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MESSA ESEQUIALE PER IL DEFUNTO ROMANO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II, 08.04.2005


MESSA ESEQUIALE PER IL DEFUNTO ROMANO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II

OMELIA DELL’EM.MO CARD. JOSEPH RATZINGER

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

Alle ore 10 di questa mattina, sul sagrato della Patriarcale Basilica Vaticana, ha luogo la Santa Messa Esequiale per il defunto Romano Pontefice Giovanni Paolo II.

Il Sacro Rito è preceduto dalla deposizione della salma del Pontefice defunto nella bara. Essa viene chiusa alla presenza del Cardinale Camerlengo, dei Cardinali Capi d’Ordine, del Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana, del Cardinale già Segretario di Stato, del Cardinale Vicario per la Diocesi di Roma, del Sostituto della Segreteria di Stato, del Prefetto della Casa Pontificia, dell’Elemosiniere del Sommo Pontefice, del Vice Camerlengo, di una rappresentanza dei Canonici della Basilica di San Pietro, del Segretario del Santo Padre e dei familiari del Defunto.

Il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice dà lettura del Rogito.

Quindi il Maestro delle Celebrazioni Liturgiche e il Segretario del Sommo Pontefice stendono il velo di seta bianca sul volto del Defunto. Poi il Cardinale Camerlengo asperge la salma con l’acqua benedetta.

Infine il Maestro depone nella bara la borsa con le medaglie coniate durante il Pontificato del Papa defunto e il tubo con il Rogito, dopo averlo sigillato con il sigillo dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

La Liturgia Esequiale è celebrata dai Cardinali e dai Patriarchi delle Chiese Orientali. Presiede la Concelebrazione il Decano del Collegio Cardinalizio, l’Em.mo Card. Joseph Ratzinger.

Al termine della solenne Celebrazione Eucaristica hanno luogo l’Ultima Commendatio (ultima raccomandazione) e la Valedictio (commiato). Il Cardinale Vicario per la diocesi di Roma guida la supplica della Chiesa di Roma. Quindi i Patriarchi, gli Arcivescovi Maggiori e i Metropoliti delle Chiese Metropolitane "sui iuris" orientali cattoliche, si recano davanti al feretro per la supplica delle Chiese Orientali. Poi il Cardinale Decano asperge con l’acqua benedetta la salma del Pontefice defunto e la incensa.

Il feretro del Santo Padre Giovanni Paolo II viene portato nella Basilica Vaticana per la tumulazione nelle Grotte Vaticane

Pubblichiamo di seguito l’omelia dell’Em.mo Card. Joseph Ratzinger:

OMELIA DELL’EM.MO CARD. JOSEPH RATZINGER

"Seguimi" dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. "Seguimi" – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine.

Questi sono i sentimenti del nostro animo, Fratelli e Sorelle in Cristo, presenti in Piazza S. Pietro, nelle strade adiacenti e in diversi altri luoghi della città di Roma, popolata in questi giorni da un’immensa folla silenziosa ed orante. Tutti saluto cordialmente. A nome anche del Collegio dei Cardinali desidero rivolgere il mio deferente pensiero ai Capi di Stato, di Governo e alle delegazioni dei vari Paesi. Saluto le Autorità e i Rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane, come pure delle diverse religioni. Saluto poi gli Arcivescovi, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i fedeli tutti giunti da ogni Continente; in modo speciale i giovani, che Giovanni Paolo II amava definire futuro e speranza della Chiesa. Il mio saluto raggiunge, inoltre, quanti in ogni parte del mondo sono a noi uniti attraverso la radio e la televisione in questa corale partecipazione al solenne rito di commiato dall’amato Pontefice.

