CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL’ASSEMBLEA GENERALE DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA PER LA VITA SUL TEMA: "QUALITÀ DELLA VITA ED ETICA DELLA SALUTE" (21-23 FEBBRAIO 2005) ● INTERVENTO DI S.E. MONS. ELIO SGRECCIA
● INTERVENTO DEL DR. MANFRED LÜTZ
● INTERVENTO DEL PROF. P. MAURIZIO FAGGIONI
● INTERVENTO DEL DR. JEAN-MARIE LE MENÉ
Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione dell’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita sul tema: "Qualità della vita ed etica della salute" (21-23 febbraio 2005) (le prime due giornate aperte al pubblico, l’ultima riservata ai membri interni dell’Accademia).
Intervengono: S.E. Mons. Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; il Dr. Manfred Lütz, Membro della Pontificia Accademia per la Vita, psichiatra; il Prof. P. Maurizio Faggioni, Membro della Pontificia Accademia per la Vita, teologo, moralista: e il Dr. Jean-Marie Le Mené, Membro della medesima Pontificia Accademia, magistrato.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DI S.E. MONS. ELIO SGRECCIA
La finalità intesa dal titolo della Conferenza Internazionale, che si accompagna alla XI Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita, è quella di compiere un discernimento intorno a due concetti di grande attualità e pregnanza: quello di "qualità di vita" e quello di "salute"; si tratta evidentemente di due concetti che veicolano messaggi tendenti ad una certa sintonia.
Le società sviluppate spingono verso il raggiungimento del migliore livello di qualità di vita e le organizzazioni internazionali intendono assicurare il migliore livello di salute. Questo a partire dagli anni ‘50 in poi.
Che cosa si intenda esattamente con l'espressione "qualità di vita" non è ancora chiaro al grande pubblico e forse neppure ai politici stessi. Neppure un'attenta analisi della letteratura pertinente chiarisce in modo soddisfacente quali siano i contenuti e i parametri di questa qualità.
Non è sempre precisato se si tratta di parametri medico-sanitari, per cui, ad es., nella cartella clinica di un paziente che ha subito un intervento chirurgico si descrive non soltanto il tipo di intervento praticato, le terapie offerte e il percorso riabilitativo previsto, ma si descrive anche (e ciò è prescritto) qual è il livello di qualità di vita che si conserva, intendendo per qualità di vita il grado di autonomia psico-fisica, delle qualità cognitive, la capacità lavorativa residua, la capacità di recupero dei rapporti con la società, con la famiglia e con il mondo del lavoro. Senza dubbio, questo è un significato medico accettabile.
Ma si parla di qualità di vita anche in senso socio-economico: ad esempio, tutti avvertono che la qualità di vita, e cioè i beni di consumo di cui gode la società di oggi, in Italia o in Europa, è più grande di quello che esisteva prima della guerra. Si parla anche di qualità della vita in senso ecologico, un significato questo sempre più pressante e che, come è ovvio, si riferisce alle condizioni ambientali favorevoli alla salute in termini di cibo, acqua, aria, vegetazione, spazi liberi nella città, etc.
Accanto a queste accezioni, progressivamente è emerso un altro significato ben diverso, di carattere spiccatamente riduttivo, perché riferentesi prioritariamente al benessere fisico della persona inteso in senso "selettivo"; in base ad esso, infatti, si afferma che ove non esista un accettabile livello di qualità di vita, la vita stessa perde di valore e non merita di essere vissuta. Di conseguenza, in questa prospettiva, il termine "qualità di vita" assume un carattere oppositivo a quello di "sacralità di vita": in sostanza, si assolutizza la qualità e si relativizza la sacralità. Anzi, si dà al concetto di sacralità anche un significato negativo quale quello di un "vitalismo" ingiustificato.
Si comprende bene come, in una prospettiva interpretativa del genere, il concetto di qualità di vita finisca per implicare anche le questioni dell’eutanasia e dell’eugenismo.
Compito della riflessione proposta dalla PAV sarà, allora, quello di contribuire ad un'opera di chiarificazione concettuale, individuando quali siano i significati compatibili e congrui con la dignità e il diritto alla vita di ogni essere umano e quali, al contrario, si dimostrino incompatibili con tali valori.
