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CELEBRAZIONE DELLA PASSIONE DEL SIGNORE NELLA BASILICA VATICANA, 25.03.2005


Alle ore 17 di oggi, Venerdì Santo, nella Patriarcale Basilica Vaticana, l’Em.mo Card. James Francis Stafford, Penitenziere Maggiore, presiede, a nome del Santo Padre, la celebrazione della Passione del Signore.

Durante la Liturgia della Parola, viene riascoltato il racconto della Passione secondo Giovanni; quindi il Predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., tiene l’omelia.

La Liturgia della Passione prosegue con la Preghiera universale e l’adorazione della Santa Croce e si conclude con la Santa Comunione.

Pubblichiamo di seguito l’omelia del Predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa:

OMELIA DI PADRE RANIERO CANTALAMESSA

Venerdì Santo del 2005, anno dell’Eucaristia! Quanta luce, sull’uno e l’altro mistero, da questo accostamento! Ma se l’Eucaristia è "il memoriale della passione", come mai la Chiesa si astiene dal celebrarla proprio il Venerdì Santo? (Quella a cui stiamo assistendo non è, come sappiamo, una Messa, ma una liturgia della Passione, in cui solo si riceve il corpo di Cristo consacrato il giorno precedente).

C’è una profonda ragione teologica in ciò. Chi si fa presente sull’altare ad ogni Eucaristia è il Cristo risorto e vivo, non un morto. La Chiesa si astiene perciò dal celebrare l’Eucaristia nei due giorni in cui si ricorda il Gesú che giace morto nel sepolcro e la sua anima è separata dal corpo (anche se non dalla divinità). Il fatto che oggi non si celebra la Messa non attenua, ma anzi rafforza il legame tra il Venerdì Santo e l’Eucaristia. L’Eucaristia sta alla morte di Cristo come il suono e la voce stanno alla parola che trasportano nello spazio e fanno giungere all’orecchio.

* * *

C’è un inno latino, non meno caro dell’Adoro te devote alla pietà eucaristica dei cattolici, che mette in luce il legame tra l’Eucaristia e la croce, l’Ave verum. Composto nel secolo XIII per accompagnare l’elevazione dell’Ostia nella Messa, esso si presta altrettanto bene per salutare l’elevazione di Cristo sulla croce. Sono appena cinque versi, carichi però di tanto contenuto:

Ave vero corpo nato da Maria Vergine!Tu hai veramente patito e ti sei immolato per l’uomo sulla croce.

Dal tuo costato trafitto sgorgò acqua e sangue.

Sii per noi un pegno nel momento della morte.

O Gesú dolce, o Gesú pio, o Gesù figlio di Maria!

Ave verum corpus natum de Maria Virgine, Salve o vero corpo nato da Maria Vergine. Questo primo verso fornisce la chiave per comprendere tutto il resto. Berengario di Tours aveva negato la realtà della presenza di Cristo nel segno del pane, riducendola a una presenza simbolica. Per togliere ogni pretesto a questa eresia si comincia ad affermare l’identità totale tra il corpo eucaristico di Cristo e quello storico.

Tutte le espressioni della prima parte dell’inno si riferiscono al Cristo secondo la carne: nascita da Maria, passione, morte, trafittura del costato. L’autore si arresta a questo punto; non menziona la risurrezione, perché essa potrebbe far pensare a un corpo glorificato e spirituale, e dunque non abbastanza "reale".

Cessata la controversia che aveva occasionato un’affermazione così netta dell’identità tra il corpo storico e quello eucaristico di Cristo, oggi la teologia è tornata a una visione più equilibrata che mette in luce il carattere sacramentale, non materiale (sebbene reale e sostanziale) della presenza di Cristo nel sacramento dell’altare.

Ma a parte questa diversa accentuazione, resta intatta la verità di fondo affermata dall’inno. È il Gesú nato da Maria a Betlemme, lo stesso che "passò facendo del bene a tutti" (Atti 10, 38), che morì sulla croce e risorse il terzo giorno, colui che è presente oggi nel mondo, non una sua vaga presenza spirituale, o, come dice qualcuno, la sua "causa". L’Eucaristia è il modo inventato da Dio per rimanere per sempre l’Emmanuele, il Dio-con-noi.

