Sala Stampa

www.vatican.va

Sala Stampa Back Top Print Pdf
Sala Stampa


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 95ª GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (18 GENNAIO 2009), 08.10.2008


San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’: questo il tema scelto dal Santo Padre Benedetto XVI per la 95a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato cha sarà celebrata domenica 18 gennaio 2009.

Di seguito pubblichiamo il testo del Messaggio del Santo Padre per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato:

TESTO IN LINGUA ITALIANA

Cari fratelli e sorelle,

quest'anno il Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ha come tema: "San Paolo migrante, ‘Apostolo delle genti’", e prende spunto dalla felice coincidenza dell'Anno Giubilare da me indetto in onore dell'Apostolo in occasione del bimillenario della sua nascita. La predicazione e l'opera di mediazione fra le diverse culture e il Vangelo, operata da Paolo "migrante per vocazione", costituiscono in effetti un significativo punto di riferimento anche per chi si trova coinvolto nel movimento migratorio contemporaneo.

Nato in una famiglia di ebrei emigrati a Tarso di Cilicia, Saulo venne educato nella lingua e nella cultura ebraica ed ellenistica, valorizzando il contesto culturale romano. Dopo che sulla via di Damasco avvenne il suo incontro con Cristo (cfr Gal 1,13-16), egli, pur non rinnegando le proprie "tradizioni" e nutrendo stima e gratitudine verso il Giudaismo e la Legge (cfr Rm 9,1-5; 10,1; 2 Cor 11,22; Gal 1,13-14; Fil 3,3-6), senza esitazioni e ripensamenti si dedicò alla nuova missione con coraggio ed entusiasmo, docile al comando del Signore: "Ti manderò lontano, tra i pagani" (At 22,21). La sua esistenza cambiò radicalmente (cfr Fil 3,7-11): per lui Gesù divenne la ragion d'essere e il motivo ispiratore dell'impegno apostolico a servizio del Vangelo. Da persecutore dei cristiani si tramutò in apostolo di Cristo.

Guidato dallo Spirito Santo, si prodigò senza riserve, perché fosse annunciato a tutti, senza distinzione di nazionalità e di cultura, il Vangelo che è "potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco" (Rm 1,16). Nei suoi viaggi apostolici, nonostante ripetute opposizioni, proclamava dapprima il Vangelo nelle sinagoghe, accordando attenzione innanzitutto ai suoi connazionali in diaspora (cfr At 18,4-6). Se da essi veniva rifiutato, si rivolgeva ai pagani, facendosi autentico "missionario dei migranti", migrante lui stesso e itinerante ambasciatore di Gesù Cristo, per invitare ogni persona a diventare, nel Figlio di Dio, «nuova creatura" (2 Cor 5,17).

La proclamazione del kerygma gli fece attraversare i mari del Vicino Oriente e percorrere le strade dell'Europa, fino a giungere a Roma. Partì da Antiochia, dove il Vangelo fu annunciato a popolazioni non appartenenti al Giudaismo, e i discepoli di Gesù per la prima volta furono chiamati "cristiani" (cfr At 11,20.26). La sua vita e la sua predicazione furono interamente orientate a far conoscere e amare Gesù da tutti, perché in Lui tutti i popoli sono chiamati a diventare un solo popolo.

Questa è, anche al presente, nell'era della globalizzazione, la missione della Chiesa e di ogni battezzato; missione che con attenta sollecitudine pastorale si dirige pure al variegato universo dei migranti - studenti fuori sede, immigrati, rifugiati, profughi, sfollati - includendo coloro che sono vittime delle schiavitù moderne, come ad esempio nella tratta degli esseri umani. Anche oggi va proposto il messaggio della salvezza con lo stesso atteggiamento dell'Apostolo delle genti, tenendo conto delle diverse situazioni sociali e culturali, e delle particolari difficoltà di ciascuno in conseguenza della condizione di migrante e di itinerante. Formulo l'auspicio che ogni comunità cristiana possa nutrire il medesimo fervore apostolico di san Paolo che, pur di annunciare a tutti l'amore salvifico del Padre (Rm 8,15-16; Gal 4,6) per "guadagnarne il maggior numero a Cristo» (1 Cor 9,19) si fece "debole con i deboli ... tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). Il suo esempio sia anche per noi di stimolo a farci solidali con questi nostri fratelli e sorelle e a promuovere, in ogni parte del mondo e con ogni mezzo, la pacifica convivenza fra etnie, culture e religioni diverse.

Ma quale fu il segreto dell'Apostolo delle genti? Lo zelo missionario e la foga del lottatore, che lo contraddistinsero, scaturivano dal fatto che egli, "conquistato da Cristo" (Fil 3,12), restò a Lui così intimamente unito da sentirsi partecipe della sua stessa vita, attraverso "la comunione con le sue sofferenze» (Fil' 3,10; cfr anche Rm 8,17; 2Cor 4,8- 12; Col 1, 24). Qui è la sorgente dell'ardore apostolico di san Paolo, il quale racconta: "Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani" (Gal 1,15-16; cfr anche Rm 15,15-16). Con Cristo si sentì "con-crocifisso", tanto da poter affermare: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). E nessuna difficoltà gli impedì di proseguire nella sua coraggiosa azione evangelizzatrice in città cosmopolite come Roma e Corinto che, in quel tempo, erano popolate da un mosaico di etnie e di culture.

Leggendo gli Atti degli Apostoli e le Lettere che Paolo rivolge a vari destinatari, si coglie un modello di Chiesa non esclusiva, bensì aperta a tutti, formata da credenti senza distinzioni di cultura e di razza: ogni battezzato è, in effetti, membro vivo dell'unico Corpo di Cristo. In tale ottica, la solidarietà fraterna, che si traduce in gesti quotidiani di condivisione, di compartecipazione e di sollecitudine gioiosa verso gli altri, acquista un rilievo singolare. Non è tuttavia possibile realizzare questa dimensione di fraterna accoglienza vicendevole, insegna sempre san Paolo, senza la disponibilità all'ascolto e all'accoglienza della Parola predicata e praticata (cfr 1 Ts 1,6), Parola che sollecita tutti all'imitazione di Cristo (cfr Ef 5,1-2) nell'imitazione dell'Apostolo (cfr 1 Cor 11,1). E pertanto, più la comunità è unita a Cristo, più diviene sollecita nei confronti del prossimo, rifuggendo il giudizio, il disprezzo e lo scandalo, e aprendosi all'accoglienza reciproca , (cfr Rm 14,1-3; 15, 7) . Conformati a Cristo, i credenti si sentono in Lui "fratelli", figli dello stesso Padre (Rm 8,14-16; Gal 3,26; 4,6). Questo tesoro di fratellanza li rende "premurosi nell'ospitalità" (Rm 12,13), che è figlia primogenita dell'agapé (cfr 1 Tim 3,2; 5,10; Tt 1,8; Fm 17).
Si realizza in tal modo la promessa del Signore: "Io vi accoglierò e sarò per voi come un padre e voi mi sarete come figli e figlie" (2 Cor 6,17-18). Se di questo siamo consapevoli, come non farci carico di quanti, in particolare fra rifugiati e profughi, si trovano in condizioni difficili e disagiate? Come non andare incontro alle necessità di chi è di fatto più debole e indifeso, segnato da precarietà e da insicurezza, emarginato, spesso escluso dalla società? A loro va data prioritaria attenzione poiché, parafrasando un noto testo paolino, "Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor 1,27-29).

Cari fratelli e sorelle, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrerà il 18 gennaio 2009, sia per tutti uno stimolo a vivere in pienezza l'amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni, nella convinzione che è nostro prossimo chiunque ha bisogno di noi e noi possiamo aiutarlo (cfr Deus caritas est, n. 15). L'insegnamento e l'esempio di san Paolo, umile-grande Apostolo e migrante, evangelizzatore di popoli e culture, ci sproni a comprendere che l'esercizio della carità costituisce il culmine e la sintesi dell'intera vita cristiana. Il comandamento dell'amore - noi lo sappiamo bene - si alimenta quando i discepoli di Cristo partecipano uniti alla mensa dell'Eucaristia che è, per eccellenza, il Sacramento della fraternità e dell'amore. E come Gesù nel Cenacolo, al dono dell'Eucaristia unì il comandamento nuovo dell'amore fraterno, così i suoi "amici", seguendo le orme di Cristo, che si è fatto "servo" dell'umanità, e sostenuti dalla sua Grazia, non possono non... dedicarsi al servizio vicendevole, facendosi carico gli uni degli altri secondo quanto lo stesso san Paolo raccomanda: "Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo" (Gal 6,2). Solo in questo modo cresce l'amore tra i credenti e verso tutti (cfr 1 Ts 3,12).

