Alle ore 9.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI presiede, in Piazza San Pietro, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Papa benedice le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebra la Santa Messa della Passione del Signore.
Alla celebrazione prendono parte giovani di Roma e di altre diocesi, in occasione della ricorrenza della XXII Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34).
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia che il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Luca:
● OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
nella processione della Domenica delle Palme ci associamo alla folla dei discepoli che, in gioia festosa, accompagnano il Signore nel suo ingresso in Gerusalemme. Come loro lodiamo il Signore a gran voce per tutti i prodigi che abbiamo veduto. Sì, anche noi abbiamo visto e vediamo tuttora i prodigi di Cristo: come Egli porti uomini e donne a rinunciare alle comodità della propria vita e a mettersi totalmente a servizio dei sofferenti; come Egli dia il coraggio a uomini e donne di opporsi alla violenza e alla menzogna, per far posto nel mondo alla verità; come Egli, nel segreto, induca uomini e donne a far del bene agli altri, a suscitare la riconciliazione dove c’era l’odio, a creare la pace dove regnava l’inimicizia.
La processione è anzitutto una gioiosa testimonianza che rendiamo a Gesù Cristo, nel quale è diventato visibile a noi il Volto di Dio e grazie al quale il cuore di Dio è aperto a tutti noi. Nel Vangelo di Luca il racconto dell’inizio del corteo nei pressi di Gerusalemme è composto in parte letteralmente sul modello del rito dell’incoronazione col quale, secondo il Primo Libro dei Re, Salomone fu rivestito come erede della regalità di Davide (cfr 1 Re 1,33-35). Così la processione delle Palme è anche una processione di Cristo Re: noi professiamo la regalità di Gesù Cristo, riconosciamo Gesù come il Figlio di Davide, il vero Salomone – il Re della pace e della giustizia. Riconoscerlo come Re significa: accettarlo come Colui che ci indica la via, del quale ci fidiamo e che seguiamo. Significa accettare giorno per giorno la sua parola come criterio valido per la nostra vita. Significa vedere in Lui l’autorità alla quale ci sottomettiamo. Ci sottomettiamo a Lui, perché la sua autorità è l’autorità della verità.
La processione delle Palme è – come quella volta per i discepoli – anzitutto espressione di gioia, perché possiamo conoscere Gesù, perché Egli ci concede di essere suoi amici e perché ci ha donato la chiave della vita. Questa gioia, che sta all’inizio, è però anche espressione del nostro "sì" a Gesù e della nostra disponibilità ad andare con Lui ovunque ci porti. L’esortazione che stava oggi all’inizio della nostra liturgia interpreta perciò giustamente la processione anche come rappresentazione simbolica di ciò che chiamiamo "sequela di Cristo": "Chiediamo la grazia di seguirlo", abbiamo detto. L’espressione "sequela di Cristo" è una descrizione dell’intera esistenza cristiana in generale. In che cosa consiste? Che cosa vuol dire in concreto "seguire Cristo?"
All’inizio, con i primi discepoli, il senso era molto semplice ed immediato: significava che queste persone avevano deciso di lasciare la loro professione, i loro affari, tutta la loro vita per andare con Gesù. Significava intraprendere una nuova professione: quella di discepolo. Il contenuto fondamentale di questa professione era l’andare con il maestro, l’affidarsi totalmente alla sua guida. Così la sequela era una cosa esteriore e, allo stesso tempo, molto interiore. L’aspetto esteriore era il camminare dietro Gesù nelle sue peregrinazioni attraverso la Palestina; quello interiore era il nuovo orientamento dell’esistenza, che non aveva più i suoi punti di riferimento negli affari, nel mestiere che dava da vivere, nella volontà personale, ma che si abbandonava totalmente alla volontà di un Altro. L’essere a sua disposizione era ormai diventata la ragione di vita. Quale rinuncia questo comportasse a ciò che era proprio, quale distogliersi da se stessi, lo possiamo riconoscere in modo assai chiaro in alcune scene dei Vangeli.
