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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2008, 29.01.2008


 CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA QUARESIMA 2008

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. PAUL JOSEF CORDES

INTERVENTO DEL SIG. HANS-PETER RÖTHLIN

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2008: "Cristo si è fatto povero per voi" (2 Cor 8,9).
Intervengono alla Conferenza Stampa: l’Em.mo Card. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum", il Rev.mo Mons. Karel Kasteel, Segretario del Pontificio Consiglio "Cor Unum", il Rev.mo Mons. Giovanni Pietro Dal Toso, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio, e il Sig. Hans-Peter Röthlin, Presidente internazionale dell’opera di carità Aiuto alla Chiesa che soffre.
Pubblichiamo di seguito gli interventi dell’Em.mo Card. Paul Josef Cordes e del Sig. Hans-Peter Röthlin:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. PAUL JOSEF CORDES

In quest’anno 2008, il Papa, con il Suo tradizionale Messaggio di Quaresima, offre una riflessione sull’elemosina e sulle collette. Raccogliere denaro infatti oggi è una prassi diffusa in tante parti del mondo. In certi momenti dell’anno liturgico, le iniziative promosse dalle più diverse istituzioni cristiane e le lettere di richiesta di soldi ci sommergono. Un momento tipico per queste attività è il periodo natalizio, con tante e diversissime sollecitazioni. Anche il tempo della preparazione alla Pasqua tradizionalmente è dedicato in molti Paesi a campagne speciali di raccolte di fondi.

Da cristiani possiamo affermare con soddisfazione che il comandamento biblico dell’amore al prossimo ha segnato indelebilmente la nostra cultura, così da diventare un riferimento per credenti e non credenti. La parabola del Buon Samaritano rappresenta un richiamo morale indiscusso, almeno negli ambienti occidentali, e plasma le nostre categorie valoriali. Oggi nessuno oserebbe contestare in pubblico l’assistenza ai bisognosi. Per facilitare l’aiuto materiale il nostro Dicastero fornisce anche un elenco delle agenzie, il Catholic Aid Directory, (la cui sesta edizione verrà pubblicata tra qualche settimana).

Quanto impressionanti siano i frutti di sensibilità sociale prodotti da questa eredità giudeo-cristiana lo dimostrano alcuni numeri: negli Stati Uniti si contano circa un milione e quattrocentomila agenzie ufficiali di carità, registrate dallo Stato a motivo della deduzione fiscale. In denaro si calcola in più di 1000 miliardi di USD la somma dei loro introiti.

Tuttavia, nonostante la lotta contro la miseria dal punto di vista delle finanze registri successi, il messaggio di quest’anno, mettendo a tema la beneficenza, non spalanca di per sé porte già aperte. Il mondo dell’assistenza merita alcuni chiarimenti. Per esempio sui bilanci strutturali delle istituzioni assistenziali. A volte sono sorprendentemente alti. Non è questo il luogo per soffermarci su alcune di queste istituzioni e sugli stipendi dei loro collaboratori. Ma chi si dà la pena di cercare certi dati, spesso ben celati, dai loro rapporti annuali, rimane stupito dai costi interni: a volte rappresentano poco meno del 50% delle entrate. Di certo sarebbe utile se in occasione di appelli mediatici, lanciati in seguito a calamità come lo Tsunami, non venisse indicato solamente il numero di conto corrente, ma anche la percentuale che le agenzie trattengono per mantenere la propria istituzione. Aiuterebbe il donatore a discernere in quale modo il suo dono raggiunge i bisognosi restando il più integro possibile.

In seguito a quanto detto, il consumo interno delle agenzie di aiuto della Chiesa può essere considerato esemplare. Visto che si deve puntare sempre al bene, ecco alcuni dati riguardanti l’anno 2006. I costi amministrativi della Caritas Italiana rappresentavano il 9% delle offerte, quelli dell’ Ordine di Malta il 7%, e quelli dell’agenzia Kirche in Not il 6%. Per le fondazioni affidate a Cor unum le spese strutturali sono ancora meno rilevanti: la Fondazione Giovanni Paolo II per la lotta contro la desertificazione nella zona del Sahel e la Fondazione Populorum progressio per l’America Latina devono solamente farsi carico dei costi riguardanti il supporto logistico-amministrativo per la distribuzione dei doni; nel 2006 arriviamo al 3%.

