’unità ecclesiale che non può essere trascurata, pena la perdita dell’identità stessa, cioè l’unico Padre, l’unico Cristo e l’unico Spirito Santo.

In effetti, "un mondo senza Dio è un mondo senza speranza" (Benedetto XVI, Spe salvi n. 44) e, d’altra parte, la pienezza della speranza orienta all’unità perfetta, quando "Cristo è tutto in tutti" (Col 3,11), quando tutti, cioè, si sentono concittadini della medesima patria, membri dell’unica famiglia del Padre.

Su questo sfondo di vissuto paolino, Benedetto XVI afferma che "questa è, anche al presente, nell’era della globalizzazione, la missione della Chiesa e di ogni battezzato; missione che con attenta sollecitudine pastorale si dirige pure al variegato universo dei migranti – studenti fuori sede, immigrati, rifugiati, profughi, sfollati – includendo coloro che sono vittime delle schiavitù moderne, come ad esempio nella tratta degli esseri umani". Il Santo Padre, poi, si chiede, e ci domanda anche "Come non andare incontro alle necessità di chi è di fatto più debole e indifeso, segnato da precarietà e da insicurezza, emarginato, spesso escluso dalla società?".

Ricordo qui che il movimento migratorio, favorito pure dalla globalizzazione, a cui fa cenno Benedetto XVI, ha assunto, oggi, dimensioni notevoli. Sono, infatti, oltre duecento milioni le persone che vivono fuori dal loro Paese di origine, spinte anche dalla miseria, dalla fame, dalla violenza, dalle guerre, dalle rivalità etniche, ma pure dal desiderio di una vita migliore. Si dirigono di preferenza verso le aree più ricche del mondo. E ciò spiega perché l’immigrazione sia vissuta spesso nei Paesi ospitanti come una sorta di "invasione", con ripercussioni negative su questioni di stabilità e sicurezza. Questo clima di chiusura rende ancora più triste e amara la vicenda umana di molti immigrati, spingendoli altresì a condizioni di irregolarità. Ma il fenomeno migratorio in un mondo globalizzato sta diventando, di fatto, inarrestabile: il problema non si risolverà chiudendo le frontiere, ma accogliendo, con giusto regolamento, equilibrato e solidale, i flussi migratori da parte degli Stati.

Ad ogni modo, la risposta all’interrogativo del Santo Padre è indicata nel suo stesso Messaggio, che potremmo definire un nuovo "inno all’agapê", scritto sulla traccia del capitolo tredicesimo della Prima Lettera ai Corinzi e, in verità, di tutta la vita di San Paolo. Il Santo Padre ribadisce anzitutto la necessità di partire dalla "cultura dell’accoglienza" – in ciò rifacendosi, indirettamente, all’Istruzione Erga migrantes caritas Christi, n. 39 –, che rende tutti partecipi dell’amore salvifico del Padre, in vista di un sincero dialogo e di una vera solidarietà. Bisogna, infatti, facilitare una graduale integrazione dei migranti, nel rispetto della loro identità culturale e anche di quella della popolazione locale. Da ciò scaturisce la pratica generosa dell’ospitalità, che è "figlia primogenita dell’agapê", dice il Papa. Si tratta, dunque, di sperimentare gesti e sforzi concreti di reciprocità e di scambio. Per la comunità cristiana, poi, "il comandamento dell’amore – noi lo sappiamo bene – si alimenta quando i discepoli di Cristo partecipano uniti alla mensa dell’Eucaristia che è, per eccellenza, il Sacramento della fraternità e dell’amore". Di fatto, è il mistero del Corpo di Cristo donato e del suo Sangue versato, nella celebrazione eucaristica, che comunica la salvezza già data in dono nella morte e risurrezione di Cristo, mentre si instaurano pure nuovi rapporti di comunione e di sollecitudine fraterna.

In tale ambito, San Paolo sperimentò questa sintesi di straordinaria potenza: "Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo o donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28 e Col 3,11). E noi potremmo aggiungere che non esiste più distinzione, in visione cristiana, tra migrante e autoctono, forestiero e locale, straniero e residente. Pertanto, la Cena del Signore è davvero il "Sacramento della fraternità", la cui più genuina espressione non può essere che il vicendevole servizio, il farsi carico gli uni degli altri. Tale precetto è illimitato come illimitato è l’amore, che prende norma solo dalla sua fonte divina, cosicché, attesta sant’Agostino, "Se vedi la carità, vedi la Trinità" (De Trinitate, VIII, 8, 12: CCL 50, 287), e come esorta san Paolo: "Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti" (1Ts 3,12), poiché l’amore è la lingua ufficiale della Chiesa, è il suo specifico linguaggio.

Pertanto, se l’universalità fu una delle caratteristiche essenziali della missione di San Paolo, essa interpella anche noi, portandoci a "vivere in pienezza l’amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni", secondo la raccomandazione contenuta nel Messaggio del Santo Padre.

