CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE "LA COSCIENZA CRISTIANA A SOSTEGNO DEL DIRITTO ALLA VITA" (23-24 FEBBRAIO 2007) ● INTERVENTO DI S.E. MONS. ELIO SGRECCIA
● INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTHONY FISHER
● INTERVENTO DEL PROF. MONS. JEAN LAFFITTE
● INTERVENTO DELLA PROF.SSA MÓNICA LÓPEZ BARAHONA
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Congresso Internazionale "La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita", che si terrà nei giorni 23 e 24 febbraio 2007 presso l’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano, in occasione della XIII Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita.
Intervengono: S.E. Mons. Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; S.E. Mons. Anthony Fisher, Vescovo Ausiliare di Sydney, Professore di Bioetica e Teologia Morale, Istituto Giovanni Paolo II, Sydney; Prof. Mons. Jean Laffitte, Vice-Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; Professore di Antropologia e di Spiritualità coniugale presso l’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia; Prof.ssa Mónica López Barahona, Biologa, Professore di Bioetica e Direttore dell’Istituto di Bioetica presso l’Università Francisco de Vitoria, Madrid.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DI S.E. MONS. ELIO SGRECCIA
Toccare il tema sulla coscienza personale in riferimento ai problemi morali e alla legge civile, per di più nell’ambito sanitario, significa entrare spesso in un campo aperto alla controversia e alla conflittualità. Si avvertono subito le istanze dell’autonomia e della libertà dei singoli, del pluralismo dei valori, della tolleranza dei comportamenti e dell’obiezione di coscienza. La Pontificia Accademia per la Vita nello scegliere questo tema, in occasione del suo XIII Congresso Internazionale, non ha inteso tuttavia prioritariamente portare la riflessione sui temi conflittuali, pur avendone piena consapevolezza. I temi della tolleranza, della democrazia, dell’autonomia morale, soprattutto in riferimento alle scelte del singolo o nella ricerca scientifica, sembrano a prima vista contrapporsi alla formazione e alla manifestazione della coscienza cristiana. Per questo si è voluto anzitutto sottolineare il ruolo della coscienza cristiana e l’urgenza della sua formazione nel contesto attuale, e si è inteso indicare il fondamento, la specificità e i compiti di una coscienza illuminata dalla fede, pur nella necessità di un dialogo con il mondo laico e il pluralismo delle culture.
Siamo convinti che non soltanto c’è uno spazio legittimo per la coscienza cristiana nella società pluralista, ma c’è un’utilità per tutta la società quando la coscienza cristiana può esprimersi e può offrire il suo contributo. Da parte della Chiesa c’è la convinzione, manifesta nei suoi insegnamenti, e ultimamente nella Enciclica Fides et ratio, che la coscienza cristiana, specie se testimoniata con coerenza, è di conforto per la ragione e per la vita di tutti.
Ovviamente si richiede ai singoli fedeli che siano certi della fondatezza dei giudizi della loro coscienza, anzitutto in relazione alla verità, e che i fedeli siano desiderosi e determinati a dare e manifestare coerenza nel passaggio del giudizio all’azione.
Occorrono fra i credenti coscienze vere, certe e rette, condizioni che non sono affatto scontate, non sono neppure frutto di improvvisazione, ma di riflessione, di dialogo e talvolta di faticosa ricerca.
A queste istanze si rivolge sostanzialmente la prima giornata del Congresso; mentre nella seconda giornata si affronta il rapporto tra la coscienza cristiana e il sostegno alla vita, e qui si pone il problema dell’ "obiezione di coscienza".
Vorrei far notare che l’obiezione di coscienza non è l’unica istanza della coscienza cristiana in campo sanitario, ma anzitutto la coscienza esige la testimonianza in positivo nel servizio, nell’amore, nella venerazione, come ha scritto qualcuno, per la vita di ogni fratello; di fronte ad un colpevole, i cristiani sanno in coscienza che la persona è più del suo atto deviante o del suo smarrimento, la vita creata da Dio e redenta da Cristo, e conserva il suo valore ontologico per la sua origine e per la sua destinazione. Non è permesso al cristiano ignorare la distinzione tra il peccato, che va prevenuto, evitato e riparato, e il peccatore che va aiutato.
Ma proprio per il servizio alla vita, per l’onore che spetta ad ogni uomo vivente, è necessario evitare il male e, quando occorre, porre in atto l’obiezione e la protesta di coscienza.
L’obiezione di coscienza, se accompagnata da amore di verità e ad ogni persona, non è una fuga dalle responsabilità, ma al contrario un’assunzione di una testimonianza di aiuto. Oggi, in questo settore della vita e della sanità, si presenta tutta una seria di nuove fattispecie e situazioni dove i medici e altre figure collegate alla loro attività, sono chiamati a porre in atto l’istanza dell’obiezione.