Seguimi – da giovane studente Karol Wojtyła era entusiasta della letteratura, del teatro, della poesia. Lavorando in una fabbrica chimica, circondato e minacciato dal terrore nazista, ha sentito la voce del Signore: Seguimi! In questo contesto molto particolare cominciò a leggere libri di filosofia e di teologia, entrò poi nel seminario clandestino creato dal Cardinale Sapieha e dopo la guerra poté completare i suoi studi nella facoltà teologica dell’Università Jaghellonica di Cracovia. Tante volte nelle sue lettere ai sacerdoti e nei suoi libri autobiografici ci ha parlato del suo sacerdozio, al quale fu ordinato il 1° novembre 1946. In questi testi interpreta il suo sacerdozio in particolare a partire da tre parole del Signore. Innanzitutto questa: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga" (Gv 15, 16). La seconda parola è: "Il buon pastore offre la vita per le pecore" (Gv 10, 11). E finalmente: "Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15, 9). In queste tre parole vediamo tutta l’anima del nostro Santo Padre. E’ realmente andato ovunque ed instancabilmente per portare frutto, un frutto che rimane. "Alzatevi, andiamo!", è il titolo del suo penultimo libro. "Alzatevi, andiamo!" – con queste parole ci ha risvegliato da una fede stanca, dal sonno dei discepoli di ieri e di oggi. "Alzatevi, andiamo!" dice anche oggi a noi. Il Santo Padre è stato poi sacerdote fino in fondo, perché ha offerto la sua vita a Dio per le sue pecore e per l’intera famiglia umana, in una donazione quotidiana al servizio della Chiesa e soprattutto nelle difficili prove degli ultimi mesi. Così è diventato una sola cosa con Cristo, il buon pastore che ama le sue pecore. E infine "rimanete nel mio amore": Il Papa che ha cercato l’incontro con tutti, che ha avuto una capacità di perdono e di apertura del cuore per tutti, ci dice, anche oggi, con queste parole del Signore: Dimorando nell’amore di Cristo impariamo, alla scuola di Cristo, l’arte del vero amore.

Seguimi! Nel luglio 1958 comincia per il giovane sacerdote Karol Wojtyła una nuova tappa nel cammino con il Signore e dietro il Signore. Karol si era recato come di solito con un gruppo di giovani appassionati di canoa ai laghi Masuri per una vacanza da vivere insieme. Ma portava con sé una lettera che lo invitava a presentarsi al Primate di Polonia, Cardinale Wyszyński e poteva indovinare lo scopo dell’incontro: la sua nomina a Vescovo ausiliare di Cracovia. Lasciare l’insegnamento accademico, lasciare questa stimolante comunione con i giovani, lasciare il grande agone intellettuale per conoscere ed interpretare il mistero della creatura uomo, per rendere presente nel mondo di oggi l’interpretazione cristiana del nostro essere – tutto ciò doveva apparirgli come un perdere se stesso, perdere proprio quanto era divenuto l’identità umana di questo giovane sacerdote. Seguimi – Karol Wojtyła accettò, sentendo nella chiamata della Chiesa la voce di Cristo. E si è poi reso conto di come è vera la parola del Signore: "Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece l’avrà perduta la salverà" (Lc 17, 33). Il nostro Papa – lo sappiamo tutti – non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sé; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi. Proprio in tal modo ha potuto sperimentare come tutto quanto aveva consegnato nelle mani del Signore è ritornato in modo nuovo: l’amore alla parola, alla poesia, alle lettere fu una parte essenziale della sua missione pastorale e ha dato nuova freschezza, nuova attualità, nuova attrazione all’annuncio del Vangelo, proprio anche quando esso è segno di contraddizione.

Seguimi! Nell’ottobre 1978 il Cardinale Wojtyła ode di nuovo la voce del Signore. Si rinnova il dialogo con Pietro riportato nel Vangelo di questa celebrazione: "Simone di Giovanni, mi ami? Pasci le mie pecorelle!" Alla domanda del Signore: Karol mi ami?, l’Arcivescovo di Cracovia rispose dal profondo del suo cuore: "Signore, tu sai tutto: Tu sai che ti amo". L’amore di Cristo fu la forza dominante nel nostro amato Santo Padre; chi lo ha visto pregare, chi lo ha sentito predicare, lo sa. E così, grazie a questo profondo radicamento in Cristo ha potuto portare un peso, che va oltre le forze puramente umane: Essere pastore del gregge di Cristo, della sua Chiesa universale. Non è qui il momento di parlare dei singoli contenuti di questo Pontificato così ricco. Vorrei solo leggere due passi della liturgia di oggi, nei quali appaiono elementi centrali del suo annuncio. Nella prima lettura dice San Pietro - e dice il Papa con San Pietro - a noi: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è Signore di tutti" (Atti 10, 34-36). E, nella seconda lettura, San Paolo - e con San Paolo il nostro Papa defunto – ci esorta ad alta voce: "Fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete saldi nel Signore così come avete imparato, carissimi" (Fil 4, 1).