Qualcosa di simile al processo descritto per la qualità di vita, si è verificato circa il termine "salute" ed il concetto che esso esprime. La salute è un bene importante per l'uomo; certo non può essere considerato un bene assoluto, poiché la salute suppone quanto meno la sussistenza del valore fondamentale della vita; inoltre, in un'ottica cristiana, soltanto la comunione con Dio (nella pienezza della vita eterna) deve essere considerata un valore assoluto, tanto che per compiere i propri doveri verso Dio e verso il prossimo si può - e talora si deve - accettare anche il rischio di consumare o compromettere la propria salute, e persino la propria vita.
Rimane però vero che, quantunque la salute non rappresenti il bene ultimo della persona, essa costituisce comunque un bene molto importante che esige il dovere morale di conservarla, sostenerla e recuperarla; prevenzione, cura e riabilitazione sono impegni rivolti alla promozione del bene "salute" e all’eliminazione del suo contrario, cioè la malattia.
Ma da quando la OMS ha definito la salute come "completo benessere di natura fisica, psichica e sociale", questo valore è diventato utopico e mitico, inducendo un concetto di benessere edonistico e, talvolta, con significati perfino letali. Basti pensare al fatto che, a motivo della salute della donna, è stato legalizzato l’aborto, e per realizzare i programmi della cosiddetta "salute riproduttiva", oltre all’aborto, si propongono campagne di sterilizzazione, di diffusione della contraccezione di emergenza, ecc.; tutto ciò, si dice, allo scopo di tutelare un bene, la salute, ma di fatto attraverso la soppressione e la negazione di un bene più grande che è la vita del figlio. Fin dove arriva, allora, il cosiddetto "diritto alla salute"? Esiste un diritto alla salute "a tutti i costi"? O esiste piuttosto un diritto alle cure?
Ma quello che maggiormente meriterebbe di essere messo in luce - e speriamo che il Congresso della PAV consenta questa indagine - è la motivazione di fondo che ha consentito questo viraggio concettuale dei due termini, da un significato del tutto accettabile ad un significato negativo per la vita stessa, in qualche modo al servizio di una cultura della morte.
Come è avvenuto questo? Mi sembra di poter accennare almeno ad una causa profonda; non so se vedo giusto! E’ avvenuta, se così si può dire, una specie di congiunzione di fattori:
a) un fattore di natura filosofica, ovvero l'emergenza di una filosofia utilitarista ed edonista; il bene è ridotto a ricerca del piacere e sconfitta dal dolore, (è la definizione di J. Bentham); anzi, secondo P. Singer, la vita personale è definita dalla capacità di sentire piacere e/o dolore.
b) un fattore più ampiamente culturale: il secolarismo etico e l’indifferentismo. Non esiste l’aldilà, non esiste l’eternità beata, né ha senso il dolore (vedi il Manifesto sull’Eutanasia dell'anno ’74), quello che conta è lo spazio terreno di benessere.
c) un fattore economico-sociale. La disponibilità vera o presunta del benessere economico-sociale che è il fine della politica mondiale.
E’ compito della Accademia per la Vita rintracciare questa "congiunzione perversa di astri" per poter suggerire una visione correttiva e un orizzonte diverso di speranza. Specialmente di fronte ai dati di malessere ed infelicità che si constatano in relazione alla diffusione delle cosiddette "malattie del benessere", al crollo antieconomico della natalità in termini demografici proprio a carico dell’occidente e in termini di miseria del terzo mondo.
