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VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA, 07.04.2007


Alle ore 22 il Santo Padre Benedetto XVI presiede, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.
La Veglia ha inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione del fuoco e l’accensione del cero pasquale. Alla processione verso l’Altare con il cero pasquale e il canto dell’Exsultet, fanno seguito la Liturgia della Parola, la Liturgia Battesimale e la Liturgia Eucaristica, concelebrata con i Cardinali.
Nel corso della Liturgia Battesimale il Papa amministra i Sacramenti dell’iniziazione cristiana a sei catecumeni adulti - provenienti da diversi Paesi - ed il Battesimo a due bambini.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione del Santo Vangelo:

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Dai tempi più antichi la liturgia del giorno di Pasqua comincia con le parole: Resurrexi et adhuc tecum sum – sono risorto e sono sempre con te; tu hai posto su di me la tua mano. La liturgia vi vede la prima parola del Figlio rivolta al Padre dopo la risurrezione, dopo il ritorno dalla notte della morte nel mondo dei viventi. La mano del Padre lo ha sorretto anche in questa notte, e così Egli ha potuto rialzarsi, risorgere.

La parola è tratta dal Salmo 138 e lì ha inizialmente un significato diverso. Questo Salmo è un canto di meraviglia per l’onnipotenza e l’onnipresenza di Dio, un canto di fiducia in quel Dio che non ci lascia mai cadere dalle sue mani. E le sue mani sono mani buone. L’orante immagina un viaggio attraverso tutte le dimensioni dell’universo – che cosa gli accadrà? "Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra…», nemmeno le tenebre per te sono oscure … per te le tenebre sono come luce" (Sal 138 [139],8-12).

Nel giorno di Pasqua la Chiesa ci dice: Gesù Cristo ha compiuto per noi questo viaggio attraverso le dimensioni dell’universo. Nella Lettera agli Efesini leggiamo che Egli è disceso nelle regioni più basse della terra e che Colui che è disceso è il medesimo che è anche asceso al di sopra di tutti i cieli per riempire l’universo (cfr 4,9s). Così la visione del Salmo è diventata realtà. Nell’oscurità impenetrabile della morte Egli è entrato come luce – la notte divenne luminosa come il giorno, e le tenebre divennero luce. Perciò la Chiesa giustamente può considerare la parola di ringraziamento e di fiducia come parola del Risorto rivolta al Padre: "Sì, ho fatto il viaggio fin nelle profondità estreme della terra, nell’abisso della morte e ho portato la luce; e ora sono risorto e sono per sempre afferrato dalle tue mani". Ma questa parola del Risorto al Padre è diventata anche una parola che il Signore rivolge a noi: "Sono risorto e ora sono sempre con te", dice a ciascuno di noi. La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là ti aspetto io e trasformo per te le tenebre in luce.

Questa parola del Salmo, letta come colloquio del Risorto con noi, è allo stesso tempo una spiegazione di ciò che succede nel Battesimo. Il Battesimo, infatti, è più di un lavacro, di una purificazione. È più dell’assunzione in una comunità. È una nuova nascita. Un nuovo inizio della vita. Il passo della Lettera ai Romani, che abbiamo appena ascoltato, dice con parole misteriose che nel Battesimo siamo stati "innestati" nella somiglianza con la morte di Cristo. Nel Battesimo ci doniamo a Cristo – Egli ci assume in sé, affinché poi non viviamo più per noi stessi, ma grazie a Lui, con Lui e in Lui; affinché viviamo con Lui e così per gli altri. Nel Battesimo abbandoniamo noi stessi, deponiamo la nostra vita nelle sue mani, così da poter dire con san Paolo: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me". Se in questo modo ci doniamo, accettando una specie di morte del nostro io, allora ciò significa anche che il confine tra morte e vita diventa permeabile. Al di qua come al di là della morte siamo con Cristo e per questo, da quel momento in avanti, la morte non è più un vero confine. Paolo ce lo dice in modo molto chiaro nella sua Lettera ai Filippesi: "Per me il vivere è Cristo. Se posso essere presso di Lui (cioè se muoio) è un guadagno. Ma se rimango in questa vita, posso ancora portare frutto. Così sono messo alle strette tra queste due cose: essere sciolto – cioè essere giustiziato – ed essere con Cristo, sarebbe assai meglio; ma rimanere in questa vita è più necessario per voi" (cfr 1,21ss). Di qua e di là del confine della morte egli è con Cristo – non esiste più una vera differenza. Sì, è vero: "Alle spalle e di fronte tu mi circondi. Sempre sono nelle tue mani". Ai Romani Paolo ha scritto: "Nessuno … vive per se stesso e nessuno muore per se stesso … sia che viviamo, sia che moriamo, siamo … del Signore" (Rm 14,7s).

Cari battezzandi, è questa la novità del Battesimo: la nostra vita appartiene a Cristo, non più a noi stessi. Ma proprio per questo non siamo soli neppure nella morte, ma siamo con Lui che vive sempre. Nel Battesimo, insieme con Cristo, abbiamo già fatto il viaggio cosmico fin nelle profondità della morte. Accompagnati da Lui, anzi, accolti da Lui nel suo amore, siamo liberi dalla paura. Egli ci avvolge e ci porta, ovunque andiamo – Egli che è la Vita stessa.

Ritorniamo ancora alla notte del Sabato Santo. Nel Credo professiamo circa il cammino di Cristo: "Discese agli inferi". Che cosa accadde allora? Poiché non conosciamo il mondo della morte, possiamo figurarci questo processo del superamento della morte solo mediante immagini che rimangono sempre poco adatte. Con tutta la loro insufficienza, tuttavia, esse ci aiutano a capire qualcosa del mistero. La liturgia applica alla discesa di Gesù nella notte della morte la parola del Salmo 23 [24]: "Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche!" La porta della morte è chiusa, nessuno può tornare indietro da lì. Non c’è una chiave per questa porta ferrea. Cristo, però, ne possiede la chiave. La sua Croce spalanca le porte della morte, le porte irrevocabili. Esse ora non sono più invalicabili. La sua Croce, la radicalità del suo amore è la chiave che apre questa porta. L’amore di Colui che, essendo Dio, si è fatto uomo per poter morire – questo amore ha la forza per aprire la porta. Questo amore è più forte della morte. Le icone pasquali della Chiesa orientale mostrano come Cristo entra nel mondo dei morti. Il suo vestito è luce, perché Dio è luce. "La notte è chiara come il giorno, le tenebre sono come luce" (cfr Sal 138 [139],12). Gesù che entra nel mondo dei morti porta le stimmate: le sue ferite, i suoi patimenti sono diventati potenza, sono amore che vince la morte. Egli incontra Adamo e tutti gli uomini che aspettano nella notte della morte. Alla loro vista si crede addirittura di udire la preghiera di Giona: "Dal profondo degli inferi ho gridato, e tu hai ascoltato la mia voce" (Gio 2,3). Il Figlio di Dio nell’incarnazione si è fatto una cosa sola con l’essere umano – con Adamo. Ma solo in quel momento, in cui compie l’atto estremo dell’amore discendendo nella notte della morte, Egli porta a compimento il cammino dell’incarnazione. Mediante il suo morire Egli prende per mano Adamo, tutti gli uomini in attesa e li porta alla luce.