Ma con ciò si palesa anche che cosa significhi per noi la sequela e quale sia la sua vera essenza per noi: si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza. Richiede che io non sia più chiuso nel mio io considerando la mia autorealizzazione la ragione principale della mia vita. Richiede che io mi doni liberamente a un Altro – per la verità, per l’amore, per Dio che, in Gesù Cristo, mi precede e mi indica la via. Si tratta della decisione fondamentale di non considerare più l’utilità e il guadagno, la carriera e il successo come scopo ultimo della mia vita, ma di riconoscere invece come criteri autentici la verità e l’amore. Si tratta della scelta tra il vivere solo per me stesso o il donarmi – per la cosa più grande. E consideriamo bene che verità e amore non sono valori astratti; in Gesù Cristo essi sono divenuti persona. Seguendo Lui entro nel servizio della verità e dell’amore. Perdendomi mi ritrovo.
Ritorniamo alla liturgia e alla processione delle Palme. In essa la liturgia prevede come canto il Salmo 24 [23], che era anche in Israele un canto processionale usato nella salita al monte del tempio. Il Salmo interpreta la salita interiore di cui la salita esteriore è immagine e ci spiega così ancora una volta che cosa significhi il salire con Cristo. "Chi salirà il monte del Signore?", chiede il Salmo, ed indica due condizioni essenziali. Coloro che salgono e vogliono giungere veramente in alto, arrivare fino all’altezza vera, devono essere persone che si interrogano su Dio. Persone che scrutano intorno a sé per cercare Dio, per cercare il suo Volto. Cari giovani amici – quanto è importante oggi proprio questo: non lasciarsi semplicemente portare qua e la nella vita; non accontentarsi di ciò che tutti pensano e dicono e fanno. Scrutare Dio e cercare Dio. Non lasciare che la domanda su Dio si dissolva nelle nostre anime. Il desiderio di ciò che è più grande. Il desiderio di conoscere Lui – il suo Volto…
L’altra condizione molto concreta per la salita è questa: può stare nel luogo santo "chi ha mani innocenti e cuore puro". Mani innocenti – sono mani che non vengono usate per atti di violenza. Sono mani che non sono sporcate con la corruzione, con tangenti. Cuore puro – quando il cuore è puro? È puro un cuore che non finge e non si macchia con menzogna e ipocrisia. Un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva, perché non conosce doppiezza. È puro un cuore che non si strania con l’ebbrezza del piacere; un cuore il cui amore è vero e non è soltanto passione di un momento. Mani innocenti e cuore puro: se noi camminiamo con Gesù, saliamo e troviamo le purificazioni che ci portano veramente a quell’altezza a cui l’uomo è destinato: l’amicizia con Dio stesso.
Il salmo 24 [23] che parla della salita termina con una liturgia d’ingresso davanti al portale del tempio: "Sollevate, porte i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria". Nella vecchia liturgia della Domenica delle Palme il sacerdote, giunto davanti alla chiesa, bussava fortemente con l’asta della croce della processione al portone ancora chiuso, che in seguito a questo bussare si apriva. Era una bella immagine per il mistero dello stesso Gesù Cristo che, con il legno della sua croce, con la forza del suo amore che si dona, ha bussato dal lato del mondo alla porta di Dio; dal lato di un mondo che non riusciva a trovare accesso presso Dio. Con la croce Gesù ha spalancato la porta di Dio, la porta tra Dio e gli uomini. Ora essa è aperta. Ma anche dall’altro lato il Signore bussa con la sua croce: bussa alle porte del mondo, alle porte dei nostri cuori, che così spesso e in così gran numero sono chiuse per Dio. E ci parla più o meno così: se le prove che Dio nella creazione ti dà della sua esistenza non riescono ad aprirti per Lui; se la parola della Scrittura e il messaggio della Chiesa ti lasciano indifferente - allora guarda a me, al Dio che per te si è reso sofferente, che personalmente patisce con te - vedi che io soffro per amore tuo e apriti a me, tuo Signore e tuo Dio.
È questo l’appello che in quest’ora lasciamo penetrare nel nostro cuore. Il Signore ci aiuti ad aprire la porta del cuore, la porta del mondo, affinché Egli, il Dio vivente, possa nel suo Figlio arrivare in questo nostro tempo, raggiungere la nostra vita. Amen.
[00466-01.01] [Testo originale: Italiano]
● TRADUZIONE IN LINGUA TEDESCA
In der Palmsonntagsprozession schließen wir uns der folla dei discepoli an, die den Herrn in festlicher Freude nach Jerusalem geleiten. Wie sie loben wir den Herrn mit lauter Stimme für all die Wunder, die wir erlebt haben. Ja, auch wir haben die prodigi Christi gesehen und sehen sie: Wie er Menschen dazu bringt, auf ihr eigenes bequemes Leben zu verzichten und sich ganz in den Dienst der Leidenden zu stellen; wie er Menschen den Mut gibt, der Gewalt und der Lüge zu widerstehen und der Wahrheit in der Welt Raum zu schaffen; wie er ganz im stillen Menschen bewegt, einander Gutes zu tun, Versöhnung zu schaffen, wo Haß war; Friede zu schaffen, wo Feindschaft herrschte.