Tale presenza non è una garanzia e una protezione solo per la Chiesa, ma per tutto il mondo. La frase "Dio è con noi!" ci fa ormai paura e non osiamo quasi più pronunciarla perché si è dato ad essa a volte un senso esclusivo: Dio è "con noi", s’intende non con gli altri, anzi è "contro" gli altri, contro i nostri nemici. Ma con l’avvento di Cristo nulla è più particolaristico, tutto è diventato universale. "Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe" (2 Cor 5, 19). Il mondo intero, non una sua parte; tutti gli uomini, non un solo popolo.

"Dio è con noi", cioè dalla parte dell’uomo, suo amico e alleato contro le forze del male. "Non sappiamo, scriveva il papa nella Novo millennio ineunte, quali eventi ci riserverà il millennio che sta iniziando, ma abbiamo la certezza che esso resterà saldamente nelle mani di Cristo, il ‘Re dei re e Signore dei signori’ (Ap 19,16)" (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 35).

* * *

Dopo il saluto viene, nell’inno, l’invocazione: Esto nobis praegustatum mortis in examine, Sii per noi, o Cristo, caparra e anticipo di vita eterna nell’ora della morte. Già il martire Ignazio di Antiochia chiamava l’Eucaristia "farmaco di immortalità", cioè rimedio alla nostra mortalità (S. Ignazio d’Antiochia, Lettera agli Efesini, 20,2). "Noi risorgeremo, esclama san Cirillo Alessandrino. Il Signore nostro Gesù Cristo ha nascosto in noi mediante la sua carne la vita e l’ha inserita come seme d’immortalità che ci libera da tutta la corruzione che ora è in noi" (S. Cirillo Alessandrino, Commento a Giovanni, IV, 2 - PG 73, 581). Nell’Eucaristia abbiamo "il pegno della gloria futura": "et futurae gloriae nobis pignus datur".

Alcune inchieste hanno rivelato che ci sono, anche tra i credenti, persone che credono in Dio, ma non in una vita per l’uomo dopo la morte. Ma come si può pensare una cosa del genere? Cristo, dice la Lettera agli Ebrei, è morto per procurarci "una redenzione eterna" (Ebr 9,12). Non una redenzione temporanea, ma una redenzione eterna. "Perché stentare a credere che gli uomini vivranno davvero un giorno con Dio - diceva alla gente sant’Agostino in un discorso del Venerdì Santo - quando vediamo che si è verificato già un fatto molto più incredibile di questo, e cioè che Dio è morto per gli uomini?" (S. Agostino, Discorsi, 218C,1 - SCh 116,200).

Si obbietta a volte che nessuno è mai tornato dall’aldilà per assicurarci che esso esiste davvero e non è soltanto una pia illusione. Non è vero! C’è uno che ogni giorno torna dall’aldilà per assicurarci e rinnovare le sue promesse, se sappiamo ascoltarlo. Colui verso il quale siamo incamminati ci viene incontro nell’Eucaristia per darci un assaggio (praegustatum!) del banchetto finale del regno.

Dobbiamo gridare al mondo questa speranza per aiutare noi stessi e gli altri a vincere l’orrore che ci fa la morte e reagire al cupo pessimismo che aleggia sulla nostra società. Si moltiplicano le diagnosi disperate sullo stato del mondo: "un formicaio che si sgretola", "un pianeta che agonizza"…La scienza traccia con sempre maggiori dettagli, il possibile scenario della dissoluzione finale del cosmo. Si raffredderà la terra e gli altri pianeti, si raffredderanno il sole e le altre stelle, si raffredderà ogni cosa… Diminuirà la luce e aumenteranno nell’universo i buchi neri…L’espansione un giorno si esaurirà e comincerà la contrazione e alla fine si assisterà al collasso di tutta la materia e di tutta l’energia esistente in una struttura compatta di densità infinita. Sarà allora il "Big Crunch", o grande implosione, e tutto ritornerà al vuoto e al silenzio che precedette la grande esplosione, o Big Bang, di quindici miliardi di anni fa...