Cari fratelli e sorelle, non stanchiamoci di proclamare e testimoniare questa "Buona Novella" con entusiasmo, senza paura e risparmio di energie! Nell'amore è condensato l'intero messaggio evangelico e gli autentici discepoli di Cristo si riconoscono dal mutuo loro amarsi e dalla loro accoglienza verso tutti. Ci ottenga questo dono l'Apostolo Paolo e specialmente Maria, Madre dell'accoglienza e dell'amore. Mentre invoco la protezione divina su quanti sono impegnati nell'aiutare i migranti e, più in generale, sul vasto mondo dell'emigrazione, assicuro per ciascuno un costante ricordo nella preghiera ed imparto con affetto a tutti la Benedizione Apostolica.

Da Castel Gandolfo, 24 agosto 2008

BENEDICTUS PP. XVI

[01526-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters,

This year the theme of the Message for the World Day of Migrants and Refugees is: "St Paul migrant, ‘Apostle of the peoples’". It is inspired by its felicitous coincidence with the Jubilee Year I established in the Apostle's honour on the occasion of the 2,000th anniversary of his birth. Indeed, the preaching and mediation between the different cultures and the Gospel which Paul, "a migrant by vocation" carried out, are also an important reference point for those who find themselves involved in the migratory movement today.

Born into a family of Jewish immigrants in Tarsus, Cilicia, Saul was educated in the Hebrew and Hellenistic cultures and languages, making the most of the Roman cultural context. After his encounter with Christ on the road to Damascus (cf. Gal 1:13-16), although he did not deny his own "traditions" and felt both esteem and gratitude to Judaism and the Law (cf. Rm 9:1-5; 10:1; 2 Cor 11:22; Gal 1:13-14; Phil 3:3-6), he devoted himself without hesitation or second thoughts to his new mission, with courage and enthusiasm and docile to the Lord's command: "I will send you far away to the Gentiles" (Acts 22:21). His life changed radically (cf. Phil 3:7-11): Jesus became for him his raison d’être and the motive that inspired his apostolic dedication to the service of the Gospel. He changed from being a persecutor of Christians to being an Apostle of Christ.

Guided by the Holy Spirit, he spared no effort to see that the Gospel which is "the power of God for salvation to every one who has faith, to the Jew first and also to the Greek" (Rm 1:16) was proclaimed to all, making no distinction of nationality or culture. On his apostolic journeys, in spite of meeting with constant opposition, he first proclaimed the Gospel in the synagogues, giving prior attention to his compatriots in the diaspora (cf. Acts 18:4-6). If they rejected him he would address the Gentiles, making himself - an authentic "missionary to migrants" - as a migrant and an ambassador of Jesus Christ "at large" in order to invite every person to become a "new creation" in the Son of God (2 Cor 5:17).

The proclamation of the kerygma caused him to cross the seas of the Near East and to travel the roads of Europe until he reached Rome. He set out from Antioch, where he proclaimed the Gospel to people who did not belong to Judaism and where the disciples of Jesus were called "Christians" for the first time (cf. Acts 11:20, 26). His life and his preaching were wholly directed to making Jesus known and loved by all, for all persons are called to become a single people in him.

This is the mission of the Church and of every baptized person in our time too, even in the era of globalization; a mission that with attentive pastoral solicitude is also directed to the variegated universe of migrants - students far from home, immigrants, refugees, displaced people, evacuees - including for example, the victims of modern forms of slavery, and of human trafficking. Today too the message of salvation must be presented with the same approach as that of the Apostle to the Gentiles, taking into account the different social and cultural situations and special difficulties of each one as a consequence of his or her condition as a migrant or itinerant person. I express the wish that every Christian community may feel the same apostolic zeal as St Paul who, although he was proclaiming to all the saving love of the Father (Rm 8:15-16; Gal 4:6) to "win more" (1 Cor 9:22) for Christ, made himself weak "to the weak... all things to all men so that [he] might by all means save some" (1 Cor 9:22). May his example also be an incentive for us to show solidarity to these brothers and sisters of ours and to promote, in every part of the world and by every means, peaceful coexistence among different races, cultures and religions.

Yet what was the secret of the Apostle to the Gentiles? The missionary zeal and passion of the wrestler that distinguished him stemmed from the fact that since "Christ [had] made him his own", (Phil 3:12), he remained so closely united to him that he felt he shared in his same life, through sharing in "his sufferings" (Phil 3:10; cf. also Rm 8:17; 2 Cor 4:8-12; Col 1:24). This is the source of the apostolic ardour of St Paul who recounts: "He who had set me apart before I was born, and had called me through his grace, was pleased to reveal his Son to me, in order that I might preach him among the Gentiles" (Gal 1:15-16; cf. also Rm 15:15-16). He felt "crucified with" Christ, so that he could say: "It is no longer I who live, but Christ who lives in me" (Gal 2:20), and no difficulty hindered him from persevering in his courageous evangelizing action in cosmopolitan cities such as Rome and Corinth, which were populated at that time by a mosaic of races and cultures.

In reading the Acts of the Apostles and the Letters that Paul addressed to various recipients, we perceive a model of a Church that was not exclusive but on the contrary open to all, formed by believers without distinction of culture or race: every baptized person is, in fact, a living member of the one Body of Christ. In this perspective, fraternal solidarity expressed in daily gestures of sharing, joint participation and joyful concern for others, acquires a unique prominence. However, it is impossible to achieve this dimension of brotherly mutual acceptance, St Paul always teaches, without the readiness to listen to and welcome the Word preached and practised (cf. 1 Thes 1:6), a Word that urges all to be imitators of Christ (cf. Eph 5:1-2), to be imitators of the Apostle (cf. 1 Cor 11:1). And therefore, the more closely the community is united to Christ, the more it cares for its neighbour, eschewing judgment, scorn and scandal, and opening itself to reciprocal acceptance (cf. Rm 14:1-3; 15:7). Conformed to Christ, believers feel they are "brothers" in him, sons of the same Father (Rm 8:14-16; Gal 3:26; 4:6). This treasure of brotherhood makes them "practise hospitality" (Rm 12:13), which is the firstborn daughter of agape (cf. 1 Tm 3:2, 5:10; Ti 1:8; Phlm 17).

In this manner the Lord's promise: comes true: "then I will welcome you, and I will be a father to you, and you shall be my sons and daughters" (2 Cor 6:17-18). If we are aware of this, how can we fail to take charge of all those, particularly refugees and displaced people, who are in conditions of difficulty or hardship? How can we fail to meet the needs of those who are de facto the weakest and most defenceless, marked by precariousness and insecurity, marginalized and often excluded by society? We should give our priority attention to them because, paraphrasing a well known Pauline text, "God chose what is foolish in the world to shame the wise, God chose what is weak in the world to shame the strong, God chose what is low and despised in the world, even things that are not, to bring to nothing things that are, so that no human being might boast in the presence of God" (1 Cor 1:27).

Dear brothers and sisters, may the World Day for Migrants and Refugees, which will be celebrated on 18 January 2009, be for all an incentive to live brotherly love to the full without making any kind of distinction and without discrimination, in the conviction that any one who needs us and whom we can help is our neighbour (cf. Deus Caritas Est, n. 15). May the teaching and example of St Paul, a great and humble Apostle and a migrant, an evangelizer of peoples and cultures, spur us to understand that the exercise of charity is the culmination and synthesis of the whole of Christian life.

The commandment of love - as we well know - is nourished when disciples of Christ, united, share in the banquet of the Eucharist which is, par excellence, the sacrament of brotherhood and love. And just as Jesus at the Last Supper combined the new commandment of fraternal love with the gift of the Eucharist, so his "friends", following in the footsteps of Christ who made himself a "servant" of humanity, and sustained by his Grace cannot but dedicate themselves to mutual service, taking charge of one another, complying with St Paul's recommendation: "bear one another's burdens, and so fulfil the law of Christ" (Gal 6:2). Only in this way does love increase among believers and for all people (cf. 1 Thes 3:12).

Dear brothers and sisters, let us not tire of proclaiming and witnessing to this "Good News" with enthusiasm, without fear and sparing no energy! The entire Gospel message is condensed in love, and authentic disciples of Christ are recognized by the mutual love their bear one another and by their acceptance of all.

May the Apostle Paul and especially Mary, the Mother of acceptance and love, obtain this gift for us. As I invoke the divine protection upon all those who are dedicated to helping migrants, and more generally, in the vast world of migration, I assure each one of my constant remembrance in prayer and, with affection, I impart my apostolic Blessing to all.

From Castel Gandolfo, 24 August 2008

BENEDICTUS PP. XVI

[01526-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers frères et sœurs,

Cette année, le message pour la Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié a pour thème: «Saint Paul migrant, ‘Apôtre des Peuples’», et s'inspire de l'heureuse coïncidence de l'Année jubilaire que j'ai institué en l'honneur de l'Apôtre à l'occasion du deuxième millénaire de sa naissance. La prédication et l'œuvre de méditation entre les différentes cultures et l'Evangile, œuvre de Paul «migrant par vocation», constituent en effet également un point de référence important pour celui qui se trouve impliqué dans le mouvement migratoire contemporain.

