CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 94a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2008 ● INTERVENTO DEL CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO
● INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO
● INTERVENTO DEL REV.DO MONS. NOVATUS RUGAMBWA
Alle ore 12.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 94a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (13 gennaio 2008) sul tema: "I giovani migranti".
Intervengono alla Conferenza: l’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; S.E. Mons. Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; il Rev.do Mons. Novatus Rugambwa, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DEL CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO
"I giovani migranti"
(nel mondo della migrazione economica)
Il Santo Padre Benedetto XVI, in occasione della 94a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, ci invita a riflettere sulla problematica dei Giovani Migranti.
Nella nostra epoca le migrazioni giovanili sono aumentate in maniera considerevole. I giovani sono spinti ad emigrare a causa della povertà e miseria, del degrado ambientale, di conflitti locali ed internazionali, di persecuzioni politiche e religiose, di richiesta di manodopera nei Paesi industrializzati, del ricongiungimento con i nuclei familiari, ecc. Oggi desidero soffermarmi sull problema della cosiddetta migrazione economica.
La migrazione giovanile è un fenomeno complesso. Rilevanti differenze emergono tra i giovani a seconda della loro provenienza, dell’estrazione sociale, dell’età in cui sono emigrati, e tra quelli nati nei Paesi d’accoglienza. Il Paese di provenienza ha una grande importanza per il bagaglio culturale e religioso che il giovane porta con sé.
I giovani, che hanno lasciato il Paese di origine in tenera età, hanno vissuto con più intensità la vicenda migratoria dei loro genitori, hanno continuato a parlare la lingua della loro famiglia, sono ritornati forse a visitare la loro terra d’origine e, in un certo senso, si pongono in una situazione di continuità.
I giovani nati nei Paesi di accoglienza, invece, pur essendo legati ai loro genitori, si allontanano più facilmente dalla realtà socio-culturale del luogo di provenienza e, pur non rinnegando la loro origine, la considerano meno rispetto ai loro progetti di inserimento locale.
Il ricongiungimento familiare rappresenta un altro problema per i figli che arrivano nei Paesi di immigrazione molti anni dopo i loro genitori e si trovano ad affrontare gravi ostacoli d’adattamento, che derivano da un’infanzia passata lontana dai genitori, dal distacco affettivo ed improvviso, magari, dai nonni o da chi li ha allevati, dalla perdita degli ambienti e dei luoghi in cui sono cresciuti, dallo stesso ricongiungimento con genitori quasi sconosciuti, dall’inserimento in una società inizialmente incomprensibile, dall’apprendimento di una nuova lingua, dall’alimentazione differente. Tutti questi elementi possono causare anche malattie fisiche o psichiche.
I giovani immigrati vivono in fondo la tensione di una duplice appartenenza. Respirano cioè l’aria delle realtà giovanili del Paese che li ospita e ricevono l’influsso scolastico e degli ambienti di socializzazione giovanile nei quali sono inseriti ed ai quali partecipano assieme ai loro coetanei. Sono così portati anche a vestire allo stesso modo degli altri giovani, ad amare la stessa musica, gli stessi sport, ad appassionarsi per i medesimi idoli giovanili, ad assumere gli stessi atteggiamenti, a condividere valori e interessi della maggioranza, ad affrontare le stesse problematiche, a subire le medesime incertezze e paure, a cullarsi delle stesse speranze e prospettive per il futuro.
Nello stesso tempo i giovani immigrati hanno "radici" diverse dei loro compagni locali, che vanno dalle radici culturali della loro famiglia, alla diversità delle fedi religiose. In fondo, i figli degli immigrati, al di là della possibile acquisizione della cittadinanza, concessa dal Paese di immigrazione, nel loro intimo e nella percezione della società, si considerano "figli di stranieri" e, quindi, "stranieri" essi stessi.
Il giovane immigrato è così soggetto ad un’altalena di identificazione, a volte con la società dove risiede ed altre in contrapposizione ad essa, sottolineando ed esasperando la propria estraneità.
