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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 93a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (14 GENNAIO 2007), 14.11.2006


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 93a GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (14 GENNAIO 2007)

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

INTERVENTO DI S.E MONS. AGOSTINO MARCHETTO

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 93a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (14 gennaio 2007) sul tema: "La famiglia migrante".

Intervengono: l’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; S.E. Mons. Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO

1. Famiglia e "progetto migratorio"

Il Messaggio del Santo Padre per la 93ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrerà a livello mondiale domenica 14 gennaio 2007, ha per tema un argomento di scottante attualità: la famiglia migrante. In effetti, nel panorama attuale delle migrazioni internazionali, la famiglia si trova a confronto con nuove sfide e innumerevoli disagi.

Nel Paese di arrivo delle ondate migratorie, spesso le famiglie si ricompongono soltanto dopo l’iniziale approdo di singoli migranti, che mirano a realizzare un proprio "progetto migratorio", che in genere consiste nel raggiungere una posizione economica che permetta prima di tutto la sopravvivenza e, successivamente, l’indipendenza economica. Spesso ciò si verifica con carattere di provvisorietà.

Soprattutto nelle società dove l’immigrazione è rilevante, il ruolo della cellula familiare cede il passo all’individuo nella sua capacità produttiva o di successo: emergono, pertanto, rapporti piuttosto funzionali ed anonimi, sia sul posto di lavoro che nella vita quotidiana, soprattutto a scapito della famiglia. Anche la lingua, che è veicolo di comunicazione, diventa una barriera divisoria tra la prima e le successive generazioni, all’interno della famiglia stessa. Si accentua, così, l’isolamento dei componenti del nucleo familiare, che talvolta sconfina nella solitudine e nell’emarginazione, in una città o un quartiere che sono spesso percepiti come "ostili". L’isolamento risulta, poi, più accentuato fra le donne, confinate tra le mura domestiche, con poche possibilità di rapporti esterni (cfr. Erga migrantes caritas Christi EMCC –, 5), quando addirittura non «finiscano vittime del traffico di esseri umani e della prostituzione», secondo l’avvertimento del Messaggio Pontificio, che fa appello, a tale proposito, all’importante apporto delle religiose, le quali «possono rendere un servizio di mediazione apprezzato e meritevole di sempre maggiore valorizzazione».

2. La Santa Famiglia e l’emigrazione

Nel Messaggio che oggi presentiamo, a distanza di 55 anni dalla promulgazione della Costituzione Apostolica Exsul Familia (1° agosto 1952), il Santo Padre Benedetto XVI avverte ancora attuali le considerazioni di Papa Pio XII, il quale esortava a vedere la Santa Famiglia di Nazaret in esilio come «il modello, l’esempio e il sostegno di tutti gli emigranti e pellegrini» (n. 1). Di fatto, nel dramma di Giuseppe, di Maria e del Bambino Gesù, la storia riconosce la dolorosa vicenda dei viandanti di tutti i tempi: «migranti, rifugiati, esuli, sfollati, profughi e perseguitati». Essi sono allo stesso tempo memoria e profezia. Memoria del monito biblico che nessun uomo ha su questa terra stabile dimora; profezia che squarcia le notti dell’egoismo e forza aurore di solidarietà, annunciando la buona novella che la terra è dell’uomo, mentre si innalzano invece frontiere e si costruiscono società che risultano ostili. A proposito di frontiere, devo purtroppo rilevare che in un mondo che aveva salutato con gioia la caduta del muro di Berlino, se ne vanno erigendo altri tra quartiere e quartiere, tra città e città, tra nazione e nazione. In occasione della presentazione delle Lettere Credenziali dell’Ambasciatore Belga, il Santo Padre Benedetto XVI ha affermato «Occorre mettere in cantiere una politica d’immigrazione che sappia conciliare gli interessi propri del Paese d’accoglienza e il necessario sviluppo dei Paesi meno favoriti, politica sostenuta anche da una volontà d’integrazione che non lasci svilupparsi situazioni di rigetto o di non-diritto, come lo rivela il dramma di coloro che non hanno documenti» (L’Osservatore Romano 27 ottobre 2006, p. 4, col. 3).

3. Disagi e pericoli

Accanto a coloro che migrano, provvisti di regolari permessi di soggiorno e avendo ottenuto un contratto di lavoro, ci sono coloro – in misura crescente – che fuggono dalla loro Patria, con la speranza di un avvenire migliore nei Paesi sviluppati. A volte isolatamente o in gruppi occasionali, oppure pagando somme eccessive per le loro scarse possibilità, talvolta favoriti da falsi documenti o prede di organizzazioni malavitose. Spesso anche il viaggio si trasforma in trappola di morte e l’approdo alle terre della "felicità" svela a non pochi il vergognoso risvolto della medaglia: la corruzione, la criminalità o la prostituzione! In tale contesto, è particolarmente incoraggiante l’invito del Santo Padre a ratificare gli «strumenti internazionali tesi a difendere i diritti dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie», a partire dalla Convenzione Internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, entrata in vigore il 1° luglio 2003.