Né dans une famille de juifs émigrés à Tarse de Cilicie, Saul fut éduqué dans la langue et la culture juive et hellénistique, en valorisant le contexte culturel romain. Après que, sur la route de Damas, survint sa rencontre avec le Christ (cf. Ga 1, 13-16), sans nier ses propres «traditions» et en nourrissant son estime et sa gratitude pour le Judaïsme et la Loi (cf. Rm 9, 1-5; 10,1; 2 Co 11, 22; Ga 1, 13-14; Ph 3, 3-6), il se dévoua sans hésitations ni tergiversations à sa nouvelle mission avec courage et enthousiasme, docile au commandement du Seigneur: «Va; c'est au loin, vers les païens, que moi, je veux t'envoyer» (Ac 22, 21). Son existence changea radicalement (cf. Ph 3, 7-11): Jésus devint pour lui sa raison d'être et le motif d'inspiration de son engagement apostolique au service de l'Evangile. De persécuteur des chrétiens il devint apôtre du Christ.

Guidé par l'Esprit Saint, il se prodigua sans réserve, afin que l'Evangile qui est «une force de Dieu pour le salut de tout homme qui croit, du Juif d'abord, puis du Grec» (Rm 1, 16) fût annoncé à tous, sans distinctions de nationalité et de culture. Dans ses voyages apostoliques, malgré des oppositions répétées, il proclamait l'Evangile d'abord dans les synagogues, en accordant avant tout une attention à ses compatriotes en exil (cf. Ac 18, 4-6). Si ceux-ci le rejetaient, il s'adressait aux païens, en se faisant un «authentique missionnaire des migrants», migrant lui-même et ambassadeur itinérant de Jésus Christ, pour inviter chacun à devenir, dans le Fils de Dieu, «une nouvelle créature» (2 Co 5,17).

La proclamation du kérygme lui fit traverser les mers du Proche-Orient et parcourir les routes de l'Europe, jusqu'à atteindre Rome. Il partit d'Antioche, où l'Evangile fut annoncé à des populations n'appartenant pas au judaïsme, et où les disciples de Jésus furent pour la première fois appelés «chrétiens» (cf. Ac 11, 20.26). Sa vie et sa prédication furent totalement dédiées à faire connaître et aimer Jésus de tous, parce qu'en Lui tous les peuples sont appelés à devenir un seul peuple.

Cela est, aujourd'hui également, à l'heure de la mondialisation, la mission de l'Eglise et de tous les baptisés; mission qui, par un soin pastoral attentif, se tourne aussi vers l'univers bigarré des migrants — étudiants non résidents, immigrés, réfugiés, personnes déplacées — en incluant ceux qui sont victimes des esclavages modernes, comme par exemple le trafic des êtres humains. Aujourd'hui aussi le message du salut doit être proposé avec la même attitude que l'Apôtre des nations, en tenant compte des différentes situations sociales et culturelles, et des difficultés particulières de chacun qui découlent de la condition de migrant et d'itinérant. Je forme le vœu que toutes les communautés chrétiennes puissent nourrir la même ferveur apostolique que saint Paul qui, pour annoncer à tous l'amour salvifique du Père (Rm 8, 15; Ga 4, 6) afin «de gagner le plus grand nombre» (1 Co 9, 19) se fit «faible avec les faibles (...) tous à tous, afin d'en sauver à tout prix quelques-uns» (1 Co 9, 22). Que son exemple soit pour nous aussi un encouragement à nous faire solidaires de ces frères et sœurs et à promouvoir, partout dans le monde et par tous les moyens, la coexistence pacifique entre les ethnies, les cultures et les religions différentes.

Mais quel fut le secret de l'Apôtre des nations? Le zèle missionnaire et la fougue du combattant, qui le caractérisaient, provenaient du fait que lui-même, «saisi par le Christ Jésus» (Ph 3, 12), lui demeura si intimement uni qu'il se sentît prendre part à sa propre vie, à travers «la communion à ses souffrances» (Ph 3, 10; cf. également Rm 8, 17; 2 Co 4, 8-12; Col 1, 24). C'est là qu'est la source de l'ardeur apostolique de saint Paul, lequel raconte: «Celui qui dès le sein maternel m'a mis à part et appelé par sa grâce divine daigna révéler en moi son Fils pour que je l'annonce parmi les païens» (Ga 1, 15-16; cf. également Rm 15, 15-16). Il se sentit «Crucifié avec le Christ», au point de pouvoir affirmer: «Ce n'est plus moi qui vit mais le Christ qui vit en moi» (Ga 2, 20). Et aucune difficulté ne l'empêcha de poursuivre dans sa courageuse action évangélisatrice dans des villes cosmopolites comme Rome et Corinthe qui, à cette époque, étaient peuplées d'une mosaïque d'ethnies et de cultures.

En lisant les Actes des Apôtres et les Lettres que Paul adresse à différents destinataires, on saisit un modèle d'Eglise non exclusive, et même ouverte à tous, formée par des croyants sans distinction de culture et de race: chaque baptisé est, en effet, membre vivant de l'unique Corps du Christ. Dans cette optique, la solidarité fraternelle, qui se traduit en gestes quotidiens de partage, de coparticipation et d'attention joyeuse aux autres, acquiert un profil singulier. Il n'est cependant pas possible de réaliser cette dimension d'accueil fraternel réciproque, nous enseigne toujours saint Paul, sans la disponibilité à l'écoute et à l'accueil de la Parole prêchée et pratiquée (cf. 1 Th 1, 6), Parole qui invite tout le monde à imiter le Christ (cf. Ep 5, 1-2) à l'image de l'Apôtre (cf. 1 Co 11, 1). Aussi, plus la communauté est unie au Christ, plus elle est invitée à l'égard du prochain, en fuyant les préjugés, le mépris et le scandale, et en s'ouvrant à l'accueil réciproque (cf. Rm 14, 1-3; 15, 17). Conformés au Christ, les croyants se sentent en Lui «frères», fils du même Père (Rm 8, 14-16; Gal 3, 26; 4, 6). Ce trésor de fraternité les rend «avides de donner l'hospitalité» (Rm 12, 13), qui est la première fille de l'agapè (cf. 1 Tm 3, 2; 5, 10; Tt 1, 8; Phm 17).

On réalise de cette manière la promesse du Seigneur: «Je vous accueillerai. Je serai pour vous un père, et vous serez pour moi des fils et des filles» (2 Co 6, 17-18). Si nous sommes conscients de cela, comment ne pas prendre en charge ceux qui, en particulier parmi les réfugiés et les personnes déplacées, se trouvent dans des conditions difficiles et malaisées? Comment ne pas remédier aux besoins de celui qui est, de fait, plus faible et sans défense, marqué par la précarité et l'insécurité, marginalisé, et souvent exclus de la société? On leur doit une attention plus grande parce que, pour paraphraser un texte paulinien bien connu, «Dieu a choisi ce qu'il y a de fou dans le monde pour confondre les sages, ce qui dans le monde est sans naissance et ce que l'on méprise et ce qui n'est pas pour réduire à rien ce qui est, afin qu'aucune chair n'aille se glorifier devant Dieu» (1 Co 1, 27-29).

Chers frères et sœurs, que la Journée Mondiale du Migrant et du Réfugié, qui sera célébrée le 18 janvier 2009, soit pour tous un encouragement à vivre pleinement l'amour fraternel sans distinction de genre et sans discriminations, dans la conviction que quiconque a besoin de nous et que nous pouvons aider est notre prochain (cf. Deus caritas est, n. 15). Que l'enseignement et l'exemple de Saint Paul, humble grand Apôtre et migrant, évangélisateur des peuples et des cultures, nous encouragent à comprendre que la pratique de la charité constitue le sommet et la synthèse de toute la vie chrétienne. Le commandement de l'amour — nous le savons bien — se nourrit quand les disciples du Christ participent unis à l'Eucharistie qui est, par excellence, le Sacrement de la fraternité et de l'amour. Et de même que Jésus au cénacle, unit le commandement nouveau de l'amour fraternel au don de l'Eucharistie, de même ses «amis», en suivant les traces du Christ, qui s'est fait «serviteur» de l'humanité, et soutenus par sa Grâce, ne peuvent que se dévouer au service réciproque, en se soutenant les uns les autres selon ce que saint Paul recommanda: «Portez les fardeaux les uns des autres et accomplissez ainsi la loi du Christ» (Ga 6, 2). Ce n'est que de cette manière que grandit l'amour entre les croyants et envers tout le monde (cf. 1 Th 3, 12).

