● INCONTRO CON IL CLERO E I RELIGIOSI NELLA CATTEDRALE DI SAN RUFINO
Alle ore 16.30, lasciata la Basilica Superiore, il Papa si reca in auto alla Cattedrale di Assisi, dedicata al Patrono San Rufino, per incontrare i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose, i superiori e gli alunni del Pontificio Seminario Umbro.
Al Suo arrivo il Santo Padre è accolto dal Vicario Generale, Mons. Orlando Gori; dal Priore del Capitolo della Cattedrale, Mons. Oscar Battaglia e dal Parroco, Don Cesare Provenzi. In Cattedrale, prima di un momento di adorazione nella Cappella del Santissimo Sacramento, il Papa si sofferma davanti al fonte battesimale dove furono battezzati San Francesco e Santa Chiara.
Quindi, introdotto dall’indirizzo di omaggio dell’Arcivescovo, S.E. Mons. Domenico Sorrentino, il Santo Padre Benedetto XVI rivolge ai presenti il discorso che riportiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Carissimi sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose!
Posso sinceramente dire che ho vivamente desiderato di incontrarvi in questa antica Cattedrale, in cui normalmente converge, intorno al Vescovo, la Chiesa diocesana. Dopo essere stato stamattina in mezzo al Popolo di Dio nelle sue varie componenti durante la Celebrazione eucaristica presso la Basilica di San Francesco, mi è sembrato bello riservare a voi un incontro particolare, anche in considerazione della folta presenza di persone consacrate in questa Diocesi. Ringrazio Mons. Domenico Sorrentino, Pastore di questa Chiesa, per essersi fatto interprete dei vostri sentimenti di comunione e di affetto. E ho sentito l’affetto anche molto immediatamente. Ringrazio di cuore. Saluto cordialmente anche il Vescovo emerito, Mons. Sergio Goretti, che per anni ha guidato - come abbiamo sentito, venticinque anni - questa Chiesa, illustre per tanta storia di santità. Mi ricordo di tanti incontri belli che abbiamo avuto proprio qui ad Assisi. Grazie, Eccellenza!
Come sapete, come ha ricordato S.E. Sorrentino, l’occasione che mi ha portato oggi ad Assisi è la commemorazione dell’VIII centenario della conversione di Francesco. Anch’io mi sono fatto pellegrino. Già da studente, poi quando mi preparavo per una Cattedra ho studiato San Bonaventura, conseguentemente anche San Francesco. Ho spiritualmente peregrinato ad Assisi molto prima di esservi arrivato anche fisicamente. Così in questo lungo pellegrinaggio della mia vita sono felice di essere oggi con voi nella Cattedrale, con voi sacerdoti, religiosi, religiose. Essendo venuto sulle orme del Poverello, nel mio parlare prenderò spunto principalmente da lui. Ma proprio nel contesto di questa Cattedrale non posso non ricordare gli altri Santi che hanno illustrato la vita di questa Chiesa, a partire dal patrono San Rufino, a cui si uniscono San Rinaldo e il Beato Angelo. Va da sé che, accanto a Francesco, c’è Chiara, la cui casa era proprio nei pressi di questa Cattedrale. Ho potuto poco fa vedere il battistero in cui, secondo la tradizione, ricevettero il Battesimo tanto San Francesco quanto Santa Chiara, e successivamente San Gabriele dell’Addolorata.
Questo particolare mi offre lo spunto per una prima riflessione. Se oggi parliamo della conversione di Francesco, pensando alla radicale scelta di vita che egli fece da giovane, non possiamo tuttavia dimenticare che la sua prima "conversione" avvenne nel dono del Battesimo. La piena risposta che darà da adulto non sarà che la maturazione del germe di santità allora ricevuto. È importante che nella nostra vita e nella proposta pastorale prendiamo più viva coscienza della dimensione battesimale della santità. Essa è dono e compito per tutti i battezzati. A questa dimensione fece riferimento il mio venerato e amato Predecessore, nella Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, scrivendo: "Chiedere a un catecumeno: «Vuoi ricevere il battesimo?» significa al tempo stesso chiedergli: «Vuoi diventare santo?»" (n. 31).