Sono ipotesi; nessuno sa se le cose si svolgeranno veramente così o in altro modo. La fede ci assicura che, in ogni caso, non sarà quella la fine totale. Dio non ha riconciliato il mondo a sé per abbandonarlo poi al nulla; non ha promesso di rimanere con noi fino alla fine del mondo, per poi ritirarsi, da solo, nel suo cielo, quando questa fine arriverà. "Ti ho amato di amore eterno", ha detto Dio all’uomo nella Bibbia (Ger 31, 3), e le promesse di "amore eterno" di Dio non sono come quelle dell’uomo.

Proseguendo idealmente la meditazione dell’Ave verum, l’autore del Dies irae eleva a Cristo una struggente preghiera che mai come in questo giorno possiamo fare nostra: "Recordare, Iesu pie, quod sum causa tuae viae: ne me perdas illa die": Ricordati, o buon Gesú, che per me salisti sulla croce: non permettere che mi perda in quel giorno. "Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus: tantus labor non sit cassus": "Nel cercarmi, sedesti un giorno stanco al pozzo di Sichem e salisti sulla croce per redimermi: tanto dolore non sia sprecato".

* * *

L’Ave verum si chiude con una esclamazione diretta alla persona di Cristo: "O Iesu dulcis, o Iesu pie, o Iesu filii Mariae". Queste parole ci prospettano una immagine tanto cara e tanto evangelica di Cristo: il Gesù "dolce e pio", cioè clemente, compassionevole che non spezza la canna incrinata e non spegne il lucignolo fumigante. Il Gesù che un giorno disse: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore" (Mt 11, 29).

L’Eucaristia rende presente nel mondo colui che con la sua dottrina e la sua vita, ha smascherato e spezzato per sempre il meccanismo che sacralizza la violenza. Ha vinto la violenza non opponendo ad essa una violenza più grande, ma subendola e mettendone a nudo tutta l’ingiustizia e l’inutilità.

L’Eucaristia è il sacramento della non-violenza! Grazie ad essa, il "no" assoluto di Dio alla violenza, pronunciato sulla croce, viene mantenuto vivo nei secoli. È, nello stesso tempo, il "sì" di Dio alle vittime innocenti, il luogo dove ogni giorno il sangue versato sulla terra si unisce a quello di Cristo che grida a Dio "con voce più potente di quello di Abele" (Eb 12, 24).

La mitezza di Cristo non giustifica però, anzi rende ancora più strana e odiosa, la violenza che si registra oggi nei confronti della sua persona. È stato detto che, con il suo sacrificio, Cristo ha posto fine al perverso meccanismo del capro espiatorio, subendone egli stesso le conseguenze (Cf. R. Girard, Des choses cachées depuis la fondation du monde, Grasset, Parigi 1978). Bisogna dire con tristezza che tale perverso meccanismo è nuovamente in atto nei confronti di Cristo, in una forma finora sconosciuta.

Contro di lui si sfoga tutto il risentimento di un certo pensiero laico per le recenti manifestazioni di connubio tra la violenza e il sacro. Come è di regola nel meccanismo del capro espiatorio, si sceglie l’elemento più debole per accanirsi contro di esso. "Debole", qui, nel senso che lo si può dileggiare impunemente, senza correre alcun pericolo di ritorsione, avendo i cristiani da tempo rinunciato a difendere la propria fede con la forza.

Non si tratta solo delle pressioni per rimuovere il crocifisso dai luoghi pubblici e il presepio dal folclore natalizio. Si susseguono senza sosta romanzi e spettacoli in cui si manipola a piacimento la figura di Cristo sulla scorta di fantomatici e inesistenti nuovi documenti e scoperte. Sta diventando una moda, un genere letterario.

È sempre esistita la tendenza a rivestire Cristo dei panni della propria epoca o della propria ideologia. Ma almeno in passato erano cause serie, degne dell’uomo (Gesú idealista, Gesú socialista, rivoluzionario…). La nostra epoca, ossessionata dal sesso, non sa ormai rappresentarsi Gesú se non come un gay ante litteram o uno che predica che la salvezza viene dall’unione con il principio femminile.

