Questo pomeriggio - Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima - ha luogo un’assemblea di preghiera nella forma delle "Stazioni" romane, presieduta dal Santo Padre Benedetto XVI.
Alle ore 16.30, nella Chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, si tiene un momento di preghiera cui fa seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione prendono parte i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Monaci Benedettini di Sant’Anselmo, i Padri Domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli.
Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione Eucaristica con il rito di benedizione e di imposizione delle Ceneri.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
● OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
Se l’Avvento è per eccellenza il tempo che ci invita a sperare nel Dio-che-viene, la Quaresima ci rinnova nella speranza in Colui-che-ci-ha-fatti-passare-dalla-morte-alla-vita. Entrambi sono tempi di purificazione – lo dice anche il colore liturgico che hanno in comune – ma in modo speciale la Quaresima, tutta orientata al mistero della Redenzione, è definita "cammino di vera conversione" (Orazione colletta). All’inizio di quest’itinerario penitenziale, vorrei soffermarmi brevemente a riflettere sulla preghiera e sulla sofferenza quali aspetti qualificanti del tempo liturgico quaresimale, mentre alla pratica dell’elemosina ho dedicato il Messaggio per la Quaresima, pubblicato la scorsa settimana. Nell’Enciclica Spe salvi, ho indicato la preghiera e il soffrire, insieme all’agire e al giudizio, come "luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza". Potremmo quindi affermare che il periodo quaresimale, proprio perché invita alla preghiera, alla penitenza e al digiuno, costituisce una occasione provvidenziale per rendere più viva e salda la nostra speranza.
La preghiera alimenta la speranza, perché nulla più del pregare con fede esprime la realtà di Dio nella nostra vita. Anche nella solitudine della prova più dura, niente e nessuno possono impedirmi di rivolgermi al Padre, "nel segreto" del mio cuore, dove Lui solo "vede", come dice Gesù nel Vangelo (cfr Mt 6,4.6.18). Vengono in mente due momenti dell’esistenza terrena di Gesù che si collocano uno all’inizio e l’altro quasi al termine della sua vita pubblica: i quaranta giorni nel deserto, sui quali è ricalcato il tempo quaresimale, e l’agonia nel Getsemani – entrambi sono essenzialmente momenti di preghiera. Preghiera con il Padre solitaria a tu per tu nel deserto, preghiera colma di "angoscia mortale" nell’Orto degli Ulivi. Ma sia nell’una che nell’altra circostanza, è pregando che Cristo smaschera gli inganni del tentatore e lo sconfigge. La preghiera si dimostra così la prima e principale "arma" per "affrontare vittoriosamente il combattimento contro lo spirito del male" (Orazione colletta).
La preghiera di Cristo raggiunge il suo culmine sulla croce, esprimendosi in quelle ultime parole che gli evangelisti hanno raccolto. Laddove sembra lanciare un grido di disperazione: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mt 27,46; Mc 15,34; cfr Sal 21,1), in realtà Cristo fa sua l’invocazione di chi, assediato senza scampo dai nemici, non ha altri che Dio a cui votarsi e, al di là di ogni umana possibilità, ne sperimenta la grazia e la salvezza. Con queste parole del Salmo, prima di un uomo nella sofferenza, poi del Popolo di Dio nelle sue sofferenze per l’apparente assenza di Dio, Gesù ha fatto suo questo grido dell’umanità che soffre dell’apparente assenza di Dio e porta questo grido al cuore del Padre. Così, pregando in questa ultima solitudine insieme con tutta l’umanità, Egli ci apre il cuore di Dio. Non vi è dunque contraddizione tra queste parole del Salmo 21 e le parole piene di fiducia filiale: "Padre, nelle tue mani affido il mio spirito" (Lc 23,46; cfr Sal 30,6). Anche queste sono prese da un Salmo, il 30, implorazione drammatica di una persona che, abbandonata da tutti, si affida sicura a Dio. La preghiera di supplica colma di speranza è, pertanto, il leit motiv della Quaresima, e ci fa sperimentare Dio quale unica àncora di salvezza. Pur quando è collettiva, la preghiera del popolo di Dio è voce di un cuore solo e di un’anima sola, è dialogo "a tu per tu", come la commovente implorazione della regina Ester quando il suo popolo sta per essere sterminato: "Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso se non te, perché un grande pericolo mi sovrasta" (Est 4,17l). Di fronte a un "grande pericolo" ci vuole una più grande speranza, e questa è solo la speranza che può contare su Dio.