Il giovane immigrato spesso si trova solo, a metà strada tra due culture, in una terra di nessuno. Si tratta di gioventù irrequieta ed abbandonata a se stessa anche in considerazione del fatto che i genitori sono costretti ad un lavoro duro, a volte umiliante, che comporta molti sacrifici. Tutto ciò fa vivere il giovane immigrato in una situazione di grande incertezza, che gli impedisce di pensare ad un progetto credibile per il proprio futuro e moltiplica i fattori che portano all’emarginazione che spalancano le porte alla malavita con la criminalità, la prostituzione, l’alcool, la droga, ed il ladrocinio.
Il disagio del giovane immigrato è, pertanto, dunque notevole. Si manifesta anche in campo scolastico perché in molti casi i giovani arrivano a scuola con qualche anno di ritardo rispetto ai loro coetanei locali. Nella scuola emergono in prima linea i problemi linguistici, che influiscono sulla più alta percentuale di bocciature tra gli studenti immigrati. La scuola, inoltre, spesso è priva di strumenti per la loro integrazione, mancando per esempio di insegnanti di sostegno all’apprendimento della lingua locale, di mediatori culturali, e di altri sussidi. Ciò provoca nel giovane sconforto e disagio, e spesso l’abbandono precoce della scuola indotto anche per l’ingresso nel mondo del lavoro. Sono così pochi i giovani immigrati che frequentano scuole di specializzazione o l’università.
Un altro problema per il giovane immigrato è la ricerca di un lavoro adeguato alle sue esigenze di vita, per uscire dalla disoccupazione e dalla miseria. Il sommarsi dello status di immigrato con quello di disoccupato, porta spesso i giovani ad una forte emarginazione sociale che li rinchiude in uno stato di frustrazione e di umiliazione. Anche le aziende sono spesso in difficoltà nella gestione delle risorse umane multiculturali, difficoltà sorte da pregiudizi o esperienze passate negative, e, comunque, da una scarsa conoscenza delle molteplici caratteristiche culturali di questi giovani e adolescenti.
Vorrei solo menzionare il disagio abitativo che affligge i giovani immigrati, ma non posso approfondirlo per mancanza di tempo, come non posso nemmeno soffermarmi sul volto femminile dell’immigrazione giovanile.
La crisi dei valori nei nostri giorni porta poi alla morte dello spirito anche di molti giovani immigrati. La maggioranza di loro è anche relativamente lontana dalle preoccupazioni religiose e spesso riconosce di non essere stata né sensibilizzata né educata a tale proposito. Comunque, la loro conoscenza della fede cristiana e della Chiesa resta legata a cliché presentati dai loro cari, ed a ricostruzioni intellettuali che circolano nell’immaginario sociale, e nei mass-media.
L’azione pastorale specifica in favore dei giovani immigrati va fatta naturalmente tenendo conto della situazione esistenziale di ciascuno. Bisogna allora fare attenzione alla lingua, cultura, religione, provenienza e storia del giovane immigrato, pur considerando che la testimonianza di fede è il fulcro di ogni azione pastorale. Il calore della schietta amicizia con chi è diverso e viene da lontano è comunque la testimonianza più bella che può predisporre all’annuncio esplicito del Vangelo. L’accoglienza di persone di diversa nazionalità, etnia e religione, contribuisce notevolmente a rendere visibile l’autentico volto della Chiesa (G.S. 39). La nostra Istruzione "Erga migrantes caritas Christi" raccomanda infatti "una grande attenzione e rispetto per le tradizioni e culture religiose dei migranti" (n. 64 e 100).
La pastorale deve cogliere il crescente fenomeno dell’immigrazione anche giovanile come un’occasione per rendere la Chiesa più missionaria. Se è vero che "la fede si rafforza donandola", tanto più i nostri operatori pastorali faranno delle migrazioni un nuovo "Areopago di evangelizzazione", ed una nuova "primavera di fede" nascerà.