Si specula sulla risonanza vastissima che ha il nome di Gesú e su quello che esso significa per tanta parte dell’umanità, per assicurarsi una popolarità a buon mercato o scioccare con messaggi pubblicitari che abusano di simboli e immagini evangeliche come quella dell’ultima cena. Tutto questo è parassitismo letterario!

E poi ci si scandalizza e si grida all’intolleranza e alla censura se, in alcuni casi estremi, i credenti reagiscono inviando lettere e telefonate di protesta ai responsabili. L’intolleranza da tempo ha cambiato di campo in Occidente: da intolleranza religiosa è diventata intolleranza della religione!

Ci si presenta come i paladini della scienza contro la religione: una rivendicazione sorprendente a giudicare da come è trattata in questi casi la scienza storica! Le storie più fantasiose e assurde vengono bevute da molti come si trattasse di storia vera, anzi dell’unica storia libera finalmente da censure ecclesiastiche e tabù. "L’uomo che non crede più in Dio è pronto a credere a tutto", ha detto qualcuno. I fatti gli stanno dando ragione.

Il mistero stesso che celebriamo in questo giorno ci vieta di abbandonarci a complessi di persecuzione e di innalzare di nuovo muri o bastioni tra noi e la società moderna. Forse dobbiamo imitare il nostro Maestro e dire semplicemente: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno". Perdona loro e noi, perché è certamente anche a causa dei nostri peccati, presenti e passati, che il nome di Cristo è vilipeso tra le genti.

Ci permettiamo solo di rivolgere a nostri contemporanei, nell’interesse nostro e loro, l’appello che Tertulliano rivolgeva a coloro che a suo tempo si accanivano contro l’umanità di Cristo: "Parce unicae spei totius orbis": non togliete al mondo la sua unica speranza (Tertulliano, De carne Christi, 5,3 - CCL 2, p.881).

* * *

L’ultima invocazione dell’Ave verum evoca la persona della madre: "O Iesu filii Mariae". Due volte viene ricordata, nel breve inno, la Vergine: all’inizio e alla fine. Del resto tutte le esclamazioni finali dell’inno sono una reminiscenza delle ultime parole della Salve Regina: "O clemens, o pia, o dulcis virgo Maria": O clemente, o pia, o dolce vergine Maria.

L’insistenza sul legame tra Maria e l’Eucaristia non risponde a un bisogno solo devozionale, ma anche teologico. La nascita da Maria era stata, al tempo dei Padri, l’argomento principale contro il docetismo che negava la realtà del corpo di Cristo. Coerentemente, questa stessa nascita attesta ora la verità e realtà del corpo di Cristo presente nell’Eucaristia.

Giovanni Paolo II conclude la sua lettera apostolica Mane nobiscum Domine, rifacendosi proprio alle parole dell’inno: "Il Pane eucaristico che riceviamo, scrive, è la carne immacolata del Figlio: ‘Ave verum corpus natum de Maria Virgine. In questo anno di grazia, sostenuta da Maria, la Chiesa trovi nuovo slancio per la sua missione e riconosca sempre più nell’Eucaristia la fonte e il vertice di tutta la sua vita" (Mane nobiscum Domine, 31).

Il segno più chiaro dell’unità tra Eucaristia e mistero della croce, tra l’anno eucaristico e il Venerdì Santo, è che noi possiamo ora usare le parole dell’Ave verum, senza cambiarne una sillaba, per salutare il Cristo che tra poco verrà elevato sulla croce davanti a noi. Umilmente, perciò, invito i presenti che conoscono il testo latino dell’inno a unirsi a me nel proclamare con commossa gratitudine, in nome di tutti gli uomini redenti da Cristo:

Ave verum corpus natum de Maria Virgine

Vere passum, immolatum in cruce pro homine

Cuius latus perforatum fluxit aqua et sanguine

Esto nobis praegustatum mortis in examine

O Iesu dulcis, o Iesu pie, o Iesu fili Mariae !