Ora, tuttavia, si può domandare: Ma che cosa significa questa immagine? Quale novità è lì realmente accaduta per mezzo di Cristo? L’anima dell’uomo, appunto, è di per sé immortale fin dalla creazione – che cosa di nuovo ha portato Cristo? Sì, l’anima è immortale, perché l’uomo in modo singolare sta nella memoria e nell’amore di Dio, anche dopo la sua caduta. Ma la sua forza non basta per elevarsi verso Dio. Non abbiamo ali che potrebbero portarci fino a tale altezza. E tuttavia, nient’altro può appagare l’uomo eternamente, se non l’essere con Dio. Un’eternità senza questa unione con Dio sarebbe una condanna. L’uomo non riesce a giungere in alto, ma anela verso l’alto: "Dal profondo grido a te…" Solo il Cristo risorto può portarci su fino all’unione con Dio, fin dove le nostre forze non possono arrivare. Egli prende davvero la pecora smarrita sulle sue spalle e la porta a casa. Aggrappati al suo Corpo noi viviamo, e in comunione con il suo Corpo giungiamo fino al cuore di Dio. E solo così è vinta la morte, siamo liberi e la nostra vita è speranza.

È questo il giubilo della Veglia Pasquale: noi siamo liberi. Mediante la risurrezione di Gesù l’amore si è rivelato più forte della morte, più forte del male. L’amore Lo ha fatto discendere ed è al contempo la forza nella quale Egli ascende. La forza per mezzo della quale ci porta con sé. Uniti col suo amore, portati sulle ali dell’amore, come persone che amano scendiamo insieme con Lui nelle tenebre del mondo, sapendo che proprio così saliamo anche con Lui. Preghiamo quindi in questa notte: Signore, dimostra anche oggi che l’amore è più forte dell’odio. Che è più forte della morte. Discendi anche nelle notti e negli inferi di questo nostro tempo moderno e prendi per mano coloro che aspettano. Portali alla luce! Sii anche nelle mie notti oscure con me e conducimi fuori! Aiutami, aiutaci a scendere con te nel buio di coloro che sono in attesa, che gridano dal profondo verso di te! Aiutaci a portarvi la tua luce! Aiutaci ad arrivare al "sì" dell’amore, che ci fa discendere e proprio così salire insieme con te! Alleluia. Amen.

[00500-01.01] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Chers Frères et Sœurs,

Depuis les temps les plus anciens, la liturgie du jour de Pâques commence par ces mots : Resurrexi et adhuc tecum sum – Je suis ressuscité et je me retrouve avec toi. Ta main s’est posée sur moi. La liturgie voit ici les premières paroles du Fils adressées au Père après la résurrection, après son retour de la nuit de la mort dans le monde des vivants. La main du Père l’a soutenu aussi en cette nuit, et ainsi il a pu se relever, ressusciter.

Cette parole vient du psaume 138, dans lequel elle a d’abord un autre sens. Ce psaume est un chant d’émerveillement devant la toute-puissance et l’omni-présence de Dieu, un chant de confiance en Dieu, qui ne nous laisse jamais tomber de ses mains. Et ses mains sont de bonnes mains. L’orant imagine un voyage à travers toutes les dimensions de l’univers – que lui arrivera-t-il ? «Je gravis les cieux : tu es là; je descends chez les morts : te voici. Je prends les ailes de l’aurore et me pose au-delà des mers : même là, ta main me conduit, ta main droite me saisit. J’avais dit : ‘Les ténèbres m’écrasent !’ Mais la nuit devient lumière autour de moi. Même les ténèbres pour toi ne sont pas ténèbres, et la nuit comme le jour est lumière !» (Ps 138 [139], 8-12).

Le jour de Pâques, l’Église nous dit : Jésus Christ a accompli pour nous ce voyage à travers les dimensions de l’univers. Dans la Lettre aux Éphésiens nous lisons qu’il est descendu jusqu’en bas sur la terre et que Celui qui est descendu est le même que Celui qui est aussi monté au plus haut des cieux pour combler tout l’univers (cf. 4, 9-10). Ainsi la vision du psaume est devenue réalité. Dans l’obscurité impénétrable de la mort, il est entré comme la lumière – la nuit devint lumière comme le jour, et les ténèbres devinrent lumière. C’est pourquoi l’Église peut justement considérer ces paroles d’action de grâce et de confiance comme les paroles du Ressuscité adressées au Père : «Oui, j’ai accompli le voyage jusqu’aux profondeurs extrêmes de la terre, dans l’abîme de la mort, et j’ai apporté la lumière; et maintenant je suis ressuscité et je suis pour toujours saisi par tes mains». Mais cette parole du Ressuscité au Père est devenue aussi une parole que le Seigneur nous adresse : «Je suis ressuscité et maintenant je suis pour toujours avec toi», dit-il à chacun d’entre nous. Ma main te soutient. Où que tu puisses tomber, tu tomberas dans mes mains. Je suis présent jusqu’aux portes de la mort. Là où personne ne peut plus t’accompagner et où tu ne peux rien emporter, là je t’attends et je change pour toi les ténèbres en lumière.

Cette parole du psaume, lue comme l’échange du Ressuscité avec nous, est en même temps une explication de ce qui advient dans le Baptême. Le Baptême, en effet, est plus qu’un bain, plus qu’une purification. Il est plus que l’entrée dans une communauté. Il est une nouvelle naissance. Un nouveau commencement de la vie. Le passage de la Lettre aux Romains, que nous venons d’entendre, dit avec des paroles mystérieuses que, dans le Baptême, nous avons été unis dans une mort semblable à celle du Christ. Dans le Baptême nous nous donnons au Christ – Il nous assume en lui, afin que nous ne vivions plus pour nous-mêmes, mais grâce à lui, avec lui et en lui; afin que nous vivions avec lui et ainsi pour les autres. Dans le Baptême, nous renonçons à nous-mêmes, nous déposons notre vie entre ses mains, disant avec saint Paul : «Je vis, mais ce n’est plus moi, c’est le Christ qui vit en moi». Si nous nous donnons de cette manière, acceptant une sorte de mort de notre moi, alors cela signifie aussi que la frontière entre la mort et la vie est devenue perméable. En deçà comme au-delà de la mort, nous sommes avec le Christ, et c’est pourquoi, à partir de ce moment-là, la mort n’est plus une vraie limite. Paul nous le dit d’une manière très claire dans sa Lettre aux Philippiens : «En effet, pour moi, vivre c’est le Christ, et mourir est un avantage. Mais si, en vivant en ce monde, j’arrive à faire un travail utile, je ne sais plus comment choisir. Je me sens pris entre les deux : je voudrais bien partir pour être avec le Christ, car c’est bien cela le meilleur; mais, à cause de vous, demeurer en ce monde est encore plus nécessaire» (cf. 1, 21-24). De part et d’autre de la frontière de la mort, il est avec le Christ, il n’y a plus de vraie différence. Oui, c’est vrai : «Tu me devances et me poursuis, tu m’enserres, tu as mis la main sur moi». Aux Romains, Paul écrit : «Aucun ... ne vit pour soi-même, et aucun ne meurt pour soi-même : si nous vivons, nous vivons pour le Seigneur, si nous mourons, nous mourons pour le Seigneur» (14, 7-8).