I milioni di pellegrini che passano per queste strade attirati dal carisma di Francesco, devono essere aiutati a cogliere il nucleo essenziale della vita cristiana ed a tendere alla sua "misura alta", che è appunto la santità. Non basta che ammirino Francesco: attraverso di lui devono poter incontrare Cristo, per confessarlo e amarlo con "fede dritta, speranza certa e caritade perfetta" (Preghiera di Francesco davanti al Crocifisso, 1: FF 276). I cristiani del nostro tempo si ritrovano sempre più spesso a fronteggiare la tendenza ad accettare un Cristo diminuito, ammirato nella sua umanità straordinaria, ma respinto nel mistero profondo della sua divinità. Lo stesso Francesco subisce una sorta di mutilazione, quando lo si tira in gioco come testimone di valori pur importanti, apprezzati dall’odierna cultura, ma dimenticando che la scelta profonda, potremmo dire il cuore della sua vita, è la scelta di Cristo. Ad Assisi, c’è bisogno più che mai di una linea pastorale di alto profilo. Occorre a tal fine che voi, sacerdoti e diaconi, e voi, persone di vita consacrata, sentiate fortemente il privilegio e la responsabilità di vivere in questo territorio di grazia. È vero che quanti passano per questa Città, anche solo dalle sue "pietre" e dalla sua storia ricevono un benefico messaggio. Parlano realmente le pietre, ma ciò non esime da una proposta spirituale robusta, che aiuti anche ad affrontare le tante seduzioni del relativismo che caratterizza la cultura del nostro tempo.
Assisi ha il dono di richiamare persone di tante culture e religioni, in nome di un dialogo che costituisce un valore irrinunciabile. Giovanni Paolo II ha legato il suo nome a questa icona di Assisi come Città del dialogo e della pace. Ho apprezzato, a tal proposito, che abbiate voluto onorare la memoria del suo speciale rapporto con questa Città anche dedicandogli una sala con dipinti che lo raffigurano proprio a fianco di questa Cattedrale. Per Giovanni Paolo II era chiaro che la vocazione dialogica di Assisi è legata al messaggio di Francesco, e deve rimanere ben incardinata sui pilastri portanti della sua spiritualità. In Francesco tutto parte da Dio e torna a Dio. Le sue Lodi di Dio altissimo rivelano un animo costantemente rapito nel dialogo con la Trinità. Il suo rapporto con Cristo trova nell’Eucaristia il luogo più significativo. Lo stesso amore del prossimo si sviluppa a partire dall’esperienza e dall’amore di Dio. Quando, nel Testamento, ricorda il suo andare incontro ai lebbrosi, quale evento iniziale della sua conversione, sottolinea che a quell’abbraccio di misericordia egli fu condotto da Dio stesso (cfr 2 Test 2; FF 110). Le varie testimonianze biografiche sono concordi nel delineare la sua conversione come un progressivo aprirsi alla Parola che viene dall’alto. La stessa logica emerge nel suo chiedere e offrire l’elemosina con la motivazione dell’amore di Dio (cfr 2 Cel 47,77: FF 665). Il suo sguardo sulla natura è in realtà una contemplazione del Creatore nella bellezza delle creature. Il suo stesso augurio di pace si modula poi come preghiera, giacché gli fu rivelata la modalità in cui doveva formularlo: "Il Signore ti dia la pace" (2 Test: FF 121). Francesco è un uomo per gli altri, perché è fino in fondo un uomo di Dio. Voler separare, nel suo messaggio, la dimensione "orizzontale" da quella "verticale" significa rendere Francesco irriconoscibile.
A voi, ministri del Vangelo e dell’altare, a voi, religiosi e religiose, il compito di sviluppare un annuncio della fede cristiana all’altezza delle odierne sfide. Avete una grande storia, e desidero esprimere il mio apprezzamento per quanto già fate. Se oggi ritorno ad Assisi da Papa, voi sapete però che non è la prima volta che visito questa Città e ne ho sempre riportato una bellissima impressione. Occorre che la vostra tradizione spirituale e pastorale resti salda nei suoi valori perenni, e al tempo stesso si rinnovi per dare una risposta autentica alle nuove domande. Desidero per questo incoraggiarvi a seguire con fiducia il piano pastorale che il vostro Vescovo vi ha proposto. In esso si additano le grandi ed esigenti prospettive della comunione, della carità, della missione, sottolineando che esse affondano le radici in un’autentica conversione a Cristo. La lectio divina, la centralità dell’Eucaristia, la Liturgia delle Ore e l’adorazione eucaristica, la contemplazione dei misteri di Cristo nella prospettiva mariana del Rosario, assicurano quel clima e quella tensione spirituale, senza cui tutti gli impegni pastorali, la vita fraterna, lo stesso impegno per i poveri, rischierebbero di naufragare a causa delle nostre fragilità e delle nostre stanchezze.