[00348-01.02[Testo originale: Italiano]

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

Good Friday of the year 2005, the year of the Eucharist! What light is shed on both these mysteries when we think of the two together! And yet a question arises. If the Eucharist is "the memorial of the Passion", why is it that the Church abstains from celebrating it precisely on Good Friday? (For we are now gathered to take part, not in a Mass, but rather in a liturgy of the Passion in which we will receive the body of Christ consecrated yesterday).

There is a profound theological reason for this. The one who makes himself present on the altar in every Eucharist is Christ, not dead but risen and alive. And so the Church abstains from celebrating the Eucharist on these two days when we remember Jesus lying dead in the tomb, his soul separated from his body (although not from his divinity).

The fact that we do not celebrate the Eucharist today does not weaken, but rather strengthens, the bond between Good Friday and the Eucharist. The Eucharist is to the death of Christ as the sound and the voice are to the word they carry through the space into the ear of the listeners.

* * *

There is a Latin hymn, as dear as the Adoro te devote to catholic Eucharistic piety: the Ave Verum. It is not possible to find a better way to bring to light the link between the Eucharist and the cross. Written in the thirteenth century as an accompaniment to the elevation of the Host at Mass, it serves us today equally well as our salutation of Christ raised up on the cross. In no more than five short couplets it brings us such a great load of meaning:

Hail, true Body, truly born

of the Virgin Mary mild.

Truly offered, wracked and torn,

on the Cross for all defiled,

from Whose love-pierced, sacred side

flowed Thy true Blood's saving tide:

be a foretaste sweet to me

in my death's great agony.

O my loving, Gentle One,

Sweetest Jesus, Mary's Son.

The first couplet, Ave verum corpus natum de Maria Virgine – Hail, true body, truly born of the Virgin Mary – gives the key to understand all the rest. Berengarius of Tours denied that the presence of Christ in the sign of bread was real, saying it was only symbolic. In reaction to this heresy, a new emphasis arose, identifying totally the Eucharistic body and the historical body of Christ. All expressions in the first part of the hymn refer to Christ in the flesh: birth from Mary, passion, death, pierced side. The author stops at that point; he makes no mention of the resurrection, lest this should lead one to think of a glorified, spiritual body, not "real" enough.

* * *

Theology in our day has developed a more balanced vision of the identity between the historical body of Christ born of Mary and his Eucharistic body. The tendency now is to rediscover the sacramental character of Christ’s presence, which, however real and substantial, is not material. The basic truth affirmed in the hymn remains however intact. The very Jesus born of Mary, who "went about doing good to all" (Ac. 10: 38), who died on the cross and rose again on the third day, is really present in the world today, not merely in a vague and spiritual way, or, as some would say, in the "cause" he stood for. The Eucharist is the way Jesus invented to remain forever Emmanuel, God-with-us.

This presence is a guarantee, not only for the Church, but for the entire world. Yet we feel afraid to use the words "God is with us", because they have been used before in an exclusive sense: God is "with us", on our side, meaning not with others, and even "against" those others who are our enemies. But since Christ has come, there is no longer any exclusiveness, everything has become universal. "God in Christ was reconciling the world to himself, not holding men’s faults against them" (2 Cor. 5: 19). The whole world, not just a part of it; humankind as a whole, not just one people.

"God is on our side", that is, on the side of humankind, our friend and ally against the powers of evil. God alone personifies the kingdom of good against the kingdom of evil. We need to bear witness to this hope that is in us, rising up against the gloomy wind of pessimism blowing through our society. As the pope writes in Novo millennio Ineunte, "We do not know what the new millennium has in store for us, but we are certain that it is safe in the hands of Christ, the ‘King of kings and Lord of lords’ (Rv. 19: 16)" (John Paul II, Novo millennio ineunte, 35).