Consapevoli di quanto la vita sia fragile in certe età e situazioni, e di quanto sia forte la pressione sociale che tende ad "omogeneizzare" i comportamenti ed a sostituire le coscienze, dobbiamo sentire il richiamo alla consapevolezza e alla responsabilità, voci della coscienza alla ricerca di una coerenza interiore e di un sostegno valido alla vita minacciata.
Pensiamo, infine, che in una società che voglia rimanere autenticamente democratica, la coscienza deve essere capace di parlare anche per chi ancora non ha voce o non può esprimersi.
La mèta dei cristiani, dunque, è anche questa: dare voce anche a coloro che non hanno voce elettorale, né potere economico, ma hanno la stessa dignità di ognuno di noi.
[00239-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI S.E. MONS. ANTHONY FISHER
I address the question of what conscience is and is not, and what authority conscience has. I note that a common but faulty view is that, like a satellite navigator, conscience gives us directions from outside our own moral reasoning. If we hear such voices we may well need a doctor or an exorcist! Also wrong is the view of conscience as the obedient slave of some external law-giver, or as a tax-lawyer trying to help us get around the moral law. Talk of ‘the primacy of conscience’ is too often a cloak for raw will.
The classical Christian conception of conscience is of the natural perception of basic moral principles, their application in particular circumstances, and the final judgment about what is to be (or has been) done. It presumes a noble view of human capacities and commands respect of individuals and institutions. It should be an antidote rather than an excuse for subjectivism or relativism. But conscience must be both well-informed and well-formed if it is to be a reliable guide to action. Too often in recent years those desperate for moral education or advice have been fobbed off with "follow your conscience" or indulged with "do what you think is best". Likewise too often in international forums human rights documents have become weapons against the rights of some people and apparently innocent words have become code with sinister meanings. Without shared objective principles, ‘conscientious’ belief becomes window-dressing for the raw expression of preference or power.
I also address the authority of the Church as a moral teacher and former/informer of conscience. There I treat the ideas of ‘magisterium’, ‘the unconditional assent of faith’, ‘religious assent’ and ‘dissent’. But simply: when is the voice of the Church to be relied upon in moral matters? Has the Church ever claimed to teach infallibly in moral matters and, if so, in which ones? Can there be a conflict between the Church as teacher and the individual conscience and how is this to be resolved?
In the third part addresses the problematic of those who oppose conscience to magisterium which came to a head in the crisis of ‘68 and subsequent polarisation of Catholic moral theology. I consider the Church’s attempts to heal the rifts and clarify the relationship between freedom and truth, conscience and magisterium. In particular I consider an important lecture of the then-Cardinal Ratzinger on "Conscience and Truth" in which he highlights the dangers of "a canonization of subjectivity". In the face of continuing division over moral conscience and authority I identify two helpful strands of contemporary thought: the ‘communitarian’ call to think with one’s moral community and the ‘practical reason’ approaches to maturation of conscience. On these views the magisterium is not some external source of moral thinking with which private conscience must grapple: it informs conscience much like a soul informs a body, giving it its shape and direction from within.
[00240-02.02] [Original text: English]
● INTERVENTO DEL PROF. MONS. JEAN LAFFITTE
Sempre nelle storia è stata offerta la testimonianza di uomini e donne che, giunti a un momento decisivo della loro esistenza in cui s'impone una scelta personale di portata religiosa o morale, si sono trovati nella posizione di dover disobbedire alla legge civile. I motivi di disobbedire a una legge positiva devono poter essere riferiti all'istanza della coscienza morale, nella quale entrano in gioco altre leggi, leggi immutabili, non scritte, di natura religiosa o morale.
L'Autore esamina alcuni esempi: la condanna a morte di Socrate, il faccia a faccia di Creonte e Antigone, i fratelli del Libro dei Maccabei, i martiri cristiani, con le figure dei santi Phileas, Cipriano, Thomas More, i testimoni della Chiesa in Uganda. Alla base dell'obiezione di coscienza, si ritrova sempre la convinzione che l'uomo dovrà rispondere dei suoi atti, davanti ai giudici dell'Hadès per i Greci, davanti al Dio Giusto e Misericordioso per i cristiani. In ambito cristiano, la convergenza delle testimonianze consente all'Autore di delineare una struttura della libertà dei credenti.
