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VISITA AL POLICLINICO "SAN MATTEO" DI PAVIA Alle ore 9 di questa mattina, lasciato l’Episcopio, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita al Policlinico "San Matteo" di Pavia. Nel piazzale interno del Policlinico il Papa incontra i dirigenti, il personale medico, gli ammalati e i familiari.
Dopo i saluti del Presidente del Policlinico, Sig. Alberto Guglielmo, e di una rappresentante della comunità degli ammalati, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
nel programma della visita pastorale a Pavia non poteva mancare una sosta al Policlinico "San Matteo" per incontrare voi, cari ammalati, che provenite non solo dalla provincia di Pavia ma da tutta l’Italia. A ciascuno esprimo la mia personale vicinanza e solidarietà, mentre abbraccio spiritualmente anche gli ammalati, i sofferenti e le persone in difficoltà che si trovano nella vostra Diocesi e quanti se ne prendono amorevole cura. A tutti vorrei far giungere una parola di incoraggiamento e di speranza. Rivolgo un rispettoso saluto al Presidente del Policlinico, Signor Alberto Guglielmo, e lo ringrazio per le cordiali espressioni che mi ha poc’anzi indirizzato. La mia gratitudine si estende ai medici, agli infermieri e a tutto il personale, che qui opera quotidianamente. Un pensiero grato rivolgo ai Padri Camilliani, che con vivo zelo pastorale recano ogni giorno ai malati il conforto della fede, come pure alle Suore della Provvidenza impegnate in un generoso servizio secondo il carisma del loro Fondatore, san Luigi Scrosoppi. Un grazie di cuore esprimo alla rappresentante degli ammalati e con affetto penso pure ai familiari dei malati, che con i loro cari condividono momenti di trepidazione e di fiduciosa attesa.
L’ospedale è un luogo che potremmo dire in qualche modo "sacro", dove si sperimenta la fragilità della natura umana, ma anche le enormi potenzialità e risorse dell’ingegno dell’uomo e della tecnica al servizio della vita. La vita dell’uomo! Questo grande dono, per quanto lo si esplori, resta sempre un mistero. So che questa vostra struttura ospedaliera, il Policlinico "San Matteo", è ben conosciuta in questa Città e nel resto d’Italia, soprattutto per alcuni interventi di avanguardia. Qui, voi cercate di alleviare la sofferenza delle persone nel tentativo di un pieno recupero delle condizioni di salute e molto spesso, grazie anche alle moderne scoperte scientifiche, ciò avviene. Qui si ottengono dei risultati veramente confortanti. Il mio vivo auspicio è che, al necessario progresso scientifico e tecnologico, si accompagni costantemente la coscienza di promuovere, insieme con il bene del malato, anche quei valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita in ogni sua fase, dai quali dipende la qualità autenticamente umana di una convivenza.
Trovandomi tra voi, mi viene spontaneo pensare a Gesù che, nel corso della sua esistenza terrena, ha sempre mostrato una particolare attenzione verso i sofferenti, guarendoli e donando loro la possibilità di un ritorno alla vita di relazione familiare e sociale che la malattia aveva compromesso. Penso anche alla prima comunità cristiana, dove, come leggiamo in questi giorni negli Atti degli Apostoli, molte guarigioni e prodigi accompagnavano la predicazione degli Apostoli. Sempre la Chiesa, seguendo l’esempio del suo Signore, manifesta una speciale predilezione verso chi soffre, e, come ha detto il Signor Presidente, vede nel sofferente Cristo stesso, e non cessa di offrire ai malati l’aiuto necessario, l’aiuto tecnico e l’amore umano, consapevole di essere chiamata a manifestare l’amore e la sollecitudine di Cristo verso di essi e verso coloro che se ne prendono cura. Progresso tecnico, tecnologico, e amore umano devono sempre andare insieme!
Particolarmente attuale risuona, poi, in questo luogo la parola di Gesù: "Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40.45). In ogni persona colpita dalla malattia è Lui stesso che attende il nostro amore. Certo, la sofferenza ripugna all’animo umano; rimane però sempre vero che, quando viene accolta con amore, con compassione, ed è illuminata dalla fede, diviene un’occasione preziosa che unisce in maniera misteriosa al Cristo Redentore, l’Uomo dei dolori, che sulla Croce ha assunto su di sé il dolore e la morte dell’uomo. Con il sacrificio della sua vita Egli ha redento la sofferenza umana e ne ha fatto il mezzo fondamentale della salvezza. Cari ammalati, affidate al Signore i disagi e le pene che dovete affrontare e nel suo piano diventeranno mezzi di purificazione e di redenzione per il mondo intero. Cari amici, assicuro a ciascuno di voi il mio ricordo nella preghiera e, mentre invoco Maria Santissima, Salus infirmorum – Salute degli infermi, perché protegga voi e le vostre famiglie, i dirigenti, i medici e l’intera comunità del Policlinico, a tutti con affetto imparto una speciale Benedizione Apostolica.
