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NOTA DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, 28.07.2005


NOTA DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

Nel tardo pomeriggio, la Sala Stampa della Santa Sede ha rilasciato ai giornalisti accreditati la seguente Nota circa le dichiarazioni che il Sig. Barkan, funzionario del Ministero degli Esteri d’Israele, ha rilasciato al Jerusalem Post del 26 luglio:

1. L’insostenibilità della pretestuosa accusa rivolta al Papa Benedetto XVI per non aver menzionato anche l’attacco terroristico di Netanya del 12 luglio dopo la preghiera dell’Angelus di domenica 24 luglio, non può non essere apparsa evidente a chi l’ha sollevata. Forse anche per questo si è cercato di sostenerla, spostando l’attenzione su asseriti silenzi di Giovanni Paolo II circa gli attentati degli anni passati contro Israele, inventando anche che, al riguardo, il Governo d’Israele sarebbe in passato intervenuto ripetutamente presso la Santa Sede, e richiedendo che con il nuovo Pontificato la Santa Sede cambi atteggiamento.

2. In merito si fa presente:

  • a. Gli interventi di Giovanni Paolo II contro ogni forma di terrorismo e contro singoli atti di terrorismo nei confronti di Israele sono stati numerosi e pubblici, come appare dall’unito Allegato.
  • b. Non sempre ad ogni attentato contro Israele è stato possibile far seguire subito una pubblica dichiarazione di condanna, e ciò per diversi motivi, tra l’altro per il fatto che gli attentati contro Israele talora erano seguiti da immediate reazioni israeliane non sempre compatibili con le norme del diritto internazionale. Sarebbe stato pertanto impossibile condannare i primi e passare sotto silenzio le seconde.
  • c. Così come il Governo israeliano comprensibilmente non si lascia dettare da altri ciò che esso deve dire, nemmeno la Santa Sede può accettare di ricevere insegnamenti e direttive da alcun’altra autorità circa l’orientamento ed i contenuti delle proprie dichiarazioni.

ALLEGATO

1. Recenti dichiarazioni da parte israeliana hanno accusato la Santa Sede, e il Papa Giovanni Paolo II in particolare, di non aver manifestato il proprio pensiero nei confronti del terrorismo, che tante volte ha colpito gli abitanti dello Stato di Israele.

Documenti di pubblico dominio fanno apparire tali dichiarazioni come destituite di ogni fondamento. In realtà il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha espresso molte volte e in occasioni di diversa natura il proprio pensiero in merito, sia in riferimento allo Stato di Israele ed ai suoi diritti, sia in riferimento agli obblighi nei confronti del popolo palestinese, nella chiara coscienza che la violenza e il terrorismo non portano alla pace.

2. Senza avere la pretesa di completezza, si desidera ricordare in particolare alcuni degli interventi del Papa Giovanni Paolo II a condanna delle violenze contro i civili e a favore del diritto dello Stato di Israele a vivere nella sicurezza e nella pace.

In questo senso Egli si espresse, ad esempio, già nel discorso al Corpo Diplomatico del 12 gennaio 1979 e in quello del 16 gennaio 1982.

All'Angelus del 4 aprile 1982 espresse la propria amarezza per i "nuovi dolorosi episodi [che] si sono prodotti in Cisgiordania, con morti e feriti, mentre si è accresciuta l'ansietà e l'insicurezza della popolazione".

All'udienza generale del 15 settembre 1982 chiese che fossero abbandonate da ambo le parti le "forme di lotta armata, alcune delle quali sono state in passato particolarmente spietate e disumane".

Il 15 gennaio 1983 ammonì che le parti devono poter cessare di vivere nella paura, come anche smettere di ricorrere alla violenza, al terrorismo e alle rappresaglie.

Nella Lettera apostolica Redemptionis anno del 20 aprile 1984, scrisse, per il popolo ebraico che vive in Israele, che "dobbiamo invocare la desiderata sicurezza e la giusta tranquillità che è prerogativa di ogni nazione e condizione di vita e di progresso per ogni società".

Tali parole furono ripetute durante l'incontro di Giovanni Paolo II con la Comunità ebraica di Miami l'11 settembre 1987 e con la Comunità ebraica di Vienna il 24 giugno 1988, dove soggiunse che "ricordarsi della Shoà significa anche opporsi ad ogni incitamento alla violenza, e proteggere e promuovere ogni tenero germoglio di libertà e pace con pazienza e costanza".

E forse che l’affermazione del "diritto inalienabile a vivere in pace" per quanti abitano la Terra Santa, come affermò il Papa il 3 febbraio 1989 ai Vescovi della CELRA (Conferenza Episcopale dei Vescovi Latini nelle Regioni Arabe), non significa anche condanna di chi compie atti di violenza?