* * *

After the initial salutation an invocation follows in the hymn: Esto nobis praegustatum mortis in examine - be a foretaste in my death's great agony. Long ago the martyr Ignatius of Antioch called the Eucharist "the medicine of immortality", that is, the remedy for our mortality (St Ignatius of Antioch, Letter to the Ephesians, 20,2). "We will rise, says St. Cyril of Alexandria, because Our Lord Jesus Christ has hidden life within us through his flesh, and has inserted it as the seed of immortality which frees us from all corruption that is now in us." (St. Cyril of Alexandria, On the Gospel of John, IV, 2 - PG 73,581). In the Eucharist we have the "pledge of future glory": "futurae gloriae nobis pignus datur".

Some religious polls have revealed a strange fact: there are, even among believers, some who believe in God but not in a life after death for human beings. Yet how could one think such a thing? The Letter to the Hebrews says that Christ died to win "an eternal redemption" for us (Heb 9: 12). Redemption not for time only, but eternal. Some object: but no one has ever come back from the beyond to assure us that it exists in fact and is not merely an illusion. That is not true. There is someone who comes back from beyond death every day to give us that certainty and to renew his promises, if we but know how to listen to him. We are on our way to meet the one who comes to meet us every day in the Eucharist to give us a foretaste (praegustatum!) of the eternal banquet of the kingdom.

We need to cry out this our hope to help ourselves and others to overcome the horror of death and the mood of gloomy pessimism common in our society. So many reasons are put forward for the desperate state of the world: "an anthill crumbling away", "a planet in distress"…. Scientists research in ever greater detail the possible scenario for the dissolution of the cosmos. The earth and other planets will grow cold, the sun and the stars will cool down, everything will grow cold… Light will fade, there will be more and more black holes, until the universe will be full of gigantic black holes drifting further and further apart… until eventually the expansion ceases, the contraction begins, and all matter and all energy collapses into a compact mass of infinite density. It will all end in a grand implosion, the ‘big crunch’, and all will have returned to the emptiness, the silence that preceded the big bang fifty billion years ago...

No one knows whether things will really go that way or some other way, but faith gives us the assurance that, whatever may happen, it will not be the total and final end. God did not reconcile the world to himself only to abandon it to nothingness; he did not promise to remain with us to the end of the world only to go, alone, back to his heaven when that end comes. "I have loved you with an everlasting love", God says in the Bible (Jer. 31: 3), and God’s promises of "everlasting love" are not like ours.

Taking up the same train of thought as the Ave Verum, the author of the Dies irae raises an agonised cry to Christ that we especially on this day, can make our own: "Recordare, Iesu pie, quod sum causa tuae viae: ne me perdas illa die": Remember, loving Jesus, that I was the reason you went to the cross: don’t let me be lost when that day comes. "Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus: tantus labor non sit cassus": looking for me, wearied you sat by the well of Sychar, and to redeem me you suffered the cross: don’t let such suffering be wasted.

* * *

The Ave verum closes with a cry to Christ: "O Iesu dulcis, o Iesu pie". These words evoke for us a tender, wholly evangelical image of Christ: the Jesus "sweet and gentle", merciful and compassionate, who does not break the crushed reed or quench the smouldering wick. The Jesus who one day said, "Learn from me, for I am gentle and humble in heart" (Mt. 11: 29).

The Eucharist makes present in the world the one who, by his teaching and by his life, has unmasked and broken forever the system that makes something sacral of violence.

The Eucharist is the sacrament of non-violence! Thanks to the Eucharist, God’s absolute "no" to violence, spoken on the cross, echoes alive down the centuries. And, at the same time, it is God’s "yes" to the innocent victims, and it is the place where all the blood spilled on earth joins with the blood of Christ and cries out to God and "pleads more insistently than Abel’s" (Heb. 12: 24).

But Christ’s meekness is no justification for the violence that is done today to his person, and in fact renders it the queerer, the more odious. It has been said that Christ, by his sacrifice, has put an end to the perverse recourse to the scapegoat, having taken upon himself all of its consequences (See R. Girard, Des choses cachées depuis la fondation du monde, Grasset, Paris 1978). Sad to say, Christ is once again subjected to that same destiny.

All the resentment pent up in a certain secular line of thinking regarding the link between violence and the sacred is unleashed against him. As usual, when a scapegoat is wanted, all the fury of the attack is directed at the one that seems the weakest. "Weakest", here, in the sense that he can be mocked, derided with impunity, without any risk of retaliation; Christians after all long ago renounced any right to use force in defence of their beliefs.

