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SANTA MESSA CON ORDINAZIONI PRESBITERALI, 27.04.2008


Alle ore 9.30 di oggi - VI Domenica di Pasqua - Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Santa Messa nel corso della quale conferisce l’Ordinazione presbiterale a 29 diaconi, di cui 28 della Diocesi di Roma e uno del Pontificio Collegio Urbano de Propaganda Fide.
Concelebrano con il Santo Padre: l’Em.mo Card. Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, S.E. Mons. Luigi Moretti, Vicegerente, i Vescovi Ausiliari, i Superiori dei Seminari interessati e i Parroci degli ordinandi.
Nel corso della Liturgia dell’Ordinazione, il Papa pronuncia la seguente omelia:

● OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Si realizza oggi per noi, in modo tutto particolare, la parola che dice: "Hai moltiplicato la gioia, / hai aumentato la letizia" (Is 9,2). Infatti, alla gioia di celebrare l’Eucaristia nel giorno del Signore, si sommano l’esultanza spirituale del tempo di Pasqua giunto ormai alla sesta domenica, e soprattutto la festa dell’Ordinazione di nuovi Sacerdoti. Insieme a voi saluto con affetto i 29 Diaconi che tra poco saranno ordinati presbiteri. Esprimo viva riconoscenza a quanti li hanno guidati nel loro cammino di discernimento e di preparazione, ed invito voi tutti a rendere grazie a Dio per il dono alla Chiesa di questi nuovi sacerdoti. Sosteniamoli con intensa preghiera durante la presente celebrazione, in spirito di fervida lode al Padre che li ha chiamati, al Figlio che li ha attirati a sé, allo Spirito che li ha formati. Solitamente l’Ordinazione dei nuovi sacerdoti avviene nella IV Domenica di Pasqua, detta Domenica del Buon Pastore, che è anche la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, ma quest’anno non è stato possibile, perché ero in partenza per la visita pastorale negli Stati Uniti d’America. L’icona del Buon Pastore sembra essere quella che più d’ogni altra pone in luce il ruolo e il ministero del presbitero nella comunità cristiana. Ma anche i passi biblici, che l’odierna liturgia offre alla nostra meditazione, illuminano, secondo un’angolatura diversa, la missione del sacerdote.

La prima Lettura, tratta dal capitolo VIII degli Atti degli Apostoli, narra la missione del diacono Filippo in Samaria. Vorrei attirare immediatamente l’attenzione sulla frase che chiude la prima parte del testo: "E vi fu grande gioia in quella città" (At 8,8). Questa espressione non comunica un’idea, un concetto teologico, ma riferisce un avvenimento circostanziato, qualcosa che ha cambiato la vita delle persone: in una determinata città della Samaria, nel periodo che seguì la prima violenta persecuzione contro la Chiesa a Gerusalemme (cfr At 8,1), venne ad accadere qualcosa che causò "grande gioia". Che cosa era dunque successo? Narra l’Autore sacro che, per sfuggire alla persecuzione scoppiata a Gerusalemme contro coloro che si erano convertiti al cristianesimo, tutti i discepoli, tranne gli Apostoli, abbandonarono la Città santa e si dispersero all’intorno. Da questo evento doloroso scaturì, in maniera misteriosa e provvidenziale, un rinnovato impulso alla diffusione del Vangelo. Fra coloro che si erano dispersi c’era anche Filippo, uno dei sette diaconi della Comunità, diacono come voi, cari Ordinandi, anche se in modalità certamente diverse, poiché nella stagione irripetibile della Chiesa nascente, gli Apostoli e i diaconi erano dotati dallo Spirito Santo di una potenza straordinaria sia nella predicazione che nell’azione taumaturgica. Or avvenne che gli abitanti della località samaritana, di cui si parla in questo capitolo degli Atti degli Apostoli, accolsero unanimi l’annuncio di Filippo e, grazie alla loro adesione al Vangelo, egli poté guarire molti malati. In quella città della Samaria, in mezzo a una popolazione tradizionalmente disprezzata e quasi scomunicata dai Giudei, risuonò l’annuncio di Cristo che aprì alla gioia il cuore di quanti l’accolsero con fiducia. Ecco perché dunque - sottolinea san Luca - in quella città "vi fu grande gioia".