Die Prozession ist zuallererst ein freudiges Bekenntnis zu Jesus Christus, in dem uns das Antlitz Gottes sichtbar geworden ist; durch den das Herz Gottes für uns offensteht. Im Lukas-Evangelium ist der Anfang der Prozession zum Teil wörtlich nach dem Krönungsritual gestaltet, mit dem – dem Buch der Könige zufolge – Salomon zum Erben von Davids Königtum bestellt wurde (1 Kön 1, 33 – 35). So ist die Palmprozession auch eine Christkönigsprozession: Wir bekennen uns zum Königtum Jesu Christi, bekennen ihn als den Davidssohn, den wahren Salomon – den König des Friedens und der Gerechtigkeit. Ihn als König anerkennen heißt: Ihn als den Wegweiser annehmen, dem wir trauen und dem wir folgen. Es heißt: Sein Wort als gültigen Maßstab für unser Leben annehmen Tag um Tag. Es bedeutet, in ihm die Autorität zu sehen, der wir uns beugen. Ihm beugen wir uns, weil seine Autorität die Autorität der Wahrheit ist.
Die Palmprozession ist – wie damals bei den Jüngern – zunächst einfach Ausdruck der Freude darüber, daß wir Jesus kennen dürfen; daß wir ihm Freunde sein dürfen; und daß er uns den Schlüssel zum Leben geschenkt hat. Diese Freude, die am Anfang steht, ist aber auch Ausdruck unseres Ja zu Jesus und unserer Bereitschaft, mit ihm zu gehen, wohin er uns führt. Der Aufruf, mit dem die Liturgie heute begonnen hat, deutet deswegen die Prozession auch als symbolische Darstellung dessen, was wir Nachfolge Christi nennen: „Bitten wir um die Gnade, ihm zu folgen", heißt es da. Das Wort Nachfolge Christi ist eine Beschreibung des Ganzen der christlichen Existenz überhaupt. Worin besteht sie? Was heißt das praktisch „Christus nachfolgen"?
Am Anfang, bei den ersten Jüngern Jesu, hatte das Wort einen ganz einfachen Sinn. Es besagte, daß diese Menschen sich entschlossen, ihren Beruf, ihr Geschäft, ihr bisheriges Leben hinter sich zu lassen und stattdessen mit Jesus zu gehen. Es bedeutete einen neuen Beruf: den des Jüngers. Der grundlegende Inhalt dieses Berufs ist das Mitgehen mit dem Meister, das vollständige Sich-Anvertrauen an seine Führung. Nachfolge ist so etwas Äußerliches und zugleich etwas ganz Innerliches gewesen. Etwas Äußerliches: das Nachgehen hinter Jesus auf seinen Wanderungen durch Palästina; etwas Innerliches: die neue Orientierung der Existenz, die nicht mehr im Geschäft, im Broterwerb, im eigenen Wollen ihre Leitpunkte hat, sondern weggegeben ist an den Willen eines anderen. Ihm zur Verfügung stehen ist nun Lebensinhalt geworden. Wieviel Verzicht auf das Eigene, welche Wendung von sich selbst das für die Jünger einschloß, können wir aus einzelnen Szenen der Evangelien recht deutlich erkennen.
So wird aber auch schon sichtbar, was Nachfolge für uns bedeutet und was für uns ihr eigentliches Wesen ist: Es geht um eine innere Verwandlung der Existenz. Es geht darum, daß ich nicht mehr in mein Ich eingeschlossen bin und meine Selbstverwirklichung als meinen hauptsächlichen Lebensinhalt annehme. Es geht darum, daß ich mich frei gebe an einen anderen hin – für die Wahrheit, für die Liebe, für Gott, der mir in Jesus Christus vorausgeht und den Weg zeigt. Es geht um die Grundentscheidung, nicht Nutzen und Erwerb, Karriere und Erfolg als letztes Ziel meines Lebens anzusehen, sondern Wahrheit und Liebe als die eigentlichen Maßstäbe anzuerkennen. Es geht um die Wahl, nur für mich selber zu leben oder mich wegzugeben – an das Größere hin. Und bedenken wir dabei, daß Wahrheit und Liebe nicht abstrakte Größen sind, sondern in Jesus Christus sind sie Person. Wenn ich ihm folge, dann trete ich in den Dienst der Wahrheit und der Liebe. Mich verlierend finde ich mich.