Coraggio, carissimi! A questa Città, a questa comunità ecclesiale, guarda con particolare simpatia la Chiesa da tutte le regioni del mondo. Il nome di Francesco, accompagnato da quello di Chiara, chiede che questa Città si distingua per un particolare slancio missionario. Ma proprio per questo è anche necessario che questa Chiesa viva di una intensa esperienza di comunione. Si pone in tale ottica il Motu Proprio Totius Orbis, con cui, come ha menzionato il vostro Vescovo, ho stabilito che le due grandi Basiliche papali di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli, pur continuando a godere di un’attenzione speciale della Santa Sede attraverso il Legato Pontificio, sotto il profilo pastorale entrassero nella giurisdizione del Vescovo di questa Chiesa. Sono davvero lieto di sapere che il nuovo cammino è iniziato all’insegna di una grande disponibilità e collaborazione, e sono certo che sarà ricco di frutti.
Era in realtà un indirizzo ormai maturo per diverse ragioni. Lo suggeriva il nuovo respiro che il Concilio Vaticano II ha dato alla teologia della Chiesa particolare, mostrando come in essa si esprima il mistero della Chiesa universale. Le Chiese particolari infatti "sono formate a immagine della Chiesa universale: in esse e a partire da esse (in quibus et ex quibus) esiste l’una e unica Chiesa cattolica" (Cost. Lumen gentium, 23). C’è un mutuo interiore richiamo tra l’universale e il particolare. Le singole Chiese, proprio mentre vivono la loro identità di "porzioni" del Popolo di Dio, esprimono anche una comunione e una "diaconia" rispetto alla Chiesa universale sparsa nel mondo, animata dallo Spirito e servita dal ministero di unità del Successore di Pietro. Questa apertura "cattolica" appartiene a ciascuna Diocesi e segna, in qualche modo, tutte le dimensioni della sua vita, ma si accentua quando una Chiesa dispone di un carisma che attrae ed opera oltre i confini di essa. E come negare che tale sia il carisma di Francesco e del suo messaggio? I tanti pellegrini che vengono ad Assisi stimolano questa Chiesa ad andare oltre se stessa. D’altra parte, è incontestabile che Francesco abbia con la sua Città un rapporto speciale. Assisi in certo modo fa corpo con il cammino di santità di questo suo grande figlio. Lo dimostra il mio stesso odierno pellegrinaggio, che mi vede toccare tanti luoghi, certo non tutti, della vicenda di Francesco in questa Città. Mi piace poi anche sottolineare che la spiritualità di Francesco di Assisi è di aiuto sia per cogliere l’universalità della Chiesa, che egli espresse nella particolare devozione per il Vicario di Cristo, sia per cogliere il valore della Chiesa particolare, dato che forte e filiale fu il suo legame con il Vescovo di Assisi. Occorre riscoprire il valore non solo biografico, ma "ecclesiologico", di quell’incontro del giovane Francesco con il Vescovo Guido, al cui discernimento e nelle cui mani consegnò, spogliandosi di tutto, la sua scelta di vita per Cristo (cfr 1 Cel I, 6, 14-15: FF 343-344).
L’opportunità di un assetto unitario quale è stato assicurato dal Motu Proprio era anche consigliata dal bisogno di un’azione pastorale più coordinata ed efficace. Dal Concilio Vaticano II e dal successivo Magistero è stata sottolineata la necessità che le persone e le comunità di vita consacrata, anche di diritto pontificio, si inseriscano in modo organico, in conformità alle loro Costituzioni e alle leggi della Chiesa, nella vita della Chiesa particolare (cfr Decr. Christus Dominus, 33-35; CIC 678-680). Tali comunità, se hanno diritto di aspettarsi accoglienza e rispetto per il proprio carisma, devono tuttavia evitare di vivere come "isole", ma integrarsi con convinzione e generosità nel servizio e nel piano pastorale adottato dal Vescovo per tutta la comunità diocesana.