Chers Frères qui allez être baptisés, voilà la nouveauté du Baptême : notre vie appartient au Christ, elle n’est plus à nous. Et c’est pourquoi nous ne sommes plus seuls même dans la mort, mais nous sommes avec lui qui est toujours vivant. Dans le Baptême, unis au Christ, nous avons déjà accompli le voyage cosmique jusqu’aux profondeurs de la mort. Accompagnés par lui, et même accueillis par lui dans son amour, nous sommes libérés de la peur. Il nous enveloppe et il nous porte, où que nous allions, lui qui est la Vie même.

Retournons encore à la nuit du Samedi saint. Dans le Credo, nous proclamons, à propos du chemin du Christ : «Il est descendu aux enfers». Qu’est-il arrivé alors ? Puisque nous ne connaissons pas le monde de la mort, nous ne pouvons nous représenter ce processus de victoire sur la mort qu’à travers des images qui restent toujours peu adaptées. Avec toute leur insuffisance, elles nous aident cependant à comprendre quelque chose du mystère. La liturgie applique à la descente de Jésus dans la nuit de la mort la parole du psaume 23 [24]: «Portes, levez vos frontons, élevez-vous, portes éternelles!» La porte de la mort est fermée, personne ne peut entrer par là. Il n’y a pas de clé pour cette porte de fer. Pourtant, le Christ en a la clé. Sa Croix ouvre toutes grandes les portes de la mort, les portes inviolables. Maintenant, elles ne sont plus infranchissables. Sa Croix, la radicalité de son amour, est la clé qui ouvre cette porte. L’amour de Celui qui, étant Dieu, s’est fait homme pour pouvoir mourir, cet amour-là a la force d’ouvrir la porte. Cet amour est plus fort que la mort. Les icônes pascales de l’Église d’Orient montrent comment le Christ entre dans le monde des morts. Son vêtement est lumière, parce que Dieu est lumière. «Même les ténèbres pour toi ne sont pas ténèbres, et la nuit comme le jour est lumière» (cf. Ps 138 [139], 12). Jésus, qui entre dans le monde des morts, porte les stigmates : ses blessures, ses souffrances sont devenues puissance, elles sont amour qui vainc la mort. Jésus rencontre Adam et tous les hommes qui attendent dans la nuit de la mort. À leur vue, on croit même entendre la prière de Jonas : «Du ventre des enfers, j’appelle : tu écoutes ma voix» (Jon 2, 3). Dans l’incarnation, le Fils de Dieu s’est fait un avec l’être humain, avec Adam. Mais c’est seulement au moment où il accomplit l’acte extrême de l’amour en descendant dans la nuit de la mort qu’il porte à son accomplissement le chemin de l’incarnation. Par sa mort, il prend par la main Adam, tous les hommes en attente, et il les conduit à la lumière.

On peut toutefois demander : mais que signifie donc cette image ? Quelle nouveauté est réellement advenue avec le Christ ? L’âme de l’homme est par elle-même immortelle depuis la création – qu’est-ce le Christ a donc apporté de nouveau ? Oui, l’âme est immortelle, parce que l’homme demeure de manière singulière dans la mémoire et dans l’amour de Dieu, même après sa chute. Mais sa force ne lui suffit pas pour s’élever vers Dieu. Nous n’avons pas d’ailes qui pourraient nous porter jusqu’à une telle hauteur. Et pourtant rien d’autre ne peut combler l’homme éternellement si ce n’est être avec Dieu. Une éternité sans cette union avec Dieu serait une condamnation. L’homme ne réussit pas à atteindre les hauteurs, mais il aspire à monter : «Du ventre des enfers, j’appelle ...» Seul le Christ ressuscité peut nous mener jusqu’à l’union avec Dieu, jusqu’à ce point où, par nos forces, nous ne pouvons parvenir. Lui prend vraiment la brebis perdue sur ses épaules et il la ramène à la maison. Nous vivons accrochés à son Corps, et, en communion avec son Corps, nous allons jusqu’au cœur de Dieu. Ainsi seulement la mort est vaincue, nous sommes libres et notre vie est espérance.

Telle est la joie de la Vigile pascale : nous sommes libres. Par la résurrection de Jésus, l’amour s’est manifesté plus fort que la mort, plus fort que le mal. L’amour l’a fait descendre et il est en même temps la force par laquelle il est monté; la force par laquelle il nous porte avec lui. Unis à son amour, portés sur les ailes de son amour, comme des personnes qui aiment, nous descendons avec lui dans les ténèbres du monde, en sachant que nous montons aussi avec lui. Prions donc en cette nuit : Seigneur, montre aujourd’hui encore que l’amour est plus fort que la haine; qu’il est plus fort que la mort. Descends aussi dans les nuits et dans les enfers de notre temps et prends par la main ceux qui attendent. Conduis-les à la lumière ! Sois aussi avec moi dans mes nuits obscures et conduis-moi au-dehors ! Aide-moi, aide-nous à descendre avec toi dans l’obscurité de ceux qui sont dans l’attente, qui crient des profondeurs vers toi ! Aide-nous à les conduire à ta lumière ! Aide-nous à parvenir au «oui» de l’amour, qui nous fait descendre et qui, précisément ainsi, nous fait monter également avec toi ! Alleluia. Amen.

[00500-03.01] [Texte original: Italien]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Dear Brothers and Sisters!

From ancient times the liturgy of Easter day has begun with the words: Resurrexi et adhuc tecum sum – I arose, and am still with you; you have set your hand upon me. The liturgy sees these as the first words spoken by the Son to the Father after his resurrection, after his return from the night of death into the world of the living. The hand of the Father upheld him even on that night, and thus he could rise again.

These words are taken from Psalm 138, where originally they had a different meaning. That Psalm is a song of wonder at God’s omnipotence and omnipresence, a hymn of trust in the God who never allows us to fall from his hands. And his hands are good hands. The Psalmist imagines himself journeying to the farthest reaches of the cosmos – and what happens to him? "If I ascend to heaven, you are there! If I make my bed in Sheol, you are there! If I take the wings of the morning and dwell in the uttermost parts of the sea, even there your hand shall lead me, and your right hand shall hold me. If I say, ‘Let only darkness cover me’…, even the darkness is not dark to you…; for darkness is as light with you" (Ps 138[139]:8-12).