Grazie per l’attenzione.
[01667-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO
"I giovani migranti"
(in aspetti concernenti l’asilo e i profughi)
L’infanzia e l’adolescenza sono un periodo chiave per lo sviluppo di ogni persona umana, per cui eventi traumatici che avvengono durante tali fasi evolutive avranno conseguenze per il resto della vita. Lo sradicamento forzato dai luoghi d’origine non fa purtroppo eccezione alla regola, cosicché i giovani e i ragazzi, a motivo della loro dipendenza, vulnerabilità ed esigenze di sviluppo, hanno diritti particolari, enunciati anche nella Convenzione sui diritti del fanciullo.
I giovani rifugiati (metà della popolazione legata all’asilo è costituita da loro) affrontano quindi una triste realtà. Essi soffrono immensamente per violazioni di diritti umani subite in quanto vittime di guerre e violenze, o di negligenza, crudeltà, sfruttamento sessuale o di altro genere, per discriminazione razziale, aggressione e occupazione straniera dei luoghi dove vivevano. Essi perdono le loro case e anche, per conseguenza, la loro infanzia felice, familiare e protetta.
I giovani e giovanissimi che fuggono la persecuzione hanno necessità particolari. Essi possono sentirsi disorientati e confusi, sono in cerca di stabilità e sicurezza, per cui bisogna salvaguardare, a maggior ragione, i loro diritti e interessi. Eppure in alcuni Stati si giunge perfino alla detenzione di minori non accompagnati.
Minori non accompagnati, separati cioè dai loro genitori o tutori
Questi giovani giungono in genere ai Paesi occidentali con visibile già la tragica situazione del loro luogo di origine, resa palese dalla drammatica decisione presa, in genere, dalle loro famiglie di mandarli da soli in altro Paese, nella convinzione che ciò rappresenti la migliore soluzione possibile per la loro salvezza e sicurezza.
Una volta giunti, essi affrontano, naturalmente, molte prove e problemi. Lo stato emozionale dei minori non accompagnati richiede perciò speciale cura e considerazione. Essi incontrano da soli un ambiente e una cultura non familiari, lingua e "valori" diversi, con perdita pure di relazioni sociali e amicizie. Si sentono dunque abbandonati e insicuri, sensazione che li porta spesso alla depressione, a ritirarsi in sé stessi, o a divenire aggressivi. Per di più molti soffrono di disturbi psicosomatici e possono, abbastanza frequentemente, essere insonni e avere incubi. Dovrebbero, quindi, approntarsi cure e protezione speciali in vista del loro benessere fisico e psicologico. Ciò include il creare adeguate condizioni di vita e un pieno e pari accesso all’educazione, alle cure mediche, incluse appunto quelle psicologiche. Gli effetti negativi della separazione possono essere affrontati più facilmente se si offrono soluzioni alternative, fra le quali potrebbe essere considerata la possibilità di accoglienza in amorevoli famiglie adottive.
Accade sempre più spesso – come dicevo - che minori non accompagnati siano chiusi in "centri di detenzione". Non dovrebbe, però, così essere, dandosi la possibilità di altre sistemazioni, considerando anzitutto il benessere integrale di questi giovani e giovanissimi.
Per procedure inerenti all’immigrazione può succedere che famiglie con bambini si trovino in detenzione, e ciò può avere conseguenze drammatiche sulla loro salute mentale e fisica.
Ma, pur nel caso di concessione d’asilo, tali giovani e giovanissimi possono finire in posizione difficile, trovandosi sostanzialmente attirati da due mondi diversi. A casa, cioè, mantengono tradizioni culturali e "valori" noti, mentre il sistema educativo del luogo e la società d’accoglienza favoriscono e promuovono "valori" diversi e magari un differente approccio alla vita. Essi devono quindi trovare la loro strada tra due mondi spesso in conflitto.