Chers frères et sœurs, ne nous lassons pas de proclamer et de témoigner cette «Bonne Nouvelle» avec enthousiasme, sans peur et sans économiser notre énergie! Tout le message évangélique est contenu dans l'amour et les disciples authentiques du Christ se reconnaissent par leur amour mutuel et par leur accueil à l'égard de tous. Que l'Apôtre Paul nous obtienne ce don, mais surtout Marie, Mère de l'accueil et de l'amour. Tandis que j'invoque la protection divine sur ceux qui sont engagés dans l'aide aux migrants et, plus généralement, sur le vaste monde de l'émigration, j'assure à chacun un rappel constant dans la prière et j’accorde affectueusement à tous la Bénédiction apostolique.

De Castel Gandolfo, le 24 août 2008

BENEDICTUS PP. XVI

[01526-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Liebe Brüder und Schwestern,

in diesem Jahr hat die Botschaft zum Welttag des Migranten und Flüchtlings das Thema: »Der Heilige Paulus Migrant, ‘Völker-Apostel’«, und sie ist inspiriert vom feierlichen Ereignis des Jubiläumsjahres, das ich zu Ehren des Apostels anläßlich des 2000. Jahrestages seiner Geburt ausgerufen habe. Die Verkündigung und das Werk der Vermittlung zwischen den verschiedenen Kulturen und dem Evangelium, für das sich Paulus, der ein »Migrant aus Berufung« war, einsetzte, sind in der Tat ein wichtiger Bezugspunkt auch für all jene Menschen, die von den gegenwärtigen Migrationsbewegungen betroffen sind.

Als Sohn einer jüdischen Familie, die nach Tarsus in Zilizien ausgewandert war, wurde Saulus in jüdischer und hellenistischer Sprache und Kultur erzogen, wobei auch der kulturelle Kontext Roms eine wichtige Rolle spielte. Nachdem er auf dem Weg nach Damaskus Christus begegnet war (vgl. Gal 1,13–16), widmete er sich, obgleich er nie seine eigenen Traditionen verleugnete und dem Judentum sowie dem Gesetz stets Achtung und Dankbarkeit entgegenbrachte (vgl. Röm 9,1–5; 10,1; 2 Kor 11,22; Gal 1,13–14; Phil 3,3–6), ohne Zögern und voller Mut und Enthusiasmus seiner neuen Sendung, gemäß der Weisung des Herrn: »Brich auf, denn ich will dich in die Ferne zu den Heiden senden« (Apg 22,21). Sein Leben änderte sich dadurch grundlegend (vgl. Phil 3,7–11): Christus wurde zum eigentlichen Grund seines Daseins und zur Antriebskraft seines apostolischen Einsatzes im Dienst am Evangelium. Vom Verfolger der Christen wurde er zum Apostel Christi.

Geleitet vom Heiligen Geist, opferte er sich vorbehaltlos auf, um allen, ungeachtet ihrer Nationalität oder Kultur, das Evangelium zu verkünden, das »eine Kraft Gottes [ist], die jeden rettet, der glaubt, zuerst den Juden, aber ebenso den Griechen« (Röm 1,16). Auf seinen apostolischen Reisen verkündete er trotz aller Widerstände, auf die er stieß, zuerst das Evangelium in den Synagogen, wobei er seinen Landsleuten in der Diaspora besondere Aufmerksamkeit widmete (vgl. Apg 18,4–6). Wurde er von ihnen zurückgewiesen, wandte er sich den Heiden zu und wurde so zu einem wahren »Missionar der Migranten«, da er selbst ein Migrant und umherziehender Bote Gottes war, der jeden Menschen dazu einlud, im Sohn Gottes eine »neue Schöpfung« zu werden (2 Kor 5,17).

Die Verkündigung des Kerygma veranlasste ihn, die Meere des Nahen Ostens zu überqueren und auf den Straßen Europas entlang zu ziehen, bis er schließlich nach Rom gelangte. Er machte sich von Antiochien aus auf den Weg, wo er das Evangelium jenen Bevölkerungsgruppen verkündigte, die nicht dem Judentum angehörten, und wo die Jünger Jesu zum ersten Mal als »Christen« bezeichnet wurden (vgl. Apg 11,20.26). Sein Leben und seine Verkündigung waren vollkommen auf das Ziel ausgerichtet, dass Jesus von allen erkannt und geliebt werde, da alle Völker dazu berufen sind, in Ihm zu einem Volk zu werden.

Darin besteht auch in der gegenwärtigen Zeit, im Zeitalter der Globalisierung, der Sendungsauftrag der Kirche und eines jeden Getauften. Eine Sendung, bei der sich die aufmerksame pastorale Sorge auch auf die vielgestaltige Welt der Migranten richtet – Studenten im Ausland, Immigranten, Flüchtlinge, Vertriebene und Evakuierte –, einschließlich all jener, die Opfer der modernen Formen der Sklaverei, wie etwa des Menschenhandels, sind. Auch heute muss die Botschaft vom Heil mit der gleichen inneren Haltung vermittelt werden, durch die sich der Völkerapostel auszeichnete, wobei die verschiedenen sozialen und kulturellen Situationen ebenso berücksichtigt werden müssen wie die besonderen Schwierigkeiten, mit denen einige Menschen aufgrund ihrer Situation als Migranten und Menschen unterwegs konfrontiert sind. Es ist mein Wunsch, dass jede christliche Gemeinschaft den gleichen apostolischen Eifer wie der hl. Paulus pflegen möge, der allen die heilbringende Liebe des Vaters verkündete (Röm 8,15–16; Gal 4,6), um »möglichst viele [für Christus] zu gewinnen« (1 Kor 9,19), wobei er »den Schwachen ein Schwacher … und allen alles [geworden ist], um auf jeden Fall einige zu retten« (1 Kor 9,22). Sein Vorbild sporne auch uns dazu an, diesen unseren Brüdern und Schwestern unsere Solidarität zu zeigen und in allen Teilen der Welt und mit allen Mitteln das friedliche Miteinander der verschiedenen Ethnien, Kulturen und Religionen zu fördern.

Worin aber bestand das Geheimnis des Völkerapostels? Der missionarische Eifer und der Kampfgeist, durch die er sich auszeichnete, lassen sich durch die Tatsache erklären, dass er »von Christus ergriffen« (Phil 3,12) war und so eng mit Ihm verbunden blieb, dass er an seinem Leben Anteil hatte »durch die Gemeinschaft mit seinen Leiden« (Phil 3,10; vgl. auch Röm 8,17; 2 Kor 4,8–12; Kol 1,24). Dies ist die Quelle des apostolischen Eifers des hl. Paulus, der über sich erzählt: »…Gott, der mich schon im Mutterleib auserwählt und durch seine Gnade berufen hat, [offenbarte] mir in seiner Güte seinen Sohn, damit ich ihn unter den Heiden verkündige…« (Gal 1,15–16; vgl. auch Röm 15,15–16). Mit Christus fühlte er sich »mit-gekreuzigt«, so dass er schließlich von sich sagen konnte: »Nicht mehr ich lebe, sondern Christus lebt in mir« (Gal 2,20). Und keine Schwierigkeit konnte ihn davon abhalten, sein mutiges Werk der Evangelisierung in kosmopolitischen Städten wie Rom und Korinth fortzusetzen, deren Bevölkerung zu jener Zeit wie ein Mosaik aus verschiedensten Ethnien und Kulturen zusammengesetzt war.

Wenn wir die Apostelgeschichte und die Briefe lesen, die Paulus an verschiedene Empfänger richtet, erkennen wir das Modell einer Kirche, die niemanden ausschließt, sondern die offen ist für alle und von Gläubigen aller Kulturen und Rassen gebildet wird: Jeder Getaufte ist nämlich lebendiges Glied des einen Leibes Christi. Unter diesem Gesichtspunkt erhält die brüderliche Solidarität, die konkreten Ausdruck findet in den täglichen Gesten des Teilens, der Anteilnahme und der freudigen Sorge um die Mitmenschen, eine einzigartige Bedeutung. Der hl. Paulus lehrt uns jedoch, dass es nicht möglich ist, diese Dimension gegenseitiger brüderlicher Annahme in die Tat umzusetzen, wenn wir nicht bereit sind zum Hören und zur Aufnahme des verkündeten und gelebten Wortes Gottes (vgl. 1 Thess 1,6). Dieses Wort ruft alle zur Nachfolge Christi (vgl. Eph 5,1–2) auf den Spuren des Apostels auf (vgl. 1 Kor 11,1). Je mehr also die Gemeinde mit Christus vereint ist, um so mehr wird sie sich der Sorgen ihrer Mitmenschen annehmen, wobei sie Verurteilungen, Verachtung und Anstoßerregendes zu vermeiden sucht und für die gegenseitige Annahme offen ist (vgl. Röm 14,1–3; 15,7). Die Gläubigen, die Christus gleichförmig werden, erkennen sich in Ihm als »Brüder«, als Kinder des einen Vaters (Röm 8,14–16; Gal 3,26; 4,6). Diese so wertvolle Brüderlichkeit macht sie bereit, »jederzeit Gastfreundschaft zu gewähren« (vgl. Röm 12,13), welche die Erstlingsfrucht der Agape ist (vgl. 1 Tim 3,2; 5,10; Tit 1,8; Phlm 17).