Al termine del discorso il Papa saluta una rappresentanza di medici e di ammalati.
[00577-01.01] [Testo originale: Italiano]
● CELEBRAZIONE EUCARISTICA AGLI ORTI DELL’ALMO COLLEGIO BORROMEO DI PAVIA
Lasciato il Policlinico "San Matteo", il Santo Padre si reca in auto agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo dove, alle ore 10.30, presiede la Celebrazione della Santa Messa con i Vescovi della Lombardia, i Sacerdoti della Diocesi e una rappresentanza dei Padri Agostiniani.
Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto del Vescovo di Pavia, S.E. Mons. Giovanni Giudici, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
Ieri pomeriggio ho incontrato la Comunità diocesana di Vigevano ed il cuore di questa mia visita pastorale è stata la Concelebrazione eucaristica in Piazza Ducale; quest’oggi ho la gioia di visitare la vostra Diocesi e momento culminante di questo nostro incontro è anche qui la Santa Messa. Con affetto saluto i Confratelli che concelebrano con me: il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, il Pastore della vostra diocesi, il Vescovo Giovanni Giudici, quello emerito, il Vescovo Giovanni Volta, e gli altri Presuli della Lombardia. Sono grato per la loro presenza ai Rappresentanti del Governo e delle Amministrazioni locali. Rivolgo il mio saluto cordiale ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai responsabili delle associazioni laicali, ai giovani, ai malati e a tutti i fedeli, ed estendo il mio pensiero all’intera popolazione di questa antica e nobile città e della Diocesi.
Nel tempo pasquale la Chiesa ci presenta, domenica per domenica, qualche brano della predicazione con cui gli Apostoli, in particolare Pietro, dopo la Pasqua invitavano Israele alla fede in Gesù Cristo, il Risorto, fondando così la Chiesa. Nell’odierna lettura gli Apostoli stanno davanti al Sinedrio – davanti a quell’istituzione che, avendo dichiarato Gesù reo di morte, non poteva tollerare che questo Gesù, mediante la predicazione degli Apostoli, ora cominciasse ad operare nuovamente; non poteva tollerare che la sua forza risanatrice si facesse di nuovo presente e intorno a questo nome si raccogliessero persone che credevano in Lui come nel Redentore promesso. Gli Apostoli vengono accusati. Il rimprovero è: "Volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo". A questa accusa Pietro risponde con una breve catechesi sull’essenza della fede cristiana: "No, non vogliamo far ricadere il suo sangue su di voi. L’effetto della morte e risurrezione di Gesù è totalmente diverso. Dio lo ha fatto «capo e salvatore» per tutti, proprio anche per voi, per il suo popolo d’Israele". E dove conduce questo "capo", che cosa porta questo "salvatore"? Egli, così ci dice San Pietro, conduce alla conversione – crea lo spazio e la possibilità di ravvedersi, di pentirsi, di ricominciare. Ed Egli dona il perdono dei peccati – ci introduce nel giusto rapporto con Dio e così nel giusto rapporto di ognuno con se stesso e con gli altri.
Questa breve catechesi di Pietro non valeva solo per il Sinedrio. Essa parla a tutti noi. Poiché Gesù, il Risorto, vive anche oggi. E per tutte le generazioni, per tutti gli uomini Egli è il "capo" che precede sulla via, mostra la via e il "salvatore" che rende la nostra vita giusta. Le due parole "conversione" e "perdono dei peccati", corrispondenti ai due titoli di Cristo "capo", archegòs in greco, e "salvatore", sono le parole-chiave della catechesi di Pietro, parole che in quest’ora vogliono raggiungere anche il nostro cuore. E che cosa vogliono dire? Il cammino che dobbiamo fare – il cammino che Gesù ci indica, si chiama "conversione". Ma che cosa è? Che cosa bisogna fare? In ogni vita la conversione ha la sua forma propria, perché ogni uomo è qualcosa di nuovo e nessuno è soltanto la copia di un altro. Ma nel corso della storia della cristianità il Signore ci ha mandato modelli di conversione, guardando ai quali possiamo trovare orientamento. Potremmo per questo guardare a Pietro stesso, a cui il Signore nel cenacolo aveva detto: "Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32). Potremmo guardare a Paolo come a un grande convertito. La città di Pavia parla di uno dei più grandi convertiti della storia della Chiesa: sant’Aurelio Agostino. Egli morì il 28 agosto del 430 nella città portuale di Ippona, in Africa, allora circondata ed assediata dai Vandali. Dopo parecchia confusione di una storia agitata, il re dei Longobardi acquistò le sue spoglie per la città di Pavia, cosicché ora egli appartiene in modo particolare a questa città ed in essa e da essa parla a tutti noi, all’umanità, ma particolarmente a tutti noi qui in maniera speciale.