Seguimi! Insieme al mandato di pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio. Con questa parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull’amore e sul mandato di pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell’ultima cena. Qui Gesù aveva detto: "Dove vado io voi non potete venire". Disse Pietro: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi" (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione – entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire. Adesso – dopo la risurrezione – è venuto questo momento, questo "più tardi". Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole, "… quando eri più giovane... andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Gv 21, 18). Nel primo periodo del suo pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole: "Un altro ti cingerà…". E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell’amore che va fino alla fine (cf Gv 13, 1).

Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo libro: Il limite imposto al male "è in definitiva la divina misericordia" ("Memoria e identità", pag. 70). E riflettendo sull’attentato dice: "Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell’amore…E’ la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell’amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene" (pag. 199). Animato da questa visione, il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo.

Divina Misericordia: Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto: l’ha accolta nell’intimo del suo essere (eis ta idia: Gv 19, 27) – Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo.

Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un’ultima volta ha dato la benedizione "Urbi et orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

[00424-01.02] [Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

"Follow me. " The Risen Lord says these words to Peter. They are his last words to this disciple, chosen to shepherd his flock. "Follow me" – this lapidary saying of Christ can be taken as the key to understanding the message which comes to us from the life of our late beloved Pope John Paul II. Today we bury his remains in the earth as a seed of immortality – our hearts are full of sadness, yet at the same time of joyful hope and profound gratitude.

These are the sentiments that inspire us, Brothers and Sisters in Christ, present here in Saint Peter’s Square, in neighbouring streets and in various other locations within the city of Rome, where an immense crowd, silently praying, has gathered over the last few days. I greet all of you from my heart. In the name of the College of Cardinals, I also wish to express my respects to Heads of State, Heads of Government and the delegations from various countries. I greet the Authorities and official representatives of other Churches and Christian Communities, and likewise those of different religions. Next I greet the Archbishops, Bishops, priests, religious men and women and the faithful who have come here from every Continent; especially the young, whom John Paul II liked to call the future and the hope of the Church. My greeting is extended, moreover, to all those throughout the world who are united with us through radio and television in this solemn celebration of our beloved Holy Father’s funeral.

Follow me – as a young student Karol Wojtyła was thrilled by literature, the theatre, and poetry. Working in a chemical plant, surrounded and threatened by the Nazi terror, he heard the voice of the Lord: Follow me! In this extraordinary setting he began to read books of philosophy and theology, and then entered the clandestine seminary established by Cardinal Sapieha. After the war he was able to complete his studies in the faculty of theology of the Jagiellonian University of Kraków. How often, in his letters to priests and in his autobiographical books has he spoken to us about his priesthood, to which he was ordained on 1 November 1946. In these texts he interprets his priesthood with particular reference to three sayings of the Lord. First: "You did not choose me, but I chose you. And I appointed you to go and bear fruit, fruit that will last" (Jn 15:16). The second saying is: "The good shepherd lays down his life for the sheep" (Jn 10:11). And then: "As the Father has loved me, so I have loved you; abide in my love" (Jn 15:9). In these three sayings we see the heart and soul of our Holy Father. He really went everywhere, untiringly, in order to bear fruit, fruit that lasts. "Rise, Let us be on our Way!" is the title of his next-to-last book. "Rise, let us be on our way!" – with these words he roused us from a lethargic faith, from the sleep of the disciples of both yesterday and today. "Rise, let us be on our way!" he continues to say to us even today. The Holy Father was a priest to the last, for he offered his life to God for his flock and for the entire human family, in a daily self-oblation for the service of the Church, especially amid the sufferings of his final months. And in this way he became one with Christ, the Good Shepherd who loves his sheep. Finally, "abide in my love:" the Pope who tried to meet everyone, who had an ability to forgive and to open his heart to all, tells us once again today, with these words of the Lord, that by abiding in the love of Christ we learn, at the school of Christ, the art of true love.