Rivolgo un pensiero speciale a voi, carissimi sacerdoti, impegnati ogni giorno, insieme con i diaconi, al servizio del Popolo di Dio. Il vostro entusiasmo, la vostra comunione, la vostra vita di preghiera e il vostro ministero generoso, sono indispensabili. Può capitare di sperimentare qualche stanchezza o paura di fronte alle nuove esigenze e alle nuove difficoltà, ma dobbiamo aver fiducia che il Signore ci darà la forza necessaria per attuare quanto ci chiede. Egli - preghiamo e siamo sicuri - non lascerà mancare le vocazioni, se le imploriamo con la preghiera e insieme ci preoccupiamo di cercarle e custodirle con una pastorale giovanile e vocazionale ricca di ardore e di inventiva, capace di mostrare la bellezza del ministero sacerdotale. Saluto volentieri, in questo contesto, anche i superiori e gli alunni del Pontificio Seminario Regionale Umbro.
Voi, persone consacrate, date ragione con la vostra vita della speranza che avete riposto in Cristo. Per questa Chiesa costituite una ricchezza grande, sia nell’ambito della pastorale parrocchiale sia a vantaggio dei tanti pellegrini, che spesso vengono a chiedervi ospitalità, aspettandosi anche una testimonianza spirituale. In particolare, voi claustrali, sappiate tenere alta la fiaccola della contemplazione. A ciascuna di voi desidero ripetere le parole che Santa Chiara scriveva in una lettera ad Agnese di Boemia, chiedendole di fare di Cristo il suo "specchio": "Guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto…" (4 LAg 15 : FF 2902). La vostra vita di nascondimento e di preghiera non vi sottrae al dinamismo missionario della Chiesa, al contrario vi pone nel suo cuore. Più sono alte le sfide apostoliche, più c’è bisogno del vostro carisma. Siate segni dell’amore di Cristo, a cui possano guardare tutti gli altri fratelli e sorelle esposti alle fatiche della vita apostolica e dell’impegno laicale nel mondo.
Nel confermarvi il mio affetto pieno di fiducia e nell’affidarvi all’intercessione della Beata Vergine Maria e dei vostri Santi, a cominciare da Francesco e Chiara, a tutti imparto una speciale Benedizione Apostolica.
[00888-01.02] [Testo originale: Italiano]
● INCONTRO CON I GIOVANI SUL PIAZZALE DELLA BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
Lasciata la Cattedrale di San Rufino, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto alla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Lungo il percorso, transitando davanti all’Istituto Serafico, saluta e benedice i non vedenti e i sordomuti in attesa del Suo passaggio.
Alle ore 17.45 il Papa arriva sul piazzale antistante la Basilica di Santa Maria degli Angeli, lo attraversa salutando i giovani ed entra in Basilica, accolto dal Custode di Santa Maria degli Angeli, P. Alfredo Bucaioni; dal Rettore della Basilica, P. Rosario Gugliotta e dal Parroco, P. Francesco De Lazzari. Il Santo Padre si reca quindi in visita alla Porziuncola e alla Cappella del Transito di San Francesco.
Alle ore 18, sul piazzale della Basilica, ha luogo l’Incontro con i giovani. Dopo il saluto di due ragazzi, Marco Giuliani e Ilaria Perticoni, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Carissimi giovani,
grazie per la vostra accoglienza, così calorosa, sento in voi la fede, sento la gioia di essere cristiani cattolici. Grazie per le parole affettuose e per le importanti domande che i vostri due rappresentanti mi hanno rivolto. Spero di dire qualcosa nel corso di questo incontro su queste domande che sono domande della vita; quindi, non posso dare adesso una risposta esauriente, ma cerco di dire qualcosa, ma soprattutto, saluto tutti voi, giovani di questa Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, con il vostro Vescovo, Mons. Domenico Sorrentino. Saluto voi, giovani, di tutte le diocesi dell’Umbria, qui convenuti con i vostri Pastori. Saluto naturalmente anche voi, giovani venuti da altre regioni d’Italia, accompagnati dai vostri animatori francescani. Un cordiale saluto rivolgo al Cardinale Attilio Nicora, mio Legato per le Basiliche papali di Assisi, e ai Ministri Generali dei vari Ordini francescani.