This is not just a question of the pressure to remove the cross from public places and the crib from Christmas folklore. In an unending stream of novels films and plays, writers manipulate the figure of Christ under cover of imaginary and non-existent new documents and discoveries. This is becoming a fashion, a literary genre.

There has always been the tendency to clothe Christ in the garb of one’s own time or one’s own ideology. In the past the issues were at least serious, genuinely human concerns (Jesus the idealist, Jesus the socialist, the revolutionary...). Our time, obsessed as it is with sex, seems unable to portray Jesus in any other way than as a homosexual, or as one who taught that salvation is to be found in uniting with the feminine principle and gave the example by marrying Mary Magdalene. The passion and the crucifixion of Christ? All later inventions of the Church!

It is trading on the vast resonance of the name of Christ and on all that he means to a large part of humankind, to achieve wide publicity at very little cost, or to shock with advertisements which exploit Gospel symbols and images, as the one of the Last Supper. This is literary parasitism!

Yet if in some extreme cases believers react and phone to protest about these things, some people are scandalised and decry it as intolerance and censorship. Intolerance has changed sides in our day, at least in the West: where we used to have religious intolerance, we now have intolerance of religion!

There are who present themselves as champions of science against religion: an astonishing claim, considering the way they treat the science of history! Many drink in their fantasies and utterly absurd stories, imagining them to be true, and even the only truth now freed at last from Church censure and taboo. Someone once said, "When a man no longer believes in God, he is ready to believe anything". The facts show that he was right.

The mystery we are celebrating today prevents us from giving way to a persecution complex and raising up once again walls or bastions between ourselves and modern society. Perhaps we ought simply to imitate our Master and say, "Father, forgive them; they do not know what they are doing". Forgive them and forgive us, for certainly our own sins, past and present, are also to blame when the name of Christ is held in contempt among the nations.

We could perhaps appeal to these people of our time, not only for our own sake but for theirs as well, saying what Tertullian said to gnostics of his time who denied the humanity of Christ: "Parce unicae spei totius orbis": Do not destroy the only hope of the world (Tertullian, De carne Christi, 5,3 - CCL 2, p.881).

* * *

The final line of the Ave verum recalls for us the image of the Mother: "O Iesu, fili Mariae". The Virgin is remembered twice in this short hymn: at the beginning, and at the end. The other exclamations that end the hymn: O Iesu dulcis, o Iesu pie, all bring to mind the closing words of the Salve Regina: "O clemens, o pia, o dulcis virgo Maria": o clement, o loving, o sweet Virgin Mary.

It is not merely in answer to a devotional need, but also theological, that there is this insistence on the link between Mary and the Eucharist. Christ’s birth from Mary, which used to be the principal argument against the Docetists who denied the reality of Christ’s body, bears witness now to the truth and the reality of the body of Christ present in the Eucharist.

John Paul II ends his apostolic letter Mane nobiscum Domine, referring to the words of this very hymn: "The bread that we receive is the spotless flesh of her Son: ‘Ave verum corpus natum de Maria Virgine’. In this year of grace, sustained by Mary, may the Church discover new enthusiasm for her mission and come to acknowledge ever more fully that the Eucharist is the source and the summit of her entire life" (Mane nobiscum Domine, 31).

The clearest sign of the unity between the Eucharist and the mystery of the cross, between the year of the Eucharist and Good Friday, is that we can now use the words of the Ave verum, without changing a syllable, to greet Christ who, in a short while, will be raised on the cross in the sight of us all. And so, humbly I invite all here who know the hymn’s Latin text to join with me in proclaiming, with deep gratitude and in the name of all human beings redeemed by Christ:

Ave verum corpus natum de Maria Virgine

Vere passum, immolatum in cruce pro homine

Cuius latus perforatum fluxit aqua et sanguine

Esto nobis praegustatum mortis in examine

O Iesu dulcis, o Iesu pie, o Iesu fili Mariae.

[00348-02.02] [Original text: Italian]

[B0163-XX.02]