Cari Fratelli nell’Episcopato,
con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera.
Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto.
A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.
In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.
Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica. Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.
Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.
È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all’ "usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.
Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.
Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.
In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").
Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio.
Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.
Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue" (Atti 20,28).
Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.
Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
BENEDICTUS PP. XVI
[01042-01.01]
● TESTO IN LINGUA FRANCESE
Chers frères dans l’Episcopat,
C’est avec beaucoup de confiance et d’espérance que je remets entre vos mains de Pasteurs le texte d’une nouvelle Lettre Apostolique « Motu Proprio data », sur l’usage de la liturgie romaine antérieure à la réforme de 1970. Ce document est le fruit de longues réflexions, de multiples consultations, et de la prière.
Des nouvelles et des jugements formulés sans information suffisante, ont suscité beaucoup de confusion. On trouve des réactions très diverses les unes des autres, qui vont de l’acceptation joyeuse à une dure opposition, à propos d’un projet dont le contenu n’était, en réalité, pas connu.
Deux craintes s’opposaient plus directement à ce document, et je voudrais les examiner d’un peu plus près dans cette lettre.
En premier lieu il y a la crainte d’amenuiser ainsi l’Autorité du Concile Vatican II, et de voir mettre en doute une de ses décisions essentielles – la réforme liturgique. Cette crainte n’est pas fondée. A ce propos, il faut dire avant tout que le Missel, publié par Paul VI et réédité ensuite à deux reprises par Jean-Paul II, est et demeure évidemment la Forme normale – la Forma ordinaria – de la liturgie Eucharistique. La dernière version du Missale Romanum, antérieure au Concile, qui a été publiée sous l’autorité du Pape Jean XXIII en 1962 et qui a été utilisée durant le Concile, pourra en revanche être utilisée comme Forma extraordinaria de la Célébration liturgique. Il n’est pas convenable de parler de ces deux versions du Missel Romain comme s’il s’agissait de « deux Rites ». Il s’agit plutôt d’un double usage de l’unique et même Rite.
Quant à l’usage du Missel de 1962, comme Forma extraordinaria de la Liturgie de la Messe, je voudrais attirer l’attention sur le fait que ce Missel n’a jamais été juridiquement abrogé, et que par conséquent, en principe, il est toujours resté autorisé. Lors de l’introduction du nouveau Missel, il n’a pas semblé nécessaire de publier des normes propres concernant la possibilité d’utiliser le Missel antérieur. On a probablement supposé que cela ne concernerait que quelques cas particuliers, que l’on résoudrait localement, au cas par cas. Mais, par la suite, il s’est vite avéré que beaucoup de personnes restaient fortement attachées à cet usage du Rite romain, qui leur était devenu familier depuis l’enfance. Ceci s’est produit avant tout dans les pays où le mouvement liturgique avait donné à de nombreuses de personnes une remarquable formation liturgique, ainsi qu’une familiarité profonde et intime avec la Forme antérieure de la Célébration liturgique. Nous savons tous qu’au sein du mouvement conduit par l’Archevêque Mgr Lefebvre, la fidélité au Missel ancien est devenue un signe distinctif extérieur; mais les raisons de la fracture qui naissait sur ce point étaient à rechercher plus en profondeur. Beaucoup de personnes qui acceptaient clairement le caractère contraignant du Concile Vatican II, et qui étaient fidèles au Pape et aux Evêques, désiraient cependant retrouver également la forme de la sainte Liturgie qui leur était chère ; cela s’est produit avant tout parce qu’en de nombreux endroits on ne célébrait pas fidèlement selon les prescriptions du nouveau Missel; au contraire, celui-ci finissait par être interprété comme une autorisation, voire même une obligation de créativité; cette créativité a souvent porté à des déformations de la Liturgie à la limite du supportable. Je parle d’expérience, parce que j’ai vécu moi aussi cette période, avec toutes ses attentes et ses confusions. Et j’ai constaté combien les déformations arbitraires de la Liturgie ont profondément blessé des personnes qui étaient totalement enracinées dans la foi de l’Eglise.
C’est pour ce motif que le Pape Jean-Paul II s’est vu dans l’obligation de donner, avec le Motu proprio « Ecclesia Dei » du 2 juillet 1988, un cadre normatif pour l’usage du Missel de 1962; ce cadre ne contenait cependant pas de prescriptions détaillées, mais faisait appel de manière plus générale à la générosité des Evêques envers les « justes aspirations » des fidèles qui réclamaient cet usage du Rite romain. A cette époque, le Pape voulait ainsi aider surtout la Fraternité Saint Pie X à retrouver la pleine unité avec le successeur de Pierre, en cherchant à guérir une blessure perçue de façon toujours plus douloureuse. Cette réconciliation n’a malheureusement pas encore réussi; cependant, une série de communautés a profité avec gratitude des possibilités offertes par ce Motu proprio. Par contre, en dehors de ces groupes, pour lesquels manquaient des normes juridiques précises, la question de l’usage du Missel de 1962 est restée difficile, avant tout parce que les Evêques craignaient, dans ces situations, que l’on mette en doute l’autorité du Concile. Aussitôt après le Concile Vatican II, on pouvait supposer que la demande de l’usage du Missel de 1962 aurait été limitée à la génération plus âgée, celle qui avait grandi avec lui, mais entretemps il est apparu clairement que des personnes jeunes découvraient également cette forme liturgique, se sentaient attirées par elle et y trouvaient une forme de rencontre avec le mystère de la Très Sainte Eucharistie qui leur convenait particulièrement. C’est ainsi qu’est né le besoin d’un règlement juridique plus clair, que l’on ne pouvait pas prévoir à l’époque du Motu Proprio de 1988; ces Normes entendent également délivrer les Evêques de la nécessité de réévaluer sans cesse la façon de répondre aux diverses situations.
En second lieu, au cours des discussions sur ce Motu Proprio attendu, a été exprimée la crainte qu’une plus large possibilité d’utiliser le Missel de 1962 puisse porter à des désordres, voire à des fractures dans les communautés paroissiales. Cette crainte ne me paraît pas non plus réellement fondée. L’usage de l’ancien Missel présuppose un minimum de formation liturgique et un accès à la langue latine; ni l’un ni l’autre ne sont tellement fréquents. De ces éléments préalables concrets découle clairement le fait que le nouveau Missel restera certainement la Forme ordinaire du Rite Romain, non seulement en raison des normes juridiques, mais aussi à cause de la situation réelle dans lesquelles se trouvent les communautés de fidèles.