Ci accoglie qui, con Francesco, il cuore della Madre, la "Vergine fatta Chiesa", come egli ama invocarla (cfr Saluto alla Beata Vergine Maria, 1: FF 259). Francesco aveva per la chiesetta della Porziuncola, custodita in questa Basilica di Santa Maria degli Angeli, un affetto speciale. Essa fu tra le chiese che egli si diede a riparare nei primi anni della sua conversione e dove ascoltò e meditò il Vangelo della missione (cfr 1 Cel I,9,22: FF 356). Dopo i primi passi di Rivotorto, fu qui che egli pose il "quartier generale" dell’Ordine, dove i frati potessero raccogliersi quasi come nel grembo materno, per rigenerarsi e ripartire pieni di slancio apostolico. Qui ottenne per tutti una sorgente di misericordia nell’esperienza del "grande perdono", del quale tutti abbiamo sempre bisogno. Qui infine visse il suo incontro con "sorella morte".
Cari giovani, voi sapete che il motivo che mi ha portato ad Assisi è stato il desiderio di rivivere il cammino interiore di Francesco, in occasione dell’VIII centenario della sua conversione. Questo momento del mio pellegrinaggio ha un significato particolare. L’ho pensato questo momento come culmine della mia giornata. San Francesco parla a tutti, ma so che ha proprio per voi giovani un’attrazione speciale. Me lo conferma la vostra presenza così numerosa, come anche gli interrogativi che mi avete posto. La sua conversione avvenne quando era nel pieno della sua vitalità, delle sue esperienze, dei suoi sogni. Aveva trascorso venticinque anni senza venire a capo del senso della vita. Pochi mesi prima di morire, ricorderà quel periodo come il tempo in cui "era nei peccati" (cfr. 2 Test 1: FF 110).
A che cosa pensava, Francesco, parlando di peccati? Stando alle biografie, ciascuna delle quali ha un suo taglio, non è facile determinarlo. Un efficace ritratto del suo modo di vivere si trova nella Leggenda dei tre compagni, dove si legge: "Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai giochi e ai canti, girovagava per la città di Assisi giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso nello spendere da dissipare in pranzi e altre cose tutto quello che poteva avere o guadagnare" (3 Comp 1,2: FF 1396). Di quanti ragazzi anche ai nostri giorni non si potrebbe dire qualcosa di simile? Oggi poi c’è la possibilità di andare a divertirsi ben oltre la propria città. Le iniziative di svago durante i week-end raccolgono tanti giovani. Si può "girovagare" anche virtualmente "navigando" in internet, cercando informazioni o contatti di ogni tipo. Purtroppo non mancano – ed anzi sono tanti, troppi! – i giovani che cercano paesaggi mentali tanto fatui quanto distruttivi nei paradisi artificiali della droga. Come negare che sono molti i ragazzi, e non ragazzi, tentati di seguire da vicino la vita del giovane Francesco, prima della sua conversione? Sotto quel modo di vivere c’era il desiderio di felicità che abita ogni cuore umano. Ma poteva quella vita dare la gioia vera? Francesco certo non la trovò. Voi stessi, cari giovani, potete fare questa verifica a partire dalla vostra esperienza. La verità è che le cose finite possono dare barlumi di gioia, ma solo l’Infinito può riempire il cuore. Lo ha detto un altro grande convertito, Sant’Agostino: "Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" (Confess. 1,1).
Sempre lo stesso testo biografico ci riferisce che Francesco era piuttosto vanitoso. Gli piaceva farsi confezionare abiti sontuosi e andava alla ricerca dell’originalità (cfr 3 Comp 1, 2: FF 1396). Nella vanità, nella ricerca dell’originalità, c’è qualcosa da cui tutti siamo in qualche modo toccati. Oggi si suol parlare di "cura dell’immagine", o di "ricerca dell’immagine". Per poter avere un minimo di successo, abbiamo bisogno di accreditarci agli occhi altrui con qualcosa di inedito, di originale. In certa misura, questo può esprimere un innocente desiderio di essere ben accolti. Ma spesso vi si insinua l’orgoglio, la ricerca smodata di noi stessi, l’egoismo e la voglia di sopraffazione. In realtà, centrare la vita su se stessi è una trappola mortale: noi possiamo essere noi stessi solo se ci apriamo nell’amore, amando Dio e i nostri fratelli.