Cari amici, questa è anche la vostra missione: recare il Vangelo a tutti, perché tutti sperimentino la gioia di Cristo e ci sia gioia in ogni città. Che cosa ci può essere di più bello di questo? Che cosa di più grande, di più entusiasmante, che cooperare a diffondere nel mondo la Parola di vita, che comunicare l’acqua viva dello Spirito Santo? Annunciare e testimoniare la gioia: è questo il nucleo centrale della vostra missione, cari diaconi che tra poco diventerete sacerdoti. L’apostolo Paolo chiama i ministri del Vangelo "servitori della gioia". Ai cristiani di Corinto, nella sua Seconda Lettera, egli scrive: "Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi" (2 Cor 1,24). Sono parole programmatiche per ogni sacerdote. Per essere collaboratori della gioia degli altri, in un mondo spesso triste e negativo, bisogna che il fuoco del Vangelo arda dentro di voi, che abiti in voi la gioia del Signore. Allora solo potrete essere messaggeri e moltiplicatori di questa gioia recandola a tutti, specialmente a quanti sono tristi e sfiduciati.

Torniamo alla prima Lettura, che ci offre un altro elemento di meditazione. Vi si parla di una riunione di preghiera, che avviene proprio nella città samaritana evangelizzata dal diacono Filippo. A presiederla sono gli apostoli Pietro e Giovanni, due "colonne" della Chiesa, venuti da Gerusalemme per far visita a questa nuova comunità e confermarla nella fede. Grazie all’imposizione delle loro mani, lo Spirito Santo scese su quanti erano stati battezzati. Possiamo vedere in quest’episodio una prima attestazione del rito della "Confermazione", il secondo Sacramento dell’iniziazione cristiana. Anche per noi, qui riuniti, il riferimento al gesto rituale dell’imposizione delle mani è quanto mai significativo. E’ infatti il gesto centrale anche del rito di Ordinazione, mediante il quale tra poco io conferirò ai candidati la dignità presbiterale. E’ un segno inseparabile dalla preghiera, della quale costituisce un prolungamento silenzioso. Senza dire parole, il Vescovo consacrante e dopo di lui gli altri sacerdoti pongono le mani sul capo degli ordinandi, esprimendo così l’invocazione a Dio perché effonda il suo Spirito su di loro e li trasformi rendendoli partecipi del Sacerdozio di Cristo. Si tratta di pochi secondi, un tempo brevissimo, ma carico di straordinaria densità spirituale.

Cari Ordinandi, in futuro dovrete sempre ritornare a questo momento, a questo gesto che non ha nulla di magico, eppure è così ricco di mistero, perché qui è l’origine della vostra nuova missione. In quella preghiera silenziosa avviene l’incontro tra due libertà: la libertà di Dio, operante mediante lo Spirito Santo, e la libertà dell’uomo. L’imposizione delle mani esprime plasticamente la specifica modalità di questo incontro: la Chiesa, impersonata dal Vescovo in piedi con le mani protese, prega lo Spirito Santo di consacrare il candidato; il diacono, in ginocchio, riceve l’imposizione della mani e si affida a tale mediazione. L’insieme dei gesti è importante, ma infinitamente più importante è il movimento spirituale, invisibile, che esso esprime; movimento ben evocato dal sacro silenzio, che tutto avvolge all’interno e all’esterno.