La preghiera è un crogiuolo in cui le nostre attese e aspirazioni vengono esposte alla luce della Parola di Dio, vengono immerse nel dialogo con Colui che è la verità, ed escono liberate da menzogne nascoste e compromessi con diverse forme di egoismo (cfr Spe salvi, 33). Senza la dimensione della preghiera, l’io umano finisce per chiudersi in se stesso, e la coscienza, che dovrebbe essere eco della voce di Dio, rischia di ridursi a specchio dell’io, così che il colloquio interiore diventa un monologo dando adito a mille autogiustificazioni. La preghiera, perciò, è garanzia di apertura agli altri: chi si fa libero per Dio e le sue esigenze, si apre contemporaneamente all’altro, al fratello che bussa alla porta del suo cuore e chiede ascolto, attenzione, perdono, talvolta correzione ma sempre nella carità fraterna. La vera preghiera non è mai egocentrica, ma sempre centrata sull’altro. Come tale essa esercita l’orante all’"estasi" della carità, alla capacità di uscire da sé per farsi prossimo all’altro nel servizio umile e disinteressato. La vera preghiera è il motore del mondo, perché lo tiene aperto a Dio. Per questo senza preghiera non c’è speranza, ma solo illusione. Non è infatti la presenza di Dio ad alienare l’uomo, ma la sua assenza: senza il vero Dio, Padre del Signore Gesù Cristo, le speranze diventano illusioni che inducono ad evadere dalla realtà. Parlare con Dio, rimanere alla sua presenza, lasciarsi illuminare e purificare dalla sua Parola, ci introduce invece nel cuore della realtà, nell’intimo Motore del divenire cosmico, ci introduce per così dire nel cuore pulsante dell’universo.
In armonica connessione con la preghiera, anche il digiuno e l’elemosina possono essere considerati luoghi di apprendimento ed esercizio della speranza cristiana. I Padri e gli scrittori antichi amano sottolineare che queste tre dimensioni della vita evangelica sono inseparabili, si fecondano reciprocamente e portano tanto maggior frutto quanto più si corroborano a vicenda. Grazie all’azione congiunta della preghiera, del digiuno e dell’elemosina, la Quaresima nel suo insieme forma i cristiani ad essere uomini e donne di speranza, sull’esempio dei santi.
Vorrei ora soffermarmi brevemente anche sulla sofferenza poiché, come ho scritto nell’Enciclica Spe salvi "la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società" (Spe salvi, 38). La Pasqua, verso cui la Quaresima è protesa, è il mistero che dà senso alla sofferenza umana, a partire dalla sovrabbondanza della com-passione di Dio, realizzata in Gesù Cristo. Il cammino quaresimale, pertanto, essendo tutto irradiato dalla luce pasquale, ci fa rivivere quanto avvenne nel cuore divino-umano di Cristo mentre saliva a Gerusalemme per l’ultima volta, per offrire se stesso in espiazione (cfr Is 53,10). La sofferenza e la morte sono calate come tenebre via via che Egli si avvicinava alla croce, ma viva si è fatta anche la fiamma dell’amore. La sofferenza di Cristo è in effetti tutta permeata dalla luce dell’amore (cfr Spe salvi, 38): l’amore del Padre che permette al Figlio di andare incontro con fiducia al suo ultimo "battesimo", come Lui stesso definisce il culmine della sua missione (cfr Lc 12,50). Quel battesimo di dolore e d’amore, Gesù lo ha ricevuto per noi, per tutta l’umanità. Ha sofferto per la verità e la giustizia, portando nella storia degli uomini il vangelo della sofferenza, che è l’altra faccia del vangelo dell’amore. Dio non può patire, ma può e vuole com-patire. Dalla passione di Cristo può entrare in ogni sofferenza umana la con-solatio, "la consolazione dell’amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza" (Spe salvi, 39).
Come per la preghiera, così per la sofferenza la storia della Chiesa è ricchissima di testimoni che si sono spesi per gli altri senza risparmio, a costo di duri patimenti. Più è grande la speranza che ci anima, tanto maggiore è anche in noi la capacità di soffrire per amore della verità e del bene, offrendo con gioia le piccole e grandi fatiche di ogni giorno e inserendole nel grande com-patire di Cristo (cfr ivi, 40). Ci aiuti in questo cammino di perfezione evangelica Maria, che, insieme con quello del Figlio, ebbe il suo Cuore immacolato trafitto dalla spada del dolore. Proprio in questi giorni, ricordando il 150° anniversario delle apparizioni della Vergine a Lourdes, siamo condotti a meditare sul mistero della condivisione di Maria con i dolori dell’umanità; al tempo stesso siamo incoraggiati ad attingere consolazione dal "tesoro di compassione" (ibid.) della Chiesa, a cui Ella ha contribuito più di ogni altra creatura. Iniziamo pertanto la Quaresima in spirituale unione con Maria, che "ha avanzato nel cammino della fede" dietro il suo Figlio (cfr Lumen gentium, 58) e sempre precede i discepoli nell’itinerario verso la luce pasquale. Amen!
[00196-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0080-XX.02]