Alle ore 10 di oggi, in Piazza S. Pietro, l’Em.mo Card. Camillo Ruini, Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma, presiede a nome del Santo Padre, la solenne celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Il Cardinale Ruini benedice le palme e gli ulivi, quindi celebra la Santa Messa della Passione del Signore.
Alla celebrazione prendono parte, in occasione della ricorrenza diocesana della XX Giornata Mondiale della Gioventù sul tema: "Siamo venuti per adorarlo", giovani di Roma e di altre Diocesi, come preludio della GMG 2005 che si terrà nel mese di agosto a Colonia (Germania).
Pubblichiamo di seguito l’omelia che l’Em.mo Card. Camillo Ruini pronuncia dopo la proclamazione della Passione del Signore secondo Matteo:
● OMELIA DELL’EM.MO CARD. CAMILLO RUINI
Cari fratelli e sorelle, il racconto della Passione del Signore tocca e coinvolge il nostro cuore, la nostra fede e la nostra capacità di amare.
Avvertiamo anzitutto un contrasto profondo: il Vangelo letto subito dopo la benedizione dei rami ci parla di una folla festante, che acclama: "Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!". Nel racconto della Passione invece un’altra folla, ma in gran parte la medesima folla, fatta dagli abitanti di Gerusalemme, grida: "Sia crocifisso!". Per cercare la ragione di questo contrasto non abbiamo bisogno di andare lontano: è sufficiente che guardiamo dentro a noi stessi. Già il profeta Geremia ammoniva: "Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?" (Ger 17,9). Il tradimento di Giuda, e anche quello di Pietro, mostrano quanto sia grande questa inaffidabilità umana.
Il contrasto tra la folla che acclama e la folla che pretende la crocifissione, e più in generale la fragilità e inaffidabilità del cuore dell’uomo, è però soltanto una dimensione, e non la più profonda, della Passione del Signore. Il suo pieno significato lo ritroviamo nelle parole dell’Apostolo Paolo ascoltate nella seconda lettura: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo … ; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,6-8). Quanto questo umiliarsi del Figlio di Dio sia stato efficace per noi, ce lo dice ancora l’Apostolo Paolo nella seconda lettera ai Corinzi: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Cor 5,21).
Così, proprio dall’umiliazione, dalla sofferenza e dalla morte del Figlio di Dio prende luce il mistero di Dio e anche il mistero dell’uomo. Se guardiamo infatti alle tante sofferenze umane, soprattutto alla sofferenza non colpevole, rimaniamo come smarriti e siamo spinti a chiederci se veramente Dio ci vuol bene e si prende cura di noi, oppure se non ci sia, per caso, un destino malvagio che nemmeno Dio può cambiare.
Nella croce di Cristo, invece, veniamo a contatto con il vero volto di Dio, secondo la parola di Gesù stesso che ci dice: "nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27). Nella croce di Cristo, infatti, il volto di Dio non perde la sua grandezza e il suo mistero, eppure diventa straordinariamente vicino e amico, perché è il volto di Colui che, nel proprio Figlio, condivide fino in fondo anche il lato più oscuro della condizione umana.
Perciò dalla croce di Cristo si diffondono una forza e una speranza di redenzione sull’intera sofferenza umana: il dramma e il mistero della sofferenza – che sono in fondo il dramma e il mistero della nostra vita – in questo modo non vengono eliminati, ma non ci appaiono più qualcosa di oscuro e di insensato.
Certo, di fronte a Gesù crocifisso viene meno ogni nostra pretesa di innocenza, ogni velleità di poter costruire con le nostre mani un mondo giusto e perfetto, ma non per questo siamo costretti ad abbandonarci al pessimismo e a perdere la fiducia nella vita. Mentre ci riconosciamo creature fragili e peccatrici, ci sentiamo abbracciati e sostenuti dall’amore di Dio, che è più forte del peccato e della morte, e diventiamo capaci di scoprire, nelle nostre anche piccole vicende quotidiane, un significato straordinariamente ricco e pieno, perché destinato non a disperdersi con il passare del tempo ma a portare frutto per l’eternità.
Cari fratelli e sorelle, e in particolare voi, carissimi giovani che celebrate la Giornata Mondiale della Gioventù, il Signore Gesù non ci ha nascosto che la sua croce riguarda anche noi, che per essere suoi discepoli siamo chiamati a farle spazio nella nostra vita: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Questa parola fa comprensibilmente paura, anzi, fa ancora più paura a noi, uomini del nostro tempo che siamo portati a vedere nella sofferenza soltanto qualcosa di inutile e di dannoso. Ma proprio questo è il nostro errore, che ci impedisce di comprendere non soltanto il significato della sofferenza, ma anche il senso della vita.
Di fronte a Gesù crocifisso ricordiamoci allora di un’altra sua parola: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. … Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,28-30). Sì, la croce di Gesù non deprime e non indebolisce. Da essa, al contrario, vengono energie sempre nuove, quelle che risplendono nelle imprese dei Santi e che hanno reso feconda la storia della Chiesa, quelle che oggi traspaiono con speciale chiarezza dal volto affaticato del Santo Padre.
Cari fratelli e sorelle, fidiamoci dunque del Signore crocifisso e risorto e mettiamo la nostra vita nelle sue mani, come egli ha messo la propria vita nelle mani di Dio Padre (cfr Lc 23,46).
[00331-01.01] [Testo originale: Italiano]
[B0153-XX.01]