Vivere nei campi di accoglienza
I campi d’accoglienza dovrebbero tornare ad essere ciò per cui furono creati: un luogo ove stare temporaneamente. Essi possono servire inizialmente, ma non dovrebbero diventare residenze permanenti. Al presente, invece, rientra in una prassi generale, specialmente nei Paesi del Sud del mondo, obbligare le persone a vivere in campi sovraffollati, molte volte in situazioni spaventose. Normalmente ai rifugiati non è nemmeno concesso di lavorare, mentre la loro libertà di movimento è limitata, diventando così totalmente dipendenti dalle distribuzioni di cibo interne ai campi. Per di più esso frequentemente è ridotto, assieme ad altri beni necessari ad una vita con un minimo di dignità. La malnutrizione nei campi, dunque, non costituisce più un’eccezione. Gli effetti combinati di tutto ciò si ripercuotono su individui e famiglie, conducendoli facilmente a una crisi di "valori". Difficilmente esiste, quindi, un futuro per chi vive in tali insediamenti, situati per lo più in zone remote. Ne sono vittime anche ragazzi/e.
In ragione dell’importanza fondamentale della formazione educativa nella loro vita, desidero, inoltre, sottolineare che circa il trenta percento non frequenta la scuola, nonostante notevoli sforzi di Organizzazioni non Governative e Comunità Internazionale. Bisogna tenere altresì presente che una generazione è ormai nata e cresciuta in campi di rifugiati. Essa perciò non conosce altra realtà, e lo sottolinea anche il Santo Padre nel Suo Messaggio. Come e quanto questa esperienza condizionerà le loro virtualità sociali e di comunicazione, la visione del mondo e le prospettive? Come tale situazione può prepararli alla vita in una società normale? Sono grandi questioni che voglio lasciare alla vostra preoccupazione solidale.
Sollecitudine ecclesiale
Noi, in quanto cristiani, siamo invitati ad accogliere i giovani migranti e ad assicurarci che essi siano trattati con rispetto della loro dignità umana e di una legislazione internazionale molto chiara per sé e rigorosa. Volontari e agenti pastorali nelle comunità ecclesiali, assieme a ONG cattoliche – in particolare rammento qui la Commissione Internazionale Cattolica per le Migrazioni (CICM), a motivo del suo speciale legame con la Santa Sede e le Conferenze Episcopali – sono impegnate nell’accompagnamento di questi giovani e dei loro genitori. Tale presenza sollecita li aiuterà a realizzare le loro potenziali capacità e a svolgere quelle attività abituali che favoriranno crescita e maturazione. L’educazione è elemento essenziale in tale processo. Essa costituisce, inoltre, l’ambito propizio per esercitare i fanciulli ad affrontare problemi ed ansietà, e a prepararsi a un futuro di speranza nella società e anche nella Chiesa, se sono battezzati.
Come dicevo, le ONG offrono la loro assistenza, avvicinano i giovani e li aiutano in attività formative, dalla scuola primaria a quella professionale. Talvolta l’aiuto giunge anche alle scuole secondarie e, in casi eccezionali, altresì nell’istruzione a distanza, fino a corsi accademici, universitari. Ricordo, inoltre, l’opera benemerita soprattutto di religiose, assistite da ONG cattoliche o da Organizzazioni delle Nazioni Unite, in servizi di ascolto e accompagnamento di giovani, specialmente ragazze che hanno subito violenze, stupri o minacce. Esistono, inoltre, alcuni centri di accoglienza per ragazze minori, già madri, per offrire loro una seconda opportunità di completare la loro istruzione interrotta, o di apprendere un mestiere.
Queste opere di bene fanno sì che molti giovani possono affrontare il futuro con speranza. V’è anche per essi la possibilità di un miglioramento del livello di vita, giungendo alcuni ad assumere un ruolo guida nelle loro comunità.
Dal nostro punto di vista cristiano, desidero concludere ribadendo che anche qui l’evangelizzazione e la promozione umana sono legate tra loro, profondamente e indissolubilmente.
Grazie!