Follow me! In July 1958 the young priest Karol Wojtyła began a new stage in his journey with the Lord and in the footsteps of the Lord. Karol had gone to the Masuri lakes for his usual vacation, along with a group of young people who loved canoeing. But he brought with him a letter inviting him to call on the Primate of Poland, Cardinal Wyszyński. He could guess the purpose of the meeting: he was to be appointed as the auxiliary Bishop of Kraków. Leaving the academic world, leaving this challenging engagement with young people, leaving the great intellectual endeavour of striving to understand and interpret the mystery of that creature which is man and of communicating to today’s world the Christian interpretation of our being – all this must have seemed to him like losing his very self, losing what had become the very human identity of this young priest. Follow me – Karol Wojtyła accepted the appointment, for he heard in the Church’s call the voice of Christ. And then he realized how true are the Lord’s words: "Those who try to make their life secure will lose it, but those who lose their life will keep it" (Lk 17:33). Our Pope – and we all know this – never wanted to make his own life secure, to keep it for himself; he wanted to give of himself unreservedly, to the very last moment, for Christ and thus also for us. And thus he came to experience how everything which he had given over into the Lord’s hands came back to him in a new way. His love of words, of poetry, of literature, became an essential part of his pastoral mission and gave new vitality, new urgency, new attractiveness to the preaching of the Gospel, even when it is a sign of contradiction.

Follow me! In October 1978 Cardinal Wojtyła once again heard the voice of the Lord. Once more there took place that dialogue with Peter reported in the Gospel of this Mass: "Simon, son of John, do you love me? Feed my sheep!" To the Lord’s question, "Karol, do you love me?," the Archbishop of Krakow answered from the depths of his heart: "Lord you know everything; you know that I love you." The love of Christ was the dominant force in the life of our beloved Holy Father. Anyone who ever saw him pray, who ever heard him preach, knows that. Thanks to his being profoundly rooted in Christ, he was able to bear a burden which transcends merely human abilities: that of being the shepherd of Christ’s flock, his universal Church. This is not the time to speak of the specific content of this rich pontificate. I would like only to read two passages of today’s liturgy which reflect central elements of his message. In the first reading, Saint Peter says – and with Saint Peter, the Pope himself – "I truly understand that God shows no partiality, but in every nation anyone who fears him and does what is right is acceptable to him. You know the message he sent to the people of Israel, preaching peace by Jesus Christ - he is Lord of all" (Acts 10:34-36). And in the second reading, Saint Paul – and with Saint Paul, our late Pope – exhorts us, crying out: "My brothers and sisters, whom I love and long for, my joy and my crown, stand firm in the Lord in this way, my beloved" (Phil 4:1).

Follow me! Together with the command to feed his flock, Christ proclaimed to Peter that he would die a martyr’s death. With those words, which conclude and sum up the dialogue on love and on the mandate of the universal shepherd, the Lord recalls another dialogue, which took place during the Last Supper. There Jesus had said: "Where I am going, you cannot come." Peter said to him, "Lord, where are you going?" Jesus replied: "Where I am going, you cannot follow me now; but you will follow me afterward." (Jn 13:33,36). Jesus from the Supper went towards the Cross, went towards his resurrection – he entered into the paschal mystery; and Peter could not yet follow him. Now – after the resurrection – comes the time, comes this "afterward." By shepherding the flock of Christ, Peter enters into the paschal mystery, he goes towards the cross and the resurrection. The Lord says this in these words: "... when you were younger, you used to fasten your own belt and to go wherever you wished. But when you grow old, you will stretch out your hands, and someone else will fasten a belt around you and take you where you do not wish to go" (Jn 21:18). In the first years of his pontificate, still young and full of energy, the Holy Father went to the very ends of the earth, guided by Christ. But afterwards, he increasingly entered into the communion of Christ’s sufferings; increasingly he understood the truth of the words: "Someone else will fasten a belt around you." And in this very communion with the suffering Lord, tirelessly and with renewed intensity, he proclaimed the Gospel, the mystery of that love which goes to the end (cf. Jn 13:1).

He interpreted for us the paschal mystery as a mystery of divine mercy. In his last book, he wrote: The limit imposed upon evil "is ultimately Divine Mercy" (Memory and Identity, pp. 60-61). And reflecting on the assassination attempt, he said: "In sacrificing himself for us all, Christ gave a new meaning to suffering, opening up a new dimension, a new order: the order of love ... It is this suffering which burns and consumes evil with the flame of love and draws forth even from sin a great flowering of good" (pp. 189-190). Impelled by this vision, the Pope suffered and loved in communion with Christ, and that is why the message of his suffering and his silence proved so eloquent and so fruitful.