4. "Meccanismi di difesa"

Il fenomeno migratorio determina di per sé una triste situazione di emarginazione, che ingenera frustrazione e insicurezza e rende possibile una conflittualità tra l’immigrato, con la sua famiglia, e la società nella quale si trova a vivere. La famiglia immigrata tende a mettere in atto una serie di "meccanismi di difesa" – ai quali accenna il Messaggio Pontificio – per poter riequilibrare la propria esistenza.

In particolare, essa riduce le proprie aspirazioni, tentando di realizzare il "progetto migratorio provvisorio" nel più breve tempo possibile. In tal modo, le "aspirazioni" si limitano al campo economico.

Ma, con il passare degli anni, con il ricongiungimento familiare o la nascita dei figli, con il perdurare e il prolungarsi dell’esperienza di migrazione, il "progetto" iniziale subisce radicali trasformazioni. In questo processo di stabilizzazione si accentua anche la proiezione delle aspirazioni dei genitori sui figli.

5. Sfide e prospettive

Gli immigrati e in particolare le loro famiglie fanno parte della vita quotidiana dei Paesi d’accoglienza. La società civile e le comunità cristiane sono perciò interpellate dai complessi problemi e difficoltà, ma anche dai valori e dalle risorse di questa nuova realtà sociale. Ciò comporta lo sviluppo di relazioni che si traducono, da una parte, in aiuti per l’inserimento nella società e, dall’altra, in occasioni di crescita personale, sociale ed ecclesiale, per i cristiani, basata sull’osservanza delle leggi, l’incontro delle culture, delle religioni e sul reciproco rispetto dei valori, con base sui diritti umani.

Sotto questo profilo, il Diritto Internazionale deve mirare a tutelare l’unità familiare e a combattere il fenomeno oggi sempre più diffuso dei ricongiungimenti di fatto (riunioni di famiglie nella irregolarità), dovuti soprattutto alle difficoltà incontrate nel raggiungere i requisiti per la riunificazione legale e per il lungo iter burocratico legato alla sua concessione (cfr. EMCC 43 e 87).

6. Gli studenti esteri (internazionali)

Parte del Messaggio Pontificio, oltre ai rifugiati, su cui interverrà l’Arcivescovo Agostino Marchetto, è dedicata agli studenti esteri. Si calcola che essi siano più di due milioni, con notevole presenza negli Stati Uniti d’America, in Inghilterra, Francia e Germania.

Gli studenti esteri sono certo una categoria significativa per l’apostolato, considerati anche i loro problemi economici, se provenienti da Paesi poveri, e quelli d’integrazione nel Paese d’arrivo. Oltre all’aiuto, la Chiesa è chiamata ad offrire un sostegno morale e la formazione cristiana.

La solitudine conseguente all’espatrio, l’impegno umano e cristiano che li attende nei Paesi d’origine al termine degli studi, la loro stessa vulnerabilità sono altrettanti elementi che configurano la specificità dell’azione pastorale a loro favore. Più di altri studenti, essi sono oggetto di sollecitazione e di pressioni diverse. Inoltre, avendo conosciuto un mondo nuovo, con un livello di vita più elevato, essi sono tentati di rinunciare alla cultura originaria e di abbandonare ogni idea di rimpatrio. Soltanto un tipo di pastorale che tenga conto di tali fattori può essere in grado di rispondere alle necessità spirituali di questa gioventù.

Nel documento finale del Secondo Congresso Mondiale della Pastorale per gli studenti esteri (dicembre 2005), si ricorda come la cura pastorale per gli studenti internazionali abbia pure una dimensione ecumenica, inter-religiosa ed inter-culturale, nel contesto di un partenariato che coinvolge l’università, il Paese ospitante e quello di provenienza, le Chiese locali e le cappellanie, così come le Organizzazioni degli studenti e gli stessi studenti esteri. L’accoglienza e la solidarietà pastorale sono un "ponte" tra i popoli. Il Messaggio Pontificio, infatti, ricorda che «con le sue Istituzioni la Chiesa si sforza di rendere meno dolorosa la mancanza del sostegno familiare di questi giovani studenti, e li aiuta ad integrarsi nelle città che li accolgono, mettendoli in contatto con famiglie pronte ad ospitarli e a facilitarne la reciproca conoscenza».

Grazie.