Auf diese Weise verwirklicht sich die Verheißung des Herrn: »Dann will ich euch aufnehmen und euer Vater sein, und ihr sollt meine Söhne und Töchter sein« (2 Kor 6,17–18). Wie könnten wir uns, erfüllt von diesem Bewusstsein, nicht um jene Menschen kümmern, die in schwierigen Notsituationen leben, wie etwa die Flüchtlinge und Vertriebenen? Wie könnten wir nicht den Bedürfnissen jener Menschen abhelfen, die schwach und schutzlos sind, in prekären und unsicheren Situationen leben und die an den Rand der Gesellschaft gedrängt oder völlig aus ihr ausgeschlossen werden? Gemäß den Worten eines bekannten Textes des hl. Paulus muss diesen Menschen besondere Aufmerksamkeit geschenkt werden: »Das Törichte in der Welt hat Gott erwählt, um die Weisen zu Schanden zu machen … und das Niedrige in der Welt und das Verachtete hat Gott erwählt: das, was nichts ist, um das was etwas ist, zu vernichten, damit kein Mensch sich rühmen kann vor Gott« (1 Kor 1,27–29).

Liebe Brüder und Schwestern, der Welttag des Migranten und Flüchtlings, der am 18. Januar 2009 begangen wird, sei für alle ein Ansporn, ohne jegliche Unterschiede und Diskriminierungen die brüderliche Nächstenliebe in Fülle zu leben. Lassen wir uns dabei vom Bewusstsein tragen, dass all jene unsere Nächsten sind, die unsere Hilfe brauchen und denen wir helfen können (vgl. Deus caritas est, 15). Die Lehre und das Beispiel des hl. Paulus, jenes großen und demütigen Apostels und Migranten, der so vielen Völkern und Kulturen das Evangelium verkündete, mögen uns erkennen lassen, dass die praktizierte Nächstenliebe der Höhepunkt und die Zusammenfassung des gesamten christlichen Lebens ist. Das Gebot der Liebe – und dies wissen wir nur allzu gut – wird dann erfüllt, wenn die Jünger Christi gemeinsam am Tisch der Eucharistie teilhaben, die das Sakrament der Brüderlichkeit und der Liebe schlechthin ist. Und so wie Jesus uns im Abendmahlssaal neben dem Geschenk der Eucharistie auch das neue Gebot der brüderlichen Nächstenliebe gab, so sollen auch seine »Freunde« auf den Spuren Christi, der zum »Diener« der Menschen wurde, und geleitet von seiner Gnade, ganz einander dienen und sich umeinander kümmern, so wie es uns der hl. Paulus selbst empfohlen hat: »Einer trage des anderen Last; so werdet ihr das Gebot Christi erfüllen« (Gal 6,2). Nur so wird die Liebe unter den Gläubigen und zu allen anderen Menschen wachsen (vgl. 1 Thess 3,12).

Liebe Brüder und Schwestern, lasst uns unablässig diese »Frohe Botschaft« verkünden und bezeugen, und lasst uns dies tun voll Begeisterung, furchtlos und mit dem vollen Einsatz unserer Kräfte! In der Liebe ist die ganze Botschaft des Evangeliums enthalten, und wir erkennen die Jünger Christi an ihrer Liebe zueinander und an ihrer Gastfreundschaft gegenüber allen anderen. Diese Gabe erwirke uns der Apostel Paulus und insbesondere Maria, die Mutter der Aufnahme und Liebe. Während ich den göttlichen Beistand auf all jene, die den Migranten zur Seite stehen, sowie auf die gesamte Welt der Migration herabrufe, versichere ich einen jeden meines ständigen Gedenkens im Gebet und erteile von Herzen meinen Apostolischen Segen.

Aus Castel Gandolfo, 24. August 2008

BENEDICTUS PP. XVI

[01526-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

Este año el Mensaje para la Jornada Mundial del Emigrante y el Refugiado tiene por tema «San Pablo migrante, ‘Apóstol de los pueblos’», y toma como punto de partida la feliz coincidencia del Año Jubilar que he convocado en honor del Apóstol con ocasión del bimilenario de su nacimiento. En efecto, la predicación y la obra de mediación entre las diversas culturas y el Evangelio, que realizó san Pablo «emigrante por vocación», constituyen un punto de referencia significativo también para quienes se encuentran implicados en el movimiento migratorio contemporáneo.

Saulo, nacido en una familia de judíos que habían emigrado de Tarso de Cilicia, fue educado en la lengua y en la cultura judía y helenística, valorando el contexto cultural romano. Después de su encuentro con Cristo, que tuvo lugar en el camino de Damasco (cf. Ga 1, 13-16), sin renegar de sus «tradiciones» y albergando estima y gratitud hacia el judaísmo y hacia la Ley (cf. Rm 9, 1-5; 10, 1; 2 Co 11, 22; Ga 1, 13-14; Flp 3, 3-6), sin vacilaciones ni retractaciones, se dedicó a la nueva misión con valentía y entusiasmo, dócil al mandato del Señor: «Yo te enviaré lejos, a los gentiles» (Hch 22, 21). Su existencia cambió radicalmente (cf. Flp 3, 7-11): para él Jesús se convirtió en la razón de ser y el motivo inspirador de su compromiso apostólico al servicio del Evangelio. De perseguidor de los cristianos se transformó en apóstol de Cristo.

Guiado por el Espíritu Santo, se prodigó sin reservas para que se anunciara a todos, sin distinción de nacionalidad ni de cultura, el Evangelio, que es «fuerza de Dios para la salvación de todo el que cree: del judío primeramente y también del griego» (Rm 1, 16). En sus viajes apostólicos, a pesar de repetidas oposiciones, proclamaba primero el Evangelio en las sinagogas, dirigiéndose ante todo a sus compatriotas en la diáspora (cf. Hch 18, 4-6). Si estos lo rechazaban, se volvía a los paganos, convirtiéndose en auténtico «misionero de los emigrantes», emigrante él mismo y embajador itinerante de Jesucristo, para invitar a cada persona a ser, en el Hijo de Dios, «nueva criatura» (2 Co 5, 17).

La proclamación del kerygma lo impulsó a atravesar los mares del Cercano Oriente y recorrer los caminos de Europa, hasta llegar a Roma. Partió de Antioquía, donde se anunció el Evangelio a poblaciones que no pertenecían al judaísmo y donde a los discípulos de Jesús por primera vez se les llamó «cristianos» (cf. Hch 11, 20. 26). Su vida y su predicación estuvieron totalmente orientadas a hacer que Jesús fuera conocido y amado por todos, porque en él todos los pueblos están llamados a convertirse en un solo pueblo.

También en la actualidad, en la era de la globalización, esta es la misión de la Iglesia y de todos los bautizados, una misión que con atenta solicitud pastoral se dirige también al variado universo de los emigrantes -estudiantes fuera de su país, inmigrantes, refugiados, prófugos, desplazados-, incluyendo los que son víctimas de las esclavitudes modernas, como por ejemplo en la trata de seres humanos. También hoy es preciso proponer el mensaje de la salvación con la misma actitud del Apóstol de los gentiles, teniendo en cuenta las diversas situaciones sociales y culturales, y las dificultades particulares de cada uno como consecuencia de su condición de emigrante e itinerante. Formulo el deseo de que cada comunidad cristiana tenga el mismo fervor apostólico de san Pablo, el cual, con tal de anunciar a todos el amor salvífico del Padre (cf. Rm 8, 15-16; Ga 4, 6) a fin de «ganar para Cristo al mayor número posible» (1 Co 9, 19) se hizo «débil con los débiles..., todo a todos, para salvar a toda costa a algunos» (1 Co 9, 22). Que su ejemplo nos sirva de estímulo también a nosotros para que seamos solidarios con estos hermanos y hermanas nuestros, y promovamos, en todas las partes del mundo y con todos los medios posibles, la convivencia pacífica entre las diversas etnias, culturas y religiones.