Un aspetto che impressionava i contemporanei di Francesco era anche la sua ambizione, la sua sete di gloria e di avventura. Fu questo a portarlo sul campo di battaglia, facendolo finire prigioniero per un anno a Perugia. La stessa sete di gloria, una volta libero, lo avrebbe portato nelle Puglie, in una nuova spedizione militare, ma proprio in questa circostanza, a Spoleto, il Signore si fece presente al suo cuore, lo indusse a tornare sui suoi passi, e a mettersi seriamente in ascolto della sua Parola. È interessante annotare come il Signore abbia preso Francesco per il suo verso, quello della voglia di affermarsi, per additargli la strada di un’ambizione santa, proiettata sull’infinito: "Chi può esserti più utile: il padrone o il servo?" (3 Comp 2,6: FF 1401), fu la domanda che egli sentì risuonare nel suo cuore. È come dire: perché accontentarti di stare alle dipendenze degli uomini, quando c’è un Dio pronto ad accoglierti nella sua casa, al suo servizio regale?
Cari giovani, mi avete ricordato alcuni problemi della condizione giovanile, della vostra difficoltà a costruirvi un futuro, e soprattutto della fatica a discernere la verità. Nel racconto della passione di Cristo troviamo la domanda di Pilato: "Che cos’è la verità?" (Gv 18,38). E’ la domanda di uno scettico che dice: "Ma tu dici di essere la verità, ma che cosa è verità?" E così essendo irriconoscibile la verità, Pilato lascia intendere: facciamo secondo quanto è più pratico, ha più successo, e non cercando la verità. Condanna poi Gesù a morte, perché segue il pragmatismo, il successo, la sua propria fortuna. Anche oggi, tanti dicono: "ma che cosa è la verità? Possiamo trovarne frammenti, ma la verità come potremmo trovarla?" E’ realmente arduo credere che questa sia la verità: Gesù Cristo, la Vera Vita, la bussola della nostra vita. E tuttavia, se cominciamo, come è una grande tentazione, a vivere solo secondo le possibilità del momento, senza verità, veramente perdiamo il criterio e perdiamo anche il fondamento della pace comune che può essere solo la verità. E questa verità è Cristo. La verità di Cristo si è verificata nella vita dei santi di tutti i secoli. I santi sono la grande traccia di luce nella storia che attesta: questa è la vita, questo è il cammino, questa è la verità. Perciò, abbiamo il coraggio di dire sì a Gesù Cristo: "La sua verità è verificata nella vita di tanti santi. Ti seguiamo!" Cari giovani, venendo dalla Basilica del Sacro Convento, qui, ho pensato che parlare quasi un’ora da solo, forse non è bene. Perciò, penso sarebbe adesso il momento per una pausa, per un canto. So che avete fatto tanti canti, forse posso sentire un canto vostro in questo momento. Allora, abbiamo sentito ripetere nel canto che san Francesco ha sentito la voce. Ha sentito nel suo cuore la voce di Cristo, e che cosa succede? Succede che capisce che deve mettersi al servizio dei fratelli, soprattutto dei più sofferenti. Questa è la conseguenza di questo primo incontro con la voce di Cristo. Questa mattina, passando per Rivotorto, ho dato uno sguardo al luogo in cui, secondo la tradizione, erano raccolti i lebbrosi: gli ultimi, gli emarginati, nei confronti dei quali Francesco provava un irresistibile senso di ribrezzo. Toccato dalla grazia, egli aprì loro il suo cuore. E lo fece non solo attraverso un pietoso gesto di elemosina, sarebbe troppo poco, ma baciandoli e servendoli. Egli stesso confessa che quanto prima gli risultava amaro, divenne per lui "dolcezza di anima e di corpo" (2 Test 3: FF 110).