On Easter day the Church tells us that Jesus Christ made that journey to the ends of the universe for our sake. In the Letter to the Ephesians we read that he descended to the depths of the earth, and that the one who descended is also the one who has risen far above the heavens, that he might fill all things (cf. 4:9ff.). The vision of the Psalm thus became reality. In the impenetrable gloom of death Christ came like light – the night became as bright as day and the darkness became as light. And so the Church can rightly consider these words of thanksgiving and trust as words spoken by the Risen Lord to his Father: "Yes, I have journeyed to the uttermost depths of the earth, to the abyss of death, and brought them light; now I have risen and I am upheld for ever by your hands." But these words of the Risen Christ to the Father have also become words which the Lord speaks to us: "I arose and now I am still with you," he says to each of us. My hand upholds you. Wherever you may fall, you will always fall into my hands. I am present even at the door of death. Where no one can accompany you further, and where you can bring nothing, even there I am waiting for you, and for you I will change darkness into light.

These words of the Psalm, read as a dialogue between the Risen Christ and ourselves, also explain what takes place at Baptism. Baptism is more than a bath, a purification. It is more than becoming part of a community. It is a new birth. A new beginning in life. The passage of the Letter to the Romans which we have just read says, in words filled with mystery, that in Baptism we have been "grafted" onto Christ by likeness to his death. In Baptism we give ourselves over to Christ – he takes us unto himself, so that we no longer live for ourselves, but through him, with him and in him; so that we live with him and thus for others. In Baptism we surrender ourselves, we place our lives in his hands, and so we can say with Saint Paul, "It is no longer I who live, but Christ who lives in me." If we offer ourselves in this way, if we accept, as it were, the death of our very selves, this means that the frontier between death and life is no longer absolute. On either side of death we are with Christ and so, from that moment forward, death is no longer a real boundary. Paul tells us this very clearly in his Letter to the Philippians: "For me to live is Christ. To be with him (by dying) is gain. Yet if I remain in this life, I can still labour fruitfully. And so I am hard pressed between these two things. To depart – by being executed – and to be with Christ; that is far better. But to remain in this life is more necessary on your account" (cf. 1:21ff.). On both sides of the frontier of death, Paul is with Christ – there is no longer a real difference. Yes, it is true: "Behind and before you besiege me, your hand ever laid upon me" (Ps 138 [139]: 5). To the Romans Paul wrote: "No one … lives to himself and no one dies to himself… Whether we live or whether we die, we are the Lord’s" (Rom 14:7ff.).

Dear candidates for Baptism, this is what is new about Baptism: our life now belongs to Christ, and no longer to ourselves. As a result we are never alone, even in death, but are always with the One who lives for ever. In Baptism, in the company of Christ, we have already made that cosmic journey to the very abyss of death. At his side and, indeed, drawn up in his love, we are freed from fear. He enfolds us and carries us wherever we may go – he who is Life itself.

Let us return once more to the night of Holy Saturday. In the Creed we say about Christ’s journey that he "descended into hell." What happened then? Since we have no knowledge of the world of death, we can only imagine his triumph over death with the help of images which remain very inadequate. Yet, inadequate as they are, they can help us to understand something of the mystery. The liturgy applies to Jesus’ descent into the night of death the words of Psalm 23[24]: "Lift up your heads, O gates; be lifted up, O ancient doors!" The gates of death are closed, no one can return from there. There is no key for those iron doors. But Christ has the key. His Cross opens wide the gates of death, the stern doors. They are barred no longer. His Cross, his radical love, is the key that opens them. The love of the One who, though God, became man in order to die – this love has the power to open those doors. This love is stronger than death. The Easter icons of the Oriental Church show how Christ enters the world of the dead. He is clothed with light, for God is light. "The night is bright as the day, the darkness is as light" (cf. Ps 138[139]12). Entering the world of the dead, Jesus bears the stigmata, the signs of his passion: his wounds, his suffering, have become power: they are love that conquers death. He meets Adam and all the men and women waiting in the night of death. As we look at them, we can hear an echo of the prayer of Jonah: "Out of the belly of Sheol I cried, and you heard my voice" (Jn 2:2). In the incarnation, the Son of God became one with human beings – with Adam. But only at this moment, when he accomplishes the supreme act of love by descending into the night of death, does he bring the journey of the incarnation to its completion. By his death he now clasps the hand of Adam, of every man and woman who awaits him, and brings them to the light.

But we may ask: what is the meaning of all this imagery? What was truly new in what happened on account of Christ? The human soul was created immortal – what exactly did Christ bring that was new? The soul is indeed immortal, because man in a unique way remains in God’s memory and love, even after his fall. But his own powers are insufficient to lift him up to God. We lack the wings needed to carry us to those heights. And yet, nothing else can satisfy man eternally, except being with God. An eternity without this union with God would be a punishment. Man cannot attain those heights on his own, yet he yearns for them. "Out of the depths I cry to you…" Only the Risen Christ can bring us to complete union with God, to the place where our own powers are unable to bring us. Truly Christ puts the lost sheep upon his shoulders and carries it home. Clinging to his Body we have life, and in communion with his Body we reach the very heart of God. Only thus is death conquered, we are set free and our life is hope.

This is the joy of the Easter Vigil: we are free. In the resurrection of Jesus, love has been shown to be stronger than death, stronger than evil. Love made Christ descend, and love is also the power by which he ascends. The power by which he brings us with him. In union with his love, borne aloft on the wings of love, as persons of love, let us descend with him into the world’s darkness, knowing that in this way we will also rise up with him. On this night, then, let us pray: Lord, show us that love is stronger than hatred, that love is stronger than death. Descend into the darkness and the abyss of our modern age, and take by the hand those who await you. Bring them to the light! In my own dark nights, be with me to bring me forth! Help me, help all of us, to descend with you into the darkness of all those people who are still waiting for you, who out of the depths cry unto you! Help us to bring them your light! Help us to say the "yes" of love, the love that makes us descend with you and, in so doing, also to rise with you. Alleluia. Amen!

[00500-02.01] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA

Seit ältesten Zeiten beginnt die Liturgie des Ostertages mit den Worten: Resurrexi et adhuc tecum sum – Ich bin erstanden und bin immer bei dir. Du hast deine Hand auf mich gelegt. Die Liturgie sieht darin das erste Wort des Sohnes an den Vater nach der Auferstehung, nach der Rückkehr aus der Nacht des Todes in die Welt der Lebenden. Die Hand des Vaters hat ihn auch in dieser Nacht gehalten, und so konnte er aufstehen, auferstehen.

Das Wort ist dem Psalm 138 entnommen und hat hier zunächst eine andere Bedeutung. Dieser Psalm ist ein Lied des Staunens über Gottes Allmacht und Allgegenwart und ein Lied des Vertrauens zu dem Gott, der uns nie aus seinen Händen fallen läßt. Und seine Hände sind gute Hände. Der Beter stellt sich eine Reise durch alle Dimensionen des Alls vor – was wird ihm da geschehen? „Stiege ich hinauf in den Himmel, so bist du dort; bette ich mich in der Unterwelt, bist du zugegen. Nehme ich die Flügel der Morgenröte und lasse mich nieder am äußersten Meer, auch dort bist du… deine Rechte wird mich fassen. Würde ich sagen, ‚Finsternis soll mich bedecken…’, auch die Finsternis wäre für dich nicht finster…, die Finsternis wäre wie Licht" (Ps 138 [139], 8 – 12).