[01668-01.02] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DEL REV.DO MONS. NOVATUS RUGAMBWA
"I giovani migranti"
(a proposito degli studenti internazionali)
Il Messaggio del Santo Padre per la 94a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato mette l’accento sui giovani migranti, richiamando l’attenzione anche su una loro categoria particolare, quella degli studenti esteri o internazionali. Negli ultimi decenni, infatti, essi sono andati aumentando in maniera costante anche se, in tempi più recenti, sulla scia pure dell’espansione delle comunicazioni e dei viaggi, l’accesso all’educazione diciamo globale è diventato notevolmente più facile e, per molti, auspicabile.
Coloro che scelgono di trascorrere all’estero tutti o parte dei loro studi, sono generalmente giovani che, in un periodo fondamentale della loro vita, si sottopongono ad una particolare esperienza formativa ed educativa all’estero. Ciò offre numerose possibilità di arricchimento ma, allo stesso tempo, desta preoccupazioni e crea impegno pastorale, specialmente per la Chiesa.
Gli studenti esteri appartengono ad una varietà di strati sociali e provenienze, ma hanno bisogni simili, pur in una pluralità di desideri. Provengono anche da diversi livelli di maturità, esperienza, preparazione intellettuale e capacità linguistica. Tutto ciò contribuisce a manifestare segni differenziati e molteplici di fiducia o insicurezza.
Ci sono i cosiddetti ‘Free movers’, cioè studenti che si auto-finanziano e sono culturalmente affini. Naturalmente il grado di sostegno finanziario e personale varia notevolmente e, perciò, differente è la capacità di uno studente estero di insediarsi ed integrarsi. Ci sono poi gli ‘Studenti invitati’, quelli cioè con borsa di studio. Si tratta, di solito, di giovani con un andamento scolastico buono, sostenuti spesso, anche se non esclusivamente, dalle strutture esistenti. C’è anche un’altra categoria, quella degli ‘Studenti di scambio’, che restano solitamente per un anno o poco meno, grazie a disposizioni dei programmi accademici esistenti e a collaborazioni tra università. Ne è espressione particolare il programma Erasmus, in Europa, anche se ne esistono molti altri a livello locale e intercontinentale, specialmente negli Stati Uniti, in Asia e in Africa. Un’ultima e penosa categoria è quella costituita dagli studenti rifugiati o migranti economici che, a volte, possono essere anche migranti irregolari o con scarsi mezzi finanziari. Sono quelli con necessità maggiori, non solo d’integrazione, ma anche per la sopravvivenza quotidiana.
Bisogna dire che, per gran parte di loro, studiare all’estero è un’esperienza positiva, di arricchimento, che permette lo scambio di valori e culture e apertura di orizzonti. Essa può, inoltre, consentire alla fede di crescere attraverso il passaggio per situazioni ecclesiali, culturali e spirituali differenti.
Gli studenti esteri devono affrontare una serie di situazioni e problemi diversi e, spesso, interconnessi. Molti di loro subiscono una sorta di shock culturale e di squilibrio per il fatto di vivere in Paesi, comunità e ambienti accademici nuovi. A questo shock contribuiscono anche differenze di lingua, religione (anche per i Cristiani di un altro rito) e cultura, rottura temporanea dei legami familiari, aspettative esagerate e problemi di alloggio. Molti sperimentano, per la prima volta, un tipo di ‘libertà’ che, da una parte, può liberare, ma, dall’altra, disorientare. Ciò è vero in particolare per la fede, che può essere messa in discussione trovandosi al di fuori dei normali perimetri d’esperienza religiosa. Alcuni incontrano difficoltà finanziarie, specialmente se dispongono di un budget limitato. Evenienze quali l’aumento delle tasse universitarie o degli affitti sono comuni. Esiste poi un pericolo d’altro tipo, come è stato recentemente testimoniato dall’uccisione di una giovane studentessa dell’Erasmus, a Perugia.