Kehren wir zur Liturgie der Palmprozession zurück. Als Prozessionslied wird der Psalm 23 gesungen, der auch in Israel ein Prozessionslied beim Aufstieg auf den Tempelberg gewesen ist. Der Psalm interpretiert dabei den inneren Aufstieg, dessen Bild das äußere Hinaufsteigen sein soll, und legt uns damit noch einmal aus, was Aufsteigen mit Christus bedeutet. „Wer darf aufsteigen zum Berg des Herrn", fragt der Psalm. Und er nennt zwei wesentliche Bedingungen. Die Aufsteigenden, die wirklich nach oben, in die wahre Höhe kommen wollen, müssen Menschen sein, die nach Gott fragen. Die Ausschau halten nach Gott. Die sein Angesicht suchen. Liebe junge Freunde – wie wichtig ist das heute: sich nicht einfach im Leben dahintreiben lassen; nicht mit dem zufrieden sein, was alle denken und sagen und tun. Ausschau halten nach Gott. Die Frage nach Gott nicht versickern lassen in unseren Seelen. Das Verlangen nach dem Größeren. Das Verlangen, ihn zu kennen – sein Gesicht…
Der andere sehr praktische Inhalt des Aufsteigens lautet: Am heiligen Ort darf stehen, wer reine Hände hat und ein lauteres Herz. Reine Hände – das sind Hände, die nicht zur Gewalttätigkeit gebraucht werden. Es sind Hände, die nicht mit Korruption, mit Bestechungsgeldern verschmutzt sind. Ein lauteres Herz – wann ist das Herz lauter? Ein Herz ist lauter, das sich nicht mit Lüge und Heuchelei verstellt und befleckt. Das durchsichtig bleibt wie Quellwasser, weil es kein Doppelspiel kennt. Ein Herz ist rein, das sich nicht mit dem Rausch des Vergnügens verfremdet; ein Herz, dessen Liebe wahr ist und nicht bloß Verlangen des Augenblicks. Reine Hände und ein lauteres Herz: Wenn wir mit Jesus gehen, steigen wir auf und finden zu den Reinigungen, die uns wirklich in die Höhe bringen, die dem Menschen zugedacht ist: die Freundschaft mit Gott selbst.
Der Aufstiegspsalm 23 endet mit einer Torliturgie am Eingang des Tempels: „Macht hoch die Tür, die Tor macht weit, es kommt der Herr der Herrlichkeit." In der früheren Liturgie des Psalmsonntags pochte beim Ankommen am Kirchengebäude der Priester mit dem Vortragekreuz mächtig an die verschlossene Kirchentür, die sich auf das Pochen des Kreuzes hin auftat. Das war ein schönes Bild für das Geheimnis Jesu Christi selbst, der mit dem Stab seines Kreuzes, mit der Kraft seiner sich verschenkenden Liebe von der Welt her an das Tor Gottes klopfte; von einer Welt her, die den Zugang zu Gott nicht finden konnte. Mit dem Kreuz hat Jesus die Tür Gottes, die Tür zwischen Gott und Mensch aufgestoßen. Sie steht offen. Aber der Herr klopft mit seinem Kreuz auch umgekehrt an die Türen dieser Welt, an die Türen unserer Herzen, die so oft und so weithin für Gott verschlossen sind. Und er sagt uns gleichsam: Wenn schon die Gottesbeweise der Schöpfung dich nicht für Gott auftun können; wenn schon das Wort der Schrift und die Botschaft der Kirche dich unberührt lassen – sieh doch mich an, den Gott, der für dich zu einem Leidenden geworden ist, der selber mitleidet – sieh, daß ich leide um dich, und tu dich auf für mich, deinen Herrn und deinen Gott.
Diesen Anruf lassen wir in dieser Stunde in unser Herz dringen. Möge der Herr uns helfen, die Tür unseres Herzens, die Tür der Welt aufzutun, damit er, der lebendige Gott, in seinem Sohn ankommen kann in dieser unserer Zeit, in unserem Leben. Amen.
[00466-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
[B0169-XX.03]