Pero, ¿cuál fue el secreto del Apóstol de los gentiles? El celo misionero y la pasión del luchador, que lo caracterizaron, brotaban del hecho de que él, «conquistado por Cristo» (Flp 3, 12), permaneció tan íntimamente unido a él que se sintió partícipe de su misma vida, a través de «la comunión en sus padecimientos» (Flp 3, 10; cf. también Rm 8, 17; 2 Co 4, 8-12; Col 1, 24). Aquí está la fuente del celo apostólico de san Pablo, el cual narra: «Aquel que me separó desde el seno de mi madre y me llamó por su gracia, tuvo a bien revelarme a mí a su Hijo, para que lo anunciara entre los gentiles» (Ga 1, 15-16; cf. también Rm 15, 15-16). Se sintió «crucificado con Cristo» hasta el punto de poder afirmar: «Ya no vivo yo, sino que es Cristo quien vive en mí» (Ga 2, 20). Y ninguna dificultad le impidió proseguir su valiente acción evangelizadora en ciudades cosmopolitas como Roma y Corinto, que en aquel tiempo estaban pobladas por un mosaico de etnias y culturas.

Al leer los Hechos de los Apóstoles y las Cartas que san Pablo dirige a varios destinatarios, se aprecia un modelo de Iglesia no exclusiva, sino abierta a todos, formada por creyentes sin distinción de cultura y de raza, pues todo bautizado es miembro vivo del único Cuerpo de Cristo. Desde esta perspectiva, cobra un relieve singular la solidaridad fraterna, que se traduce en gestos diarios de comunión, de participación y de solicitud gozosa por los demás. Sin embargo, como enseña también san Pablo, no es posible realizar esta dimensión de acogida fraterna recíproca sin estar dispuestos a la escucha y a la acogida de la Palabra predicada y practicada (cf. 1 Ts 1, 6), Palabra que impulsa a todos a la imitación de Cristo (cf. Ef 5, 1-2) imitando al Apóstol (cf. 1 Co 11, 1). Por tanto, cuanto más unida a Cristo está la comunidad, tanto más solicita se muestra con el prójimo, evitando juzgarlo, despreciarlo o escandalizarlo, y abriéndose a la acogida recíproca (cf. Rm 14, 1-3; 15, 7). Los creyentes, configurados con Cristo, se sienten en Él «hermanos» del mismo Padre (cf. Rm 8, 14-16; Ga 3, 26; 4, 6). Este tesoro de fraternidad los hace «practicar la hospitalidad» (Rm 12, 13), que es hija primogénita del agapé (cf. 1 Tm 3, 2; 5, 10; Tt 1, 8; Flm 17).

Así se realiza la promesa del Señor: «Yo os acogeré y seré para vosotros padre, y vosotros seréis para mí hijos e hijas» (2 Co 6, 17-18). Si somos conscientes de esto, ¿cómo no hacernos cargo de las personas que se encuentran en penurias o en condiciones difíciles, especialmente entre los refugiados y los prófugos? ¿Cómo no salir al encuentro de las necesidades de quienes, de hecho, son más débiles e indefensos, marcados por precariedad e inseguridad, marginados, a menudo excluidos de la sociedad? A ellos es preciso prestar una atención prioritaria, pues, parafraseando un conocido texto paulino, «Dios eligió lo necio del mundo para confundir a los sabios, (...), lo plebeyo y despreciable del mundo, y lo que no es, para que ningún mortal se gloríe en la presencia de Dios» (1 Co 1, 27-29).

Queridos hermanos y hermanas, la Jornada Mundial del Emigrante y del Refugiado, que se celebrará el día 18 de enero de 2009, ha de ser para todos un estímulo a vivir en plenitud el amor fraterno sin distinciones de ningún tipo y sin discriminaciones, con la convicción de que nuestro prójimo es cualquiera que tiene necesidad de nosotros y a quien podemos ayudar (cf. Deus caritas est, 15). Que la enseñanza y el ejemplo de san Pablo, humilde y gran Apóstol y emigrante, evangelizador de pueblos y culturas, nos impulse a comprender que el ejercicio de la caridad constituye el culmen y la síntesis de toda la vida cristiana. Como sabemos bien, el mandamiento del amor se alimenta cuando los discípulos de Cristo participan unidos en la mesa de la Eucaristía que es, por excelencia, el Sacramento de la fraternidad y del amor. Y, del mismo modo que Jesús en el Cenáculo unió el mandamiento nuevo del amor fraterno al don de la Eucaristía, así sus «amigos», siguiendo las huellas de Cristo, que se hizo «siervo» de la humanidad, y sostenidos por su gracia, no pueden menos de dedicarse al servicio recíproco, ayudándose unos a otros según lo que recomienda el mismo san Pablo: «Ayudaos mutuamente a llevar vuestras cargas y cumplid así la ley de Cristo» (Ga 6, 2). Sólo de este modo crece el amor entre los creyentes y el amor a todos (cf. 1 Ts 3, 12).

Queridos hermanos y hermanas, no nos cansemos de proclamar y testimoniar esta «Buena Nueva» con entusiasmo, sin miedo y sin escatimar esfuerzos. En el amor está condensado todo el mensaje evangélico, y los auténticos discípulos de Cristo se reconocen por su amor mutuo y por acoger a todos. Que nos obtenga este don el Apóstol san Pablo y especialmente María, Madre de la acogida y del amor. A la vez que invoco la protección divina sobre todos los que están comprometidos en ayudar a los emigrantes y, más en general, en el vasto mundo de la emigración, aseguro un constante recuerdo en la oración por cada uno e imparto con afecto a todos la Bendición Apostólica.

Castelgandolfo, 24 de agosto de 2008

BENEDICTUS PP. XVI

[01526-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Caros irmãos e irmãs,

Este ano, a Mensagem para o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado tem como tema: «São Paulo migrante, ‘Apóstolo das gentes’», e inspira-se na feliz coincidência do Ano jubilar por mim proclamado em honra do Apóstolo por ocasião do bimilénio do seu nascimento. A pregação e a obra de mediação entre as diversas culturas e o Evangelho, levadas a cabo por Paulo, «migrante por vocação», constituem com efeito um ponto de referência significativo também para aquele que se encontra empenhado no movimento migratório contemporâneo.

Tendo nascido de uma família de judeus emigrados para Tarso da Cilícia, Saulo foi educado na língua e na cultura hebraica e helenista, valorizando o contexto cultural romano. Depois que, no caminho de Damasco, teve lugar o seu encontro com Cristo (cf. Gl 1, 13-16) ele, mesmo sem renegar as suas «tradições» e nutrindo estima e gratidão pelo judaísmo e pela Lei (cf. Rm 9, 1-5; 10, 1; 2 Cor 11, 22; Gl 1, 13-14; Fl 3, 3-6), sem hesitações nem vacilações, dedicou-se à nova missão com coragem e entusiasmo, dócil ao mandato do Senhor: «Hei-de enviar-te aos pagãos, lá ao longe» (Act 22, 21). A sua existência mudou radicalmente (cf. Fl 3, 7-11): para ele, Jesus tornou-se a razão de ser e o motivo inspirador do compromisso apostólico ao serviço do Evangelho. De perseguidor dos cristãos, transformou-se em apóstolo de Cristo.

Guiado pelo Espírito Santo, prodigalizou-se sem reservas para que fosse anunciado a todos, sem distinção de nacionalidade e de cultura, o Evangelho que é «poder de Deus para a salvação de todos os fiéis, em primeiro lugar do judeu e depois do grego» (Rm 1, 16). Nas suas viagens apostólicas, não obstante as reiteradas oposições, proclamava primeiro o Evangelho nas sinagogas, chamando a atenção sobretudo dos seus compatriotas na diáspora (cf. Act 18, 4-6). Se eles o rejeitavam, dirigia-se aos pagãos, fezendo-se autêntico «missionário dos migrantes», ele mesmo migrante e embaixador itinerante de Jesus Cristo, para convidar todas as pessoas a tornarem-se, no Filho de Deus, «novas criaturas» (2 Cor 5, 17).

A proclamação do querigma fez-lhe singrar os mares do Próximo Oriente e percorrer as estradas da Europa, até chegar a Roma. Partiu de Antioquia, onde o Evangelho foi anunciado a populações não pertencentes ao judaísmo, e os discípulos de Jesus pela primeira vez foram chamados «cristãos» (cf. Act 11, 20.26). A sua vida e a sua pregação foram inteiramente orientadas para fazer com que todos conhecessem e amassem Jesus, porque nele todos os povos são chamados a tornar-se um só povo.