[00222-01.02] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DEL DR. MANFRED LÜTZ
L’epoca dei dibattiti sulle visioni del mondo è finita, ed è iniziata l’epoca dei dibattiti sulle "visioni dell’uomo". In futuro sarà possibile riconoscere i cristiani in base alla loro concezione dell’uomo. Secondo Peter Singer, e con lui molti altri, l’uomo è un insieme di capacità, la cui dignità dipende dalla presenza attuale di queste capacità; invece, secondo l’intera tradizione cristiana, l’uomo ha la sua completa dignità anche e soprattutto in situazioni di estremo bisogno. In effetti difficilmente si potrà trovare una differenza più grande di quella che vede contrapposte da una parte l’atmosfera dominante, che tende a negare dignità proprio ai più deboli e bisognosi d’aiuto - gli embrioni, nella fase iniziale della vita, e coloro che hanno gravi danni cerebrali, nella fase finale dell’esistenza - e, dall’altra, la concezione cristiana che, proprio nei più deboli e bisognosi d’aiuto, vede la presenza di Cristo stesso. Dunque, nel promuovere oggi il messaggio evangelico, la "lieta novella" della salvezza dell’uomo deve essere portata in primo piano nella discussione. E non si tratta di una salvezza astratta: è, molto concretamente, la liberazione da visioni dell’uomo che sono umanamente indegne e che conducono al disprezzo per l’uomo stesso. Infatti, un progresso che seppellisse sotto i suoi passi l’uomo e la sua dignità, costituirebbe forse la prosecuzione dell’evoluzione, ma sicuramente non rappresenterebbe più un progresso umano. A questo punto però si pone la domanda se dietro a queste assurde immagini dell’uomo che oggi sono tanto apprezzate, non vi sia una tendenza unica, individuabile in una "visione dell’uomo" accessibile ad un discorso etico razionale. Io credo che esista realmente una tale "visione dell’uomo" che oggi sta progressivamente diventando dominante in tutto il mondo, tale visione si potrebbe chiamare la "religione della salute". Non Dio, ma la salute, la salute individuale, assurge a indiscusso "bene massimo". Salvezza e redenzione non sono più attese in un qualche "al di là", ma qui ed ora. Si aspetta quantitativamente la vita eterna dalla medicina e qualitativamente l’eterna felicità dalla psicoterapia. Impercettibilmente, ma con grandi conseguenze, tutte le convenzioni religiose sono approdate al sistema sanitario. Non abbiamo più solo medici come semidei, ma abbiamo luoghi di pellegrinaggio, eresie, movimenti "ascetici" dietisti, riti, campagne missionarie per la salute sovvenzionate dallo stato. La salute, il bene, come quasi tutto nella nostra società, è visto come un prodotto che può essere fabbricato: bisogna fare qualcosa per la salute, da niente non viene niente, chi muore, muore per colpa sua. Vengono prodotti senza ritegno sensi di colpa, e il termine ‘peccato’ non viene più usato nelle chiese, ma solo in relazione ai peccati di gola, ad esempio per il divoratore di una torta di panna. Soprattutto però il tabù della blasfemia, nelle società occidentali, non solo è imitato, ma completamente trasferito dal cristianesimo alla religione della salute. Il che significa che su Gesù Cristo si può fare ogni sorta di scherzo, ma con la salute no.
Molto gravi sono però le conseguenze etiche di questo nuovo movimento quasi religioso e internazionale. Se la salute rappresenta il massimo valore, allora l’uomo sano è anche il vero uomo. E chi non è sano, e soprattutto, chi non può ritornare sano, allora diventa tacitamente un uomo di seconda o terza classe. In tal modo siamo arrivati al nocciolo dei dibattiti bioetici degli ultimi anni. È vero che la dominante religione della salute ha prodotto un enorme incremento dell’attenzione pubblica sui metodi di guarigione, ma il messaggio indiretto di tale avido interesse per la guarigione medica è che l’inguaribile, il malato cronico, il portatore di handicap, vengono spinti nell’ombra, per loro c’è posto solo ai margini della società salutista. Viene detto poco e viene diffusa l’opinione, generalmente in modo molto sottile, che lo stesso individuo "certamente non vuole vivere così" e che pertanto a queste persone si deve riconoscere il "diritto ad una buona morte", l’eutanasia.
All’inizio della vita, invece, non si tratta più di evitare l’handicap, ma di evitare l’handicappato. Così in Germania sono sufficienti malformazioni banali come la schisi labiale, per essere uccisi con un’iniezione di potassio al cuore poco prima della nascita, e addirittura nel canale del parto, nel quadro di una "indicazione medica" ampiamente accettata. Tale omicidio in Germania non è né illegale, né punibile, anzi, regolarmente pagato dalle mutue.