Come sapete, il Papa Benedetto XVI nella Sua Enciclica "Dio è Amore" (2005) ha descritto per la prima volta la missione di Cor Unum in un documento magisteriale ufficiale. Ci affida l'orientamento e il coordinamento delle organizzazioni e attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica (cfr. n. 32). Quindi il Dicastero deve dare il suo contributo anche per mettere nella giusta luce la loro notevole importanza ecclesiale ed attività. Essa ha anche un risvolto economico e materiale di riguardo, da non trascurare, tanto più perché il Messaggio di Quaresima di quest’anno tratta della pratica dell’elemosina.

Ciò nonostante – bisogna precisarlo subito – il Messaggio di Quaresima non si interessa primariamente all’efficienza materiale delle agenzie. Persegue un altro scopo. Dato il fatto che gli aspetti materiali dell’assistenza sono incontestati, il Papa vorrebbe, a partire della fede, farne trasparire le implicazioni per lo spirito di chi dona. In una società dominata dal materialismo, quale nostro contemporaneo potrà mai disapprovare tale intento? Per questa sua direttiva pastorale, il Santo Padre ricorre a diverse parole e racconti del Vangelo. Pone il dono e il donatore nella luce della rivelazione; e così fa un passo che ci porta oltre la scala di valori del mondo. Perché dare del denaro, atto che tutti noi sperimentiamo come forma di abnegazione di sé?

In primo luogo il Papa indica, soprattutto ai cristiani praticanti, l’intreccio indissolubile tra pietà e cura dei bisognosi (cfr n. 2). Il richiamo della prima lettera di San Giovanni è di una chiarezza lampante: "Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?" (1 Gv 3,17). In modo più tagliente ancora lo ha detto il poeta francese Charles Péguy di fronte a coloro che lui chiama il „partito dei devoti": "Poiché non appartengono agli uomini, pensano di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, pensano di amare Dio" (Nota conjuncta, Wien/München 1956, 167). Nel paragrafo seguente del Suo messaggio (n. 3), il Papa viene a parlare dell’intenzione del donatore: in un’epoca in cui si onora il benefattore, è di certo opportuno attirare l’attenzione sullo spirito del suo gesto: non mirare alla glorificazione di sé, ma – come chiede il Signore nei sinottici (cfr Mt 5,16) – alla glorificazione del Padre che sta nel cielo: l’amore di Dio sta alla radice di ogni buona azione compiuta dagli uomini.

Il messaggio papale sviluppa infine il pensiero accostandoci ad un passaggio del Vangelo al cui centro c’è un’esperienza personale di Gesù: il sacrificio della vedova (cfr Mc 12, 41-44). Vediamo il Signore come catechista. Le nostre collette normalmente vogliono garantire il finanziamento a progetti. Ma l’episodio del Tempio in Gerusalemme spinge il nostro pensiero oltre. Si sofferma nuovamente sulla motivazione del benefattore, i suoi sentimenti e i suoi scopi, portando però alle sue estreme conseguenze l’abnegazione di sé. Trascende così il carattere delle iniziative filantropiche e ci confronta con quella dimensione del Vangelo che dà scandalo.

Anche se il passaggio ci è familiare, lo vorrei prima leggere: « E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere"» (Mc 12, 41-44). Ascoltando il Signore restiamo stupiti anche noi.

Nessun istituto monetario mi darà dell’argento per il mio rame. Non c’è nemmeno bisogno che mi metta a contrattare con il cassiere. Egli deve fare in conti con le cifre che sono incise su ogni moneta. Ed è così non solo nel nostro secolo, ma in ogni epoca, da quando il denaro viene usato come mezzo di pagamento.

Tale regola vale ovviamente anche nella Chiesa: quando si pagano gli stipendi dei nostri impiegati; quando ospedali o asili devono fare i conti; quando si scava un pozzo in Africa nella zona del Sahel o quando in Messico dopo le inondazioni viene ricostruita una Chiesa distrutta. L’aiuto si può incrementare solo quando entrano banconote più grandi. Cosa c’entra questo tipo di pratica con il Vangelo della povera vedova?