La grazia quindi comincia a plasmare Francesco. Egli diventò sempre più capace di fissare il suo sguardo sul volto di Cristo e di ascoltarne la voce. Fu a quel punto che il Crocifisso di San Damiano gli rivolse la parola chiamandolo a un’ardita missione: "Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina". (2 Cel I, 6, 10: FF 593). Sostando questa mattina a San Damiano, e poi nella Basilica di Santa Chiara, dove si conserva il Crocifisso originale che parlò a Francesco, ho fissato anch’io i miei occhi in quegli occhi di Cristo. È l’immagine del Cristo Crocifisso–Risorto, vita della Chiesa, che parla anche in noi se siamo attenti, come duemila anni fa parlò ai suoi apostoli e ottocento anni fa parlò a Francesco. La Chiesa vive continuamente di questo incontro.
Sì, cari giovani: lasciamoci incontrare da Cristo! Fidiamoci di Lui, ascoltiamo la sua Parola. In Lui non c’è soltanto un essere umano affascinante. Certo, egli è pienamente uomo, e in tutto simile a noi, tranne che nel peccato (cfr Eb 4, 15). Ma è anche molto di più: Dio è fatto uomo in Lui e pertanto è l’unico Salvatore, come dice il suo stesso nome: Gesù, ossia "Dio salva". Ad Assisi si viene per apprendere da San Francesco il segreto per riconoscere Gesù Cristo e fare esperienza di Lui. Ecco che cosa sentiva Francesco per Gesù, stando a ciò che narra il suo primo biografo: "Gesù portava sempre nel cuore. Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra… Anzi, trovandosi molte volte in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù" (1 Cel II, 9, 115: FF 115). Così vediamo che la comunione con Gesù apre anche il cuore e gli occhi per il creato.
Francesco, insomma, era un vero innamorato di Gesù. Lo incontrava nella Parola di Dio, nei fratelli, nella natura, ma soprattutto nella sua presenza eucaristica. Scriveva a tal proposito nel Testamento: "Dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo" (2 Test 10: FF 113). Il Natale di Greccio esprime il bisogno di contemplarlo nella sua tenera umanità di bimbo (cfe 1 Cel I, 30, 85-86: FF 469-470). L’esperienza della Verna, dove riceve le stimmate, mostra a quale grado di intimità egli fosse arrivato nel rapporto con Cristo crocifisso. Egli poteva realmente dire con Paolo: "Per me vivere è Cristo" (Fil 1,21). Se si spoglia di tutto e sceglie la povertà, il motivo di tutto questo è Cristo, e solo Cristo. Gesù è il suo tutto: e gli basta!
Proprio perché di Cristo, Francesco è anche uomo della Chiesa. Dal Crocifisso di San Damiano aveva avuto l’indicazione di riparare la casa di Cristo, che è appunto la Chiesa. Tra Cristo e la Chiesa c’è un rapporto intimo e indissolubile. Essere chiamato a ripararla implicava, certo, nella missione di Francesco, qualcosa di proprio e di originale. Al tempo stesso, quel compito null’altro era, in fondo, che la responsabilità attribuita da Cristo ad ogni battezzato. E anche ad ognuno di noi dice: "Và, e ripara la mia casa". Noi tutti siamo chiamati a riparare in ogni generazione di nuovo la casa di Cristo, la Chiesa. E solo facendo così vive la Chiesa e diventa bella. E come sappiamo, ci sono tanti modi di riparare, di edificare, di costruire la casa di Dio, la Chiesa. Si edifica poi attraverso le più diverse vocazioni, da quella laicale e familiare, alla vita di speciale consacrazione, alla vocazione sacerdotale.
Una parola, a questo punto, desidero spendere proprio su quest’ultima vocazione. Francesco, che fu diacono, non sacerdote (cfr1 Cel I,30,86: FF 470), nutriva per i sacerdoti una venerazione grande. Pur sapendo che anche nei ministri di Dio c’è tanta povertà e fragilità, li vedeva come ministri del Corpo di Cristo, e ciò bastava a far scaturire in lui un senso di amore, di riverenza e di obbedienza (cfr 2 Test 6-10: FF 112-113). Il suo amore per i sacerdoti è un invito a riscoprire la bellezza di questa vocazione. Essa è vitale per il popolo di Dio. Cari giovani, circondate di amore e gratitudine i vostri sacerdoti. Se il Signore dovesse chiamare qualcuno di voi a questo grande ministero, come anche a qualche forma di vita consacrata, non esitate a dire il vostro sì. Sì non è facile, ma è bello essere ministri del Signore, è bello spendere la vita per Lui!