Queste mostruosità sono praticabili, in una società, solo se è stata creata l’atmosfera adatta. Questa atmosfera è determinata dalla religione della salute. Il significato della religione della salute diventa particolarmente chiaro in relazione alla scelta dei valori della società nell’ambito della cosiddetta "Etica del guarire". In Germania questa definizione fu creata nell’ambito del dibattito sull’uso delle cellule staminali embrionali. Si ammise che l’uccisione degli embrioni fosse problematica, ma ci si assolse da soli attraverso l’uso dell’espressione "etica del guarire": si uccidono gli embrioni per uno scopo altamente nobile, cioè la guarigione. Certo esiste davvero anche un’etica del guarire, dato che la guarigione si basa su principi etici, ma ciò che si presentò qui come "etica del guarire" era stato pensato per porre fine in modo estremamente efficace e demagogico al razionale dibattito etico, anzi per non farlo proprio sorgere. All’epoca si affermò che tramite le ricerche sulle cellule staminali embrionali fosse possibile curare il morbo di Parkinson, ma dal punto di vista neurologico ciò è improbabile e le esperienze scientifiche in questo campo non sono propriamente incoraggianti. Tuttavia, il dibattito pubblico procede diversamente da quello scientifico: nel primo le argomentazioni semplicistiche hanno molto effetto. "Chi guarisce ha diritto", questa buona e vecchia massima della medicina diviene in questo modo un abuso etico ed è trasformata dall’"etica del guarire" in una cinica formula per giustificare tutto. L’ "etica del guarire" è il fondamentalismo della religione della salute, essa non è più accessibile ad un ragionamento razionale.
Per i cristiani il corpo è il " Tempio dello Spirito Santo" (Paolo) e perciò la salute di questo corpo rappresenta un valore alto. Mai però, nell’intera tradizione cristiana, la salute ha costituito il massimo valore. La salute è un grande valore, né più, né meno.
Le tecniche sanitarie non devono, quindi, in nessun caso essere ritenute tecniche di salvezza. La salvezza, secondo la convinzione cristiana, non si trova primariamente nella cosiddetta buona salute, ma piuttosto in situazioni limite dell’esistenza umana, situazioni che vengono disprezzate dalla religione della salute come realtà da evitare o deficit da eliminare. Proprio nell’handicap, nella malattia, nel dolore, nella vecchiaia, nel morire e nella morte si può, invece, percepire la verità della vita in modo più chiaro e massiccio che nello scorrere del tempo senza disturbi importanti. Dato che queste situazioni-limite della vita degli uomini si caratterizzano per il fatto di essere inevitabili, il messaggio cristiano può indicare all’uomo di oggi, alla ricerca della salvezza, una via piena di forza per colmare la vita, attraverso una visione positiva dell’inevitabile e apparente deficit. "Salvifici doloris, Sul senso salvifico del dolore umano" è il titolo di uno scritto di forte impatto del nostro Santo Padre all’inizio del suo pontificato. Ciò che scrisse allora il Santo Padre lo sta vivendo oggi, incarnando questo messaggio con grande intensità: è l’alternativa, vissuta, alla dominante follia salutista, che emana dalla sua persona.
La religione della salute ruota attorno all’antichissimo tema della religione: il superamento del contingente e soprattutto il superamento dell’esperienza di morte. Però questa nuova religione induce gli uomini a perdere se stessi nella lotta contro la morte. Ci sono uomini che vivono, per così dire, preventivamente, per arrivare sani alla morte. Si potrebbe dire che gli uomini, per evitare la morte, si prendono la vita, cioè l’irripetibile tempo di vita e quando, poi, sul letto di morte accade l’inevitabile - che hanno cercato di evitare con ogni possibile accortezza salutista - si chiederanno se forse non avrebbero dovuto trascorrere un po’ più tempo con la moglie, con i figli, gli amici anziché in palestra, oppure se non avrebbero potuto fare qualcosa per gli altri.
Il messaggio cristiano acquista la sua più profonda forza e il suo valore più alto quando viene annunciato nell’imminenza della morte. L’Evangelium vitae trae da qui il suo splendore, poiché chi respinge la morte, perde la vita. Cristo annuncia la vita quando dice "Io sono la strada, la verità e la vita". Non è una vita piatta, ma "sofferto... crocifisso, morto e sepolto, e risorto dai morti". Questa è "la speranza che vive in noi".
