CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II PER LA CELEBRAZIONE DELLA XXXVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE Alle 11.00 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio di Sua Santità Giovanni Paolo II per la celebrazione della XXXVIII Giornata Mondiale della Pace, sul tema: "Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male" (1° gennaio 2005).
Intervengono: l’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; il Rev.mo Frank J. Dewane, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.
Pubblichiamo di seguito l’intervento dell’Em.mo Card. Renato Raffaele Martino:
● INTERVENTO DELL’EM.MO CARD. RENATO RAFFAELE MARTINO
TESTO IN LINGUA ITALIANA
TESTO IN LINGUA INGLESE
TESTO IN LINGUA ITALIANA
Premessa
Sono lieto di trovarmi con voi, per la presentazione del Messaggio di Sua Santità Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale della Pace 2005. Per questa circostanza, il Santo Padre ha scelto e proposto come tema di riflessione un versetto della Lettera ai Romani di San Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (12,21). Con la tipica incisività, il grande Apostolo invita a un discernimento, personale e comunitario, circa le decisive questioni del male e della sua drammatica influenza nella vita degli uomini e ammonisce a farsi carico, con matura responsabilità, del bene e della sua diffusione. Utilizzando come retroterra ispirativo e orientativo la Lettera ai Romani, ampiamente citata nella prima parte del documento, tutto il Messaggio papale affronta il tema della pace, collocandolo dentro un’articolata e complessa riflessione sul bene e sul male. Afferma il Santo Padre: «La prospettiva delineata dal grande Apostolo pone in evidenza una verità di fondo: la pace è il risultato di una lunga e impegnativa battaglia, vinta quando il male è sconfitto con il bene» (n. 1). In questo contesto la pace viene definita come un «bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni della terra e per l’intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene» (n. 1).
Il Messaggio papale si presenta strutturato in tre parti, in cui il tema della pace viene progressivamente trattato in relazione ai vari aspetti e livelli del bene. Nella prima parte, la pace è considerata nel suo rapporto con il bene morale; nella seconda, la pace viene vista nel suo rapporto con un principio tipico della dottrina sociale della Chiesa, il principio del bene comune; nella terza, la pace viene trattata in stretto collegamento con l’utilizzo dei beni della terra e con un riferimento molto pertinente a un altro grande principio della dottrina sociale, quello della destinazione universale dei beni. La pace, quindi, proprio perché un bene, viene presentata nella sua stretta connessione con il bene morale, il bene comune e i beni della terra.
Il male e il bene: loro connotazione morale
Al centro del dramma del male c’è un protagonista: l’uomo con la sua libertà e il suo peccato. Il male non potrebbe accadere se la persona umana non fosse radicalmente libera. La libertà umana è al centro del dramma del male e ad esso si accompagna sino alla fine. Con la valorizzazione della libertà umana, il Santo Padre rifiuta tutte quelle letture e interpretazioni della vicenda storica dell’uomo caratterizzate dalla visione del male come «una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali». Per delineare il profilo morale del male, il Papa si esprime con parole di grande efficacia e forte impatto: «Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e donne che liberamente lo scelgono» (n. 2). Il male - che il pensiero filosofico ha descritto come una «privatio boni», come una privazione del bene, di fatto è un movimento negativo che la volontà umana compie «quando abbandona ciò che le è superiore e si volge a qualcosa di inferiore»1. A un’attenta considerazione del male è facile rintracciare in esso e nel suo manifestarsi un movimento peccaminoso della volontà umana che mette in causa le relazioni fondamentali della persona con Dio e con le altre persone. Afferma il Santo Padre: «Il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore»2, mentre il bene morale viene considerato strettamente collegato all’amore perché «nasce dall’amore, si manifesta come amore ed è orientato all’amore» (n. 2).
Dopo questi riferimenti, brevi ma densi, alla connotazione morale del bene e del male, il Santo Padre si sofferma su un punto assai importante e decisivo se considerato nell’orizzonte complessivo dell’insegnamento sociale cattolico: per far fronte alle molteplici manifestazioni sociali e politiche del male, l’umanità di oggi deve far tesoro del comune patrimonio di valori morali ricevuti in dono da Dio. In questa parte del Messaggio il Santo Padre ripropone e rilancia il Suo magistero sulla legge naturale che, nel 1995, avevo sentito esporre nel Discorso all’Assemblea Generale della Nazioni Unite, con il quale richiamava tutti, con coraggio e con lungimiranza profetici, a far riferimento, nel comune servizio alla pace, alla grammatica della legge morale universale, l’unica in grado di unire gli uomini tra loro, pur nella diversità delle culture.