Il testo della nostra pericope turba chi lavora allo sportello di una banca oppure chi gestisce le finanze della Chiesa. Sì, siamo di certo tutti sorpresi. Non per la scena che viene descritta; perché allora come oggi è esperienza comune che le persone anche con piccoli doni rendono possibile il servizio che la Chiesa presta a Dio e al prossimo in difficoltà; e la gente del popolo spesso è più generosa della gente benestante. Ma l’interpretazione che Gesù attribuisce a questa sua osservazione sconcerta – un’interpretazione che appare molto importante in questo passaggio, dato che si dice espressamente che Gesù chiama a sé i discepoli, e che Gesù inizia solennemente dicendo "Amen, in verità vi dico...". E dopo afferma: i centesimi della povera vedova hanno maggiore valore che non le grandi banconote dei ricchi. Il buon senso pratico che abitualmente conosciamo in Gesù sembra offuscato. Ciò nonostante gli daremo ragione se ci lasciamo guidare dal suo discorso.

L’uso del denaro in prospettiva di fede misconosce le regole della nostra esperienza nel mondo. Gesù ci ammonisce che qui valgono delle leggi totalmente diverse. Il valore del nostro dono si misura non sulla base delle cifre stampate sulla moneta. Di fronte a Dio, è esclusivamente la mano di chi dona a determinare l’importanza di un dono. Il suo valore non dipende dalla grandezza del portafoglio dal quale viene tirata fuori l’offerta ma dai pensieri e dalle intenzioni che hanno spinto a dare. Come spesso accade nell’insegnamento di Gesù è il cuore dell’uomo a giocare il ruolo decisivo. L’atto visibile dice ancora poco. Il cuore può fare del centesimo che diamo come dono un assegno che suscita inaspettatamente stupore.

Fin qua il tentativo di meditare il racconto che troviamo nel messaggio del Papa. Gli Evangelisti presentano l’episodio prima del discorso sulla passione di Gesù. Chi sa se la povera vedova, consegnandosi totalmente a Dio e rinunciando ad ogni forma di autoassicurazione, non abbia addirittura rincuorato il Signore ad andare per la sua via fino in fondo?

Signore e Signori Giornalisti, questa riflessione biblica vorrebbe illuminare ogni donatore sulla profondità del suo gesto. Non vuole certamente indurvi a delle conclusioni errate: come se le collette nel tempo che precede la Pasqua dovessero consistere solo di monete di rame. Per motivare invece a dare molto abbiamo invitato Signor Hans-Peter Röthlin.

E’ Presidente dal 1999 dell’opera cattolica internazionale Kirche in Not/Ostpriesterhilfe, un organismo pastorale che nell’anno 2006 ha ottenuto doni per un totale di 81,2 milioni di euro. Con quei soldi sono stati sostenuti più di 5.000 progetti: dall’aiuto alimentare a comunità di suore a stipendi di messe per sacerdoti, fino alla costruzione di chiese e cappelle, dal sostegno a 16.724 seminaristi fino a biciclette, motociclette, barche e automobili.

Il Signor Röthlin è Membro del nostro Pontificio Consiglio Cor Unum. La sua esperienza lo rende particolarmente adatto a commentare realisticamente il Messaggio di Quaresima di Papa Benedetto XVI.

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INTERVENTO DEL SIG. HANS-PETER RÖTHLIN

Eminenza, Eccellenza, cari rappresentanti dei mass-media,

Werenfied van Staaten, il fondatore dell’Opera Aiuto alla Chiesa che soffre, già quando ancora era in vita era chiamato "il più gran mendicante della storia della Chiesa di tutti i tempi". Una volta qualcuno protestò facendo riferimento a San Francesco d’Assisi, un mendicante veramente grande, noto in tutto il mondo.

Si è visto che non conveniva fare degli inutili paragoni perché le cose sono diverse. San Francesco, un vero gigante della santità, ha chiesto delle elemosine per la sopravvivenza dei suoi frati poiché "non volevano possedere altro che Cristo" e la sua vita ne fu una continua testimonianza. Allora aveva ragione l’amico che riconosceva in San Francesco il "mendicante più grande della storia della Chiesa".

E il nostro Padre Werenfried? Senz’altro ha fatto più soldi che San Francesco, con i circa due miliardi di euro che ha raccolto nella sua lunga vita… Lui non ha fondato un ordine o una comunità ecclesiale, bensì un’Opera che intende aiutare la chiesa ovunque ella stessa non sia in grado di svolgere la sua missione senza aiuti dal di fuori. Aiuta addirittura anche gli attuali seguaci di San Francesco dove mancasse loro l’essenziale per poter restare fedeli alla loro vocazione.