La modernità è anche segnata dall'apparizione, con Erasmo, Locke, Spinosa, Bayle, Voltaire, al secolo dei Lumi, di un nuovo concetto, la tolleranza. Cessando di essere una espressione della classica virtù della prudenza e quindi di essere una virtù pratica, la tolleranza ideologica si è erta al rango di virtù teorica. L'Autore mostra che tale pretesa è di essenza politica, anche se ne risultano innumerevoli conseguenze nell'ordine dell'ethos. A livello sociale, si è così poco a poco creata una società ideologicamente tollerante. L'Autore sviluppa la tesi paradossale secondo la quale una società ideologicamente tollerante, nel senso contemporaneo del termine, non è disposta a sopportare, non può tollerare l'obiezione di coscienza, poiché questa in qualche maniera sfugge al suo controllo: infatti non tollera l'idea che ci sia una verità da cercarsi; che una tale verità possa avere un carattere universale; che siano necessari i dibattiti di fondo; insomma, la società tollerante, rimanendo sempre al livello dello scambio di opinioni relative e collocandosi sempre al di sopra dei dibattiti rivendica il diritto di giudicare le parti presenti; la sua posizione la situa sempre praticamente dalla parte delle posizioni più teoricamente tolleranti, posizioni sicuramente le meno disturbanti per l'equilibrio consensuale che essa pretende di mantenere. Impone in questo modo un pensiero unico che può generare un totalitarismo ideologico e sociale. Per sfuggire all'impresa totalitaria, la sola risposta veramente realista, sul piano filosofico e giuridico, è l'affermazione positiva della dignità dell'uomo, di ogni uomo, come verità valida per tutti: stabilisce la possibilità di un vero dibattito, poiché l'interlocutore è in tutti i casi reputato degno, vale a dire destinatario rispettato di questa libertà fondamentale che s'intende riconoscergli. Tale attitudine è autenticamente tollerante, ma non si situa nella tolleranza ideologica. Nei fatti, la tolleranza ideologica sopprime il solo punto di vista che rispetta la dignità dell'uomo.
L'Autore mostra quanto la tolleranza ideologica sia sempre legata a una concezione individualista della coscienza morale, vista come una monade autonoma nelle sua scelte: nel migliore dei casi, le norme recepite dall'autorità morale, dalla tradizione sociale, dalle istruzioni dell'autorità religiosa, saranno considerate come delle indicazioni, senza dubbio interessanti, o delle opinioni stimolanti per la riflessione; ma in ogni caso tali norme non coinvolgeranno il soggetto morale.
I tempi moderni vedono una secolarizzazione dell'obiezione di coscienza, la quale si cristallizza attorno a due temi precisi: il servizio militare, che da un secolo ha condotto al riconoscimento giuridico in Occidente di uno statuto particolare degli obiettori; il secondo campo tocca le questioni legate alla protezione della vita umana: la questione dell'aborto, del rifiuto di certi pazienti di subire certe cure, il rifiuto di prestare il proprio concorso a degli atti d'eutanasia, la sterilizzazione, la partecipazione a degli atti d'esecuzione capitale, la ricerca che implica la distruzione degli embrioni. L'Autore mostra, a partire dalla questione della sua depenalizzazione e poi legalizzazione come l'aborto rappresenti un caso paradigmatico: l'ideologia che lo ha presentato come un diritto personale delle donne incinte, ha privato la società di riflettere serenamente sulla questione fondamentale dello statuto dell'embrione, per timore che non sia rimessa in questione questa scelta legislativa. Facendo questo, la società non ha più la capacità di affrontare le sfide che rappresentano un certo numero di pratiche medico-chirurgiche e di manipolazioni legate alla ricerca biomedica. Come, e in virtù di che cosa, potrebbe essa manifestare una riserva di principio verso i procedimenti che indicano la distruzione di parecchi embrioni, se essa non ha accettato fin qui d'affrontare oggettivamente il problema a proposito dell'atto abortivo? Essa ha tolto da ogni riflessione futura i criteri essenziali che gli avrebbero permesso d'affrontare questi temi.
[00241-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DELLA PROF.SSA MÓNICA LÓPEZ BARAHONA
Man is a free being who establishes his behaviour and forges his will in a series of ethical and/or religious principles. Loyalty to these principles brings the right and the need of conscientious objection. When talking about conscientious objection in bioethics research, it means admitting a threat against Humanity’s essential values. It also means admitting the incapacity of the positive law to prevent this situation.
We have been witnesses of incessant concessions to scientific research by the legislator, concessions which need sound reasoning that may present Bioethics’ consecration by the law as the protection of the person, whereas these concessions are actually the setting of new exemptions in favour of biomedical research no matter whether it may take the entire human life’s dignity into account.
The knowledge of human genome allows know genetically selection of individuals; since sheep Dolly was born, scientists have unsuccessfully tried to apply this technique to the human species; the practice of in vitro fertilization has won over our laws, considering that the child is an object, an object of the couple’s desire and of the medical team’s desire; fertility can be altered by using artificial contraceptive techniques or treatments that are, in many cases, abortive; research aimed at the practice of euthanasia makes it possible the ‘so-called’ physician-assisted suicide; Research on embryonic stem cells, etc
The solution to the dilemmas that the scientist has to confront throughout all his/her professional life is given in Donum Vitae (22nd. February 1987) that recommends conscientious objection against those civil immoral laws.
It is imperative in the beginning of the XXI century that there should be constant testimonials in the field of biomedical research and all the scientists with a personalistic anthropological formation gather to raise an evident claim in the field of biomedical sciences.
We have to bear in mind that silence usually means complicity so let us raise our active voice and search the Truth.
[00242-02.01] [Original text: English]
[B0091-XX.03]