[00225-01.02] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DEL PROF. P. MAURIZIO FAGGIONI
Salute e qualità della vita sono espressioni di uso corrente, ma assumono spesso significati cangianti e persino contraddittori.
Sembra ormai tramontata la concezione tradizionale di salute come assenza di malattia e si è imposta una visione che allarga la comprensione della salute alle strutture sociali, lavorative, ricreative, educative, abitative, ambientali. A questa comprensione allargata può essere riportata la celebre definizione data dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) secondo la quale "la salute è uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non solo l’assenza di malattia o di infermità".
Dal momento che la salute deve essere considerato un bene essenziale della persona, è ragionevole e doveroso che la società si impegni per riconoscere e promuovere per ognuno il diritto alla salute, anche perché solo a livello sociale una salute intesa in modo allargato può essere adeguatamente tutelata. Il tema della salute si intreccia allora necessariamente con il tema della giustizia ed è sconcertante pensare che un diritto della persona, come il diritto alla salute, possa relativizzarsi e assumere contorni diversi nei diversi contesti culturali, sociali, politici ed esistenziali. Un esempio paradigmatico e drammaticamente attuale si ha nella diversa possibilità di accesso alle cure per contrastare l’AIDS nei diversi contesti mondiali, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito.
Mentre milioni di persone nel mondo lottano per sopravvivere alla fame e alle malattie, privi persino di un’assistenza sanitaria minimale, nei paesi ricchi la concezione della salute come benessere concorre a creare attese irrealistiche sulla possibilità della medicina di rispondere a tutti i bisogni e i desideri delle persone. La medicina dei desideri, incentivata dal mercato della salute, incrementa la richiesta di prestazioni farmacologiche e medico-chirurgiche, assorbe risorse pubbliche oltre ogni ragionevolezza e dilata, sino ad estenuarla, la categoria di terapeuticità.
Le ambiguità contenute nella idea della salute come benessere si sono riversate ed espresse, a partire dagli anni ’50, nella categoria di qualità di vita e si può dire che la categoria di qualità della vita è diventata un modo usuale per riferirsi alla salute in termini di benessere, con una enfasi sulle dimensioni soggettive della salute. La categoria di qualità della vita rimanda sempre ad un’antropologia che la sostanzi e la fondi. Sarà, infatti, l’antropologia a dirci che cosa si deve intendere per "vita buona", " vita felice", "vita piacevole" o "degna di essere vissuta" e, ancora più radicalmente, chi è merita l’appellativo di "umano" e quindi merita il nostro impegno di tutela e promozione.
La nozione di qualità della vita non rappresenta soltanto la dimensione soggettiva della salute in senso allargato e la percezione del proprio ideale di vita accettabile e buona, ma tende sempre più a diventare un criterio di umanità e una discriminante per stabilire il diritto alla tutela e il dovere di rispetto. Esistono vite che non raggiungono standard qualitativi adeguati e che non sono ritenute meritevoli di tutela o della stessa tutela di cui godono le vite di buona qualità. La categoria di qualità della vita se viene usata come criterio di valore della vita umana conduce a negare il fondamento naturale e culturale dell’uguaglianza, e introduce un’etica della disuguaglianza.
Secondo la visione dell’uomo propria del cristianesimo ogni vita umana ha valore in sé in quanto umana e questo valore non dipende da un apprezzamento e da una valutazione delle qualità che la vita presenta. Senza dubbio le diverse esistenze manifestano qualità diverse, alcune desiderabili ed altre indesiderabili e certamente non tutte le vite si presentano felici, compiute e realizzate, ma non per questo si può ritenere diminuita la dignità e il valore di quelle esistenze fragili e dolenti.