Também no presente, na era da globalização, esta é a missão da Igreja e de todo o baptizado; missão que, com atenta solicitude pastoral, se dirige também ao diversificado universo dos migrantes – estudantes fora da própria sede, imigrados, refugiados, prófugos e deslocados – incluindo aqueles que são vítimas das escravidões modernas, como por exemplo no tráfico dos seres humanos. Mesmo hoje, deve propor-se a mensagem da salvação com a mesma atitude do Apóstolo das nações, tendo em consideração as diversas situações sociais e culturais, e das particulares dificuldades de cada um em consequência da condição de migrante e de itinerante. Formulo os bons votos a fim de que cada comunidade cristã possa nutrir o mesmo fervor apostólico de São Paulo que, para anunciar a todos o amor salvífico do Pai (cf. Rm 8, 15-16; Gl 4, 6), em vista de «ganhar o maior número para Cristo» (1 Cor 9, 19), fez-se «fraco com os fracos... tudo para todos, a fim de salvar alguns a todo o custo» (1 Cor 9, 22). O seu exemplo seja também para nós estímulo para nos fazermos solidários com estes nossos irmãos e irmãs e para promovermos, em toda a parte do mundo e com todos os meios, a convivência pacífica entre diferentes etnias, culturas e religiões.

Mas qual era o segredo do Apóstolo das nações? O zelo missionário e a pujança do lutador, que o distinguiram, derivava do facto de que ele, «alcançado por Jesus Cristo» (Fl 3, 12), permaneceu tão intimamente unido a ele que se sentia partícipe da sua própria vida, através da «comunhão com os seus sofrimentos» (cf. Fl 3, 10; cf. também Rm 8, 17; 2 Cor 4, 8-12; Cl 1, 24). Eis a nascente do ardor apostólico de São Paulo, que narra: «Aprouve a Deus – que me reservou desde o seio de minha mãe e me chamou pela sua graça – revelar o seu Filho em mim, para que O anunciasse entre os gentios» (Gl 1, 15-16; cf. também Rm 15, 15-16). Com Cristo, sentiu-se «co-crucificado», a ponto de poder afimar: «Já não sou eu que vivo, é Cristo que vive em mim!» (Gl 2, 20). E nenhuma dificuldade lhe impediu de continuar a sua intrépida acção evangelizadora em cidades cosmopolitas como Roma e Corinto que, naquela época, eram povoadas por uma vasta gama de etnias e de culturas.

Lendo os Actos dos Apóstolos e as Cartas que Paulo dirigiu a vários destinatários, vislumbra-se um modelo de Igreja não exclusiva, mas sim aberta a todos, formada por crentes sem distinções de cultura e de raça: com efeito, cada um dos baptizados é membro vivo do único Corpo de Cristo. Nesta perspectiva a solidariedade fraterna, que se traduz em gestos quotidianos de partilha, de co-participação e de solicitude jubilosa em relação aos outros, adquire um relevo singular. Todavia, não é possível realizar esta dimensão de recíproco acolhimento fraterno, ensina sempre São Paulo, sem a disponibilidade da escuta e da recepção da Palavra pregada e praticada (cf. Tt 1, 6), Palavra que impele todos à imitação de Cristo (cf. Ef 5, 1-2), na imitação do Apóstolo (cf. 1 Cor 11, 1). E por conseguinte, quanto mais a comunidade unida estiver a Cristo, tanto mais se tornará solícita em relação ao próximo, evitando o juízo, o desprezo e o escândalo, e abrindo-se ao acolhimento recíproco (cf. Rm 14, 1-3; 15, 7). Conformados com Cristo, os fiéis sentem-se «irmãos» nele, filhos do mesmo Pai (cf. Rm 8, 14-16; Gl 3, 26; 4, 6). Este tesouro de fraternidade torna-os «solícitos na hospitalidade» (Rm 12, 13), que é filha primogénita do ágape (cf. 1 Tm 3, 2; 5, 10; Tt 1, 8; Fm 17).

Cumpre-se deste modo a promessa do Senhor: «Receber-vos-ei. Serei para vós um Pai e vós sereis para mim filhos e filhas» (2 Cor 6, 17-18). Se estivermos conscientes disto, como não sermos responsáveis por quantos, em particular entre refugiados e prófugos, se encontram em condições difíceis e incómodas? Como deixar de ir ao encontro das necessidades de quem é de facto mais fraco e indefeso, assinalado por precariedade e insegurança, marginalizado, muitas vezes excluído da sociedade? Deve-se prestar-lhes atenção prioritária porque, parafraseando um conhecido texto paulino, «Deus escolheu o que é louco segundo o mundo, para confundir os sábios; Deus escolheu o que é fraco segundo o mundo, para confundir o que é forte. Deus escolheu o que é vil e desprezível no mundo, como também aquelas coisas que nada são, para destruir as que são. Assim, ninguém se vangloriará diante de Deus» (1 Cor 27-29).

Queridos irmãos e irmãs, o Dia Mundial do Migrante e do Refugiado, que será celebrado a 18 de Janeiro de 2009, seja para todos um estímulo a viver em plenitude o amor fraterno sem quaisquer distinções e sem discriminações, na convicção de que o nosso próximo é quem quer que tenha necessidade de nós e a quem nós possamos ajudar (cf. Deus caritas est, 15). O ensinamento e o exemplo de São Paulo, humilde-grande Apóstolo e migrante, evangelizador de povos e culturas, nos leve a compreender que o exercício da caridade constitui o ápice e a síntese de toda a vida cristã. O mandamento do amor – sabemo-lo bem – alimenta-se quando os discípulos de Cristo participam unidos na mesa da Eucaristia que é, por excelência, o Sacramento da fraternidade e do amor. E como Jesus no Cenáculo, ao dom da Eucaristia uniu o novo mandamento do amor fraterno, assim os seus «amigos», seguindo os passos de Cristo que se fez «servo» da humanidade, e sustentados pela sua Graça, não podem deixar de se dedicar ao serviço recíproco, responsabilizando-se uns pelos outros segundo quanto o mesmo o próprio São Paulo recomenda: «Carregai os fardos uns dos outros, e assim cumprireis a lei de Cristo» (Gl 6, 2). Somente deste modo cresce o amor entre os fiéis e por todos (cf. 1 Ts 3, 12).

Estimados irmãos e irmãs, não nos cansemos de proclamar e testemunhar esta «Boa Nova» com entusiasmo, sem medo e sem poupar energias! No amor está condenado toda a mensagem evangélica e os autênticos discípulos de Cristo reconhecem-se pelo seu amor mútuo e pelo seu acolhimento de todos. Que nos obtenha esta dádiva o Apóstolo Paulo e especialmente Maria, Mãe do acolhimento e do amor. Enquanto invoco a protecção divina sobre quantos estão comprometidos em ajudar os migrantes e, de modo mais geral, no vasto mundo da emigração, a cada um garanto uma recordação constante na oração e concedo afectuosamente a todos a Bênção apostólica.

Castel Gandolfo, 24 de Agosto de 2008.

BENEDICTUS PP. XVI

[01526-06.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA POLACCA

Drodzy bracia i siostry!

Temat tegorocznego Orędzia na Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy brzmi: «Św. Paweł migrant i ‘Apostoł Narodów’». Nawiązuje on do ogłoszonego przeze mnie Roku Jubileuszowego ku czci tego Apostoła z okazji 2000. rocznicy jego urodzin. Będące dziełem Pawła – «migranta z powołania», głoszenie nauki oraz pośredniczenie między różnymi kulturami i Ewangelią, stanowią w istocie znaczący punkt odniesienia, również dla ludzi migrujących w obecnych czasach.

Szaweł urodził się w Tarsie w Cylicji w rodzinie żydowskich emigrantów. Został wychowany w języku i kulturze hebrajskiej oraz hellenistycznej, także na gruncie kultury rzymskiej. Po spotkaniu z Chrystusem na drodze do Damaszku (por. Ga 1, 13-16), nie wyrzekając się własnych «tradycji» oraz żywiąc szacunek i wdzięczność względem judaizmu i Prawa (por. Rz 9, 1-5; 10, 1; 2 Kor 11, 22; Ga 1, 13-14; Flp 3, 3-6), bez wahania i namysłu, odważnie i z entuzjazmem poświęcił się nowej misji, posłuszny poleceniu Pana: «Ja cię poślę daleko, do pogan» (Dz 22, 21). Jego życie zmieniło się w sposób radykalny (por. Flp 3, 7-11): Jezus stał się dla niego racją bytu oraz inspiracją do zaangażowania apostolskiego w służbie Ewangelii. Z prześladowcy chrześcijan stał się apostołem Chrystusa.

Prowadzony przez Ducha Świętego, nie szczędząc sił zabiegał o to, aby Ewangelia, będąca «mocą Bożą ku zbawieniu dla każdego wierzącego, najpierw dla Żyda, potem dla Greka» (Rz 1, 16), była głoszona wszystkim, niezależnie od narodowości i kultury. Podczas swoich podróży apostolskich, pomimo wielokrotnych protestów, najpierw głosił Ewangelię w synagogach, darząc względami przede wszystkim swoich rodaków żyjących w diasporze (por. Dz 18, 4-6). A jeśli oni go odrzucali, zwracał się do pogan, stając się prawdziwym «misjonarzem migrantów», sam będąc migrantem i wędrownym ambasadorem Jezusa Chrystusa, i zachęcał każdego człowieka, aby stał się w Synu Bożym «nowym stworzeniem» (2 Kor 5, 17).