Divine Mercy: the Holy Father found the purest reflection of God’s mercy in the Mother of God. He, who at an early age had lost his own mother, loved his divine mother all the more. He heard the words of the crucified Lord as addressed personally to him: "Behold your Mother." And so he did as the beloved disciple did: he took her into his own home" (eis ta idia: Jn 19:27) – Totus tuus. And from the mother he learned to conform himself to Christ.

None of us can ever forget how in that last Easter Sunday of his life, the Holy Father, marked by suffering, came once more to the window of the Apostolic Palace and one last time gave his blessing urbi et orbi. We can be sure that our beloved Pope is standing today at the window of the Father’s house, that he sees us and blesses us. Yes, bless us, Holy Father. We entrust your dear soul to the Mother of God, your Mother, who guided you each day and who will guide you now to the eternal glory of her Son, our Lord Jesus Christ. Amen.

[00424-02.02] [Original text: Italian]

TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE

«Suis-moi», dit le Seigneur ressuscité à Pierre; telle est sa dernière parole à ce disciple, choisi pour paître ses brebis. «Suis-moi» – cette parole lapidaire du Christ peut être considérée comme la clé pour comprendre le message qui vient de la vie de notre regretté et bien-aimé Pape Jean-Paul II, dont nous déposons aujourd’hui le corps dans la terre comme semence d’immortalité - avec le cœur rempli de tristesse, mais aussi de joyeuse espérance et de profonde gratitude.

Tels sont les sentiments qui nous animent, Frères et Sœurs dans le Christ, présents sur la place Saint Pierre, dans les rues adjacentes et en divers autres lieux de la ville de Rome, peuplée en ces jours d’une immense foule silencieuse et priante. Je vous salue tous cordialement. Au nom du Collège des Cardinaux, je désire aussi adresser mes salutations respectueuses aux Chefs d’État, de Gouvernement et aux délégations des différents pays. Je salue les Autorités et les Représentants des Églises et des Communautés chrétiennes, ainsi que des diverses religions. Je salue ensuite les Archevêques, les Évêques, les prêtres, les religieux, les religieuses et les fidèles, venus de tous les continents; et de façon particulière les jeunes, que Jean-Paul II aimait définir comme l’avenir et l’espérance de l’Église. Mon salut rejoint également tous ceux qui, dans chaque partie du monde, nous sont unis par la radio et la télévision, dans cette participation unanime au rite solennel d’adieu à notre Pape bien-aimé.

Suis-moi – depuis qu’il était jeune étudiant Karol Wojtyła s’enthousiasmait pour la littérature, pour le théâtre, pour la poésie. Travaillant dans une usine chimique, entouré et menacé par la terreur nazie, il a entendu la voix du Seigneur: Suis-moi! Dans ce contexte très particulier il commença à lire des livres de philosophie et de théologie, il entra ensuite au séminaire clandestin créé par le Cardinal Sapieha et, après la guerre, il put compléter ses études à la faculté de théologie de l’université Jagellon de Cracovie. Très souvent, dans ses lettres aux prêtres et dans ses livres autobiographiques, il nous a parlé de son sacerdoce, lui qui fut ordonné prêtre le 1er novembre 1946. Dans ces textes, il interprète son sacerdoce en particulier à partir de trois paroles du Seigneur. Avant tout celle-ci: «Ce n’est pas vous qui m’avez choisi, c’est moi qui vous ai choisis et établis afin que vous partiez, que vous donniez du fruit, et que votre fruit demeure» (Jn 15, 16). La deuxième parole est celle-ci: «Le vrai berger donne sa vie pour ses brebis» (Jn 10, 11). Et finalement: «Comme le Père m’a aimé, moi aussi je vous ai aimés. Demeurez dans mon amour» (Jn 15, 9). Dans ces trois paroles, nous voyons toute l’âme de notre Saint-Père. Il est réellement allé partout, et inlassablement, pour porter du fruit, un fruit qui demeure. «Levez-vous, allons!», c’est le titre de son avant-dernier livre. «Levez-vous, allons!» – par ces paroles, il nous a réveillés d’une foi fatiguée, du sommeil des disciples d’hier et d’aujourd’hui. «Levez-vous, allons!» nous dit-il encore aujourd’hui. Le Saint-Père a été ensuite prêtre jusqu’au bout, parce qu’il a offert sa vie à Dieu pour ses brebis, et pour la famille humaine tout entière, dans une donation de soi quotidienne au service de l’Église et surtout dans les épreuves difficiles de ces derniers mois. Ainsi, il s’est uni au Christ, le bon pasteur qui aime ses brebis. Et enfin, «demeurez dans mon amour»: le Pape, qui a cherché la rencontre avec tous, qui a eu une capacité de pardon et d’ouverture du cœur pour tous, nous dit, encore aujourd’hui, avec ces différentes paroles du Seigneur: en demeurant dans l’amour du Christ nous apprenons, à l’école du Christ, l’art du véritable amour.