Il valore della vita umana non deriva da ciò che una persona fa o esprime, ma dal semplice suo esistere come uomo vivente e, in prospettiva esplicitamente teologica, dal suo essere costituita in relazione con Dio. Giovane o adulto, sano o malato, embrione o neonato, genio o idiota, il valore di ogni essere umano è del tutto indipendente dalla qualità delle sue prestazioni o della sua vita: per i cristiani la radice del valore e della inviolabilità di ogni vita umana sta ultimamente in Dio e questa persuasione è usualmente espressa attraverso la categoria di sacralità della vita.
La visione cristiana della persona e del valore della sua vita ci porta a delineare una comprensione originale delle categorie di salute e di qualità di vita e del loro rapporto reciproco.
Se è vero che la salute, è armonia e integrazione di tutte le energie personali, fisiche, psichiche e spirituali, è tensione al progetto di verità e di compiutezza umana di ciascuno, allora promuovere la salute di un soggetto significa aiutarlo a vivere la sua vita nel modo migliore possibile a partire dalla concretezza delle sue condizioni psico-fisiche. Il diritto alla salute è un diritto nativo della persona e non richiede né la fruizione di qualità di vita standardizzate, né la medesima possibilità di conseguirle. Ognuno deve essere aiutato a trovare la sua armonia e il suo equilibrio nella propria particolare situazione esistenziale perché il diritto alla salute non è limitato a coloro che godono di standard di vita prefissati, ma deriva dal diritto alla vita, diritto che è radicato in ogni persona umana in quanto soggetto di una vita.
Risulta allora trasparente il legame fra promozione della qualità della vita e valore sacro della vita umana: ogni esistenza umana dal suo sorgere al suo tramontare è degna di essere accolta, tutelata e promossa nella sua integralità perché ha valore in sé. Prendersi cura della salute propria e dell’altro è un atto profetico e di autentica testimonianza evangelica perché significa riconoscere nell’uomo vivente l’immagine del Figlio di Dio e quanto più una esistenza si presenta povera, fragile, incompiuta, tanto più siamo chiamati a riconoscere, amare e servire in essa il volto misterioso del più bello tra i figli d’uomo che per amore ha abbracciato ogni dolore, ogni sconfitta, ogni morte.
[00223-01.02] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DEL DR. JEAN-MARIE LE MENÉ
I - La demande de santé, dans les pays riches, a évolué vers une demande de bien être
A – De nouveaux besoins sont promus par de nouveaux demandeurs
– Ces nouveaux besoins obéissent au seul critère du désir
Le symbole le plus éclairant de cette évolution est l’explosion des techniques de procréation médicalement assistée qui, en traitant l’absence d’enfant comme une maladie, ont entraîné un glissement de la santé vers le bien-être. On fait comme si la souffrance de ne pas avoir d’enfant était un symptôme relevant de la médecine, renvoyant à une maladie qu’on pourrait faire prendre en charge par la collectivité.
Cette exigence du désir d’enfant est le reflet inversé d’une autre exigence, radicale, celle du désir de ne pas avoir d’enfant. Or, ce refus de l’enfant, qui a lui aussi été médicalisé et pris en charge par l’assurance maladie est sans doute la première étape du glissement de la santé vers un prétendu bien être.
C’est encore le désir qui est consacré quand un système de santé accepte, organise et finance, au nom de la santé, la suppression d’enfants à naître anormaux, comme moyen de « prévention » du handicap. L’illusion d’être toujours dans le monde de la santé est une sorte de sécurité volontairement entretenue.
Ce désir de puissance se manifeste également dans l’exigence de rester toujours jeune, grâce à l’utilisation des cellules souches embryonnaires, prélevées sur les embryons surnuméraires, ou après clonage dit thérapeutique. Encore une fois, le terme thérapeutique nous rattache - à tort - à l’univers de la santé.
La liste pourrait être encore complétée : beauté physique, performance sexuelle, etc. Il en ressort que la partie solvable de l’humanité semble avoir fait le plein des produits de santé courants et exprime dorénavant de nouvelles demandes, par définition illimitées, difficiles à satisfaire et éthiquement contestables.