Parlo della nostra Opera come oggi si presenta, cinque anni dopo la morte del fondatore. Circa vent’anni dopo la nascita della stessa, egli, ben cosciente di stare a capo di un qualcosa che avrebbe trascinato ogni iniziativa umana, in sintonia con la chiesa universale, ha incominciato a darle una struttura sia spirituale che strutturale statutaria. Io stesso ho avuto la gioia di assistere Padre Werenfried, quando nel 2000 aveva dato l’ultimo tocco alle sue "Direttive spirituali".

Padre Werenfried, in queste "Direttive spirituali", non usa la parola "elemosine", ma parla di offerte. Al di là delle espressioni usate, resta il fatto che la maggior parte dei suoi "benefattori" erano e sono tuttora persone semplici che non dispongono di ricchezze, ma assomigliano piuttosto alla vedova del vangelo che offre la sua elemosina nel segreto del tempio e poi se ne va. Nell’articolo 36 dice qualcosa d’importantissimo, vale a dire che i distributori delle elemosine "non devono mai dimenticare, che non amministrano solo il denaro, ma soprattutto la carità dei nostri benefattori". Qui ci troviamo al punto centrale del messaggio del Santo Padre che si potrebbe intitolare: Il segreto dell’elemosina è la carità.

Mi è stato chiesto di dire qualcosa su come le offerte vengono raccolte e a quale fine sono destinate.

Finché Padre Werenfried era in vita e in possesso delle sue forze fisiche, il metodo quasi unico era la predicazione, la sua predicazione. Raccontava in essa la sua storia che era sinonimo della storia della sua Opera. Nuove erano sempre le esperienze attuali, cioè i progetti che intendeva aiutare, dapprima tra i rifugiati tedeschi del dopoguerra, poi i progetti della chiesa al di là della cortina di ferro nell’Est e Sud Est Europa, e poi, a partire dal 1960, progetti in tutto il cosiddetto Terzo Mondo.

Padre Werenfried ha girato tutto il mondo per "asciugare le lacrime dove Dio piange" e per essere "testimone della sofferenza dei figli di Dio". Ha girato particolarmente tutto il mondo occidentale "per risvegliare la coscienza degli uomini" e per mendicare per la causa di Dio.

Naturalmente non era solo nella missione affidatagli. Altri, specialmente sacerdoti, gli si sono uniti per campagne di predicazioni, e laici nelle più svariate iniziative come catechesi, radio TV e film, libri, visite in scuole, assemblee di cristiani di ogni tipo, conferenze etc.

Nel 1953 fondò l’ "Eco dell’amore", una rivista di sole quattro pagine, mezzo di comunicazione verso l’interno e l’esterno, destinato a tutti i benefattori attuali e possibilmente anche a sempre nuovi. Padre Werenfried stesso scrisse ogni sei settimane l’editoriale e si propose con ciò un alto concetto: volle infatti svolgere con questo un ruolo pastorale verso ogni possibile lettore: "Per loro mi sento parroco".

Progetti legati allo scopo stesso della chiesa e al suo apostolato e la consapevolezza di doverla servire come lo fa il buon pastore hanno fatto della fondazione di Padre Werenfried un’Opera prevalentemente pastorale.

Oggi i fondi vengono raccolti in 17 nazioni, tra cui ve ne sono tre che da paesi beneficiari sono diventati paesi benefattori: sono il Brasile, il Cile e - dal 2006 – anche la Polonia! Attualmente abbiamo in tutto circa 600.000 donatori, e le offerte affidateci vengono utilizzate per aiuti di tipo pastorale:

- nel campo edilizio (chiese, conventi, seminari, case parrocchiali, sale per la catechesi…),

- nel campo della motorizzazione e del trasporto (sacerdoti, catechisti, suore),

- nel campo dei mass media (libri, TV, film, radio),

- ed infine per il sostentamento di persone che si dedicano all’apostolato e alle suore di clausura che a loro volta pregano per la nostra Opera.

Solo ora abbiamo incominciato a scrivere la nostra storia, ma Padre Werenfried ha svolto la sua vita e le sue attività apertamente davanti agli occhi dei suoi benefattori, amici e collaboratori. Già adesso possiamo affermare che questa storia è una storia di carità che, con la morte del nostro fondatore, non è venuta meno.