Am Ostertag sagt uns die Kirche: Jesus Christus hat diese Reise durch die Dimensionen des Alls für uns gemacht. Im Epheserbrief heißt es: „Er ist hinabgestiegen in die Tiefen der Erde und er, der abgestiegen ist, ist auch hinaufgestiegen über alle Himmel, um das All zu erfüllen" (4, 9f). So ist die Vision des Psalms Wirklichkeit geworden. In die undurchdringliche Finsternis des Todes ist er als Licht gekommen – Nacht wurde leuchtend wie der Tag und Finsternis zu Licht. Deshalb kann die Kirche mit Recht das Wort des Dankes und der Zuversicht als Wort des Auferstandenen an den Vater ansehen: „Ja, ich habe die Reise in die tiefsten Tiefen der Erde, in den Abgrund des Todes getan und Licht gebracht, und nun bin ich auferstanden und immer von deinen Händen umschlossen." Aber dieses Wort des Auferstandenen an den Vater ist auch ein Wort des Herrn an uns geworden: „Ich bin auferstanden und bin nun immer bei dir", sagt er zu einem jeden von uns. Meine Hand hält dich. Wohin du auch fällst, du fällst in meine Hände hinein. Auch an der Tür des Todes bin ich da. Dort, wo niemand mehr mit dir gehen kann und wohin du nichts mitnehmen kannst, warte ich auf dich und mache dir die Finsternis zu Licht.

Dieses Psalmwort als Gespräch des Auferstandenen mit uns gelesen, ist zugleich eine Auslegung dessen, was in der Taufe geschieht. Taufe ist ja mehr als eine Abwaschung, eine Reinigung. Sie ist mehr als die Aufnahme in eine Gemeinschaft. Sie ist eine neue Geburt. Ein neuer Beginn des Lebens. Die Lesung aus dem Römerbrief, die wir vorhin gehört haben, sagt mit einer geheimnisvollen Formulierung, daß wir in der Taufe in die Ähnlichkeit mit Christi Tod „eingepflanzt" worden sind. In der Taufe übereignen wir uns Christus – er nimmt uns auf in sich, damit wir fortan nicht mehr für uns selber leben, sondern aus ihm, mit ihm und in ihm; damit wir mit ihm und so für die anderen leben. Wir lassen uns selber zurück in der Taufe, legen unser Leben in seine Hände hinein, so daß wir mit dem heiligen Paulus sagen können: Ich lebe, doch nicht mehr ich, sondern Christus lebt in mir. Wenn wir uns so weggeben, eine Art von Tod unseres eigenen Ich annehmen, so bedeutet dies zugleich, daß die Grenze zwischen Tod und Leben durchlässig wird. Diesseits wie jenseits des Todes sind wir bei Christus, und deswegen ist der Tod von da an keine wirkliche Grenze mehr. Paulus sagt uns das sehr persönlich in seinem Brief an die Philipper. Er hat diesen Brief aus dem Gefängnis geschrieben; er stand unter Prozeß und mußte mit dem Todesurteil rechnen. Und da sagt er zu den Philippern: Christus ist mein Leben. Wenn ich bei ihm sein kann (d.h. sterbe), ist es Gewinn. Aber wenn ich in diesem Leben bleibe, kann ich noch Frucht bringen. So bin ich zwischen beidem hin- und hergerissen: Aufgelöst werden – d.h. hingerichtet werden – und mit Christus sein, wäre das Bessere; aber in diesem Leben bleiben, ist viel notwendiger um euretwillen (1, 21ff). Diesseits und jenseits der Todeslinie ist er bei Christus – einen letzten Unterschied gibt es nicht mehr. Ja, es ist wahr: „Du umfängst mich ganz. Immer bin ich in deinen Händen." Den Römern hat Paulus geschrieben: „Niemand lebt für sich selbst, und niemand stirbt für sich selbst… Ob wir leben oder sterben, wir sind des Herrn" (Röm 14, 7f).

Liebe Täuflinge, dies ist das Neue an der Taufe: Unser Leben gehört Christus und nicht mehr uns selber. Aber gerade darum sind wir auch im Tod nicht allein, sondern bei ihm, der immer lebt. In der Taufe haben wir mit Christus schon die kosmische Reise bis in die Tiefen des Todes hinunter gemacht. Von ihm begleitet, ja, von ihm in seiner Liebe aufgenommen, sind wir frei von Furcht. Er umfängt uns und trägt uns, wohin wir auch gehen – er, der das Leben selber ist.

Kehren wir noch einmal zu der Nacht des Karsamstags zurück. Im Credo bekennen wir über Christi Weg: Er ist hinabgestiegen in das Reich des Todes. Was ist da geschehen? Weil wir die Welt des Todes nicht kennen, können wir uns diesen Vorgang der Überwindung des Todes nur in Bildern vorstellen, die unangemessen bleiben. Dennoch, in allem Ungenügen helfen sie uns, etwas vom Geheimnis zu verstehen. Die Liturgie wendet auf den Abstieg Jesu in die Nacht des Todes das Wort des Psalms 23 (24) an: „Ihr Tore, hebt euch nach oben; tut euch auf, ihr uralten Pforten!" Die Tür des Todes ist verschlossen, niemand kann je zurückkommen. Es gibt keinen Schlüssel zu dieser ehernen Tür. Christus aber hat den Schlüssel. Sein Kreuz reißt die Tore des Todes auf, die unwiderruflichen. Sie sind nicht mehr unwiderruflich. Sein Kreuz, die Radikalität seiner Liebe ist der Schlüssel, der dieses Tor öffnet. Die Liebe dessen, der als Gott Mensch wurde, um sterben zu können, sie hat die Kraft, die Tür zu öffnen. Diese Liebe ist stärker als der Tod. Die Oster-Ikonen der Ostkirche zeigen, wie Jesus hineintritt in die Welt der Toten. Sein Gewand ist Licht, denn Gott ist Licht. „Nacht leuchtet wie der Tag, Finsternis wie Licht" (Ps 138 [139], 12). Jesus, der in die Totenwelt hineintritt, trägt die Wundmale: Seine Verwundung, sein Leiden ist Macht geworden, ist Liebe, die den Tod überwindet. Er begegnet Adam und allen in der Nacht des Todes wartenden Menschen. Man glaubt bei ihrem Anblick förmlich, das Gebet des Jona zu hören: „Aus der Tiefe der Unterwelt schrie ich um Hilfe, und du hörtest meinen Ruf" (2, 3). Der Sohn Gottes hat sich in der Inkarnation mit dem Wesen Mensch – mit Adam geeint. Aber erst in dem Augenblick, in dem er den letzten Akt der Liebe vollzieht und absteigt in die Nacht des Todes, vollendet er den Weg der Inkarnation. Durch sein Sterben nimmt er Adam, nimmt er die wartenden Menschen an die Hand und führt sie ans Licht.