Il est vrai que les exagérations ne manquent pas, ni parfois des aspects sociaux indûment liés à l’attitude de certains fidèles liés à l’ancienne tradition liturgique latine. Votre charité et votre prudence pastorale serviront de stimulant et de guide pour perfectionner les choses. D’ailleurs, les deux Formes d’usage du Rite Romain peuvent s’enrichir réciproquement: dans l’ancien Missel pourront être et devront être insérés les nouveaux saints, et quelques-unes des nouvelles préfaces. La Commission « Ecclesia Dei », en lien avec les diverses entités dédiées à l’usus antiquior, étudiera quelles sont les possibilités pratiques. Dans la célébration de la Messe selon le Missel de Paul VI, pourra être manifestée de façon plus forte que cela ne l’a été souvent fait jusqu’à présent, cette sacralité qui attire de nombreuses personnes vers le rite ancien. La meilleure garantie pour que le Missel de Paul VI puisse unir les communautés paroissiales et être aimé de leur part est de célébrer avec beaucoup de révérence et en conformité avec les prescriptions; c’est ce qui rend visible la richesse spirituelle et la profondeur théologique de ce Missel.
J’en arrive ainsi à la raison positive qui est le motif qui me fait actualiser par ce Motu Proprio celui de 1988. Il s’agit de parvenir à une réconciliation interne au sein de l’Eglise. En regardant le passé, les divisions qui ont lacéré le corps du Christ au cours des siècles, on a continuellement l’impression qu’aux moments critiques où la division commençait à naître, les responsables de l’Eglise n’ont pas fait suffisamment pour conserver ou conquérir la réconciliation et l’unité; on a l’impression que les omissions dans l’Eglise ont eu leur part de culpabilité dans le fait que ces divisions aient réussi à se consolider. Ce regard vers le passé nous impose aujourd’hui une obligation: faire tous les efforts afin que tous ceux qui désirent réellement l’unité aient la possibilité de rester dans cette unité ou de la retrouver à nouveau. Il me vient à l’esprit une phrase de la seconde épître aux Corinthiens, où Saint Paul écrit: « Nous vous avons parlé en toute liberté, Corinthiens; notre coeur s'est grand ouvert. Vous n'êtes pas à l'étroit chez nous; c'est dans vos coeurs que vous êtes à l'étroit. Payez-nous donc de retour; … ouvrez tout grand votre coeur, vous aussi ! » (2Co 6,11-13). Paul le dit évidemment dans un autre contexte, mais son invitation peut et doit aussi nous toucher, précisément sur ce thème. Ouvrons généreusement notre cœur et laissons entrer tout ce à quoi la foi elle-même fait place.
Il n’y a aucune contradiction entre l’une et l’autre édition du Missale Romanum. L’histoire de la liturgie est faite de croissance et de progrès, jamais de rupture. Ce qui était sacré pour les générations précédentes reste grand et sacré pour nous, et ne peut à l’improviste se retrouver totalement interdit, voire considéré comme néfaste. Il est bon pour nous tous, de conserver les richesses qui ont grandi dans la foi et dans la prière de l’Eglise, et de leur donner leur juste place. Evidemment, pour vivre la pleine communion, les prêtres des communautés qui adhèrent à l’usage ancien ne peuvent pas non plus, par principe, exclure la célébration selon les nouveaux livres. L’exclusion totale du nouveau rite ne serait pas cohérente avec la reconnaissance de sa valeur et de sa sainteté.
Pour conclure, chers Confrères, il me tient à cœur de souligner que ces nouvelles normes ne diminuent aucunement votre autorité et votre responsabilité, ni sur la liturgie, ni sur la pastorale de vos fidèles. Chaque Evêque est en effet le « modérateur » de la liturgie dans son propre diocèse (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 22 : « Sacrae liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet : quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum »).
Rien n’est donc retiré à l’autorité de l’Evêque dont le rôle demeurera de toute façon celui de veiller à ce que tout se passe dans la paix et la sérénité. Si quelque problème devait surgir et que le curé ne puisse pas le résoudre, l’Ordinaire local pourra toujours intervenir, en pleine harmonie cependant avec ce qu’établissent les nouvelles normes du Motu proprio.
Je vous invite en outre, chers Confrères, à bien vouloir écrire au Saint-Siège un compte-rendu de vos expériences, trois ans après l’entrée en vigueur de ce Motu proprio. Si de sérieuses difficultés étaient vraiment apparues, on pourrait alors chercher des voies pour y porter remède.
Chers Frères, c’est en esprit de reconnaissance et de confiance que je confie à votre cœur de Pasteurs ces pages et les normes du Motu proprio. Souvenons-nous toujours des paroles de l’Apôtre Paul, adressées aux prêtres d’Ephèse : « Soyez attentifs à vous-mêmes, et à tout le troupeau dont l'Esprit-Saint vous a établis gardiens, pour paître l'Eglise de Dieu, qu'il s'est acquise par le sang de son propre Fils » (Ac 20,28).
Je confie à la puissante intercession de Marie, Mère de l’Eglise, ces nouvelles normes, et j’accorde de tout mon cœur ma Bénédiction Apostolique à vous, chers Confrères, aux curés de vos diocèses, et à tous les prêtres vos collaborateurs ainsi qu’à tous vos fidèles.
Fait auprès de Saint-Pierre, le 7 juillet 2007.
BENEDICTUS PP. XVI
[01042-03.01]
● TESTO IN LINGUA INGLESE
My dear Brother Bishops,
With great trust and hope, I am consigning to you as Pastors the text of a new Apostolic Letter "Motu Proprio data" on the use of the Roman liturgy prior to the reform of 1970. The document is the fruit of much reflection, numerous consultations and prayer.
News reports and judgments made without sufficient information have created no little confusion. There have been very divergent reactions ranging from joyful acceptance to harsh opposition, about a plan whose contents were in reality unknown.
This document was most directly opposed on account of two fears, which I would like to address somewhat more closely in this letter.
In the first place, there is the fear that the document detracts from the authority of the Second Vatican Council, one of whose essential decisions – the liturgical reform – is being called into question. This fear is unfounded. In this regard, it must first be said that the Missal published by Paul VI and then republished in two subsequent editions by John Paul II, obviously is and continues to be the normal Form – the Forma ordinaria – of the Eucharistic Liturgy. The last version of the Missale Romanum prior to the Council, which was published with the authority of Pope John XXIII in 1962 and used during the Council, will now be able to be used as a Forma extraordinaria of the liturgical celebration. It is not appropriate to speak of these two versions of the Roman Missal as if they were "two Rites". Rather, it is a matter of a twofold use of one and the same rite.
