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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2006, 28.10.2005


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2006

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. STEPHEN FUMIO HAMAO

INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 92ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (15 gennaio 2006) sul tema: "Migrazioni: segno dei tempi".
Partecipano alla Conferenza: l’Em.mo Card. Stephen Fumio Hamao, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; S.E. Mons. Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:

INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. STEPHEN FUMIO HAMAO

Il primo Messaggio di Benedetto XVI in tema di migrazioni coincide con la 92ª Giornata del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata mondialmente domenica 15 gennaio 2006. Esso porta il titolo "Migrazioni: segno dei tempi" ed è quindi significativo anzitutto notare che un fenomeno come le migrazioni, dai contorni tanto attuali e, per certi aspetti, anche drammatici, trovi riscontro nell’espressione "segno dei tempi", che ispira nella Chiesa un sapiente discernimento di impulsi, sul crinale della storia, verso questo o quell’atteggiamento, che porta poi a prendere una direzione pastorale piuttosto che un’altra. In questa prospettiva, il fenomeno migratorio è altresì elemento qualificante per presagire l’orientamento futuro dell’itinerario storico dell’intera umanità, dal momento che - come attesta il Messaggio - «ha assunto nel corso del secolo da poco concluso una configurazione, per così dire, strutturale», a dimensione planetaria. Le migrazioni, comunque, vanno interpretate alla luce della Rivelazione, con la guida del Magistero della Chiesa, incentrata nel segno-sacramento che è Gesù Cristo.

Più recentemente, se vogliamo andare alla storia, l’espressione "segno dei tempi" è stata usata nella bolla di indizione del Concilio Vaticano II, Humanae salutis, del 25 dicembre 1961, e proprio a quella grande Assise fa appello l’introduzione del Messaggio per il 2006 di Benedetto XVI, commemorandone il quarantesimo anniversario della chiusura. Così si esprimeva Papa Giovanni XXIII: "Facendo nostra la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i segni dei tempi, ci sembra di scorgere in mezzo a tante tenebre, indizi non pochi che fanno ben sperare sulle sorti della Chiesa e dell’umanità". Il Concilio, poi, riprese il sintagma quattro volte nei suoi documenti finali (Gaudium et spes 4, Presbyterorum ordinis 9, Apostolicam actuositatem 14, Unitatis redintegratio 4). Giovanni XXIII ne fece altresì quasi parola di riferimento dell’enciclica "Pacem in terris".

Il Messaggio ora di Benedetto XVI, in continuità conciliare, invita anzitutto, in chiave positiva, a leggere le migrazioni come un’opportunità, quasi una sfida. Esse, infatti, "favoriscono la conoscenza reciproca e sono occasione di dialogo e comunione, se non di integrazione a vari livelli" (Istruzione Erga migrantes caritas Christi, "La carità di Cristo verso i migranti", 2). Così, "pongono ai cristiani nuovi impegni di evangelizzazione e di solidarietà, chiamandoli ad approfondire quei valori, pure condivisi da altri gruppi religiosi o laici, assolutamente indispensabili per assicurare una armonica convivenza" (Ib. 9). In questo modo, - come risulta dal Messaggio Pontificio - la «spinta poderosa esercitata dalla globalizzazione», pure in contesto migratorio, diventa occasione privilegiata soprattutto per rendere concreta la "globalizzazione della solidarietà", tanto auspicata dal Servo di Dio Giovanni Paolo II (Pastores Gregis nn. 63 e 69). Strumento nel passaggio da società monoculturali a società plurietniche e interculturali, le migrazioni possono inoltre essere considerate come "segno della viva presenza di Dio nella storia e nella comunità degli uomini, poiché offrono un’opportunità provvidenziale per realizzare il piano di Dio di una comunione universale" (Erga migrantes caritas Christi 9).

Si ricava dal Messaggio del Santo Padre, poi, la convinzione che donne e uomini in emigrazione rappresentino una preziosa risorsa per lo sviluppo dell’intera umanità, grazie alle potenzialità, umano-spirituali e culturali, di cui ciascuno è depositario, senza con questo misconoscere il costo umano dell’esperienza migratoria e le sue molteplici incidenze sociali, economiche e politiche.

E qui già ci rivolgiamo a considerare i risvolti negativi, del resto chiaramente enunciati nel Messaggio odierno, soprattutto quest’anno in riferimento alle avversità che incontrano le donne migranti - il Papa accenna alla "femminizzazione" del fenomeno migratorio -, così come le tragedie che coinvolgono i richiedenti asilo e i rifugiati e le ben note difficoltà degli studenti esteri, specialmente se provenienti dal Terzo Mondo. Queste situazioni di disagio e di conflitto "mostrano la lacerazione introdotta nella famiglia umana dal peccato, e risultano pertanto una dolorosa invocazione alla vera fraternità" (Ib. 12), anche se le sofferenze, che ne conseguono, possono essere considerate "espressione del travaglio del parto di una nuova umanità" (Ib. 12). Viste così, le migrazioni si situano tra gli autentici segni del tempo, accanto "a quegli eventi biblici che scandiscono le tappe del faticoso cammino dell’umanità verso la nascita di un popolo oltre le discriminazioni e le frontiere" (Ib. 13).