Nun kann man aber fragen: Was bedeutet dieses Bild? Was ist da wirklich durch Christus Neues geschehen? Die Seele des Menschen ist doch an sich, von der Schöpfung her unsterblich – was hat Jesus Neues gebracht? Ja, die Seele ist unsterblich, weil der Mensch in einzigartiger Weise im Gedächtnis und in der Liebe Gottes steht, auch als Gefallener. Aber seine Kraft reicht nicht, sich zu Gott zu erheben. Wir haben keine Flügel, die uns in diese Höhe tragen könnten. Und doch kann dem Menschen nichts anderes auf ewig genügen, als mit Gott zu sein. Eine Ewigkeit ohne dieses Einssein mit Gott wäre Verdammung. Der Mensch kann nicht hinauf und verlangt doch hinauf: Aus der Tiefe rufe ich zu dir. Nur der auferstandene Christus kann uns hinauftragen in die Einheit mit Gott, zu der unsere eigenen Kräfte nicht hinaufreichen. Er nimmt in der Tat das verlorene Schaf auf seine Schultern und trägt es heim. An seinem Leib festgehalten leben wir, und in der Gemeinschaft mit seinem Leib reichen wir bis ans Herz Gottes hin. Und so erst ist der Tod überwunden, sind wir frei und ist unser Leben Hoffnung.

Das ist der Jubel der Osternacht: Wir sind frei. Durch die Auferstehung Jesu hat die Liebe sich stärker gezeigt als der Tod und als das Böse. Die Liebe ließ ihn absteigen, und sie ist zugleich die Kraft, in der er aufsteigt. Und durch die er uns mitnimmt. Geeint mit seiner Liebe, von ihren Flügeln getragen, steigen wir mit ihm als Liebende ab in die Dunkelheiten der Welt und wissen, daß wir gerade so mit ihm aufsteigen. So bitten wir in dieser Nacht: Herr, zeige auch heute, daß die Liebe stärker ist als der Haß. Daß sie stärker ist als der Tod. Steig auch in die Nächte und Unterwelten dieser unserer modernen Zeit hinab, und nimm die Wartenden an die Hand. Führe sie ins Licht. Sei auch in meinen dunklen Nächten mit mir und führe mich hinaus. Hilf mir, hilf uns, mit dir hinabzusteigen in das Dunkel der Wartenden, die aus der Tiefe nach dir schreien. Hilf uns, dein Licht dorthin zu tragen. Hilf uns zum Ja der Liebe, die uns absteigen und eben so mit dir aufsteigen läßt. Alleluia. Amen.

[00500-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

TRADUZIONE IN LINGUA SPAGNOLA

Queridos hermanos y hermanas:

Desde los tiempos más antiguos la liturgia del día de Pascua empieza con las palabras: Resurrexi et adhuc tecum sum - he resucitado y siempre estoy contigo; tú has puesto sobre mí tu mano. La liturgia ve en ello las primeras palabras del Hijo dirigidas al Padre después de su resurrección, después de volver de la noche de la muerte al mundo de los vivientes. La mano del Padre lo ha sostenido también en esta noche, y así Él ha podido levantarse, resucitar.

Esas palabras están tomadas del Salmo 138, en el cual tienen inicialmente un sentido diferente. Este Salmo es un canto de asombro por la omnipotencia y la omnipresencia de Dios; un canto de confianza en aquel Dios que nunca nos deja caer de sus manos. Y sus manos son manos buenas. El suplicante imagina un viaje a través del universo, ¿qué le sucederá? "Si escalo el cielo, allá estás tú; si me acuesto en el abismo, allí te encuentro. Si vuelo hasta el margen de la aurora, si emigro hasta el confín del mar, allí me alcanzará tu izquierda, me agarrará tu derecha. Si digo: «Que al menos la tiniebla me encubra…», ni la tiniebla es oscura para ti, la noche es clara como el día" (Sal 138 [139],8-12).

En el día de Pascua la Iglesia nos anuncia: Jesucristo ha realizado por nosotros este viaje a través del universo. En la Carta a los Efesios leemos que Él había bajado a lo profundo de la tierra y que Aquél que bajó es el mismo que subió por encima de los cielos para llenar el universo (cf. 4, 9s). Así se ha hecho realidad la visión del Salmo. En la oscuridad impenetrable de la muerte Él entró como luz; la noche se hizo luminosa como el día, y las tinieblas se volvieron luz. Por esto la Iglesia puede considerar justamente la palabra de agradecimiento y confianza como palabra del Resucitado dirigida al Padre: "Sí, he hecho el viaje hasta lo más profundo de la tierra, hasta el abismo de la muerte y he llevado la luz; y ahora he resucitado y estoy agarrado para siempre de tus manos". Pero estas palabras del Resucitado al Padre se han convertido también en las palabras que el Señor nos dirige: "He resucitado y ahora estoy siempre contigo", dice a cada uno de nosotros. Mi mano te sostiene. Dondequiera que tu caigas, caerás en mis manos. Estoy presente incluso a las puertas de la muerte. Donde nadie ya no puede acompañarte y donde tú no puedes llevar nada, allí te espero yo y para ti transformo las tinieblas en luz.

Estas palabras del Salmo, leídas como coloquio del Resucitado con nosotros, son al mismo tiempo una explicación de lo que sucede en el Bautismo. En efecto, el Bautismo es más que un baño o una purificación. Es más que la entrada en una comunidad. Es un nuevo nacimiento. Un nuevo inicio de la vida. El fragmento de la Carta a los Romanos, que hemos escuchado ahora, dice con palabras misteriosas que en el Bautismo hemos sido como "incorporados" en la muerte de Cristo. En el Bautismo nos entregamos a Cristo; Él nos toma consigo, para que ya no vivamos para nosotros mismos, sino gracias a Él, con Él y en Él; para que vivamos con Él y así para los demás. En el Bautismo nos abandonamos nosotros mismos, depositamos nuestra vida en sus manos, de modo que podamos decir con san Pablo: "Vivo yo, pero no soy yo, es Cristo quien vive en mí". Si nos entregamos de este modo, aceptando una especie de muerte de nuestro yo, entonces eso significa también que el confín entre muerte y vida se hace permeable. Tanto antes como después de la muerte estamos con Cristo y por esto, desde aquel momento en adelante, la muerte ya no es un verdadero confín. Pablo nos lo dice de un modo muy claro en su Carta a los Filipenses: "Para mí la vida es Cristo. Si puedo estar junto a Él (es decir, si muero) es una ganancia. Pero si quedo en esta vida, todavía puedo llevar fruto. Así me encuentro en este dilema: partir - es decir, ser ejecutado - y estar con Cristo, sería lo mejor; pero, quedarme en esta vida es más necesario para vosotros" (cf. 1,21ss). A un lado y otro del confín de la muerte él está con Cristo; ya no hay una verdadera diferencia. Pero sí, es verdad: "Sobre los hombros y de frente tú me llevas. Siempre estoy en tus manos". A los Romanos escribió Pablo: "Ninguno… vive para sí mismo y ninguno muere por sí mismo… Si vivimos, ... si morimos,... somos del Señor" (14,7s).