As for the use of the 1962 Missal as a Forma extraordinaria of the liturgy of the Mass, I would like to draw attention to the fact that this Missal was never juridically abrogated and, consequently, in principle, was always permitted. At the time of the introduction of the new Missal, it did not seem necessary to issue specific norms for the possible use of the earlier Missal. Probably it was thought that it would be a matter of a few individual cases which would be resolved, case by case, on the local level. Afterwards, however, it soon became apparent that a good number of people remained strongly attached to this usage of the Roman Rite, which had been familiar to them from childhood. This was especially the case in countries where the liturgical movement had provided many people with a notable liturgical formation and a deep, personal familiarity with the earlier Form of the liturgical celebration. We all know that, in the movement led by Archbishop Lefebvre, fidelity to the old Missal became an external mark of identity; the reasons for the break which arose over this, however, were at a deeper level. Many people who clearly accepted the binding character of the Second Vatican Council, and were faithful to the Pope and the Bishops, nonetheless also desired to recover the form of the sacred liturgy that was dear to them. This occurred above all because in many places celebrations were not faithful to the prescriptions of the new Missal, but the latter actually was understood as authorizing or even requiring creativity, which frequently led to deformations of the liturgy which were hard to bear. I am speaking from experience, since I too lived through that period with all its hopes and its confusion. And I have seen how arbitrary deformations of the liturgy caused deep pain to individuals totally rooted in the faith of the Church.
Pope John Paul II thus felt obliged to provide, in his Motu Proprio Ecclesia Dei (2 July 1988), guidelines for the use of the 1962 Missal; that document, however, did not contain detailed prescriptions but appealed in a general way to the generous response of Bishops towards the "legitimate aspirations" of those members of the faithful who requested this usage of the Roman Rite. At the time, the Pope primarily wanted to assist the Society of Saint Pius X to recover full unity with the Successor of Peter, and sought to heal a wound experienced ever more painfully. Unfortunately this reconciliation has not yet come about. Nonetheless, a number of communities have gratefully made use of the possibilities provided by the Motu Proprio. On the other hand, difficulties remain concerning the use of the 1962 Missal outside of these groups, because of the lack of precise juridical norms, particularly because Bishops, in such cases, frequently feared that the authority of the Council would be called into question. Immediately after the Second Vatican Council it was presumed that requests for the use of the 1962 Missal would be limited to the older generation which had grown up with it, but in the meantime it has clearly been demonstrated that young persons too have discovered this liturgical form, felt its attraction and found in it a form of encounter with the Mystery of the Most Holy Eucharist, particularly suited to them. Thus the need has arisen for a clearer juridical regulation which had not been foreseen at the time of the 1988 Motu Proprio. The present Norms are also meant to free Bishops from constantly having to evaluate anew how they are to respond to various situations.
In the second place, the fear was expressed in discussions about the awaited Motu Proprio, that the possibility of a wider use of the 1962 Missal would lead to disarray or even divisions within parish communities. This fear also strikes me as quite unfounded. The use of the old Missal presupposes a certain degree of liturgical formation and some knowledge of the Latin language; neither of these is found very often. Already from these concrete presuppositions, it is clearly seen that the new Missal will certainly remain the ordinary Form of the Roman Rite, not only on account of the juridical norms, but also because of the actual situation of the communities of the faithful.
It is true that there have been exaggerations and at times social aspects unduly linked to the attitude of the faithful attached to the ancient Latin liturgical tradition. Your charity and pastoral prudence will be an incentive and guide for improving these. For that matter, the two Forms of the usage of the Roman Rite can be mutually enriching: new Saints and some of the new Prefaces can and should be inserted in the old Missal. The "Ecclesia Dei" Commission, in contact with various bodies devoted to the usus antiquior, will study the practical possibilities in this regard. The celebration of the Mass according to the Missal of Paul VI will be able to demonstrate, more powerfully than has been the case hitherto, the sacrality which attracts many people to the former usage. The most sure guarantee that the Missal of Paul VI can unite parish communities and be loved by them consists in its being celebrated with great reverence in harmony with the liturgical directives. This will bring out the spiritual richness and the theological depth of this Missal.
I now come to the positive reason which motivated my decision to issue this Motu Proprio updating that of 1988. It is a matter of coming to an interior reconciliation in the heart of the Church. Looking back over the past, to the divisions which in the course of the centuries have rent the Body of Christ, one continually has the impression that, at critical moments when divisions were coming about, not enough was done by the Church’s leaders to maintain or regain reconciliation and unity. One has the impression that omissions on the part of the Church have had their share of blame for the fact that these divisions were able to harden. This glance at the past imposes an obligation on us today: to make every effort to unable for all those who truly desire unity to remain in that unity or to attain it anew. I think of a sentence in the Second Letter to the Corinthians, where Paul writes: "Our mouth is open to you, Corinthians; our heart is wide. You are not restricted by us, but you are restricted in your own affections. In return … widen your hearts also!" (2 Cor 6:11-13). Paul was certainly speaking in another context, but his exhortation can and must touch us too, precisely on this subject. Let us generously open our hearts and make room for everything that the faith itself allows.
There is no contradiction between the two editions of the Roman Missal. In the history of the liturgy there is growth and progress, but no rupture. What earlier generations held as sacred, remains sacred and great for us too, and it cannot be all of a sudden entirely forbidden or even considered harmful. It behooves all of us to preserve the riches which have developed in the Church’s faith and prayer, and to give them their proper place. Needless to say, in order to experience full communion, the priests of the communities adhering to the former usage cannot, as a matter of principle, exclude celebrating according to the new books. The total exclusion of the new rite would not in fact be consistent with the recognition of its value and holiness.
In conclusion, dear Brothers, I very much wish to stress that these new norms do not in any way lessen your own authority and responsibility, either for the liturgy or for the pastoral care of your faithful. Each Bishop, in fact, is the moderator of the liturgy in his own Diocese (cf. Sacrosanctum Concilium, 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").
Nothing is taken away, then, from the authority of the Bishop, whose role remains that of being watchful that all is done in peace and serenity. Should some problem arise which the parish priest cannot resolve, the local Ordinary will always be able to intervene, in full harmony, however, with all that has been laid down by the new norms of the Motu Proprio.
Furthermore, I invite you, dear Brothers, to send to the Holy See an account of your experiences, three years after this Motu Proprio has taken effect. If truly serious difficulties come to light, ways to remedy them can be sought.
Dear Brothers, with gratitude and trust, I entrust to your hearts as Pastors these pages and the norms of the Motu Proprio. Let us always be mindful of the words of the Apostle Paul addressed to the presbyters of Ephesus: "Take heed to yourselves and to all the flock, in which the Holy Spirit has made you overseers, to care for the Church of God which he obtained with the blood of his own Son" (Acts 20:28).
I entrust these norms to the powerful intercession of Mary, Mother of the Church, and I cordially impart my Apostolic Blessing to you, dear Brothers, to the parish priests of your dioceses, and to all the priests, your co-workers, as well as to all your faithful.
Given at Saint Peter’s, 7 July 2007
BENEDICTUS PP. XVI
[01042-02.01]
● TESTO IN LINGUA TEDESCA
Liebe Brüder im Bischofsamt,
hoffnungsvoll und mit großem Vertrauen lege ich den Text eines neuen als Motu Proprio erlassenen Apostolischen Schreibens über den Gebrauch der römischen Liturgie in ihrer Gestalt vor der 1970 durchgeführten Reform in Eure Hände, die Hände der Hirten. Das Dokument ist Frucht langen Nachdenkens, vielfacher Beratungen und des Gebetes.