Nel suo libro "Le Confessioni", Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, che col Battesimo amministratogli dal Vescovo Ambrogio nel duomo di Milano aveva raggiunto la sua meta. Chi legge Le Confessioni può condividere il cammino che Agostino in una lunga lotta interiore dovette percorrere per ricevere finalmente, nella notte di Pasqua del 387, al fonte battesimale il Sacramento che segnò la grande svolta della sua vita. Seguendo attentamente il corso della vita di sant’Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato. Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione – fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio. Così possiamo giustamente parlare delle "conversioni" di Agostino che, di fatto, sono state un’unica grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui.
Vorrei brevemente parlare di tre grandi tappe in questo cammino di conversione, di tre "conversioni". La prima conversione fondamentale fu il cammino interiore verso il cristianesimo, verso il "sì" della fede e del Battesimo. Quale fu l’aspetto essenziale di questo cammino? Agostino, da una parte, era figlio del suo tempo, condizionato profondamente dalle abitudini e dalle passioni in esso dominanti, come anche da tutte le domande e i problemi di un uomo giovane. Viveva come tutti gli altri, e tuttavia c’era in lui qualcosa di diverso: egli rimase sempre una persona in ricerca. Non si accontentò mai della vita così come essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. Voleva riuscire a sapere che cosa è l’uomo; da dove proviene il mondo; di dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere ciecamente senza senso e senza meta. La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita. La passione per la verità realmente lo ha guidato. E c’è ancora una peculiarità. Tutto ciò che non portava il nome di Cristo, non gli bastava. L’amore per questo nome – ci dice – lo aveva bevuto col latte materno (cfr Conf 3,4,8). E sempre aveva creduto – a volte piuttosto vagamente, a volte più chiaramente – che Dio esiste e che Egli si prende cura di noi (cfr Conf 6,5,8). Ma conoscere veramente questo Dio e familiarizzare davvero con quel Gesù Cristo e arrivare a dire "sì" a Lui con tutte le conseguenze –questa era la grande lotta interiore dei suoi anni giovanili. Egli ci racconta che, per il tramite della filosofia platonica, aveva appreso e riconosciuto che "in principio era il Verbo" – il Logos, la ragione creatrice. Ma la filosofia, che gli mostrava che il principio di tutto è la ragione creatrice, questa stessa filosofia non gli indicava alcuna via per raggiungerlo; questo Logos rimaneva lontano e intangibile. Solo nella fede della Chiesa trovò poi la seconda verità essenziale: il Verbo, il Logos, si è fatto carne. E così esso ci tocca, noi lo tocchiamo. All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere - questo è il grande passo - l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo; che vive con la Chiesa e solo così entra nella comunione concreta, anzi corporea, con il Dio vivente. Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e fanno. Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù Cristo. Imparare l’umiltà della fede nella Chiesa corporea di Gesù Cristo, del Logos incarnato.
La sua seconda conversione Agostino ce la descrive alla fine del decimo libro delle sue Confessioni con le parole: "Oppresso dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu, però, me lo impedisti, confortandomi con queste parole: «Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per tutti»" (2 Cor 5,15; Conf 10,43,70). Che cosa era successo? Dopo il suo Battesimo, Agostino si era deciso a ritornare in Africa e lì aveva fondato, insieme con i suoi amici, un piccolo monastero. Ora la sua vita doveva essere dedita totalmente al colloquio con Dio e alla riflessione e contemplazione della bellezza e della verità della sua Parola. Così egli passò tre anni felici, nei quali si credeva arrivato alla meta della sua vita; in quel periodo nacque una serie di preziose opere filosofico-teologiche. Nel 391, quattro anni dopo il battesimo, egli andò a trovare nella città portuale di Ippona un amico, che voleva conquistare per il suo monastero. Ma nella liturgia domenicale, alla quale partecipò nella cattedrale, venne riconosciuto. Il Vescovo della città, un uomo di provenienza greca, che non parlava bene il latino e faceva fatica a predicare, nella sua omelia non a caso disse di aver l’intenzione di scegliere un sacerdote al quale affidare anche il compito della predicazione. Immediatamente la gente afferrò Agostino e lo portò di forza avanti, perché venisse consacrato sacerdote a servizio della città. Subito dopo questa sua consacrazione forzata, Agostino scrisse al Vescovo Valerio: "Mi sentivo come uno che non sa tenere il remo e a cui, tuttavia, è stato assegnato il secondo posto al timone… E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione" (cfr Ep 21,1s). Il bel sogno della vita contemplativa era svanito, la vita di Agostino ne risultava fondamentalmente cambiata. Ora non poteva più dedicarsi solo alla meditazione nella solitudine. Doveva vivere con Cristo per tutti. Doveva tradurre le sue conoscenze e i suoi pensieri sublimi nel pensiero e nel linguaggio della gente semplice della sua città. La grande opera filosofica di tutta una vita, che aveva sognato, restò non scritta. Al suo posto ci venne donata una cosa più preziosa: il Vangelo tradotto nel linguaggio della vita quotidiana e delle sue sofferenze. Ciò che ora costituiva la sua quotidianità, lo ha descritto così: "Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti" (cfr Serm 340, 3). "Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica" (Serm 339, 4). Fu questa la seconda conversione che quest’uomo, lottando e soffrendo, dovette continuamente realizzare: sempre di nuovo essere lì per tutti, non per la propria perfezione; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita.