Affetto veramente filiale il giovane Francesco sentì nei confronti del suo Vescovo, e fu nelle sue mani che, spogliandosi di tutto, fece la professione di una vita ormai totalmente consacrata al Signore (cfr 1 Cel I, 6, 15: FF 344). Sentì in modo speciale la missione del Vicario di Cristo, al quale sottopose la sua Regola e affidò il suo Ordine. Se i Papi hanno mostrato tanto affetto ad Assisi, lungo la storia, questo in certo senso è un ricambiare l’affetto che Francesco ha avuto per il Papa. Io sono felice, carissimi giovani, di essere qui, sulla scia dei miei Predecessori, e in particolare dell’amico, dell’amato Papa Giovanni Paolo II.
Come a cerchi concentrici, l’amore di Francesco per Gesù si dilata non solo sulla Chiesa ma su tutte le cose, viste in Cristo e per Cristo. Nasce di qui il Cantico delle Creature, in cui l’occhio riposa nello splendore del Creato: da fratello sole a sorella luna, da sorella acqua a frate fuoco. Il suo sguardo interiore è diventato così puro e penetrante da scorgere la bellezza del Creatore nella bellezza delle creature. Il Cantico di frate sole, prima di essere un’altissima pagina di poesia e un implicito invito al rispetto del creato, è una preghiera, una lode rivolta al Signore, al Creatore di tutto.
All’insegna della preghiera è da vedere anche l’impegno di Francesco per la pace. Questo aspetto della sua vita è di grande attualità, in un mondo che di pace ha tanto bisogno e non riesce a trovarne la via. Francesco fu un uomo di pace e un operatore di pace. Lo mostrò anche nella mitezza con cui si pose, senza tuttavia mai tacere la sua fede, di fronte ad uomini di altre fedi, come dimostra il suo incontro con il Sultano (cfr 1 Cel I, 20, 57: FF 422). Se oggi il dialogo interreligioso, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, è diventato patrimonio comune e irrinunciabile della sensibilità cristiana, Francesco può aiutarci a dialogare autenticamente, senza cadere in un atteggiamento di indifferenza nei confronti della verità o nell’attenuazione del nostro annuncio cristiano. Il suo essere uomo di pace, di tolleranza, di dialogo, nasce sempre dall’esperienza di Dio-Amore. Il suo saluto di pace è, non a caso, una preghiera: "Il Signore ti dia la pace" (2 Test 23: FF 121).
Cari giovani, la vostra numerosa presenza qui dice quanto la figura di Francesco parli al vostro cuore. Io volentieri vi riconsegno il suo messaggio, ma soprattutto la sua vita e la sua testimonianza. È tempo di giovani che, come Francesco, facciano sul serio e sappiano entrare in un rapporto personale con Gesù. È tempo di guardare alla storia di questo terzo millennio da poco iniziato come a una storia che ha più che mai bisogno di essere lievitata dal Vangelo.
Faccio ancora una volta mio l’invito che il mio amato Predecessore, Giovanni Paolo II, amava sempre rivolgere, specialmente ai giovani: "Aprite le porte a Cristo". Apritele come fece Francesco, senza paura, senza calcoli, senza misura. Siate, cari giovani, la mia gioia, come lo siete stati di Giovanni Paolo II. Da questa Basilica dedicata a Santa Maria degli Angeli vi do appuntamento alla Santa Casa di Loreto, ai primi di settembre, per l’Agorà dei giovani italiani.
A voi tutti la mia benedizione. Grazie per tutto, per la vostra presenza, per la vostra preghiera.
[00889-01.02] [Testo originale: Italiano]
Al termine il Papa saluta alcuni rappresentanti dei giovani. Quindi lascia la Basilica di Santa Maria degli Angeli e raggiunge in auto il campo sportivo "Migaghelli" da dove in elicottero riparte per far rientro a Roma. L’arrivo all’eliporto vaticano è previsto per le ore 19.50.
[B0331-01.02]