Nachrichten und Beurteilungen, die ohne ausreichende Kenntnis vorgenommen wurden, haben in nicht geringem Maße Verwirrung gestiftet. Es gibt sehr unterschiedliche Reaktionen, die von freudiger Aufnahme bis zu harter Opposition reichen und die sich auf ein Vorhaben beziehen, dessen Inhalt in Wirklichkeit nicht bekannt war.
Dem Dokument standen näherhin zwei Befürchtungen entgegen, auf die ich in diesem Brief etwas näher eingehen möchte.
An erster Stelle steht die Furcht, hier werde die Autorität des II. Vatikanischen Konzils angetastet und eine seiner wesentlichen Entscheidungen – die liturgische Reform – in Frage gestellt. Diese Befürchtung ist unbegründet. Dazu ist zunächst zu sagen, daß selbstverständlich das von Papst Paul VI. veröffentlichte und dann in zwei weiteren Auflagen von Johannes Paul II. neu herausgegebene Missale die normale Form – die Forma ordinaria – der Liturgie der heiligen Eucharistie ist und bleibt. Die letzte dem Konzil vorausgehende Fassung des Missale Romanum, die unter der Autorität von Papst Johannes XXIII. 1962 veröffentlicht und während des Konzils benützt wurde, kann demgegenüber als Forma extraordinaria der liturgischen Feier Verwendung finden. Es ist nicht angebracht, von diesen beiden Fassungen des Römischen Meßbuchs als von „zwei Riten" zu sprechen. Es handelt sich vielmehr um einen zweifachen Usus ein und desselben Ritus.
Was nun die Verwendung des Meßbuchs von 1962 als Forma extraordinaria der Meßliturgie angeht, so möchte ich darauf aufmerksam machen, daß dieses Missale nie rechtlich abrogiert wurde und insofern im Prinzip immer zugelassen blieb. Im Augenblick der Einführung des neuen Meßbuchs schien es nicht notwendig, eigene Normen für den möglichen Gebrauch des bisherigen Missale zu erlassen. Man ging wohl davon aus, daß es sich um wenige Einzelfälle handeln würde, die fallweise am jeweiligen Ort zu lösen seien. Dann zeigte sich aber bald, daß vor allem in Ländern, in denen die Liturgische Bewegung vielen Menschen eine bedeutende liturgische Bildung und eine tiefe innere Vertrautheit mit der bisherigen Form der liturgischen Feier geschenkt hatte, nicht wenige stark an diesem ihnen von Kindheit auf liebgewordenen Gebrauch des Römischen Ritus hingen. Wir wissen alle, daß in der von Erzbischof Lefebvre angeführten Bewegung das Stehen zum alten Missale zum äußeren Kennzeichen wurde; die Gründe für die sich hier anbahnende Spaltung reichten freilich viel tiefer. Viele Menschen, die klar die Verbindlichkeit des II. Vaticanums annahmen und treu zum Papst und zu den Bischöfen standen, sehnten sich doch auch nach der ihnen vertrauten Gestalt der heiligen Liturgie, zumal das neue Missale vielerorts nicht seiner Ordnung getreu gefeiert, sondern geradezu als eine Ermächtigung oder gar als Verpflichtung zur „Kreativität" aufgefaßt wurde, die oft zu kaum erträglichen Entstellungen der Liturgie führte. Ich spreche aus Erfahrung, da ich diese Phase in all ihren Erwartungen und Verwirrungen miterlebt habe. Und ich habe gesehen, wie tief Menschen, die ganz im Glauben der Kirche verwurzelt waren, durch die eigenmächtigen Entstellungen der Liturgie verletzt wurden.
So sah sich Papst Johannes Paul II. veranlaßt, mit dem Motu Proprio „Ecclesia Dei" vom 2. Juli 1988 eine Rahmennorm für den Gebrauch des Missale von 1962 zu erlassen, die freilich keine Einzelbestimmungen enthielt, sondern grundsätzlich an den Großmut der Bischöfe gegenüber den „gerechtfertigten Wünschen" derjenigen Gläubigen appellierte, die um diesen Usus des Römischen Ritus baten. Der Papst hatte damals besonders auch der „Priester-Bruderschaft des heiligen Pius X." helfen wollen, wieder die volle Einheit mit dem Nachfolger Petri zu finden, und hatte so eine immer schmerzlicher empfundene Wunde in der Kirche zu heilen versucht. Diese Versöhnung ist bislang leider nicht geglückt, aber eine Reihe von Gemeinschaften machten dankbar von den Möglichkeiten dieses Motu Proprio Gebrauch. Schwierig blieb dagegen die Frage der Verwendung des Missale von 1962 außerhalb dieser Gruppierungen, wofür genaue rechtliche Formen fehlten, zumal die Bischöfe dabei häufig fürchteten, die Autorität des Konzils werde hier in Frage gestellt. Hatte man unmittelbar nach dem Ende des II. Vaticanums annehmen können, das Verlangen nach dem Usus von 1962 beschränke sich auf die ältere Generation, die damit aufgewachsen war, so hat sich inzwischen gezeigt, daß junge Menschen diese liturgische Form entdecken, sich von ihr angezogen fühlen und hier eine ihnen besonders gemäße Form der Begegnung mit dem Mysterium der heiligen Eucharistie finden. So ist ein Bedarf nach klarer rechtlicher Regelung entstanden, der beim Motu Proprio von 1988 noch nicht sichtbar war; diese Normen beabsichtigen, gerade auch die Bischöfe davon zu entlasten, immer wieder neu abwägen zu müssen, wie auf die verschiedenen Situationen zu antworten sei.
Als zweites wurde in den Diskussionen über das erwartete Motu Proprio die Befürchtung geäußert, eine erweiterte Möglichkeit zum Gebrauch des Missale von 1962 werde zu Unruhen oder gar zu Spaltungen in den Gemeinden führen. Auch diese Sorge scheint mir nicht wirklich begründet zu sein. Der Gebrauch des alten Missale setzt ein gewisses Maß an liturgischer Bildung und auch einen Zugang zur lateinischen Sprache voraus; das eine wie das andere ist nicht gerade häufig anzutreffen. Schon von diesen konkreten Voraussetzungen her ist es klar, daß das neue Meßbuch nicht nur von der rechtlichen Normierung, sondern auch von der tatsächlichen Situation der gläubigen Gemeinden her ganz von selbst die Forma ordinaria des Römischen Ritus bleibt.