- Les nouveaux demandeurs ne sont pas des malades « spontanés »
Devant les perspectives ouvertes par ces nouveaux besoins, un discours enthousiaste est tenu par les scientifiques qui accèdent au rang de dispensateurs de la vérité. Il permet au pouvoir politique de se décharger de sa responsabilité et entraîne une surreprésentation du point de vue technique dans les instances délibératives. Le rôle des experts dans les comités d’éthique est souvent d’accoutumer l’opinion publique et les médias à la transgression. Les dérives de la santé vers le bien être sont ainsi accompagnées de slogans douteux : avortement = santé des femmes ; diagnostic préimplantatoire = alternative à l’avortement ; recherche sur l’embryon = solidarité intergénérationnelle ; bébé médicament = espoir, etc.
Parallèlement, s’est développé le diktat des associations de malades (SIDA ou myopathie, par exemple). Au nom de la compassion et avec des moyens parfois peu démocratiques (irruption sur les plateaux de TV, menaces, réseaux d’influence, pseudo conférences de consensus, etc.), des associations ont fait valoir des exigences discutables (accession à certaines molécules non validées, prises de position en faveur de la recherche sur l’embryon et du clonage, etc.). Les arbitrages financiers en ont été influencés au détriment de choix de santé plus rationnels.
B – Les dépenses de santé sont de plus en plus élevées et mal régulées par le marché
- De nouveaux maux sont apparus, qui pèsent lourd : les maladies de civilisation
La liberté revendiquée par rapport à certaines règles comportementales entraîne de nombreux « mal-être » pris en charge par les systèmes de santé sans tenir compte des causes qui restent non traitées.
Ainsi, les principaux problèmes de santé publique sont les suivants :
- Pour les personnes âgées, il est de réduire le nombre d’hospitalisations pour effets secondaires iatrogènes liés à la surconsommation de médicaments.
- Pour les jeunes enfants, il consiste à prévenir les carences socio-affectives et leurs conséquences : anorexie et obésité.
- Pour les enfants, il s’agit de prévenir les troubles majeurs de la relation familiale et la maltraitance.
- Les jeunes scolarisés seront suivis pour qu’ils évitent des comportements addictifs. Il est aussi prévu de développer l’éducation à la contraception et de recourir à la contraception d’urgence (abortive).
- Les étudiants feront l’objet d’une protection contre les risques de décès par suicide et l’exposition au VIH et aux MST.
La surmédicalisation de la vie pose un problème particulier pour les troubles mentaux et les désordres du comportement. On semble passé des médicaments pour les malades aux médicaments pour les bien portants en difficulté, puis aux médicaments pour faciliter la vie aux bien portants.
- Le discours économique libéral ne contribue pas à réguler cette demande
Le discours libéral nous garantit que la liberté sans entrave offerte au marché est notre meilleure chance d’accroître la richesse collective et que c’est à elle que nous devons le bien-être. Les fantasmes associés au développement de la génétique et de la thérapie cellulaire, par exemple, assignent aujourd’hui un nouveau but au libéralisme économique pour sortir de sa crise. Autrefois, on parlait de dépenses pour la santé. On risque de parler demain des richesses que la santé permet de dégager.
Dans une société guidée par des principes moraux, la question est de savoir si une chose est conforme au bien commun. Dans les sociétés hédonistes, la question est plutôt de savoir si chacun pourra aller jusqu’au bout de son désir. La référence au permis cède le pas à la référence au possible, mais les conséquences sont lourdes à payer. Les lois du marché sont impuissantes à donner du sens et à rationaliser cette évolution. Les suivre aveuglément n’est qu’une fuite en avant.
II – Dans les pays pauvres, la gestion de la santé est pénalisée par une offre inadaptée
A – La santé des pays en développement est victime des idéologies
- La déclaration d’Alma-Ata : l’illusion socialiste
La déclaration solennelle qui y fut proclamée en 1978 par l’OMS et l’UNICEF invita tous les pays à faire de la promotion des soins de santé primaires la pierre angulaire du développement des systèmes de santé.
A partir des images progressistes de peuples démunis libérés de la puissance des nantis, on a cru qu’il était possible pour les pays pauvres de sortir du sous développement par la mobilisation de leurs propres forces.
Ce mouvement fut rejoint par les ONG, les organisations spécialisées des Nations Unies, la Banque mondiale, l’Union européenne et la plupart des organisations bilatérales. Mais un grand nombre de programmes ou projets se sont finalement soldés par des échecs liés à l’insuffisance du financement, de la formation et de l’équipement.