Queridos catecúmenos que vais a ser bautizados, ésta es la novedad del Bautismo: nuestra vida pertenece a Cristo, ya no más a nosotros mismos. Pero precisamente por esto ya no estamos solos ni siquiera en la muerte, sino que estamos con Aquél que vive siempre. En el Bautismo, junto con Cristo, ya hemos hecho el viaje cósmico hasta las profundidades de la muerte. Acompañados por Él, más aún, acogidos por Él en su amor, somos liberados del miedo. Él nos abraza y nos lleva, dondequiera que vayamos. Él que es la Vida misma.

Volvamos de nuevo a la noche del Sábado Santo. En el Credo decimos respecto al camino de Cristo: "Descendió a los infiernos". ¿Qué ocurrió entonces? Ya que no conocemos el mundo de la muerte, sólo podemos figurarnos este proceso de la superación de la muerte a través de imágenes que siempre resultan poco apropiadas. Sin embargo, con toda su insuficiencia, ellas nos ayudan a entender algo del misterio. La liturgia aplica las palabras del Salmo 23 [24] a la bajada de Jesús en la noche de la muerte: "¡Portones!, alzad los dinteles, que se alcen las antiguas compuertas!" Las puertas de la muerte están cerradas, nadie puede volver atrás desde allí. No hay una llave para estas puertas de hierro. Cristo, en cambio, tiene esta llave. Su Cruz abre las puertas de la muerte, las puertas irrevocables. Éstas ahora ya no son insuperables. Su Cruz, la radicalidad de su amor es la llave que abre estas puertas. El amor de Cristo que, siendo Dios, se ha hecho hombre para poder morir; este amor tiene la fuerza para abrir las puertas. Este amor es más fuerte que la muerte. Los iconos pascuales de la Iglesia oriental muestran como Cristo entra en el mundo de los muertos. Su vestido es luz, porque Dios es luz. "La noche es clara como el día, las tinieblas son como luz" (cf. Sal 138 [139],12). Jesús que entra en el mundo de los muertos lleva los estigmas: sus heridas, sus padecimientos se han convertido en fuerza, son amor que vence la muerte. Él encuentra a Adán y a todos los hombres que esperan en la noche de la muerte. A la vista de ellos parece como si se oyera la súplica de Jonás: "Desde el vientre del infierno pedí auxilio, y escuchó mi clamor" (Jon 2,3). El Hijo de Dios en la encarnación se ha hecho una sola cosa con el ser humano, con Adán. Pero sólo en aquel momento, en el que realiza aquel acto extremo de amor descendiendo a la noche de la muerte, Él lleva a cabo el camino de la encarnación. A través de su muerte Él toma de la mano a Adán, a todos los hombres que esperan y los lleva a la luz.

Ahora, sin embargo, se puede preguntar: ¿Pero qué significa esta imagen? ¿Qué novedad ocurrió realmente allí por medio de Cristo? El alma del hombre, precisamente, es de por sí inmortal desde la creación, ¿qué novedad ha traído Cristo? Sí, el alma es inmortal, porque el hombre está de modo singular en la memoria y en el amor de Dios, incluso después de su caída. Pero su fuerza no basta para elevarse hacia Dios. No tenemos alas que podrían llevarnos hasta aquella altura. Y sin embargo, nada puede satisfacer eternamente al hombre si no el estar con Dios. Una eternidad sin esta unión con Dios sería una condena. El hombre no logra llegar arriba, pero anhela ir hacia arriba: "Desde el vientre del infierno te pido auxilio...". Sólo Cristo resucitado puede llevarnos hacia arriba, hasta la unión con Dios, hasta donde no pueden llegar nuestras fuerzas. Él carga verdaderamente la oveja extraviada sobre sus hombros y la lleva a casa. Nosotros vivimos agarrados a su Cuerpo, y en comunión con su Cuerpo llegamos hasta el corazón de Dios. Y sólo así se vence la muerte, somos liberados y nuestra vida es esperanza.

Éste es el júbilo de la Vigilia Pascual: nosotros somos liberados. Por medio de la resurrección de Jesús el amor se ha revelado más fuerte que la muerte, más fuerte que el mal. El amor lo ha hecho descender y, al mismo tiempo, es la fuerza con la que Él asciende. La fuerza por medio de la cual nos lleva consigo. Unidos con su amor, llevados sobre las alas del amor, como personas que aman, bajamos con Él a las tinieblas del mundo, sabiendo que precisamente así subimos también con Él. Pidamos, pues, en esta noche: Señor, demuestra también hoy que el amor es más fuerte que el odio. Que es más fuerte que la muerte. Baja también en las noches y a los infiernos de nuestro tiempo moderno y toma de la mano a los que esperan. ¡Llévalos a la luz! ¡Estate también conmigo en mis noches oscuras y llévame fuera! ¡Ayúdame, ayúdanos a bajar contigo a la oscuridad de quienes esperan, que claman hacia ti desde el vientre del infierno! ¡Ayúdanos a llevarles tu luz! ¡Ayúdanos a llegar al "sí" del amor, que nos hace bajar y precisamente así subir contigo! Alleluia. Amén.

[00500-04.01] [Texto original: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA PORTOGHESE

Queridos irmãos e irmãs!

Desde os tempos mais antigos a liturgia do dia de Páscoa começa com as palavras: Resurrexi et adhuc tecum sum - ressuscitei e estou sempre contigo; pusestes sobre mim a tua mão. A liturgia vê nisto a primeira palavra do Filho dirigida ao Pai depois da ressurreição, depois da volta da noite da morte no mundo dos vivos. A mão do Pai sustentou-O também nesta noite, e assim Ele pode levantar-se, ressuscitar.

A palavra encontra-se no Salmo 138 e ali tem inicialmente um significado distinto. Este Salmo é um canto de admiração pela onipotência e onipresença de Deus, um canto de confiança naquele Deus que jamais nos deixa soltar das suas mãos. E suas mãos são boas mãos. O orador imagina uma viagem através de todas as dimensões do universo - que lhe acontecerá? «Se subir aos céus, lá Vos encontro, se descer aos infernos, igualmente. Mesmo que me aposse das asas da aurora, e for morar nos confins do mar, mesmo aí, a Vossa mão me conduz, e a vossa destra me segura. Se eu disser: "ao menos as trevas me cobrirão...", nem sequer as trevas serão bastante escuras para Vós [...] tanto faz a luz como as trevas» (Sal 139[138], 8-12).

No dia de Páscoa a Igreja nos diz: Jesus Cristo cumpriu para nós esta viagem através das dimensões do universo. Na Carta aos Efésios lemos que Ele desceu nas regiões mais profundas da terra e que Aquele que desceu é o mesmo que também subiu acima de todos os céus para encher o universo (cf. 4,9-10). Deste modo a visão do Salmo tornou-se realidade. Na escuridão impenetrável da morte Ele entrou como luz - a noite fez-se luminosa como o dia, e a trevas tornaram-se luz. Por isso a Igreja justamente pode considerar a palavra de agradecimento e de confiança como palavra do Ressuscitado dirigida ao Pai: "Sim, viajei até as mais extremas profundezas da terra, no abismo da morte e trouxe a luz; e agora estou ressuscitado e permaneço para sempre seguro das tuas mãos". Mas esta palavra do Ressuscitado ao Pai veio a ser também uma palavra que o Senhor dirige a nós: "Ressuscitei e estou contigo para sempre", diz a cada um de nós. Minha mão de sustenta. Donde quer que possas cair, cairás em minhas mãos. Estou presente até mesmo às portas da morte. Aonde ninguém pode mais acompanhar-te e onde nada podes levar, ali eu te espero e transformo para ti as trevas em luz.