Es ist wahr, daß es nicht an Übertreibungen und hin und wieder an gesellschaftlichen Aspekten fehlt, die in ungebührender Weise mit der Haltung jener Gläubigen in Zusammenhang stehen, die sich der alten lateinischen liturgischen Tradition verbunden wissen. Eure Liebe und pastorale Klugheit wird Anreiz und Leitbild für eine Vervollkommnung sein. Im übrigen können sich beide Formen des Usus des Ritus Romanus gegenseitig befruchten: Das alte Meßbuch kann und soll neue Heilige und einige der neuen Präfationen aufnehmen. Die Kommission Ecclesia Dei wird im Kontakt mit den verschiedenen Institutionen die sich dem usus antiquior widmen, die praktischen Möglichkeiten prüfen. In der Feier der Messe nach dem Missale Pauls VI. kann stärker, als bisher weithin der Fall ist, jene Sakralität erscheinen, die viele Menschen zum alten Usus hinzieht. Die sicherste Gewähr dafür, daß das Missale Pauls VI. die Gemeinden eint und von ihnen geliebt wird, besteht im ehrfürchtigen Vollzug seiner Vorgaben, der seinen spirituellen Reichtum und seine theologische Tiefe sichtbar werden läßt.
Damit bin ich bei dem positiven Grund angelangt, der mich veranlaßt hat, mit diesem Motu Proprio dasjenige von 1988 fortzuschreiben. Es geht um eine innere Versöhnung in der Kirche. In der Rückschau auf die Spaltungen, die den Leib Christi im Lauf der Jahrhunderte verwundet haben, entsteht immer wieder der Eindruck, daß in den kritischen Momenten, in denen sich die Spaltung anbahnte, von seiten der Verantwortlichen in der Kirche nicht genug getan worden ist, um Versöhnung und Einheit zu erhalten oder neu zu gewinnen; daß Versäumnisse in der Kirche mit schuld daran sind, daß Spaltungen sich verfestigen konnten. Diese Rückschau legt uns heute eine Verpflichtung auf, alle Anstrengungen zu unternehmen, um all denen das Verbleiben in der Einheit oder das neue Finden zu ihr zu ermöglichen, die wirklich Sehnsucht nach Einheit tragen. Mir kommt da ein Wort aus dem zweiten Korintherbrief in den Sinn, wo Paulus den Korinthern sagt: „Unser Mund hat sich für euch aufgetan, Korinther, unser Herz ist weit geworden. In uns ist es nicht zu eng für euch; eng ist es in eurem Herzen. Laßt doch als Antwort darauf … auch euer Herz weit aufgehen!" (2 Kor 6, 11–13). Paulus sagt das in anderem Zusammenhang, aber sein Anruf kann und soll uns gerade auch in dieser Sache berühren. Machen wir unser Herz weit auf, und lassen wir all dem Raum, wozu der Glaube selbst Raum bietet.
Es gibt keinen Widerspruch zwischen der einen und der anderen Ausgabe des Missale Romanum. In der Liturgiegeschichte gibt es Wachstum und Fortschritt, aber keinen Bruch. Was früheren Generationen heilig war, bleibt auch uns heilig und groß; es kann nicht plötzlich rundum verboten oder gar schädlich sein. Es tut uns allen gut, die Reichtümer zu wahren, die im Glauben und Beten der Kirche gewachsen sind und ihnen ihren rechten Ort zu geben. Um die volle communio zu leben, können die Priester, die den Gemeinschaften des alten Usus zugehören, selbstverständlich die Zelebration nach den neuen liturgischen Büchern im Prinzip nicht ausschließen. Ein völliger Ausschluß wäre nämlich nicht in Übereinstimmung mit der Anerkennung des Wertes und der Heiligkeit des Ritus in seiner erneuerten Form.
Abschließend, liebe Mitbrüder, liegt mir daran zu betonen, daß diese neuen Bestimmungen in keiner Weise Eure Autorität und Verantwortlichkeit schmälern, weder hinsichtlich der Liturgie noch was die Seelsorge an Euren Gläubigen anbelangt. In der Tat steht jedem Bischof das Recht zu, in der eigenen Diözese die Liturgie zu ordnen (vgl. Sacrosanctum Concilium, Nr. 22: „Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").
Nichts wird folglich der Autorität des Bischofs weggenommen, dessen Aufgabe in jedem Fall jene bleibt, darüber zu wachen, daß alles friedlich und sachlich geschieht. Sollten Probleme auftreten, die der Pfarrer nicht zu lösen imstande ist, kann der Ordinarius immer eingreifen, jedoch in völliger Übereinstimmung mit den im Motu Proprio festgelegten neuen Bestimmungen.
Außerdem lade ich Euch, liebe Mitbrüder, hiermit ein, drei Jahre nach dem Inkrafttreten des Motu Proprio dem Heiligen Stuhl über Eure Erfahrungen Bericht zu erstatten. Wenn dann wirklich ernsthafte Schwierigkeiten aufgetreten sein sollten, können Wege gesucht werden, um Abhilfe zu schaffen.
Liebe Brüder, dankbar und zuversichtlich vertraue ich Eurem Hirtenherzen diese Seiten und die Bestimmungen des Motu Proprio an. Seien wir stets eingedenk der Worte des Apostels Paulus, die er an die Ältesten von Ephesus gerichtet hat: „Gebt acht auf euch und auf die ganze Herde, in der euch der Heilige Geist zu Bischöfen bestellt hat, damit ihr als Hirten für die Kirche Gottes sorgt, die er sich durch das Blut seines eigenen Sohnes erworben hat" (Apg 20, 28).
Der mächtigen Fürsprache Mariens, der Mutter der Kirche, vertraue ich diese neuen Bestimmungen an und erteile Euch, liebe Mitbrüder, den Pfarrern in Euren Diözesen und allen Priestern, die Eure Mitarbeiter sind, sowie allen Euren Gläubigen von Herzen meinen Apostolischen Segen.
Gegeben zu Sankt Peter, am 7. Juli 2007
BENEDICTUS PP. XVI
[01042-05.01]
● TESTO IN LINGUA SPAGNOLA
Queridos Hermanos en el Episcopado:
Con gran confianza y esperanza pongo en vuestras manos de Pastores el texto de una nueva Carta Apostólica "Motu Proprio data" sobre el uso de la liturgia romana anterior a la reforma efectuada en 1970. El documento es fruto de largas reflexiones, múltiples consultas y de oración.
Noticias y juicios hechos sin información suficiente han creado no poca confusión. Se han dado reacciones muy divergentes, que van desde una aceptación con alegría a una oposición dura, a un proyecto cuyo contenido en realidad no se conocía.
A este documento se contraponían más directamente dos temores, que quisiera afrontar un poco más de cerca en esta carta.
En primer lugar existe el temor de que se menoscabe la Autoridad del Concilio Vaticano II y de que una de sus decisiones esenciales – la reforma litúrgica – se ponga en duda. Este temor es infundado. Al respecto, es necesario afirmar en primer lugar que el Misal, publicado por Pablo VI y reeditado después en dos ediciones sucesivas por Juan Pablo II, obviamente es y permanece la Forma normal – la Forma ordinaria – de la Liturgia Eucarística. La última redacción del Missale Romanum, anterior al Concilio, que fue publicada con la autoridad del Papa Juan XXIII en 1962 y utilizada durante el Concilio, podrá, en cambio, ser utilizada como Forma extraordinaria de la Celebración litúrgica. Non es apropiado hablar de estas dos redacciones del Misal Romano como si fueran "dos Ritos". Se trata, más bien, de un doble uso del mismo y único Rito.