Ritroviamo questo misterioso "movimento" trinitario, che conduce lo Spirito Santo e il Figlio a dimorare nei discepoli, anche nella pericope evangelica. Qui è Gesù stesso a promettere che pregherà il Padre affinché mandi ai suoi lo Spirito, definito "un altro Paraclito" (Gv 14,16), termine greco che equivale al latino "ad-vocatus", avvocato difensore. Il primo Paraclito infatti è il Figlio incarnato, venuto per difendere l’uomo dall’accusatore per antonomasia, che è satana. Nel momento in cui Cristo, compiuta la sua missione, ritorna al Padre, questi invia lo Spirito, come Difensore e Consolatore, perché resti per sempre con i credenti abitando dentro di loro. Così, tra Dio Padre e i discepoli si instaura, grazie alla mediazione del Figlio e dello Spirito Santo, una relazione intima di reciprocità: "Io sono nel Padre e voi in me e io in voi", dice Gesù (Gv 14,20). Tutto questo dipende però da una condizione che Cristo pone chiaramente all’inizio: "Se mi amate" (Gv 14,15), e che ripete alla fine: "Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,21). Senza l’amore per Gesù, che si attua nell’osservanza dei suoi comandamenti, la persona si esclude dal movimento trinitario e inizia a ripiegarsi su se stessa, perdendo la capacità di ricevere e comunicare Dio.

"Se mi amate". Cari amici, queste parole Gesù le ha pronunciate durante l’Ultima Cena nel momento in cui contestualmente istituiva l’Eucaristia e il Sacerdozio. Pur rivolte agli Apostoli, esse, in un certo senso, sono indirizzate a tutti i loro successori e ai sacerdoti, che sono i più stretti collaboratori dei successori degli Apostoli. Noi le riascoltiamo quest’oggi come un invito a vivere sempre più coerentemente la nostra vocazione nella Chiesa: voi, cari Ordinandi, le ascoltate con particolare emozione, perché proprio oggi Cristo vi rende partecipi del suo Sacerdozio. Accoglietele con fede e con amore! Lasciate che si imprimano nel vostro cuore, lasciate che vi accompagnino lungo il cammino dell’intera vostra esistenza. Non dimenticatele, non smarritele per la strada! Rileggetele, meditatele spesso e soprattutto pregateci su. Rimarrete così fedeli all’amore di Cristo e vi accorgerete con gioia sempre nuova di come questa sua divina Parola "camminerà" con voi e "crescerà" in voi.

Un’osservazione ancora sulla seconda Lettura: è tratta dalla Prima Lettera di Pietro, presso il cui sepolcro ci troviamo e alla cui intercessione vorrei in modo speciale affidarvi. Faccio mie e vi consegno con affetto le sue parole: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3,15). Adorate Cristo Signore nei vostri cuori: coltivate cioè una relazione personale d’amore con Lui, amore primo e più grande, unico e totalizzante, dentro il quale vivere, purificare, illuminare e santificare tutte le altre relazioni. La "speranza che è in voi" è legata a questa "adorazione", a questo amore di Cristo, che per lo Spirito, come dicevamo, abita in noi. La nostra speranza, la vostra speranza è Dio, in Gesù e nello Spirito. Speranza che da oggi diventa in voi "speranza sacerdotale", quella di Gesù Buon Pastore, che abita in voi e dà forma ai vostri desideri secondo il suo Cuore divino: speranza di vita e di perdono per le persone che saranno affidate alle vostre cure pastorali; speranza di santità e di fecondità apostolica per voi e per tutta la Chiesa; speranza di apertura alla fede e all’incontro con Dio per quanti vi accosteranno nella loro ricerca della verità; speranza di pace e di conforto per i sofferenti e i feriti dalla vita.

Carissimi, ecco il mio augurio in questo giorno per voi tanto significativo: che la speranza radicata nella fede possa diventare sempre più vostra! E possiate voi esserne sempre testimoni e dispensatori saggi e generosi, dolci e forti, rispettosi e convinti. Vi accompagni in questa missione e vi protegga sempre la Vergine Maria, che vi esorto ad accogliere nuovamente, come fece l’apostolo Giovanni sotto la Croce, quale Madre e Stella della vostra vita e del vostro sacerdozio. Amen!

[00639-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0275-XX.01]