A questo punto vorrei soffermarmi un po’ sul punto tre del messaggio del Santo Padre: "Tutto deve essere compiuto … a gloria di Dio e non nostra". Penso che la maggior parte dei nostri benefattori faccia la carità nel silenzio. Spesso non sappiamo i loro nomi e nemmeno il loro indirizzo. C’è tuttavia una donatrice nella nostra storia che si potrebbe dire "proto-donatrice" per l’effetto che ha avuto. Torno un po’ indietro, nelle Fiandre del dopoguerra. Padre Werenfried arriva in un paesino di allora circa 900 abitanti, dove le truppe tedesche qualche anno prima avevano ucciso 85 uomini in un terribile massacro. Padre Werenfried parla di riconciliazione con i "nemici di ieri" e racconta le sue esperienze. Poi, dice, verso sera, era già semibuio, gli si avvicina una donna e gli dà 1.000 Franchi belgi e se ne va senza dire una parola. Più tardi Padre Werenfried venne a sapere che questa donna aveva perso per mano dei tedeschi suo marito, suo fratello e suo figlio. Carità nel silenzio, ma con grande effetto.

Pensando al punto quattro del messaggio mi viene in mente quanta gente è venuta da Padre Werenfried, o anche da noi, versando l’intero contenuto del portafoglio e andando via con negli occhi gioia e felicità. Comprendono che bisogna dare tutto. Nelle chiese poi, quando Padre Werenfried stava alla porta col suo leggendario cappello, le persone correvano con in mano una banconota. Spesso volevano essere i primi nella gara dell’amore. Alcuni filmati testimoniano questi episodi straordinari. Padre Werenfried a sua volta commentava: "In quasi tutte le epoche il cristianesimo è stato adattato alle debolezze degli uomini piuttosto che portare gli uomini alla forza di Cristo. Quando chiediamo qualcosa di grande, essi sono contenti di poterla fare. Le persone sono disposte a dei veri sacrifici se abbiamo il coraggio di chiederli. Bisogna soltanto convincerli che sono indispensabili al Regno di Dio" (Combattente…, p. 108).

Il Papa giustamente richiama, sempre ancora al punto quattro, al perdono dei peccati e siamo contenti di essere in sintonia con lui perché anche Padre Werenfried afferma: "Dio avvolge la terra, per quanto nera e oscura, con un manto di santità che copre una moltitudine di peccati. La nostra Opera è un lembo di questo mantello, tessuto con fili d’amore" (Combattente…, p. 69).

Il Papa scrive nel suo messaggio (al punto cinque): "Alla sua scuola [scuola di Cristo] possiamo imparare a fare della nostra vita un dono totale; imitandolo riusciamo a renderci disponibili, non tanto a dare qualcosa di ciò che possediamo, bensì noi stessi". Questa frase mi ricorda che, qualche anno fa, Padre Werenfried incontrò in Brasile un francescano tedesco, Frei Hans Stapel. Hans gli racconta che, quando era ancora adolescente, lo aveva sentito parlare nella sua parrocchia. Hans aveva in tasca cinque marchi. Con questa somma doveva coprire tutte le sue spese mensili. Hans, in quel momento, mise da parte tutte le sue preoccupazioni, e buttò con gioia tutto il suo piccolo possesso nel cappello del padre. Più tardi ha trovato la sua vocazione come religioso e fondatore delle "Fazenda da Esperança", un luogo dove tossicodipendenti, in una vera scuola del vangelo, imparano a vivere senza droghe e senza criminalità. Padre Werenfried e noi aiutiamo da anni Frei Hans in questa impresa evangelica e il Papa, l’anno scorso, ha visitato una di queste Fazende nei pressi di São Paulo e non cessa di comunicare la gioia provata lì ogni volta che se ne presenti la possibilità.

Alla fine vorrei ancora dare una sintesi della nostra Opera con le parole di Padre Werenfried: "La nostra Opera è un luogo di incontro della Chiesa mondiale dove i figli di Dio, da ogni luogo, si incontrano nell’amore soprannaturale e si arricchiscono vicendevolmente. Per chi dona è una grazia sapersi uniti con coloro che Gesù ha chiamato "beati" perché poveri o sofferenti a causa delle persecuzioni e chi riceve prova la gioia di essere unito con coloro che, per la loro misericordia, vengono chiamati "beati"(Combattente…, p. 30).

[00142-01.01]

[B0061-XX.02]