Głosząc kerygmę przemierzał morza Bliskiego Wschodu i drogi Europy, aż dotarł do Rzymu. Wyruszył z Antiochii, gdzie Ewangelia była głoszona ludności nie wyznającej judaizmu i gdzie uczniów Jezusa po raz pierwszy nazwano «chrześcijanami» (por. Dz 11, 20. 26). Jego życie i nauczanie były całkowicie podporządkowane temu, by wszyscy poznali i pokochali Chrystusa, ponieważ w Nim wszystkie ludy mają stać się jednym ludem.

Również obecnie, w epoce globalizacji, na tym polega misja Kościoła i każdego ochrzczonego. Misja ta obejmuje także – dzięki duszpasterskiej wrażliwości – zróżnicowany świat migrantów: studentów zamiejscowych, imigrantów, uchodźców, uciekinierów, przesiedlonych, włącznie z ofiarami współczesnych form niewolnictwa, takich jak na przykład handel ludźmi. Również dzisiaj trzeba głosić orędzie zbawienia z takim samym nastawieniem jak Apostoł Narodów, biorąc pod uwagę odmienne sytuacje społeczne i kulturowe oraz szczególne trudności każdego, związane z jego życiem migranta i podróżującego. Pragnąłbym, aby każda wspólnota chrześcijańska wykazywała taką samą gorliwość apostolską jak św. Paweł, który głosząc wszystkim zbawczą miłość Ojca (Rz 8, 15-16; Ga 4, 6), aby «pozyskać licznych dla Chrystusa» (por. 1 Kor 9, 19), stał się «słaby dla słabych, (...) wszystkim dla wszystkich, żeby uratować choć niektórych» (por. 1 Kor 9, 22). Niech jego przykład będzie również dla nas zachętą, byśmy stali się solidarni z tymi naszymi braćmi i siostrami i byśmy w każdym zakątku ziemi na wszelkie sposoby dbali o pokojowe współżycie między różnymi ludami, kulturami i religiami.

Na czym polegał sekret Apostoła Narodów? Cechujące go gorliwość misyjna i zapał wojownika wynikały stąd, że on sam «zdobyty przez Chrystusa» (Flp 3, 12), był z Nim głęboko zjednoczony, do tego stopnia, że miał poczucie uczestnictwa w Jego życiu przez «udział w Jego cierpieniach» (por. Flp 3, 10; por. także Rz 8, 17; 2 Kor 4, 8-12; Kol 1, 24). To jest źródłem zapału apostolskiego św. Pawła, który opowiada: «Spodobało się Temu, który wybrał mnie jeszcze w łonie matki mojej i powołał łaską swoją, aby objawić Syna swego we mnie, bym Ewangelię o Nim głosił poganom» (Ga 1, 15-16; por. także Rz 15, 15-16). Czuł się «współ-ukrzyżowany» z Chrystusem, tak że mógł stwierdzić: «już nie ja żyję, lecz żyje we mnie Chrystus» (Ga 2, 20). Żadne trudności nie stanowiły dla niego przeszkody w prowadzeniu odważnej działalności ewangelizacyjnej w takich kosmopolitycznych miastach, jak Rzym i Korynt, których mieszkańcy w tamtych czasach tworzyli mozaikę narodowości i kultur.

Gdy czytamy Dzieje Apostolskie oraz Listy, które Paweł kieruje do różnych adresatów, dostrzegamy w nich model Kościoła nie ekskluzywnego, lecz otwartego na wszystkich, składającego się z wierzących, w którym nie ma żadnych różnic związanych z kulturą i rasą: każdy bowiem ochrzczony jest żywym członkiem jednego Ciała Chrystusa. W tym ujęciu nabiera szczególnego znaczenia braterska solidarność, wyrażająca się w codziennych gestach dzielenia się, współuczestnictwa i radosnej troski o innych. Jednakże, jak zawsze poucza św. Paweł, nie jest możliwe urzeczywistnianie tego wymiaru wzajemnej braterskiej akceptacji bez gotowości słuchania i przyjmowania Słowa głoszonego i wprowadzanego w życie (por. 1 Tes 1, 6) – Słowa, które zachęca wszystkich do naśladowania Chrystusa (por. Ef 5, 1-2) przez naśladowanie Apostoła (por. 1 Kor 11, 1). Dlatego też, im bardziej wspólnota jest zjednoczona z Chrystusem, tym bardziej troszczy się o bliźniego, stroniąc od osądzania, pogardy i zgorszenia oraz wzajemnie się akceptując (por. Rz 14, 1-3; 15, 7). Wierni upodobnieni do Chrystusa, czują się w Nim «braćmi», dziećmi tego samego Ojca (Rz 8, 14-16; Ga 3, 26; 4, 6). Ten skarb braterstwa sprawia, że «przestrzegają gościnności» (por. Rz 12, 13), będącej pierworodną córą agape (por. 1 Tm 3, 2; 5, 10; Tt 1, 8; Flm 17).

W ten sposób urzeczywistnia się obietnica Pana: «Ja was przyjmę i będę wam Ojcem, a wy będziecie moimi synami i córkami» (2 Kor 6, 17-18). Jeśli jesteśmy tego świadomi, czyż nie powinniśmy zatroszczyć się o tych, którzy znajdują się w trudnych warunkach, zwłaszcza o uchodźców i uciekinierów? Czyż można nie troszczyć się o potrzeby ludzi naprawdę słabych i bezbronnych, żyjących w niepewności i poczuciu braku bezpieczeństwa, zepchniętych na margines, często wykluczonych ze społeczeństwa? Im przede wszystkim należy poświęcić uwagę, ponieważ – parafrazując znany tekst Pawłowy – «Bóg wybrał właśnie to, co głupie w oczach świata, aby zawstydzić mędrców, wybrał (…) to, co nieszlachetnie urodzone według świata oraz wzgardzone, i to, co [w ogóle] nie jest (…), by to, co jest, unicestwić, tak by się żadne stworzenie nie chełpiło wobec Boga» (1 Kor 1, 27-29).

Drodzy bracia i siostry, niech Światowy Dzień Migranta i Uchodźcy, który będzie obchodzony 18 stycznia 2009 r., stanie się dla wszystkich zachętą do tego, by żyć w pełni miłością braterską, nie wyróżniając nikogo ani nie dyskryminując, w przekonaniu, że naszym bliźnim jest każdy, kto nas potrzebuje i komu możemy pomóc (por. Deus caritas est, 15). Niech nauczanie i przykład św. Pawła, wielkiego i pokornego Apostoła i migranta, ewangelizatora narodów i kultur, pomoże nam zrozumieć, że spełnianie uczynków miłości jest szczytem i syntezą całego życia chrześcijańskiego. Przykazanie miłości – wiemy o tym dobrze – nabiera życia, gdy zjednoczeni uczniowie Chrystusa uczestniczą w uczcie Eucharystycznej, która jest w najwyższym stopniu sakramentem braterstwa i miłości. I podobnie jak Jezus, który w Wieczerniku złączył dar Eucharystii z nowym przykazaniem miłości braterskiej, tak też Jego «przyjaciele», naśladując Chrystusa, który stał się «sługą» ludzkości, i umacniani Jego łaską, powinni z oddaniem służyć sobie nawzajem, troszcząc się jedni o drugich, zgodnie z tym, co zaleca św. Paweł: «Jeden drugiego brzemiona noście i tak wypełniajcie prawo Chrystusowe» (Ga 6, 2). Tylko w ten sposób potęguje się miłość między wierzącymi oraz do wszystkich innych (por. 1 Tes 3, 12).

Drodzy bracia i siostry, nie ustawajmy w głoszeniu tej «Dobrej Nowiny» i dawaniu o niej świadectwa z entuzjazmem, bez lęku i nie szczędząc sił! W miłości zawiera się całe przesłanie ewangeliczne, a prawdziwych uczniów Chrystusa rozpoznaje się po wzajemnej miłości i po ich otwartości wobec wszystkich. Niech ten dar wyjedna nam Paweł Apostoł, a zwłaszcza Maryja, Matka, która przyjmuje i kocha. Prosząc Boga o opiekę nad wszystkimi, którzy angażują się w pomoc migrantom, a ogólniej nad rozległym światem migracji, zapewniam każdego o stałej pamięci w modlitwie i wszystkim udzielam z serca Apostolskiego Błogosławieństwa.

Castel Gandolfo, 24 sierpnia 2008 r.

BENEDICTUS PP XVI

[01526-09.01] [Testo originale: Italiano]

[B0629-XX.01]