Nella considerazione del valore della grammatica della legge morale universale, il Santo Padre si sofferma a condannare la violenza in genere e a stigmatizzare quattro situazioni di violenza tipiche del nostro tempo: i conflitti in Africa, la pericolosa situazione della Palestina, il terrorismo che sembra spingere il mondo intero verso un futuro di paura e di angoscia; il dramma iracheno che moltiplica incertezza e insicurezza. Quale risposta alla violenza, definita un male inaccettabile? Il Santo Padre, riprendendo alcuni temi del Messaggio per la Giornata mondiale della Pace dello scorso anno, sollecita una grande opera educativa delle coscienze capace di aprire per tutti, soprattutto per le giovani generazioni, i vasti orizzonti dell’umanesimo integrale e solidale (n. 4).
Pace e bene comune
In questa parte del messaggio il Santo Padre associa la promozione della pace al bene comune, di cui ripropone in nota la definizione che ne dà la Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 26. Quando si coltiva il bene comune si coltiva la pace: è questa l’affermazione di fondo, da cui parte tutta la riflessione papale nel proporre il valore del bene comune come un bene che – per riprendere su questo specifico punto il n. 164 del Compendio della dottrina sociale della Chiesa da poco pubblicato – «non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro». Si può affermare che il bene comune costituisce la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.
Dopo aver sollecitato l’impegno di tutti per il bene comune e, soprattutto, l’impegno delle pubbliche autorità, il Santo Padre lega la promozione del bene comune al rispetto della persona e dei suoi diritti fondamentali, come pure al rispetto dei diritti delle Nazioni in una prospettiva universale, chiedendo l’avvio di una vera cooperazione internazionale. Questa parte del Messaggio si chiude con l’avvertenza a non ridurre il bene comune a semplice benessere socio-economico. Questo è possibile se il bene comune resta aperto alla dimensione trascendente. A questo proposito, il già citato Compendio della dottrina sociale contiene affermazioni molto chiare: «Il bene comune della società non è un fine a sé stante; esso ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale. Dio è il fine ultimo delle sue creature e per nessun motivo si può privare il bene comune della sua dimensione trascendente, che eccede ma anche dà compimento a quella storica» (n. 170).
Il bene della pace e i beni della terra
La terza parte del Messaggio è tutta dedicata all’uso dei beni della terra, che il Santo Padre tratta nel contesto del principio della dottrina sociale della destinazione universale degli stessi. Per cogliere in profondità la forza profetica di questa parte del Messaggio vale la pena di riportare il brano della Gaudium et spes che descrive il principio richiamato: «Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all’uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità» (n. 69). Questo brano del documento conciliare ci consente di cogliere tutta la portata e il valore innovativi di un passaggio del Messaggio papale che illustra, per la prima volta nella dottrina sociale, il principio della cittadinanza mondiale. I due principi – quello della destinazione universale dei beni della terra e quello della cittadinanza mondiale – si illuminano a vicenda e costituiscono, per così dire, due potenti fari capaci di illuminare le scelte politiche della comunità internazionale per la promozione dello sviluppo dei popoli in una prospettiva etica e culturale proiettata verso uno sviluppo integrale e solidale dell’umanità. Vale la pena di leggere questo denso brano del Messaggio papale: «L’appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Basta che un bambino venga concepito perché sia titolare di diritti, meriti attenzioni e cure e qualcuno abbia il dovere di provvedervi. La condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l’assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale nei confronti di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio della cittadinanza mondiale» (n.6).
Dentro questo contesto etico-culturale, il Santo Padre affronta una serie di urgentissime questioni, tutte presenti nell’agenda della comunità internazionale. Si tratta di questioni la cui soluzione, in genere, viene conseguita con la congiunta affermazione del diritto alla pace e del diritto allo sviluppo.
a) La prima questione riguarda l’utilizzo e la destinazione di quei nuovi beni che sono il frutto della conoscenza scientifica e del progresso tecnologico. Il Santo Padre afferma che anche questi nuovi beni hanno una destinazione universale, per cui la proprietà di essi – comunemente chiamata al giorno d’oggi proprietà intellettuale – deve avere, come qualsiasi altra proprietà, una funzione di carattere sociale. Si tratta di beni che vanno posti al servizio dei bisogni primari dell’uomo, dentro un quadro giuridico di corresponsabilità internazionale che ne liberi le enormi potenzialità, con l’abbattimento di barriere e monopoli.