Infine, il Messaggio pontificio si chiude con questo compendio: "Nell’amore è condensato l’intero messaggio evangelico e gli autentici discepoli di Cristo si riconoscono dal mutuo loro amarsi e dalla loro accoglienza verso tutti". È una stupenda sintesi, posta sotto la speciale benedizione dell’Apostolo Paolo e di "Maria, Madre dell’accoglienza e dell’amore". Anche quest’anno, dunque, il Messaggio del Santo Padre ci sprona a comprendere che la pratica della carità fraterna costituisce il culmine di tutto ciò che siamo tenuti a eseguire nel pellegrinaggio, impegnativo e faticoso, verso la patria dell’autentica speranza (cfr. Rm 13,8-10; Col 3,14).

Grazie.

[01532-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO

"San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’"

(tenendo presenti alcuni aspetti

concernenti l’asilo e i profughi, nonché gli studenti esteri)

Nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre dato prova di ospitalità e solidarietà nei confronti dei poveri e questo suo atteggiamento di accoglienza trova la propria origine nel Vangelo. Oggigiorno tra i poveri vanno senza dubbio annoverati i rifugiati e i profughi, come viene sottolineato nel Documento che il nostro Dicastero sta preparando insieme al Pontificio Consiglio Cor Unum. Inoltre l’atteggiamento di accoglienza scaturisce dalla missione stessa della Chiesa, che porta il Vangelo fino ai confini della terra e il cui messaggio di salvezza è destinato a tutti, senza distinzioni di nazionalità o cultura (cfr. Messaggio, nel testo originale italiano, p. 2). La Chiesa infatti annuncia la Buona Novella, il Regno di Dio, che è di cruciale importanza sia per i singoli che per le Nazioni.

La carità, poi, è elemento costitutivo della Chiesa ed espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (cfr. Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25), in quanto essa è comunione (koinonia). Nel Messaggio odierno, il Santo Padre fa anche riferimento all’Eucaristia come al sacramento della fraternità e dell’amore (cfr. ibidem, p. 6) che conduce a un "servizio attento specialmente alle persone più deboli e svantaggiate" (Benedetto XVI, Angelus, 19 giugno 2005).

La Comunità fondata da Gesù Cristo si è sempre rifatta a questo principio di carità e non fa distinzione alcuna di persone. In concreto, il suo impegno nella società è ispirato ai principi della sua Dottrina sociale, vale a dire la dignità di ogni essere umano, il bene comune, la solidarietà e la sussidiarietà. La Chiesa si occupa dei migranti e degli itineranti tanto nella pastorale territoriale, parrocchiale e ordinaria, che mediante quella specifica ad essi destinata, con missionari ad hoc, le organizzazioni caritative, la CCIM (Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni), le Caritas, il JRS (Jesuit Refugee Service), i movimenti ecclesiali e le congregazioni religiose, offrendo speranza, coraggio, amore e creatività per ridare vita ai rifugiati, ai richiedenti asilo nonché ai profughi all’interno del proprio Paese. Capire cosa significa condividere le risorse secondo tali necessità, richiede un aggiornamento continuo anche dei programmi di assistenza messi in atto dalla Chiesa, aggiornamento che rientra appunto nel quadro di un atteggiamento pastorale.

L’ospitalità è caratteristica fondamentale pure della pastorale rivolta a rifugiati, richiedenti asilo e profughi. Essa infatti garantisce che ci si rivolga all’altro come a una persona, e in alcuni casi anche quale fratello/sorella nella fede, impedendo di considerarlo/la un caso, un numero o una mera ragione di lavoro. L’ospitalità, di conseguenza, non è tanto un compito quanto un modo di vivere e di condividere. Offrire ospitalità scaturisce per noi dall’impegno di essere fedeli a Dio, di ascoltare la Sua voce che ci parla nelle Sacre Scritture e nelle persone che ci circondano. Ciò significa inoltre riconsiderare e riaggiustare di continuo le nostre priorità. La vicinanza espressa sotto forma di ospitalità contraddice infatti non pochi messaggi, modi di vivere e mentalità contemporanei.

La solidarietà è particolarmente collegata alla capacità di capire che formiamo tutti una sola famiglia umana, al di là delle differenze di nazionalità, razza, etnia, religione, situazione economica e atteggiamento ideologico, e che siamo interdipendenti, custodi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, dovunque essi vivano. "Lo straniero è il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano" (cfr. Erga migrantes caritas Christi, 101). Un tale atteggiamento contraddice gli attuali comportamenti di discriminazione, xenofobia e razzismo (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2003 sul tema "Per un impegno a vincere ogni razzismo, xenofobia e nazionalismo esasperato"). Praticare la solidarietà, tradotta in gesti quotidiani, significa oggi imparare che l’amore per il prossimo in un mondo interdipendente, globalizzato, riveste dimensioni globali, come ha affermato Papa Benedetto XVI, così: "appare ancor più necessario che i cristiani offrano la testimonianza di una solidarietà che varchi ogni frontiera, per costruire un mondo all’interno del quale tutti si sentano accolti e rispettati"1. E ciò non significa che non si tengano presenti i problemi di chi accoglie.