[01608-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DI S.E MONS. AGOSTINO MARCHETTO

Le famiglie dei rifugiati devono trovare calorosa accoglienza nei Paesi che li ospitano, grazie alla risposta solidale e piena di compassione della comunità locale. Tale atteggiamento faciliterà l’integrazione di chi è fuggito da violazione dei diritti umani e circostanze di persecuzione e abuso previste dalla Convenzione del 1951 e dalle sue aggiunte. Oggi però – è doloroso per noi costatarlo – la comprensione e la simpatia per i rifugiati diminuiscono e lo dimostra il fatto che si intraprendono azioni che rendono la vita più difficile per chi ricerca asilo. Così realizziamo che molte volte i rifugiati sono descritti in maniera negativa e sono visti quasi come una minaccia o una seccatura politica, non considerandosi invece i loro valori e il potenziale contributo che possono dare al Paese d’accoglienza. La situazione, poi, delle persone sfollate all’interno del proprio Paese è, in generale, ancora più difficile, poiché per esse non v’è ancora una legislazione internazionale.

Aggiungo che, nel campo del nostro intervento, si dilata altresì il traffico di esseri umani – altro dramma nel dramma – contro il quale bisognerebbe stabilire opportunità più larghe per la migrazione legale. Ciò porterebbe anche il vantaggio pratico di ricevere sufficiente manodopera in economie che risentono dell’invecchiamento della popolazione (cfr. Messaggio, par. 3). Dovrebbe essere compreso, in tale auspicato programma, anche il reinsediamento dei rifugiati, cosa che offre ad essi una nuova prospettiva di vita.

Per offrire delle cifre, che illustrano ulteriormente la realtà, rilevo che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)1 si occupa di circa 20 milioni di persone, nove dei quali sono propriamente detti rifugiati, mentre ricordo che il mandato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Assistenza e le Opere a favore dei Rifugiati Palestinesi del Vicino Oriente (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East - UNRWA) ha una sollecitudine per più di quattro milioni di palestinesi. Non posso dimenticare inoltre, per la specificità dell’odierna situazione, la necessità di urgenti misure a favore dei cristiani iracheni e delle altre minoranze religiose in Iraq. Ricordo infine che le persone sfollate all’interno del proprio Paese per situazioni simili a quelle dei rifugiati sono altri 24 milioni circa.

Segnalo altresì che nei Paesi diciamo del Sud del mondo, sono ora intorno ai sei milioni i rifugiati che vivono in appositi "campi" da più di cinque anni, con poco rispetto, molte volte, dei loro diritti. Intendo dire che non possono lavorare propriamente, né uscire liberamente dal "campo" poiché i loro movimenti sono limitati. Così essi si riducono ben presto a dipendere dalle razioni di cibo loro donate, che spesso non sono sufficienti, a causa di problemi di raccolta degli appositi fondi o di tipo logistico. Sovente il nutrimento è dunque ridotto dal 20% fino al 50% rispetto al previsto. Inoltre, la poca varietà nelle razioni contribuisce a gravi forme di malnutrizione.

Sostenere una famiglia in tali condizioni è difficile, evidentemente, con grande e grave impatto sui diversi suoi componenti, ed influenza negativa nei suoi rapporti interni. Le madri debbono così costatare che i figli non le rispettano più e non le ascoltano. I figli agiscono in modo indipendente, dato che i genitori non sono in grado di provvedere alle loro necessità, e quindi non ne accettano la guida. Inoltre, – ed è ancora più grave – il coinvolgimento dei figli e delle donne nello sfruttamento sessuale sembra diventare un meccanismo di sopravvivenza. Il Santo Padre menziona questo dramma nel suo Messaggio, al par. 4. I capi famiglia quindi si sentono inermi e frustrati, per non poter provvedere ai bisogni basilari dei propri cari. Non è infrequente dunque che una figlia rimanga incinta solo per ottenere qualche prodotto igienico o cibo per sfamarsi. Tutto ciò – è evidente – colpisce negativamente la vita familiare stessa, per cui le strutture sociali risultano indebolite e le persone perdono i propri valori, la propria ‘umanità’ e dignità, mentre quello che invece i rifugiati desiderano è andare oltre l’assistenza ricevuta. Essi vogliono cioè lavorare e contribuire al benessere della società che li ospita, anche per integrarvisi.

Come ho già accennato, gli sfollati all’interno di un Paese si trovano in una posizione più difficile dei rifugiati. Oggi sono circa sei milioni coloro che usufruiscono di un tipo di protezione da parte dell’ACNUR. Per gli altri 18 milioni la responsabilità è del Governo locale, che – vale riconoscerlo – molte volte è la causa stessa del loro muoversi come sfollati, con conseguente mancata assistenza e facile oblio del dovere di protezione.