Esta palavra do Salmo, lida como colóquio do Ressuscitado conosco, é ao mesmo tempo uma explicação daquilo que acontece no Batismo. De fato, o Batismo é mais do que uma lavagem, ou uma purificação. É mais do que a inserção numa comunidade. É um novo nascimento. Um reinício da vida. A passagem da Carta aos Romanos, que acabamos de ouvir, diz com palavras misteriosas que no Batismo fomos "enxertados" de forma semelhante com a morte de Cristo. No Batismo nos doamos a Cristo - Ele nos assume em si, para que depois não vivamos mais para nós mesmos, mas graças a Ele, com Ele e n’Ele; para que vivamos com Ele e, assim, para os outros. No Batismo abandonamos a nós mesmos, depomos a nossa vida em suas mãos, para poder dizer com S. Paulo: "Não sou quem vivo, é Cristo que vive em mim". Se nos damos deste modo, aceitando uma espécie de morte do nosso eu, então isto significa também que o confim entre morte e vida faz-se permeável. Tanto desde lado como além da morte estamos com Cristo e, por isso, daquele momento em diante, a morte não é mais um verdadeiro confim. Paulo no-lo diz de forma clara na sua Carta aos Filipenses: "Para mim o viver é Cristo. Mas se permaneço nesta vida, ainda posso trazer fruto. Assim, vejo-me apertado entre estas duas coisas: ser libertado - ou seja, justiçado - e ser com Cristo, seria bem melhor; mas permanecer nesta vida é mais necessário para vós" (cf. 1,21ss). Deste ou do outro lado do confim da morte ele está com Cristo - não existe mais uma verdadeira diferença. Sim, é certo: "Por detrás e na frente tu me envolves. Estou sempre nas tuas mãos". Aos Romanos Paulo escreveu: "Nenhum de nós vive para si mesmo, e nenhum de nós morre para si mesmo [...] Quer vivamos, quer morramos, pertencemos ao Senhor" (Rom 14,7ss).

Queridos batizados, esta é a novidade do Batismo: nossa vida pertence a Cristo, não mais a nós mesmos. Mas precisamente por isso não estamos mais sós nem mesmo na morte, mas estamos com Ele que vive sempre. No Batismo, junto com Cristo, já fizemos a viagem cósmica até as profundezas da morte. Acompanhados por Ele, mais, acolhidos por Ele no seu amor, nos libertamos do medo. Ele nos envolve e nos leva, aonde quer que formos - Ele que é a mesma Vida.

Volvamos ainda à noite do Sábado Santo. No Credo professamos a respeito do caminho de Cristo: "Desceu à mansão dos mortos". Quê acontece então? Visto que não conhecemos o mundo da morte, podemos representar este processo de superação da morte somente com imagens que permanecem sempre pouco apropriadas. Porém, com toda a sua insuficiência, elas nos ajudam a entender algo do mistério. A liturgia aplica à descida de Jesus na noite da morte a palavra do Sal 24 [23]: "Levantai, ó pórticos, os vossos dintéis, levantai-vos, ó pórticos eternos!" A porta da morte está fechada, ninguém dali pode voltar para trás. Não existe uma chave para esta porta férrea. Cristo, porém, possui a chave. A sua Cruz abre de par em par as portas da morte, as portas irrevogáveis. Elas agora não são mais infranqueáveis. A sua Cruz, a profundidade do seu amor é a chave que abre esta porta. O amor d’Aquele que, sendo Deus, fez-se homem para poder morrer - este amor tem a força para abrir esta porta. Os ícones pascoais da Igreja oriental mostram como Cristo entra no mundo dos mortos. A sua veste é luz, porque Deus é luz. "A noite é clara como o dia, as trevas são como a luz" (cf. Sal 139 [138],12). Jesus que entra no mundo dos mortos leva os estigmas: as suas feridas, os seus padecimentos tornaram-se potência, são amor que vence a morte. Ele encontra Adão e todos os homens que esperam na noite da morte. À sua vista parece até ouvir a oração de Jonas: "Clamei a vós do meio da morada dos mortos, e ouvistes a minha voz" (Jn 2,3). O Filho de Deus na encarnação fez-se uma só coisa com o ser humano - com Adão. Mas só naquele momento, em que cumpre o extremo ato de amor descendo na noite da morte, Ele termina cumprindo o caminho da encarnação. Mediante a sua morte Ele pega Adão pela mão, todos os homens que aguardam e os leva à luz.

Contudo, agora, pode-se perguntar: Mas o que significa esta imagem? Que novidade realmente aconteceu ali através de Cristo? Sendo a alma do homem por si própria imortal desde a criação, qual foi a novidade trazida por Cristo? Sim, a alma é imortal, porque o homem de forma singular está na memória e no amor de Deus, mesmo depois da sua caída. Mas a sua força não basta para elevar-se até Deus. Não temos asas que poderiam levar-nos até aquela altura. Porém, nada pode contentar o homem eternamente, se não o estar com Deus. Uma eternidade sem esta união com Deus seria uma condenação. O homem não consegue alcançar a cima, mas anela o alto: "Clamei a vós..." Só o Cristo ressuscitado pode elevar-nos para cima até a união com Deus, ali onde nossas forças não podem chegar. Ele carrega realmente a ovelha perdida sobre os seus ombros e a leva para casa. Vivemos agarrados ao seu Corpo, e em comunhão com o seu Corpo alcançamos o coração de Deus. E só assim a morte é vencida, somos livres e nossa vida é esperança.

Este é o júbilo da Vigília Pascoal: nós somos livres. Mediante a ressurreição de Jesus o amor revelou-se mais forte do que a morte, mais forte do que o mal. O amor O fez descer e é, ao mesmo tempo, a força pela qual Ele sobe. A força através da qual leva-nos consigo. Unidos ao seu amor, levados sobre as asas do amor, como pessoas que amam descemos juntos com Ele nas trevas do mundo, sabendo que precisamente assim também subimos com Ele. Rezemos, portanto, nesta noite: Senhor, mostra hoje também que o amor é mais forte do que o ódio. Que é mais forte do que a morte. Desce também nas noites e na mansão dos mortos deste nosso tempo moderno e segura pela mão aqueles que esperam. Leva-os para a luz! Fica também comigo nas minhas noites escuras e conduz-me para fora! Ajuda-me, ajuda-nos a descer contigo na escuridão daqueles que estão à espera, que das profundezas gritam por ti! Ajuda-nos a levar-lhes a tua luz! Ajuda-nos a chegar ao "sim" do amor, que nos faz descer e por isso mesmo subir junto contigo! Alleluia. Amém.

[00500-06.01] [Texto original: Italiano]

[B0182-XX.02]