Eppure i singoli Stati sono invitati a difendere i diritti di quanti fuggono, a causa di persecuzione, dai loro Paesi e a proteggerli a norma del Diritto internazionale. Tuttavia si ha l’impressione che da anni i rifugiati vengano trattati senza considerazione delle ragioni che li forzano a fuggire. Ciò si è tradotto anche in tentativi di impedire loro l’ingresso nei Paesi di arrivo e nell’adozione di misure destinate a renderlo più difficoltoso – quella che io ho chiamato, recentemente, tendenza al ribasso, e non ‘gioco al ribasso’. Tali misure si caratterizzano per la erosione degli standard umanitari e l’introduzione di norme restrittive, quali l’obbligo del visto di ingresso, nonché la pubblicazione di liste di cosiddetti "Paesi sicuri". Purtroppo quest’atteggiamento adottato da Paesi del Nord del mondo ha ripercussioni negative sulle politiche verso i rifugiati seguite nel Sud. Per questo il quadro si fa preoccupante, specialmente se consideriamo una rodata Legislazione internazionale che era, è, di sostegno e protezione ai perseguitati.

Possa la dedizione con cui il migrante San Paolo ha svolto la sua missione, dando prova di coraggio ed entusiasmo, ispirare la Chiesa e la società a dare risposte solidali alle sfide presenti nella società contemporanea, così da promuovere la pacifica convivenza tra etnie, culture e religioni diverse.

* * *

Qualche pensiero anche per quel che riguarda gli studenti esteri (internazionali).

Negli ultimi dieci-quindici anni la mobilità internazionale studentesca è diventata un aspetto preponderante nel panorama dell’educazione superiore globale e attualmente il totale degli studenti che si recano all’estero, durante questo ciclo di studi, è di poco inferiore ai tre milioni. La mobilità in campo educativo, che può a ragione essere considerata un "segno dei tempi", porta certamente con sé molte opportunità, ma è anche spesso accompagnata da sfide e ostacoli. Comunque la creazione di appositi ambienti di accoglienza e di accompagnamento, che mettano in atto la premura nell’ospitalità (cfr. Rm 12,13), è al centro della pastorale specifica rivolta agli studenti esteri, seguendo in ciò una delle più grandi preoccupazioni di Papa Benedetto XVI, ossia la formazione dei giovani2.

Orbene la pastorale nelle Università e negli Istituti di istruzione superiore si rivela importantissima per creare quel "quadro educativo"3 necessario per portare a maturità la fede dei giovani in cerca non solo del senso della vita, ma anche del modo di condurlo a pienezza in Gesù Cristo, pienezza che, come ricorda San Paolo, consiste nell’avere "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5).

La riflessione che quest’anno stiamo facendo sulla vita e la missione di San Paolo, il quale aprì il proprio cuore ai gentili, a coloro cioè che erano "al di fuori", ci ricorda che, nell’accogliere gli studenti internazionali, insieme all’Apostolo possiamo dire: "Voi non siete più stranieri, né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio" (Ef 2,19). Pertanto "non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28).

Inoltre lo studente migrante può dare "alla Chiesa l'opportunità di realizzare più concretamente la sua identità comunionale e la sua vocazione missionaria"4 . D’altro lato vi è anche una chiara responsabilità da parte delle istituzioni che attraggono gli studenti migliori e più intelligenti, a formare questi giovani, motivandoli, se del caso, a tornare alla loro terra d’origine. Infatti le loro prospettive sono inestricabilmente legate al futuro, dato che detengono una delle chiavi principali dello sviluppo dei loro Paesi5, sia sul piano materiale, che accademico, sociale e spirituale6.

Durante i suoi viaggi San Paolo ha provato gioia e tristezza, successo e smacco, tanto da poter essere prototipo anche per i giovani di oggi che studiano lontano dalla propria terra, nonché un invito alla fede e a riporre la loro fiducia nella divina giustizia che conduce alla vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore (cfr. Rm 5,21).

________________

 

1 BENEDETTO XVI, Discorso alla riunione delle Opere in Aiuto alle Chiese Orientali (Roaco), 23 giugno 2005: L’Osservatore Romano N. 148 (43.985) del 24 giugno 2005, p. 5.

2 Cfr. BENEDETTO XVI, Incontro con le autorità dello Stato all’Eliseo, 12 settembre 2008: L’Osservatore Romano N. 214 (44.954), del 13 settembre 2008, p. 8.

3 Ibid.

4 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI, Erga Migrantes Caritas Christi, § 103: People on the Move n. 95 (2004), p. 161.

5 BENEDETTO XVI, Agli studenti degli Atenei romani,15 dicembre 2005: L’Osservatore Romano N. 294 (44.131), del 17 dicembre 2005, p. 4; cfr. pure People on the Move, suppl. al n. 103 (2007), p. 146.

6 Cfr. AGOSTINO MARCHETTO, Pastoral Care of Human Mobility in the Universities of Europe, People on the Move, n. 94 (2004), p. 73.

 

[01533-01.02] [Testo originale: Italiano]

 

[B0632-XX.01]