E il 10 ottobre 1990, all'Udienza generale, denunciò le violenze in Gerusalemme davanti alle quali "non è possibile rimanere indifferenti e non condannare".

Con ferme parole, il 12 gennaio 1991 Giovanni Paolo II disse che "si deve riconoscere che certi gruppi palestinesi hanno scelto, per farsi ascoltare, metodi inaccettabili e condannabili", e che occorre garantire "allo Stato di Israele le giuste condizioni per la sua sicurezza".

Parlando, poi, all'Angelus del 27 gennaio 1991, del Medio Oriente e del ricorso all'arma del terrorismo, pregò "che Dio allontani da tutti la tentazione di un impiego di simili mezzi contrari ai più elementari principi morali e condannati dal diritto internazionale!".

Ed incontrando la Comunità ebraica di Brasilia, il 14 ottobre 1991, Giovanni Paolo II fece voti che gli Ebrei, nella loro terra, possano "vivere in pace e in sicurezza".

Né alcuno ha dimenticato le parole dette all'Angelus del 1° gennaio 1993, quando il Pontefice affermò: "Come non rinnovare una ferma condanna nei confronti della violenza in Medio Oriente, da qualunque parte essa provenga?".

Ribadì tale posizione il 15 gennaio 1994, quando auspicò che il dialogo prevalesse sugli estremismi e, l'anno successivo, il 9 gennaio 1995, quando osservò come in Terra Santa "la pace non si scrive con lettere di sangue, ma con l'intelligenza e con il cuore". A pochi giorni di distanza, il 22 gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II espresse dolore e ferma condanna per il grave atto di terrorismo compiuto a Netanya, e fiducia che tutti vedessero il male e l’inutilità della violenza.

Turbato dalla strage del 30 luglio 1997 al mercato di Gerusalemme, il Papa fece diramare una dura nota dalla Sala Stampa, nella quale si affermò che "La Santa Sede deplora questa violenza cieca che semina la morte indiscriminatamente. Non è con questo genere di azioni che si costruisce la pace. Il Santo Padre ha ricordato più volte che la violenza genera soltanto violenza".

Il 13 gennaio 2001, riferendosi ai fatti di Betlemme, ricordò come "nessuno deve accettare ... il verificarsi di una specie di guerriglia". L'anno successivo, il 10 gennaio, davanti al Corpo Diplomatico parlò delle vittime innocenti che da una parte e dall’altra cadono ogni giorno sotto i colpi e gli spari, e della necessità di vincere insieme la battaglia della pace. Egli si riferiva al conflitto in atto in Palestina.

Nel messaggio Urbi et Orbi del 31 marzo 2002 la parola del Pontefice si levò per condannare "la tragica sequenza di atrocità e di assassinii che insanguinano la Terra Santa" e, in occasione dell'attentato suicida del 22 febbraio 2004 a Gerusalemme, Egli espresse la sua ferma deplorazione per il brutale atto, denunciando la dinamica assurda della violenza.

Ancora un mese e mezzo prima di morire, Giovanni Paolo II, all'Angelus del 13 febbraio, confidò: "Continuo a pregare per la pace in Medio Oriente".

3. Inoltre, il Papa Giovanni Paolo II, davanti a milioni di persone, nei messaggi Urbi et Orbi, in diversi discorsi alla Curia Romana, nelle catechesi, negli incontri con delegazioni ebraiche ha deplorato nei modi più fermi il terrorismo contro gli abitanti della Terra Santa.

Anche nel ricordare gli inalienabili diritti del Popolo palestinese, il Sommo Pontefice ha ripetutamente stigmatizzato con parole inequivocabili l’inammissibilità dei metodi violenti che, mediante atti terroristici perpetrati nei confronti della popolazione civile israeliana, hanno impedito le iniziative di pace poste in atto, lungo i trascorsi cinque lustri, da sagge forze politiche sia israeliane sia palestinesi.

4. Desta penosa sorpresa che possa essere passato inosservato il fatto che, nei trascorsi 26 anni, la voce del Papa Giovanni Paolo II si sia levata tante volte con forza e passione nella drammatica situazione della Terra Santa, a condanna di ogni atto terroristico e ad invito a sentimenti di umanità e di pace.

Le affermazioni contrarie alla verità storica possono giovare solo a chi intende fomentare animosità e contrasti, e certo non servono a migliorare la situazione.

[00925-01.01] [Testo originale: Italiano]

[B0394-XX.01]