In effetti, nella lettura delle migrazioni come segno dei tempi, confluiscono diverse componenti. Vi sono comprese, infatti, «le migrazioni sia interne che internazionali, quelle forzate e quelle volontarie, quelle legali e quelle irregolari, soggette anche alla piaga del traffico di esseri umani» concludendo, il Santo Padre, con un rimando alla «categoria degli studenti esteri». Egli eleva peraltro il tutto verso un cogliere, nella sfida che pone a noi l’emigrazione, «la possibilità di rispondere in modo adeguato ai perenni interrogativi sul senso della vita presente e futura e sulla giusta impostazione dei rapporti sociali».

In questo contesto, non voglio dimenticare di menzionare i giovani migranti, sia intruppati magari fra i ragazzi di strada - a cui abbiamo dedicato un Congresso Internazionale (il primo) per la relativa specifica pastorale, poco più di un anno fa -, sia gli studenti esteri, richiamati pure con amore nel Messaggio Pontificio. Per essi stiamo organizzando il Secondo Congresso Internazionale di pastorale specifica, con base nell’Istruzione del Pontificio Consiglio dal titolo "La carità di Cristo verso i migranti", che si svolgerà a Roma dal 14 al 16 dicembre prossimo.

Dunque, a pari passo con l’impegno per una giustizia che si attui pure per i migranti, il Messaggio invita alla carità, che spinge a mantenere ed estendere una fitta rete di attività di autentica accoglienza e di genuina disponibilità operativa (cfr Ib. 42-43), per venire incontro, anche a titolo di supplenza, alle tante emergenze degli immigrati nell’impatto con la società di arrivo. Dovrebbero altresì moltiplicarsi gli itinerari che promuovono l’integrazione, lo scambio interculturale, lo sviluppo di una mentalità aperta all’universale, non meno che il dialogo interreligioso, il quale nell’ora presente segna con forza la missione della Chiesa. Così, anche nell’ambito delle migrazioni, l’ansia missionaria spinge, lungo le vie che la Provvidenza apre davanti a noi, a cogliere tutte le occasioni «per portare agli uomini di oggi il messaggio evangelico», secondo il monito e l’auspicio del Messaggio del Santo Padre.

[01346-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DI S.E. MONS. AGOSTINO MARCHETTO

Come appare dal Messaggio Pontificio, vi sono varie categorie di migranti. Nel mio intervento mi limiterò ai rifugiati e ai profughi, con attenzione anche al traffico di esseri umani.

La nostra storia ha appena attraversato un periodo, il ventesimo secolo, che – fra le tante definizioni – è stato pure detto a ragione il secolo dei rifugiati e degli sfollati. Ci riferiamo, per esempio, al tempo della I Guerra Mondiale e alle sue conseguenze, così come alla creazione delle prime Istituzioni Internazionali destinate a prendersene cura (circa 10 milioni di persone). Seguì la II Guerra Mondiale, che sradicò, in cifra tonda, 8 milioni di cittadini, considerando solo l’Europa. Per il loro soccorso, e per tutti gli altri profughi, fu creato proprio l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e fu approvata la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa al loro status, quale importante strumento di diritto internazionale. La pace, tuttavia, non interruppe il loro flusso.

Nella seconda metà del secolo scorso i Padri Conciliari, nel contesto dello scrutare i segni dei tempi, si riferirono alla "moltissima gente spinta per varie ragioni ad emigrare" (GS 6). Tra esse si elencano persecuzioni, violenza generalizzata e violazione in massa di diritti umani. Orbene, all’inizio di questo nuovo millennio, tale drammatica eredità ancora ci accompagna, per cui, come Cristiani, guidati dallo Spirito Santo, dobbiamo continuare a "discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui (il popolo di Dio) prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio" (GS 11). In effetti lo dobbiamo fare (v. GS 4) nella convinzione che il discernimento va applicato anche agli eventi e alle realtà più terribili, quelle stesse che trasformano le persone in rifugiati e sfollati. V’è in essi un eco del lamento di Cristo sulla croce, che grida ancora, nel suo Corpo mistico: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Quel grido è un appello alla liberazione dal profondo della sofferenza. È supplica permanente anche alla solidarietà fra gli uomini e ad un’efficace azione politica e civile che trasformi questa "valle di lacrime" in nuova creazione, per nuova umanità. Del resto il Santo Padre, nel suo Messaggio, ci conferma che "tra i segni dei tempi oggi riconoscibili sono sicuramente da annoverare le migrazioni".