- L’initiative de Bamako : le désenchantement libéral
Adoptée en 1987 par le 37ème comité régional de l’OMS, cette initiative reposait sur le principe de la vente aux usagers des médicaments génériques acquis à faible prix. La vente avec bénéfice devait assurer le réapprovisionnement en médicaments et le financement des dépenses de fonctionnement des centres de santé. Les pays en développement, lourdement endettés, ont du s’y rallier. Or, ce principe a entraîné l’exclusion du système de soins des plus défavorisés. Plus un pays est pauvre, plus ses habitants sont obligés de payer eux-mêmes les soins de santé. En outre, l’amélioration de la qualité des services de santé, qui était annoncée, n’est toujours pas obtenue.
Les années 90 sont caractérisées par des approches sectorielles dans les pays où l’aide extérieure contribue largement au financement du système de santé. La Banque mondiale est devenue le premier bailleur de fonds publics dans le domaine de la santé. Cependant les projets sectoriels financés par la Banque connaissent une mise en œuvre difficile, en raison de l’absence de relais fiables sur le terrain. L’OMS, dans son dernier rapport, vient d’ailleurs d’en appeler expressément aux associations confessionnelles pour mettre en œuvre les approches sectorielles.
B – La santé des pays pauvres est victime de « pirateries »
- La piraterie biologique : la privatisation du patrimoine biologique des pays du Sud
Le conflit opposant les pays du Nord et du Sud autour du contrôle du patrimoine biologique mondial s’annonce comme une des principales batailles économiques et éthiques du siècle des biotechnologies. Les multinationales sont à la recherche de caractéristiques génétiques ou biologiques rares ayant pour but d’aboutir à de nouveaux médicaments. Les pays du Sud considèrent que ces découvertes constituent un piratage de leur patrimoine même si les entreprises produisent de la valeur ajoutée en manipulant les gènes codant pour telle ou telle protéine. D’après les indications de l’organisation mondiale de la propriété intellectuelle, en 1996, les particuliers et les firmes des pays industrialisés, tous domaines confondus, détiennent 95 % des brevets d’Afrique et 70 % de ceux de l’Asie.
Cette attitude est particulièrement dommageable lorsqu’elle est le fait de l’industrie pharmaceutique et qu’elle aboutit, grâce au droit des brevets, à pénaliser les pays du Sud dans leur accès aux médicaments ou au dépistage des maladies. L’issue de cette bataille éthique autour de l’un des plus grands défis lancé à la loi naturelle a évidemment des retombées sur les économies et des conséquences sur la gestion de la santé des pays pauvres.
- La piraterie juridique : les tentatives d’autoriser le clonage à L’ONU
En novembre 2003, puis en novembre 2004, la sixième commission (juridique) des Nations Unies a décidé de reporter l’examen des propositions visant l’élaboration d’une convention internationale contre toute forme de clonage humain, alors même que la majorité des pays présents était pour cette interdiction générale.
Cette décision prise sous l’influence de certains pays développés, favorables au clonage, est d’autant plus grave que les pays les plus démunis, et sans réglementation, sont les plus exposés aux dangers du clonage : délocalisation sauvage des entreprises de biotechnologies dédiées au clonage, risque de transformer le corps des femmes pauvres en marchandise, dangerosité des essais de transplantation de cellules issues de clones, diminution des financements utiles aux besoins de santé primaires, etc.
Conclusion
Deux considérations sont presque toujours absentes des préoccupations de santé dans le monde : le bien intégral de la personne d’une part et la mort d’autre part.
Jamais on ne voit s’interroger sur ce que signifie le « bien » de l’homme. Au contraire, on a le sentiment que les systèmes de santé constituent des réponses à des questions oubliées. Or, la question est : en quoi consiste le dû à la personne humaine, pourquoi on le doit et comment ?
La considération de la mort n’est pas non plus intégrée au débat. La vérité sur la mort – et donc sur la vie - n’est-elle pas seule de nature à donner du sens à un système de santé et à orienter ses choix ?
[00224-03.02] [Texte original: Français]
[B0092-XX.02]