b) La seconda questione affrontata dal Santo Padre è quella relativa ai cosiddetti beni pubblici, di quei beni cioè dei quali tutti i cittadini godono automaticamente senza aver operato scelte precise in proposito e che sono, comunque espressione di interessi comuni. Il Santo Padre ne richiama alcuni: "Basti pensare alla lotta alla povertà, alla ricerca della pace e della sicurezza, alla preoccupazione per i cambiamenti climatici, al controllo per la diffusione delle malattie. A tali interessi, la Comunità internazionale deve rispondere con una rete sempre più ampia di accordi giuridici, atta a regolamentare il godimento dei beni pubblici, ispirandosi agli universali principi dell’equità e della solidarietà" (n. 7).
c) La terza questione messa a tema dal Santo Padre è la lotta alla povertà, che resta l’obiettivo principale dell’azione della Comunità Internazionale in questo inizio di millennio e che, la Chiesa, deve affrontare nella prospettiva di un altro principio della dottrina sociale, quello dell’amore preferenziale per i poveri.
Nella trattazione del drammatico problema della povertà, il Santo Padre si sofferma su tre concretissimi nodi, bisognosi di essere sciolti quanto prima.
1) Il primo nodo da sciogliere riguarda il debito estero dei Paesi poveri. Il Santo Padre riconosce i progressi fatti, ma, nello stesso tempo, deve constatare con amarezza che "la questione non ha ancora trovato adeguata soluzione"(n. 8). Dopo l’impegnativa campagna sul debito estero condotta in prima persona dal Santo Padre prima e durante il Grande Giubileo del 2000, sembrava che la questione del debito fosse finita, irrisolta, nel dimenticatoio. Così non è per Giovanni Paolo II che, con tenacia e determinazione, la rilancia rimettendola al centro di tutte le agende che avvertono l’urgenza morale di doversi impegnare per la lotta alla povertà.
2) La lotta alla povertà implica anche un rinnovato impegno internazionale sul fronte del finanziamento allo sviluppo, "unico rimedio veramente efficace per consentire agli Stati di affrontare la drammatica questione della povertà" (n. 9). Dopo aver sollecitato una mobilitazione morale ed economica, il Santo Padre si sofferma su due questioni particolari: la prima riguarda l’Aiuto Pubblico alla Sviluppo - accompagnata dall’invito a rispettare gli impegni presi di destinare lo 0.7 del PIL allo sviluppo - e la seconda riguarda le nuove proposte di finanziamento allo sviluppo – incoraggiate vivamente a passare dai progetti ai fatti concreti. Nel trattare di questi temi, il Santo Padre offre tutto il suo appoggio e il suo incoraggiamento e quello della Chiesa intera alla numerose agenzie cattoliche di aiuto e di sviluppo per la loro preziosa opera nei fronti più drammatici in cui si combatte la lotta alla miseria e alla povertà.
3) Al centro della lotta alla povertà, con un invito pressante all’esercizio di una nuova fantasia della carità, il Santo Padre colloca il Continente africano, ostacolato nel suo sviluppo da tanti e delicati problemi: conflitti armati, malattie pandemiche, condizioni di miseria, instabilità politica e insicurezza sociale. La pagina del Messaggio papale sull’Africa possiede le tonalità espressive tipiche del linguaggio solenne che rivela la consapevolezza morale che si stanno trattando questioni storiche cruciali per il futuro dell’umanità. Vale la pena di proporla questa pagina nella sua interezza: "Sono realtà drammatiche che sollecitano un cammino radicalmente nuovo per l’Africa: è necessario dar vita a forme nuove di solidarietà, a livello bilaterale e multilaterale, con un più deciso impegno di tutti, nella piena consapevolezza che il bene dei popoli africani rappresenta una condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale. Possano i popoli africani prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico! L’Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive! Per raggiungere tali obiettivi si rende necessaria una nuova cultura politica, specialmente nell’ambito della cooperazione internazionale" (n. 10). La strada indicata per avviare la soluzione dei problemi dell’Africa è quella che si richiama al rispetto delle promesse relative all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, ad un sostanzioso alleggerimento del peso del debito internazionale, all’apertura dei mercati e all’incremento degli scambi commerciali. Riprendendo l’insegnamento della Sollicitudo rei socialis (cf. n. 17), il Santo Padre afferma che "lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso".