Ho pure accennato d’inizio al fatto che nei Paesi cosiddetti industrializzati i rifugiati sono sempre più visti in modo negativo, per cui sono state varate misure tendenti a limitare le richieste di asilo imponendo, per esempio, procedure per ottenerlo che possono durare anni, nel corso dei quali la persona non ha diritto a lavorare, ed è molte volte costretta a vivere rinchiusa in ‘centri di accoglienza’ o permanenza sovraffollati. Essere insieme a persone che provengono da culture diverse e affrontare un futuro incerto, con soluzione esistenziale lontana, comportano naturalmente conseguenze psicologiche negative. Vi è poi la questione del trattamento riservato ai minori non accompagnati, che in un numero crescente di Nazioni è simile a quello degli adulti. Allo stesso tempo, tutte le persone di cui qui parlo devono fare i conti con lo stress emozionale e il trauma causati dalle tristi esperienze vissute in passato, come si sottolinea nel Messaggio pontificio al par. 4.

Ricordo altresì che pure quando al capo famiglia è stato riconosciuto, magari dopo anni, lo status di rifugiato, la riunificazione familiare potrà essere problematica. Ognuno comprende, infatti, che dopo aver trascorso lunghi periodi separati, in situazioni e con esperienze diverse, si manifestino difficoltà di relazione tra marito e moglie. Inoltre i figli dovranno adattarsi a una nuova società, con cultura e lingua sconosciute. Per i più piccoli ciò potrà essere relativamente facile, ma i più grandi attraverseranno periodi difficili. La situazione per i genitori, poi, potrà complicarsi per la difficoltà di accedere al mercato del lavoro, per le barriere linguistiche, e per la eventuale discriminazione esistente nei confronti degli stranieri. Se non sono previsti schemi appropriati per introdurre i rifugiati nel mercato del lavoro, secondo le loro capacità professionali, essi saranno poi facilmente indirizzati a lavori non qualificati, che daranno minori introiti, con forte impatto su tutta la famiglia.

I rifugiati riconosciuti tali, e i membri delle loro famiglie, dovranno anche adattarsi alla vita quotidiana del Paese di rifugio, con attività che talvolta sono piuttosto diverse, se non addirittura sconosciute nel Paese d’origine. Facciamo un esempio semplice e comprensibile per ogni massaia e cioè il lavare i vetri delle finestre. Ciò può essere un problema, se si è sempre vissuti ai tropici, in una "casa" – diciamo così – in cui le aperture all’esterno sono senza vetri. Anche pulire la cucina, quando si è sempre cucinato fuori casa, sarà una novità. E, nel nuovo Paese, quali sono i fiori e quali invece le erbacce, da eliminare? Sarà importante, poi, essere accettati dai vicini e integrarsi gradualmente nella società, che è cosa non semplice. Inoltre ci saranno da compilare molti "documenti", con la lingua che complica le cose. In tutto questo, assistenti sociali e mediatori culturali avranno il loro bel da fare, come richiama il Santo Padre nel suo Messaggio, al par. 6. Certo essi potranno essere aiutati dai volontari, molto spesso della Chiesa locale, che possono avere un ruolo molto importante nel processo di adattamento.

Così, poco a poco, i rifugiati e i loro familiari si abitueranno al loro nuovo ambiente, con partecipazione alla vita quotidiana del Paese che li accoglie e potrà accadere che, gradualmente, i vicini si accorgano delle loro qualità, dei loro valori. A questo riguardo ci sarebbero molte storie positive da raccontare, il che, in genere, non avviene nei mezzi di comunicazione.

L’accompagnamento a cui mi riferivo, anche da parte dei volontari, è dunque necessario durante il processo di integrazione. Esso manifesta il rispetto per l’altro e, allo stesso tempo, permette alla persona assistita di cambiare, secondo il vero concetto di integrazione, che non è assimilazione. Tale atteggiamento, per noi, ha radici profonde nel Cristianesimo e anche oggi, in concreto, mostra ciò che la Chiesa è e promuove.

Come attestava il Santo Padre, "Chi si nutre con fede di Cristo alla mensa eucaristica assimila il suo stesso stile di vita, che è lo stile del servizio attento specialmente alle persone più deboli e svantaggiate. La carità operosa, infatti, è un criterio che comprova l’autenticità delle nostre celebrazioni liturgiche ". (Benedetto XVI, Angelus, 19 giugno 2005). Grazie!

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1 Rifugiato è un termine generico usato per descrivere le persone della cui assistenza e protezione si occupa l’ACNUR. Vi sono inclusi, secondo la Convenzione del 1951, le persone costrette a lasciare il proprio Paese a causa di conflitti o per eventi che hanno gravemente turbato l’ordine pubblico, coloro che sono alla ricerca di asilo, quanti sono rientrati in patria, gli apolidi, e, in qualche caso, gli sfollati all’interno del proprio Paese. L’ACNUR agisce anche a favore di persone che non sono definite immediatamente come ‘rifugiati’, e ciò sulla base di risoluzioni dell’Assemblea Generale delle N.U. e dell’ECOSOC.

[01616-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0575-XX.01]