Por lo que se refiere al uso del Misal de 1962, como Forma extraordinaria de la Liturgia de la Misa, quisiera llamar la atención sobre el hecho de que este Misal no ha sido nunca jurídicamente abrogado y, por consiguiente, en principio, ha quedado siempre permitido. En el momento de la introducción del nuevo Misal, no pareció necesario emitir normas propias para el posible uso del Misal anterior. Probablemente se supuso que se trataría de pocos casos singulares que podrían resolverse, caso por caso, en cada lugar. Después, en cambio, se demostró pronto que no pocos permanecían fuertemente ligados a este uso del Rito romano que, desde la infancia, se les había hecho familiar. Esto sucedió, sobre todo, en los Países en los que el movimiento litúrgico había dado a muchas personas una notable formación litúrgica y una profunda e íntima familiaridad con la Forma anterior de la Celebración litúrgica. Todos sabemos que, en el movimiento guiado por el Arzobispo Lefebvre, la fidelidad al Misal antiguo llegó a ser un signo distintivo externo; pero las razones de la ruptura que de aquí nacía se encontraban más en profundidad. Muchas personas que aceptaban claramente el carácter vinculante del Concilio Vaticano II y que eran fieles al Papa y a los Obispos, deseaban no obstante reencontrar la forma, querida para ellos, de la sagrada Liturgia. Esto sucedió sobre todo porque en muchos lugares no se celebraba de una manera fiel a las prescripciones del nuevo Misal, sino que éste llegó a entenderse como una autorización e incluso como una obligación a la creatividad, lo cual llevó a menudo a deformaciones de la Liturgia al límite de lo soportable. Hablo por experiencia porque he vivido también yo aquel periodo con todas sus expectativas y confusiones. Y he visto hasta qué punto han sido profundamente heridas por las deformaciones arbitrarias de la Liturgia personas que estaban totalmente radicadas en la fe de la Iglesia.
El Papa Juan Pablo II se vio por tanto obligado a ofrecer con el Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 de julio de 1988, un cuadro normativo para el uso del Misal de 1962, pero que no contenía prescripciones detalladas sino que apelaba, en modo más general, a la generosidad de los Obispos respecto a las "justas aspiraciones" de aquellos fieles que pedían este uso del Rito romano. En aquel momento el Papa quería ayudar de este modo sobre todo a la Fraternidad San Pío X a reencontrar la plena unidad con el Sucesor de Pedro, intentando curar una herida que era sentida cada vez con más dolor. Por desgracia esta reconciliación hasta ahora no se ha logrado; sin embargo una serie de comunidades han utilizado con gratitud las posibilidades de este Motu Proprio. Permanece difícil, en cambio, la cuestión del uso del Misal de 1962 fuera de estos grupos, para los cuales faltaban normas jurídicas precisas, sobre todo porque a menudo los Obispos en estos casos temían que la autoridad del Concilio fuera puesta en duda. Enseguida después del Concilio Vaticano II se podía suponer que la petición del uso del Misal de 1962 se limitaría a la generación más anciana que había crecido con él, pero desde entonces se ha visto claramente que también personas jóvenes descubren esta forma litúrgica, se sienten atraídos por ella y encuentran en la misma una forma, particularmente adecuada para ellos, de encuentro con el Misterio de la Santísima Eucaristía. Así ha surgido la necesidad de un reglamento jurídico más claro que, en tiempos del Motu Proprio de 1988 no era previsible; estas Normas pretenden también liberar a los Obispos de tener que valorar siempre de nuevo cómo responder a las diversas situaciones.
En segundo lugar, en las discusiones sobre el esperado Motu Proprio, se expresó el temor de que una más amplia posibilidad de uso del Misal de 1962 podría llevar a desórdenes e incluso a divisiones en las comunidades parroquiales. Tampoco este temor me parece realmente fundado. El uso del Misal antiguo presupone un cierto nivel de formación litúrgica y un acceso a la lengua latina; tanto uno como otro no se encuentran tan a menudo. Ya con estos presupuestos concretos se ve claramente que el nuevo Misal permanecerá, ciertamente, la Forma ordinaria del Rito Romano, no sólo por la normativa jurídica sino por la situación real en que se encuentran las comunidades de fieles.
Es verdad que no faltan exageraciones y algunas veces aspectos sociales indebidamente vinculados a la actitud de los fieles que siguen la antigua tradición litúrgica latina. Vuestra caridad y prudencia pastoral serán estímulo y guía para un perfeccionamiento. Por lo demás, las dos Formas del uso del Rito romano pueden enriquecerse mutuamente: en el Misal antiguo se podrán y deberán inserir nuevos santos y algunos de los nuevos prefacios. La Comisión "Ecclesia Dei", en contacto con los diversos entes locales dedicados al usus antiquior, estudiará las posibilidades prácticas. En la celebración de la Misa según el Misal de Pablo VI se podrá manifestar, en un modo más intenso de cuanto se ha hecho a menudo hasta ahora, aquella sacralidad que atrae a muchos hacia el uso antiguo. La garantía más segura para que el Misal de Pablo VI pueda unir a las comunidades parroquiales y sea amado por ellas consiste en celebrar con gran reverencia de acuerdo con las prescripciones; esto hace visible la riqueza espiritual y la profundidad teológica de este Misal.
De este modo he llegado a la razón positiva que me ha motivado a poner al día mediante este Motu Proprio el de 1988. Se trata de llegar a una reconciliación interna en el seno de la Iglesia. Mirando al pasado, a las divisiones que a lo largo de los siglos han desgarrado el Cuerpo de Cristo, se tiene continuamente la impresión de que en momentos críticos en los que la división estaba naciendo, no se ha hecho lo suficiente por parte de los responsables de la Iglesia para conservar o conquistar la reconciliación y la unidad; se tiene la impresión de que las omisiones de la Iglesia han tenido su parte de culpa en el hecho de que estas divisiones hayan podido consolidarse. Esta mirada al pasado nos impone hoy una obligación: hacer todos los esfuerzos para que a todos aquellos que tienen verdaderamente el deseo de la unidad se les haga posible permanecer en esta unidad o reencontrarla de nuevo. Me viene a la mente una frase de la segunda carta a los Corintios donde Pablo escribe: "Corintios, os hemos hablado con toda franqueza; nuestro corazón se ha abierto de par en par. No está cerrado nuestro corazón para vosotros; los vuestros sí que lo están para nosotros. Correspondednos; ... abríos también vosotros" (2 Cor 6,11-13). Pablo lo dice ciertamente en otro contexto, pero su invitación puede y debe tocarnos a nosotros, justamente en este tema. Abramos generosamente nuestro corazón y dejemos entrar todo a lo que la fe misma ofrece espacio.