Suis-moi! En juillet 1958, commence pour le jeune prêtre Karol Wojtyła une nouvelle étape sur le chemin avec le Seigneur et à la suite du Seigneur. Karol s’était rendu comme d’habitude avec un groupe de jeunes passionnés de canoë aux lacs Masuri pour passer des vacances avec eux. Mais il portait sur lui une lettre qui l’invitait à se présenter au Primat de Pologne, le Cardinal Wyszyński et il pouvait deviner le but de la rencontre: sa nomination comme évêque auxiliaire de Cracovie. Laisser l’enseignement académique, laisser cette communion stimulante avec les jeunes, laisser le grand combat intellectuel pour connaître et interpréter le mystère de la créature humaine, pour rendre présent dans le monde d’aujourd’hui l’interprétation chrétienne de notre être – tout cela devait lui apparaître comme se perdre soi-même, perdre précisément ce qui était devenu l’identité humaine de ce jeune prêtre. Suis-moi – Karol Wojtyła accepta, entendant la voix du Christ dans l’appel de l’Église. Et il a compris ensuite jusqu’à quel point était vraie la parole du Seigneur: «Qui cherchera à conserver sa vie la perdra. Et qui la perdra la sauvegardera» (Lc 17, 33). Notre Pape – nous le savons tous – n’a jamais voulu sauvegarder sa propre vie, la garder pour lui; il a voulu se donner lui-même sans réserve, jusqu’au dernier instant, pour le Christ et de ce fait pour nous aussi. Il a fait ainsi l’expérience que tout ce qu’il avait remis entre les mains du Seigneur lui était restitué de manière nouvelle. Son amour du verbe, de la poésie, des lectures, fut une part essentielle de sa mission pastorale et a donné une nouvelle fraîcheur, une nouvelle actualité, un nouvel attrait à l’annonce de l’Évangile, même lorsque ce dernier est signe de contradiction.

Suis-moi ! En octobre 1978, le Cardinal Wojtyła entendit de nouveau la voix du Seigneur. Se renouvelle alors le dialogue avec Pierre, repris dans l’Évangile de cette célébration: «Simon, fils de Jean, m’aimes-tu ? Sois le pasteur de mes brebis !» À la question du Seigneur, Karol, m’aimes-tu ? l’Archevêque de Cracovie répond du plus profond de son cœur: «Seigneur, tu sais tout: tu sais bien que je t’aime». L’amour du Christ fut la force dominante de notre bien-aimé Saint-Père; ceux qui l’ont vu prier, ceux qui l’ont entendu prêcher, le savent bien. Ainsi, grâce à son profond enracinement dans le Christ, il a pu porter une charge qui est au-delà des forces purement humaines: être le pasteur du troupeau du Christ, de son Église universelle. Ce n’est pas ici le moment de parler des différents aspects d’un pontificat aussi riche. Je voudrais seulement relire deux passages de la liturgie de ce jour, dans lesquels apparaissent des éléments centraux qui l’annoncent. Dans la première lecture, saint Pierre nous dit – et le Pape le dit aussi avec saint Pierre: «En vérité, je le comprends: Dieu ne fait pas de différence entre les hommes; mais, quelle que soit leur race, il accueille les hommes qui l’adorent et qui font ce qui est juste. Il a envoyé la Parole aux fils d’Israël, pour leur annoncer la paix par Jésus Christ : c’est lui, Jésus, qui est le Seigneur de tous» (Ac 10, 34-36). Et, dans la deuxième lecture, – saint Paul, et avec saint Paul notre Pape défunt – nous exhorte à haute voix : «Mes frères bien-aimés que je désire tant revoir, vous, ma joie et ma récompense; tenez bon dans le Seigneur, mes bien-aimés» (Ph 4, 1).