Se cerchiamo di comprendere più profondamente anche la realtà dei rifugiati e degli sfollati quale segno dei tempi, ci troveremo ad affrontare questioni che molto ci turbano e ci domanderemo perché la crudeltà e l’intolleranza umana si spingano fino al punto di perseguitare il prossimo "per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale o per le sue opinioni politiche" [v. Convenzione di Ginevra, 1951, Art. 1, A.2)]. In tale testo ci si riferisce a varie forme di persecuzione, quali la violenza, l’intimidazione, la tortura, l’omicidio e la detenzione, che degradano, pur diversamente, sia coloro che le perpetrano, sia chi ne è vittima.

Se poi prendiamo in considerazione una definizione più ampia di rifugiato, secondo alcune Convenzioni Regionali, dovremmo includere in questa categoria anche coloro che fuggono la guerra, la violenza generalizzata o la violazione di massa di diritti umani. Crescerebbe così la rivelazione spaventosa del mistero di iniquità "misterium iniquitatis", che contrasta il piano di Dio, "misterium amoris et misericordiae", mistero d’amore e di misericordia.

Come rispondere dunque, in quanto comunità di credenti, alla sfida dolorosissima? Anche la risposta - teste il Messaggio Pontificio - è cristocentrica: "La Chiesa guarda a tutto questo mondo di sofferenza e di violenza con gli occhi di Gesù, che si commuoveva davanti allo spettacolo delle folle vaganti come pecore senza pastore (v. Mt 9,36)". E il Papa continua: "Speranza, coraggio, amore e altresì ‘fantasia della carità’ devono ispirare il necessario impegno, umano e cristiano, a soccorso di questi fratelli e sorelle nelle loro sofferenze". E così la Chiesa risponde, infatti. Ci sono migliaia e migliaia di Organizzazioni ecclesiali, di Servizi che portano speranza e amore in situazioni, altrimenti disperate, in cui rifugiati e sfollati si trovano. Pure ciò è segno di questi tempi, buono, anche se la risposta generosa può sempre essere migliorata e ampliata, che esiste, pur mescolato ai grandi mali del nostro tempo.

Infatti, nonostante tali lodevoli sforzi, vanno continuamente ripresentandosi necessità gravissime e carenze ingiustificate. Ne cito soltanto una, fra le più consistenti, e cioè il programma alimentare nei campi dei rifugiati, che è da lungo tempo drammaticamente sotto-finanziato. Ne sono conseguenze inevitabili gravi tagli alle razioni di cibo, bloccate anche per mesi al di sotto delle fatidiche 1500 calorie al giorno. Ne risulta il sottosviluppo dei ragazzi nell’età più delicata, il rischio di incentivare il deleterio commercio di "sesso per cibo" e, ancora, il ritorno forzato di rifugiati e sfollati in ambienti insicuri.

Una parola, infine, sul traffico di esseri umani, che Sua Santità pure menziona nel suo Messaggio. Poiché mancano ancora appropriati programmi di migrazione, coloro che fuggono la povertà o vogliono emigrare a tutti i costi ricorrono spesso a contrabbandieri e trafficanti per entrare in Paese straniero. Nel caso del traffico si giunge ad un’enorme sfruttamento, poiché i diritti umani degli individui non vengono rispettati. Così le vittime di questa schiavitù moderna non sono libere di decidere, per esempio, quale lavoro fare e a quali condizioni, per cui il loro diventa un lavoro forzato, sotto la pressione di un debito insolubile contratto con i trafficanti. Li può attendere un’opera di costruzione, di lavoro domestico, o di assistenza, o essi possono essere soggetti allo sfruttamento sessuale, così legato al traffico di esseri umani, anche giovanissimi. A quest’ultimo riguardo il primo Incontro Internazionale di Pastorale per la liberazione delle donne di strada, organizzato da questo Pontificio Consiglio, nel giugno di quest’anno, ha dichiarato che occorre puntare l’attenzione penale sul "cliente", che è elemento determinante del sistema di consumo. La stessa considerazione si può fare a proposito dei datori di lavoro.

Guardando tutto questo "con gli occhi di Gesù", la Chiesa leva la sua voce in soccorso di milioni di persone emarginate, e presenta sempre di nuovo tali disperate necessità, a molti ignote. "Le loro Chiese d’origine, scrive il Santo Padre, non mancheranno di mostrare la loro sollecitudine con l’invio di assistenti della stessa lingua e cultura, in dialogo di carità con le Chiese particolari d’accoglienza". È il campo pastorale che è specifico, del resto, del nostro Pontificio Consiglio.

[01347-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0548-XX.01]