No hay ninguna contradicción entre una y otra edición del Missale Romanum. En la historia de la Liturgia hay crecimiento y progreso pero ninguna ruptura. Lo que para las generaciones anteriores era sagrado, también para nosotros permanece sagrado y grande y no puede ser improvisamente totalmente prohibido o incluso perjudicial. Nos hace bien a todos conservar las riquezas que han crecido en la fe y en la oración de la Iglesia y de darles el justo puesto. Obviamente para vivir la plena comunión tampoco los sacerdotes de las Comunidades que siguen el uso antiguo pueden, en principio, excluir la celebración según los libros nuevos. En efecto, no sería coherente con el reconocimiento del valor y de la santidad del nuevo rito la exclusión total del mismo.
En conclusión, queridos Hermanos, quiero de todo corazón subrayar que estas nuevas normas no disminuyen de ningún modo vuestra autoridad y responsabilidad ni sobre la liturgia, ni sobre la pastoral de vuestros fieles. Cada Obispo, en efecto es el moderador de la liturgia en la propia diócesis (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclessiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcoporum").
Por tanto, no se quita nada a la autoridad del Obispo cuyo papel será siempre el de vigilar para que todo se desarrolle con paz y serenidad. Si surgiera algún problema que el párroco no pueda resolver, el Ordinario local podrá siempre intervenir, pero en total armonía con cuanto establecido por las nuevas normas del Motu Proprio.
Además os invito, queridos Hermanos, a escribir a la Santa Sede un informe sobre vuestras experiencias tres años después de que entre en vigor este Motu Proprio. Si vinieran a la luz dificultades serias se buscarían vías para encontrar el remedio.
Queridos Hermanos, con ánimo agradecido y confiado, confío a vuestro corazón de Pastores estas páginas y las normas del Motu Prorpio. Recordemos siempre las palabras que el Apóstol Pablo dirigió a los presbíteros de Efeso "Tened cuidado de vosotros y de toda la grey, en medio de la cual os ha puesto el Espíritu Santo como vigilantes para pastorear la Iglesia de Dios, que él se adquirió con la sangre de su propio Hijo" (Hechos 20,28).
Confío a la potente intercesión de María, Madre de la Iglesia, estas nuevas normas e imparto de corazón mi Bendición Apostólica a Vosotros, queridos Hermanos, a los párrocos de vuestras diócesis y a todos los sacerdotes, vuestros colaboradores, así como a todos vuestros fieles.
Dado en San Pedro, el 7 de Julio 2007.
BENEDICTUS PP. XVI
[01042-04.02]
● TESTO IN LINGUA PORTOGHESE
Amados Irmãos no Episcopado,
Com grande confiança e esperança, coloco nas vossas mãos de Pastores o texto duma nova Carta Apostólica «Motu Proprio data» sobre o uso da liturgia romana anterior à reforma realizada em 1970. O documento é fruto de longas reflexões, múltiplas consultas e de oração.
Notícias e juízos elaborados sem suficiente informação criaram não pouca confusão. Há reacções muito divergentes entre si que vão de uma entusiasta aceitação até uma férrea oposição a respeito de um projecto cujo conteúdo na realidade não era conhecido.
Contrapunham-se de forma mais directa a este documento dois temores, dos quais me quero ocupar um pouco mais detalhadamente nesta carta.
Em primeiro lugar, há o temor de que seja aqui afectada a autoridade do Concílio Vaticano II e que uma das suas decisões essenciais – a reforma litúrgica – seja posta em dúvida. Tal receio não tem fundamento. A este respeito, é preciso antes de mais afirmar que o Missal publicado por Paulo VI, e reeditado em duas sucessivas edições por João Paulo II, obviamente é e permanece a Forma normal – a Forma ordinária – da Liturgia Eucarística. A última versão do Missale Romanum, anterior ao Concílio, que foi publicada sob a autoridade do Papa João XXIII em 1962 e utilizada durante o Concílio, poderá, por sua vez, ser usada como Forma extraordinária da Celebração Litúrgica. Não é apropriado falar destas duas versões do Missal Romano como se fossem «dois ritos». Trata-se, antes, de um duplo uso do único e mesmo Rito.
Quanto ao uso do Missal de 1962, como Forma extraordinária da Liturgia da Missa, quero chamar a atenção para o facto de que este Missal nunca foi juridicamente ab-rogado e, consequentemente, em princípio sempre continuou permitido. Na altura da introdução do novo Missal, não pareceu necessário emanar normas próprias para um possível uso do Missal anterior. Supôs-se, provavelmente, que se trataria de poucos casos individuais que seriam resolvidos um a um na sua situação concreta. Bem depressa, porém, se constatou que não poucos continuavam fortemente ligados a este uso do Rito Romano que, desde a infância, se lhes tornara familiar. Isto aconteceu sobretudo em países onde o movimento litúrgico tinha dado a muitas pessoas uma formação litúrgica notável e uma profunda e íntima familiaridade com a Forma anterior da Celebração Litúrgica. Todos sabemos que, no movimento guiado pelo Arcebispo Lefebvre, a fidelidade ao Missal antigo apareceu como um sinal distintivo externo; mas as razões da divisão, que então nascia, encontravam-se a maior profundidade. Muitas pessoas, que aceitavam claramente o carácter vinculante do Concílio Vaticano II e que eram fiéis ao Papa e aos Bispos, desejavam contudo reaver também a forma, que lhes era cara, da sagrada Liturgia; isto sucedeu antes de mais porque, em muitos lugares, se celebrava não se atendo de maneira fiel às prescrições do novo Missal, antes consideravam-se como que autorizados ou até obrigados à criatividade, o que levou frequentemente a deformações da Liturgia no limite do suportável. Falo por experiência, porque também eu vivi aquele período com todas as suas expectativas e confusões. E vi como foram profundamente feridas, pelas deformações arbitrárias da Liturgia, pessoas que estavam totalmente radicadas na fé da Igreja.