Suis-moi ! En même temps qu’il lui confiait de paître son troupeau, le Christ annonça à Pierre son martyre. Par cette parole qui conclut et qui résume le dialogue sur l’amour et sur la charge de pasteur universel, le Seigneur rappelle un autre dialogue, qui s’est passé pendant la dernière Cène. Jésus avait dit alors : «Là où je m’en vais, vous ne pouvez pas y aller». Pierre lui dit : «Seigneur, où vas-tu ?». Jésus lui répondit : « Là où je m’en vais, tu ne peux pas me suivre pour l’instant; tu me suivras plus tard» (Jn 13, 33.36). Jésus va de la Cène à la Croix, et à la Résurrection – il entre dans le mystère pascal; Pierre ne peut pas encore le suivre. Maintenant – après la Résurrection – ce moment est venu, ce «plus tard». En étant le Pasteur du troupeau du Christ, Pierre entre dans le mystère pascal, il va vers la Croix et la Résurrection. Le Seigneur le dit par ces mots, «Quand tu étais jeune ... tu allais où tu voulais, mais quand tu seras vieux, tu étendras les mains, et c’est un autre qui te mettra ta ceinture, pour t’emmener là où tu ne voudrais pas aller» (Jn 21, 18). Dans la première période de son pontificat, le Saint-Père, encore jeune et plein de force, allait, sous la conduite du Christ, jusqu’aux confins du monde. Mais ensuite il est entré de plus en plus dans la communion aux souffrances du Christ, il a compris toujours mieux la vérité de ces paroles: «C’est un autre qui te mettra ta ceinture ...». Et vraiment, dans cette communion avec le Seigneur souffrant, il a annoncé infatigablement et avec une intensité renouvelée l’Évangile, le mystère de l’amour qui va jusqu’au bout (cf. Jn 13, 1).

Il a interprété pour nous le mystère pascal comme mystère de la Divine miséricorde. Il écrit dans son dernier livre la limite imposée au mal «est en définitive la Divine miséricorde» (Mémoire et identité, p. 71). Et en réfléchissant sur l’attentat, il affirme : «En souffrant pour nous tous, le Christ a conféré un sens nouveau à la souffrance, il l’a introduite dans une nouvelle dimension, dans un nouvel ordre: celui de l’amour [...]. C’est la souffrance qui brûle et consume le mal par la flamme de l’amour et qui tire aussi du péché une floraison multiforme de bien» (ibid., p. 201-202).

Animé par cette perspective, le Pape a souffert et aimé en communion avec le Christ et c’est pourquoi le message de sa souffrance et de son silence a été si éloquent et si fécond.

Divine miséricorde : le Saint-Père a trouvé le reflet le plus pur de la miséricorde de Dieu dans la Mère de Dieu. Lui, qui tout jeune avait perdu sa mère, en a d’autant plus aimé la Mère de Dieu. Il a entendu les paroles du Seigneur crucifié comme si elles lui étaient personnellement adressées: «Voici ta Mère». Et il a fait comme le disciple bien-aimé : il l’a accueillie au plus profond de son être (eis ta idia : Jn 19, 27) – Totus tuus. Et de cette Mère il a appris à se conformer au Christ.

Pour nous tous demeure inoubliable la manière dont en ce dernier dimanche de Pâques de son existence, le Saint-Père, marqué par la souffrance, s’est montré encore une fois à la fenêtre du Palais apostolique et a donné une dernière fois la Bénédiction Urbi et Orbi. Nous pouvons être sûrs que notre Pape bien-aimé est maintenant à la fenêtre de la maison du Père, qu’il nous voit et qu’il nous bénit. Oui, puisses-tu nous bénir, Très Saint Père, nous confions ta chère âme à la Mère de Dieu, ta Mère, qui t’a conduit chaque jour et te conduira maintenant à la gloire éternelle de son Fils, Jésus Christ, notre Seigneur. Amen.

[00424-03.02] [Texte original: Italien]

[B0200-XX.03]