Conclusione
Di fronte ai terribili scenari disegnati dalla presenza del male, il Santo Padre invita tutti ad alzare lo sguardo a Dio che, nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, ha reso possibile per tutti vincere il male con il bene. L’universalità del male è vinta dall’universalità della salvezza di Cristo. In questa prospettiva, "fondandosi sulla certezza che il male non prevarrà, il cristiano coltiva un’indomita speranza che lo sostiene nel promuovere la giustizia e la pace…insieme ad una ferma fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore" (n. 11). Riprendendo gli accenti iniziali del Messaggio dove si presenta il bene morale nel suo legame con l’amore, il Santo Padre afferma che "quando il bene vince il male, regna l’amore e dove regna l’amore regna la pace. I cristiani …sappiano mostrare con la loro vita che l’amore è l’unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l’unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace" (n. 12). La via charitatis e la via pacis hanno nel sacramento dell’Eucaristia il luogo della loro piena verità e la fonte della loro efficacia. Nell’anno dedicato all’Eucaristia, il Santo Padre chiude il suo Messaggio presentando le valenze sociali del sommo Sacramento dell’amore: "…è in virtù della partecipazione allo stesso Pane e allo stesso Calice che possiamo sentirci ‘famiglia di Dio’, e insieme recare uno specifico ed efficace contributo all’edificazione di un mondo fondato sui valori della giustizia, della libertà e della pace" (n. 12).
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1
Agostino, De Civitate Dei, XII, 6.
2 A questo proposito Agostino afferma: «Due amori hanno dunque fondato due città: l’amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena; l’amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, ha generato la città celeste», De Civitate Dei, XIV, 28. [01985-01.01] [Testo originale: Italiano]
TESTO IN LINGUA INGLESE
Introduction
I am pleased to be with you for the presentation of the Message of His Holiness Pope John Paul II for the 2005 World Day of Peace. For this occasion, the Holy Father has chosen as the theme for reflection a verse from the Letter of Saint Paul to the Romans: "Do not be overcome by evil, but overcome evil with good" (12:21). With typical incisiveness, the great Apostle invites us to a discernment, both personal and communal, on the crucial questions of evil and its dramatic influence on human lives and admonishes us to take up, with mature responsibility, the good and its diffusion. Using the Letter to the Romans as an inspiring and orienting background, which is often cited in the first part of the document, the whole Papal Message addresses the theme of peace within an articulated and complex reflection on good and evil. The Holy Father affirms, "The great Apostle brings out a fundamental truth: peace is the outcome of a long and demanding battle which is only won when evil is defeated by good" (n. 1). In this context peace is defined as a "good to be promoted with good: it is a good for individuals, for families, for nations and for all humanity; yet it is one which needs to be maintained and fostered by decisions and actions inspired by good" (n. 1).
The Papal Message is structured in three parts, in which the theme of peace is addressed progressively in relation to various aspects and levels of good. In the first part, peace is considered in its rapport with the moral good. In the second, peace is seen in its rapport with a classic principle of the social doctrine of the Church, the principle of the common good. In the third, peace is treated in its close connection with the use of the goods of the earth and with a very pertinent reference to another great principle of the social doctrine, the universal destination of goods. Peace, therefore, as its own good, is presented in its close connection with the moral good, the common good and the goods of the earth.
Evil and good: their moral connotation
At the center of the drama of evil is a protagonist: the human person with his liberty and his sin. Evil could not occur if the human person was not made radically free. Human liberty is at the center of the drama of evil and it will accompany it until the end. With the validation of human liberty, the Holy Father refutes all readings and interpretations of the history of man characterized by a vision of evil as an "impersonal, deterministic force at work in the world" (n. 2). In order to delineate the moral profile of evil, the Pope expresses himself with very effective words and strong impact: "Evil always has a name and a face; the name and face of those men and women who freely choose it" (n. 2). Evil, which philosophic thought has described as a privatio boni, as a privation of good, is in fact a negative movement that the human will commits "when it abandons that which is superior and turns towards something inferior"1. With careful consideration of evil it is easy to find in it and its manifestations a sinful movement of the human will that casts doubt on the fundamental relations of the person with God and with other persons. The Holy Father affirms: "Evil definitely is a tragic rejection of the demands of love"2, while the moral good is considered closely connected to love because it "is born of love, shows itself as love and is directed to love" (n. 2).