Por isso, o Papa João Paulo II viu-se obrigado a estabelecer, através do Motu Proprio «Ecclesia Dei» de 2 de Julho de 1988, um quadro normativo para o uso do Missal de 1962, que no entanto não contém prescrições detalhadas, mas fazia apelo, de forma mais geral, à generosidade dos Bispos para com as «justas aspirações» dos fiéis que requeriam este uso do Rito Romano. Naquela altura, o Papa queria assim ajudar sobretudo a Fraternidade São Pio X a encontrar de novo a plena unidade com o Sucessor de Pedro, procurando curar uma ferida que se ia fazendo sentir sempre mais dolorosamente. Até agora, infelizmente, esta reconciliação não se conseguiu; todavia várias comunidades utilizaram com gratidão as possibilidades deste Motu Proprio. Continuava aberta, porém, a difícil questão do uso do Missal de 1962 fora destes grupos, para os quais faltavam precisas normas jurídicas, antes de mais porque, nestes casos, frequentemente os Bispos temiam que a autoridade do Concílio fosse posta em dúvida. Logo a seguir ao Concílio Vaticano II podia-se supor que o pedido do uso do Missal de 1962 se limitasse à geração mais idosa que tinha crescido com ele, mas entretanto vê-se claramente que também pessoas jovens descobrem esta forma litúrgica, sentem-se atraídas por ela e nela encontram uma forma, que lhes resulta particularmente apropriada, de encontro com o Mistério da Santíssima Eucaristia. Surgiu assim a necessidade duma regulamentação jurídica mais clara, que, no tempo do Motu Proprio de 1988, não era previsível; estas Normas pretendem também libertar os Bispos do dever de avaliar sempre de novo como hão-de responder às diversas situações.
Em segundo lugar, nas discussões à volta do esperado Motu Proprio, manifestou-se o temor de que uma possibilidade mais ampla do uso do Missal de 1962 levasse a desordens ou até a divisões nas comunidades paroquiais. Também este receio não me parece realmente fundado. O uso do Missal antigo pressupõe um certo grau de formação litúrgica e o conhecimento da língua latina; e quer uma quer outro não é muito frequente encontrá-los. Por estes pressupostos concretos, já se vê claramente que o novo Missal permanecerá, certamente, a Forma ordinária do Rito Romano, não só porque o diz a normativa jurídica, mas também por causa da situação real em que se encontram as comunidades de fiéis.
É verdade que não faltam exageros e algumas vezes aspectos sociais indevidamente vinculados com a atitude de fiéis ligados à antiga tradição litúrgica latina. A vossa caridade e prudência pastoral hão-de ser estímulo e guia para um aperfeiçoamento. Aliás, as duas Formas do uso do Rito Romano podem enriquecer-se mutuamente: no Missal antigo poderão e deverão ser inseridos novos santos e alguns dos novos prefácios. A Comissão «Ecclesia Dei», em contacto com os diversos entes devotados ao usus antiquior, estudará as possibilidades práticas de o fazer. E, na celebração da Missa segundo o Missal de Paulo VI, poder-se-á manifestar, de maneira mais intensa do que frequentemente tem acontecido até agora, aquela sacralidade que atrai muitos para o uso antigo. A garantia mais segura que há de o Missal de Paulo VI poder unir as comunidades paroquiais e ser amado por elas é celebrar com grande reverência em conformidade com as rubricas; isto torna visível a riqueza espiritual e a profundidade teológica deste Missal.
Cheguei assim à razão positiva que me motivou para actualizar através deste Motu Proprio o de 1988. Trata-se de chegar a uma reconciliação interna no seio da Igreja. Olhando para o passado, para as divisões que no decurso dos séculos dilaceraram o Corpo de Cristo, tem-se continuamente a impressão de que, em momentos críticos quando a divisão estava a nascer, não fora feito o suficiente por parte dos responsáveis da Igreja para manter ou reconquistar a reconciliação e a unidade; fica-se com a impressão de que as omissões na Igreja tenham a sua parte de culpa no facto de tais divisões se terem podido consolidar. Esta sensação do passado impõe-nos hoje uma obrigação: realizar todos os esforços para que todos aqueles que nutrem verdadeiramente o desejo da unidade tenham possibilidades de permanecer nesta unidade ou de encontrá-la de novo. Vem-me à mente uma frase da segunda carta aos Coríntios, quando Paulo escreve: «Falámo-vos com toda a liberdade, ó Coríntios. O nosso coração abriu-se plenamente. Há nele muito lugar para vós, enquanto no vosso não há lugar para nós (…): pagai-nos na mesma moeda, abri também vós largamente o vosso coração» (2 Cor 6, 11-13). É certo que Paulo fala noutro contexto, mas o seu convite pode e deve tocar-nos também a nós, precisamente neste tema. Abramos generosamente o nosso coração e deixemos entrar tudo aquilo a que a própria fé dá espaço.
Não existe qualquer contradição entre uma edição e outra do Missale Romanum. Na história da Liturgia, há crescimento e progresso, mas nenhuma ruptura. Aquilo que para as gerações anteriores era sagrado, permanece sagrado e grande também para nós, e não pode ser de improviso totalmente proibido ou mesmo prejudicial. Faz-nos bem a todos conservar as riquezas que foram crescendo na fé e na oração da Igreja, dando-lhes o justo lugar. Obviamente, para viver a plena comunhão, também os sacerdotes das Comunidades aderentes ao uso antigo não podem, em linha de princípio, excluir a celebração segundo os novos livros. De facto, não seria coerente com o reconhecimento do valor e da santidade do novo rito a exclusão total do mesmo.
Em conclusão, amados Irmãos, tenho a peito sublinhar que as novas normas não diminuem de modo algum a vossa autoridade e responsabilidade sobre a liturgia nem sobre a pastoral dos vossos fiéis. Com efeito, cada Bispo é o moderador da liturgia na própria diocese (cf. Sacrosanctum Concilium, n.º 22: «Sacræ Liturgiæ moderatio ab Ecclesiæ auctoritate unice pendet quæ quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum»).
Por conseguinte, nada se tira à autoridade do Bispo, cuja tarefa, em todo o caso, continuará a ser a de vigiar para que tudo se desenrole em paz e serenidade. Se por hipótese surgisse qualquer problema que o pároco não pudesse resolver, sempre poderia o Ordinário local intervir, mas em plena harmonia com quanto estabelecido pelas novas normas do Motu Propio.
Além disso, convido-vos, amados Irmãos, a elaborar para a Santa Sé um relatório sobre as vossas experiências, três anos depois da entrada em vigor deste Motu Proprio. Se verdadeiramente tiverem surgido sérias dificuldades, poder-se-á procurar meios para lhes dar remédio.
Amados Irmãos, com ânimo grato e confiante, entrego ao vosso coração de Pastores estas páginas e as normas do Motu Proprio. Tenhamos sempre presente as palavras dirigidas pelo Apóstolo Paulo aos anciãos de Éfeso: «Tomai cuidado convosco e com todo o rebanho, do qual o Espírito Santo vos constituiu vigilantes para apascentardes a Igreja de Deus, que Ele adquiriu com o sangue do seu próprio Filho» (Act 20, 28).
Confio à poderosa intercessão de Maria, Mãe da Igreja, estas novas normas e de coração concedo a minha Bênção Apostólica a vós, amados Irmãos, aos párocos das vossas dioceses, e a todos os sacerdotes, vossos colaboradores, como também a todos os vossos fiéis.
Dado em Roma, junto de São Pedro, no dia 7 de Julho de 2007.
BENEDICTUS PP. XVI
[01042-06.01]
[B0379-XX.02]