C’è ancora una terza tappa decisiva nel cammino di conversione di sant’Agostino. Dopo la sua Ordinazione sacerdotale, egli aveva chiesto un periodo di vacanza per poter studiare più a fondo le Sacre Scritture. Il suo primo ciclo di omelie, dopo questa pausa di riflessione, riguardò il Discorso della montagna; vi spiegava la via della retta vita, "della vita perfetta" indicata in modo nuovo da Cristo – la presentava come un pellegrinaggio sul monte santo della Parola di Dio. In queste omelie si può percepire ancora tutto l’entusiasmo della fede appena trovata e vissuta: la ferma convinzione che il battezzato, vivendo totalmente secondo il messaggio di Cristo, può essere, appunto, "perfetto" secondo il Sermone della montagna. Circa vent’anni dopo, Agostino scrisse un libro intitolato Le Ritrattazioni, in cui passa in rassegna in modo critico le sue opere redatte fino a quel momento, apportando correzioni laddove, nel frattempo, aveva appreso cose nuove. Riguardo all’ideale della perfezione nelle sue omelie sul Discorso della montagna annota: "Nel frattempo ho compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (cfr Retract. I 19,1-3). Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà – non soltanto l’umiltà di inserire il suo grande pensiero nella fede umile della Chiesa, non solo l’umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella semplicità dell’annuncio, ma anche l’umiltà di riconoscere che a lui stesso e all’intera Chiesa peregrinante era ed è continuamente necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona ogni giorno; e noi – aggiungeva - ci rendiamo simili a Cristo, l’unico Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia.
In quest’ora ringraziamo Dio per la grande luce che si irradia dalla sapienza e dall’umiltà di sant’Agostino e preghiamo il Signore affinché doni a tutti noi, giorno per giorno, la conversione necessaria e così ci conduca verso la vera vita. Amen.
[00578-01.01] [Testo originale: Italiano]
● LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CAELI
Al termine della Celebrazione Eucaristica negli Orti Borromaici, il Papa introduce la preghiera mariana del tempo pasquale con le seguenti parole:
Cari fratelli e sorelle!
Prima di concludere questa celebrazione, desidero ringraziare tutti coloro che con cura e devozione l’hanno preparata e animata. Rivolgo un saluto affettuoso alle persone anziane e malate che hanno seguito la Santa Messa mediante la radio e la televisione, come pure alle comunità di clausura e a quanti per vari motivi non hanno potuto essere qui e si sono uniti a noi spiritualmente. Ricordo in particolare gli ospiti della Casa Circondariale di Torre del Gallo, che mi hanno scritto una bella lettera. Tra i presenti, invece, vorrei salutare ancora i giovani, sia quelli di Pavia che quelli venuti dalle Diocesi vicine. Cari ragazzi e ragazze, vi auguro di scoprire sempre più la gioia di seguire Gesù e di diventare suoi amici. E’ la gioia di Pietro e degli altri Apostoli, dei Santi e delle Sante di tutti i tempi. Questa gioia è anche quella che mi ha spinto a scrivere il libro Gesù di Nazaret, appena pubblicato. Per i più giovani è un po’ impegnativo, ma idealmente lo consegno a voi, perché accompagni il cammino di fede delle nuove generazioni.
Pensando ai giovani, mi piace ricordare che oggi si celebra in Italia la Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ un appuntamento significativo, perché l’Università Cattolica costituisce un punto di riferimento per la Comunità ecclesiale e offre un prezioso contributo scientifico, culturale e formativo all’intero Paese.
Rivolgiamo ora la mente ed il cuore alla Vergine Maria. A Lei affido l’intera Diocesi di Pavia, che la venera in tanti santuari e luoghi di preghiera. Alla sua materna protezione raccomando ogni singola comunità, ogni famiglia, specialmente le situazioni di maggiore difficoltà. Per tutti Maria Santissima ottenga pace e conforto. La invochiamo cantando insieme l’antifona del Tempo di Pasqua.
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre si trasferisce in auto all’Episcopio dove pranza con i Vescovi della Lombardia.
[00579-01.02][Testo originale: Italiano]
[B0212-XX.03]