After these brief but weighty references to the moral connotation of good and evil, the Holy Father dwells on a very important point, if considered in the complex horizon of Catholic social teaching: in order to face the multiple social and political manifestations of evil, modern humanity must treasure the common patrimony of moral values received as a gift from God. In this part of the Message, the Holy Father revives his teaching on the natural law that, in 1995, I heard expounded in his Address to the United Nations General Assembly, during which he implored all, with courage and prophetic far-sightedness, to refer, in their common service to peace, to the grammar of the universal moral law, the only capable way to unite people among themselves in their diversity of cultures.
In considering the value of the grammar of the universal moral law, the Holy Father condemns violence generally and stigmatizes four situations of violence in our time: conflicts in Africa, the dangerous situation of Palestine, terrorism which seems to push the whole world towards a future of fear and anxiety, and the Iraqi drama which multiplies uncertainly and insecurity. What is the response to violence defined as an unacceptable evil? Taking up again some themes from last year's Message for the World Day of Peace, the Holy Father calls for a great teaching effort of consciences capable of opening for all, especially the young generations, the vast horizons of an integral and solidary humanism (n. 4).
Peace and the common good
In this part of the Message the Holy Father associates the promotion of peace to the common good, the definition of which is taken from the conciliar Pastoral Constitution Gaudium et spes, n. 26. When the common good is cultivated, peace is cultivated: this is the basic affirmation, the starting point for all Papal reflection in proposing the value of the common good as a good that - on this specific point from n. 164 of the recently-published Compendium of the Social Doctrine of the Church - "does not consist in the simple sum of the particular goods of each subject of a social entity. Belonging to everyone and to each person, it is and remains "common", because it is indivisible and because only together is it possible to attain it, increase it and safeguard its effectiveness, with regard also to the future". It can be affirmed that the common good constitutes the social and communitarian dimension of the moral good.
After calling for everyone's commitment to the common good and, above all, the commitment of public authorities, the Holy Father binds the promotion of the common good to respect for the person and his fundamental rights, as well as to respect for the rights of Nations in a universal perspective, asking for the commencement of real international cooperation. This part of the Message closes with the warning not to reduce the common good to mere socio-economic well-being. This is possible if the common good remains open to the transcendental dimension. The already-cited Compendium of the Social Doctrine of the Church contains very clear statements in this area: "The common good of society is not an end in itself; it has value only in reference to attaining the ultimate ends of the person and the universal common good of the whole of creation. God is the ultimate end of his creatures and for no reason may the common good be deprived of its transcendent dimension, which moves beyond the historical dimension while at the same time fulfilling it" (n. 170).
The good of peace and the goods of the earth
The third part of the Message is entirely dedicated to the use of the goods of the earth, which the Holy Father treats in the context of the social doctrine principle of the universal destination of these same goods. In order to grasp the prophetic force of this part of the Message, it is worth recalling the passage of Gaudium et spes that describes this principle. "God intended the earth with everything contained in it for the use of all human beings and peoples. Thus, under the leadership of justice and in the company of charity, created goods should be in abundance for all in like manner". This section of the conciliar document allows us to understand the full reach and innovative value of a passage of the Papal Message that illustrates, for the first time in social doctrine, the principle of world citizenship. These two principles - the universal destination of the goods of the earth and world citizenship - illuminate each other and constitute, one may say, two beacons capable of illuminating political choices of the international community for the promotion of the development of peoples from an ethical and cultural perspective cast towards an integral and solidary development of humanity. It is worthwhile to read this weighty section of the Papal Message: "As a member of the human family, each person becomes as it were a citizen of the world, with consequent duties and rights, since all human beings are united by a common origin and the same supreme destiny. By the mere fact of being conceived, a child is entitled to rights and deserving of care and attention; and someone has the duty to provide these. The condemnation of racism, the protection of minorities, the provision of aid to displaced persons and refugees, and the mobilization of international solidarity towards all the needy are nothing other than consistent application of the principle of world citizenship" (n. 6).
In this ethical-cultural context, the Holy Father confronts a series of very urgent questions, all present on the agenda of the international community. They are questions for which the solution is generally bound to the affirmation of the right to peace and the right to development.
a) The first question regards the use and destination of those new goods which are the fruit of scientific knowledge and technological progress. The Holy Father affirms that these new goods also have a universal destination, for which the property of these goods - commonly called intellectual property - must have, as any other property, a function of social character. It concerns goods that must be at the service of primary human needs, within a juridical framework of international co-responsibility which liberates enormous potentialities, with the toppling of barriers and monopolies.
b) The second question addressed by the Holy Father is one related to so-called public goods, goods which all citizens enjoy automatically without having made precise choices and which are however expressions of common interests. The Holy Father names some of these: "We need but think of the fight against poverty, the promotion of peace and security, concern for climate change and disease control. The international community must respond to these interests with a broader network of juridical accords aimed at regulating the use of public goods and inspired by universal principles of fairness and solidarity" (n. 7).
c) The third question put forward by the Holy Father is the fight against poverty, which remains the principle objective of the action of the International Community at the outset of this Millennium and which the Church must confront from the perspective of another principle of social doctrine, preferential love for the poor.