Speciale menzione deve essere fatta, inoltre, degli studenti sposati che scelgono di studiare all’estero. Per alcuni, ciò significa una separazione temporanea dal coniuge e dalla famiglia. Per altri può comportare lo sradicamento di un intero nucleo familiare che decide di vivere nel Paese scelto per lo studio.
È necessaria, pertanto, una risposta ecclesiale specifica per gli studenti internazionali durante il loro periodo di studio. Essa inizia con lo sviluppo di una consapevolezza attiva da parte delle comunità ecclesiali locali affinché si facciano luoghi di accoglienza e stabilità. I cappellani e gli operatori pastorali delle università hanno il dovere in particolare di essere aperti e generosi verso gli studenti stranieri che le frequentano. Dovrebbero, poi, essere messe in atto iniziative per portare gli studenti di tradizioni culturali differenti a partecipare alla vita liturgica della comunità locale, e rendere facilmente accessibili i Sacramenti, specialmente quello dell’Eucaristia e della Riconciliazione. Quanti appartengono ad altri riti dovrebbero essere guidati ed aiutati ad integrarsi nella tradizione liturgica locale, quando non esiste la possibilità di un accesso immediato alle loro comunità ecclesiali rituali. Ciò può essere anche un tempo di prova per la fede degli studenti, mentre sono lontani da casa. In tale periodo sono necessari sistemi adeguati di sostegno e catechesi, oltre a luoghi di accoglienza e protezione. In molte università si attuano già azioni pastorali e d’assistenza per gli studenti esteri e ciò dovrebbe portare ad uno sviluppo positivo di relazioni e collaborazione tra cappellani e operatori universitari.
Nel Messaggio Pontificio, oltre a indicare varie loro necessità e problemi, il Santo Padre ci presenta gli studenti esteri come un dono per l’uomo e per la Chiesa. Essi portano con sé le grandi risorse della loro gioventù e dovrebbero essere aperti e ricettivi alle nuove idee ed esperienze, mentre, allo stesso tempo, essere capaci di restare ancorati nella verità. In una cultura in cui, spesso, l’arrivo degli studenti esteri è visto come un mezzo supplementare per aumentare le entrate delle università, il Santo Padre vuole mostrare invece questi giovani studenti come segni di grande speranza, che possono essere ugualmente segni del Regno:"La Chiesa ha bisogno anche di voi e conta sul vostro apporto", Egli scrive.
Questi giovani - afferma inoltre il Sommo Pontefice – non devono soltanto sviluppare un’apertura al dinamismo di inculturazione, ma anche cercare opportunità di dialogo tra culture e religioni, aprendo così nuove e vibranti possibilità di dialogo che permetteranno, anzitutto, di fare l’esperienza dell’universalità della Chiesa. Allo stesso modo, Egli chiede ai giovani di sviluppare una crescita spirituale derivante non solo da una pratica devozionale diretta, ma dallo studio stesso: "A voi, in particolare, giovani credenti, chiedo di profittare del tempo dei vostri studi per crescere nella conoscenza e nell’amore di Cristo". In questo modo, essi si formeranno ad essere costruttori di una società futura e testimoni del Regno. Il Santo Padre sottolinea, in particolare, che un’esperienza condivisa dell’universalità della Chiesa può mostrare al mondo che "il Vangelo è vivo e adatto per ogni situazione; è messaggio antico e sempre nuovo; Parola di speranza e di salvezza per gli uomini di ogni razza e cultura, di ogni età e di ogni epoca".
Papa Benedetto XVI guarda, infine, ai giovani come segni e strumenti del rinnovamento della società. Con questo Messaggio Egli volge lo sguardo in special modo ai giovani migranti, compresi gli studenti esteri, e chiede che la Chiesa faccia tutto il possibile per nutrirli, incoraggiarli e accompagnarli nei loro studi e nella maturazione della loro fede cristiana. È questa la sfida che si lancia ai giovani, e a famiglie, amici, insegnanti e pastori che li accompagnano in questo viaggio.
[01669-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0633-XX.01]