In addressing the dramatic problem of poverty, the Holy Father deals with three very concrete knots which need to be untied right away.
1) The first knot to untie regards the foreign debt of poor countries. The Holy Father recognizes the progress made, but, at the same time, he must observe with disappointment that "the question has not yet been adequately resolved" (n. 8). After the engaging campaign on foreign debt conducted personally by the Holy Father before and during the Jubilee Year of 2000, it seems that the debt question has faded, unresolved, into oblivion. This is not so for Pope John Paul II who, with tenacity and determination, has revived it, putting it at the center of all agendas that note the moral urgency of commitments for the fight against poverty.
2) The fight against poverty also entails a renewed international commitment in financing for development, "the only really effective means of enabling States to deal with the grave problem of poverty" (n. 9). After having asked for moral and economic mobilization, the Holy Father addresses two particular questions: the first regarding Official Development Assistance (ODA) - accompanied with the call to respect the commitments already made to give 0.7 percent of GNP to development - and the second regards new proposals for the financing of development, which are very much encouraged to move from plans to concrete actions. In discussing these themes, the Holy Father offers all of his support and encouragement, along with that of the entire Church to the many Catholic aid and development agencies for their valuable work in these very dramatic fields to combat misery and poverty.
3) At the center of the fight against poverty, with a pressing call for the exercise of a new creativity in charity, the Holy Father places the African continent, blocked in its development by many difficult problems; armed conflicts, pandemic diseases, conditions of misery, political instability and social insecurity. The section of the Papal Message on Africa has expressions typical of solemn language which reveal the moral awareness concerning historical questions crucial for the future of humanity. It is worthwhile to read from this section at length: ""These are tragic situations which call for a radically new direction for Africa: there is a need to create new forms of solidarity, at bilateral and multilateral levels, through a more decisive commitment on the part of all, with complete conviction that the well-being of the peoples of Africa is an indispensable condition for the attainment of the universal common good. May the peoples of Africa become the protagonists of their own destiny and their own cultural, civil, social and economic development! May Africa cease to be a mere recipient of aid, and become a responsible agent of convinced and productive sharing! Achieving this goal calls for a new political culture, especially in the area of international cooperation" (n. 10). The road ahead for reaching the solution to the problems of Africa is one that recalls respect for the promises related to Official Development Assistance, a substantial alleviating of the weight of international debt, the opening of markets and an increase in commercial exchange. Recalling the teaching of Sollicitudo rei socialis (cf., n. 17), the Holy Father affirms that "development either becomes shared in common by every part of the world or it undergoes a process of regression even in zones marked by constant progress".
Conclusion
In the face of terrible scenarios drawn from the presence of evil, the Holy Father invites everyone to raise their eyes to God who, in the death and resurrection of Jesus Christ, has rendered possible for all the victory of good over evil. The universality of evil is conquered by the universality of Christ's salvation. From this perspective, "based on the certainty that evil will not prevail, Christians nourish an invincible hope which sustains their efforts to promote justice and peace … as well as firm confidence in the possibility of building a better world" (n. 11). Recalling the initial accents of the Message where the moral good is presented in its bonds to love, the Holy Father affirms that "when good overcomes evil, love prevails and where love prevails, there peace prevails. Christians … should show by their lives that love is the only force capable of bringing fulfillment to persons and societies, the only force capable of directing the course of history in the way of goodness and peace" (n. 12). The road of charity and the road of peace have in the Eucharistic Sacrament the place of their full truth and the source of their success. In the year dedicated to the Eucharist, the Holy Father closes his Message presenting the social bonds of the supreme Sacrament of love: "by sharing in the one bread and the one cup, we come to realize that we are 'God's family' and that together we can make our own effective contribution to building a world based on the values of freedom, justice and peace" (n. 12).
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1
St. Augustine, De Civitate Dei, XII, 6.
2 Augustine affirms this proposition: "Two loves, therefore, formed two cities: the love of self, carried to the contempt of God, created the earthly city; the love of God, carried to the contempt of self, created the heavenly city" De Civitate Dei, XIV, 28. [01985-02.01] [Original text: English]
[B0606-XX.01]