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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2005, 09.12.2004


L’integrazione interculturale: questo il tema scelto dal Santo Padre Giovanni Paolo II per la 91ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che sarà celebrata il 16 gennaio 2005.

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio del Santo Padre per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato:

TESTO IN LINGUA ITALIANA

L’integrazione interculturale

Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. S’avvicina la Giornata del Migrante e del Rifugiato. Nell’annuale Messaggio, che sono solito inviarvi per la circostanza, vorrei guardare, questa volta, al fenomeno migratorio dal punto di vista dell’integrazione.

È parola, questa, da molti usata per indicare la necessità che i migranti si inseriscano veramente nei Paesi di accoglienza, ma il contenuto di questo concetto e la sua pratica non si definiscono facilmente. A tale proposito mi piace delinearne il quadro richiamando la recente Istruzione "Erga migrantes caritas Christi" (cfr nn. 2, 42, 43, 62, 80 e 89).

In essa l’integrazione non è presentata come un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il "segreto", ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza di ciascuno. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini. Il migrante, in tale processo, è impegnato a compiere i passi necessari all’inclusione sociale, quali l’apprendimento della lingua nazionale e il proprio adeguamento alle leggi e alle esigenze del lavoro, così da evitare il crearsi di una differenziazione esasperata.

Non mi addentrerò nei vari aspetti dell’integrazione. Desidero soltanto approfondire con voi, in questa circostanza, alcune implicazioni dell’aspetto interculturale.

2. A nessuno sfugge il conflitto di identità, che spesso si innesca nell’incontro tra persone di culture diverse. Non mancano in ciò elementi positivi. Inserendosi in un nuovo ambiente, l’immigrato diventa spesso più consapevole di chi egli è, specialmente quando sente la mancanza di persone e di valori che sono importanti per lui.

Nelle nostre società investite dal fenomeno globale della migrazione è necessario cercare un giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui. È infatti necessario riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini.

Si devono infatti escludere sia i modelli assimilazionisti, che tendono a fare del diverso una copia di sé, sia i modelli di marginalizzazione degli immigrati, con atteggiamenti che possono giungere fino alle scelte dell’apartheid. La via da percorrere è quella della genuina integrazione (cfr Ecclesia in Europa, 102), in una prospettiva aperta, che rifiuti di considerare solo le differenze tra immigrati ed autoctoni (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2001, 12).

3. Nasce così la necessità del dialogo fra uomini di culture diverse in un contesto di pluralismo che vada oltre la semplice tolleranza e giunga alla simpatia. Una semplice giustapposizione di gruppi di migranti e di autoctoni tende alla reciproca chiusura delle culture, oppure all’instaurazione tra esse di semplici relazioni di esteriorità o di tolleranza. Si dovrebbe invece promuovere una fecondazione reciproca delle culture. Ciò suppone la conoscenza e l’apertura delle culture tra loro, in un contesto di autentica comprensione e benevolenza.

I cristiani, per parte loro, consapevoli della trascendente azione dello Spirito, sanno inoltre riconoscere la presenza nelle varie culture di "preziosi elementi religiosi ed umani" (cfr Gaudium et spes, 92), che possono offrire solide prospettive di reciproca intesa. Ovviamente occorre coniugare il principio del rispetto delle differenze culturali con quello della tutela dei valori comuni irrinunciabili, perché fondati sui diritti umani universali. Scaturisce di qui quel clima di "ragionevolezza civica" che consente una convivenza amichevole e serena.

Se coerenti con se stessi, i cristiani non possono poi rinunziare a predicare il Vangelo di Cristo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15). Lo devono fare, ovviamente, nel rispetto della coscienza altrui, praticando sempre il metodo della carità, come già san Paolo raccomandava ai primi cristiani (cfr Ef 4,15).

4. L’immagine del profeta Isaia, da me più volte evocata negli incontri con i giovani di tutto il mondo (cfr Is 21, 11-12), potrebbe essere usata pure qui per invitare tutti i credenti ad essere "sentinelle del mattino". Come sentinelle, i cristiani devono anzitutto ascoltare il grido di aiuto proveniente da tanti migranti e rifugiati, ma devono poi promuovere, con attivo impegno, prospettive di speranza, che preludano all’alba di una società più aperta e solidale. A loro, per primi, spetta di scorgere la presenza di Dio nella storia, anche quando tutto sembra ancora avvolto dalle tenebre.

Con questo auspicio, che trasformo in preghiera a quel Dio che intende radunare intorno a sé tutti i popoli e tutte le lingue (cfr Is 66,18), invio a ciascuno con vivo affetto la mia Benedizione.

Dal Vaticano, 24 Novembre 2004

IOANNES PAULUS PP. II

[01933-01.01] [Testo originale: Italiano]

TESTO IN LINGUA FRANCESE

L'intégration interculturelle

Très chers frères et sœurs!

1. La Journée du Migrant et du Réfugié approche. Dans le Message annuel que j'ai l'habitude de vous envoyer pour la circonstance, je voudrais cette fois-ci traiter du phénomène migratoire du point de vue de l'intégration.

Il s'agit d'un mot qui est utilisé par un grand nombre de personnes pour indiquer la nécessité que les migrants s'insèrent véritablement dans les pays d'accueil, mais le contenu de ce concept et sa pratique ne sont pas faciles à cerner. C’est pourquoi je voudrai, pour en définir le concept en général, me référer à la récente Instruction «Erga migrantes caritas Christi» (cf. nn. 2, 42, 43, 62, 80 et 89).

Dans celle-ci l'intégration n'est pas présentée comme une assimilation, qui conduit à supprimer ou à oublier sa propre identité culturelle. Le contact avec l'autre amène plutôt à en découvrir le «secret», à s'ouvrir à lui pour en accueillir les aspects valables et contribuer ainsi à une plus grande connaissance de chacun. Il s'agit d'un processus de longue haleine qui vise à former des sociétés et des cultures, en les rendant toujours davantage un reflet des dons multiformes de Dieu aux hommes. Dans ce processus, le migrant est engagé à accomplir les pas nécessaires pour son insertion sociale, tels que l'apprentissage de la langue nationale et son adaptation aux lois et aux exigences du travail, de façon à éviter que ne se crée une différenciation exagérée.

Je ne rentrerai pas dans les divers aspects de l'intégration. Je désire seulement approfondir avec vous, en cette circonstance, certaines implications de l'aspect interculturel.

2. A personne n'échappe le conflit d'identité qui se noue souvent lors de la rencontre entre personnes de cultures différentes. Les éléments positifs ne manquent pas dans ce processus. En s'insérant dans un nouveau milieu, l'immigré devient souvent plus conscient de ce qu'il est, en particulier lorsqu'il ressent le manque des personnes et des valeurs qui sont importantes pour lui.

Dans nos sociétés touchées par le phénomène global de la migration, il est nécessaire de chercher un juste équilibre entre le respect de sa propre identité et la reconnaissance de celle d'autrui. Il est en effet nécessaire de reconnaître la légitime pluralité des cultures présentes dans un pays, d'une façon compatible avec la protection de l'ordre dont dépendent la paix sociale et la liberté des citoyens.

On doit en effet exclure aussi bien les modèles fondés sur l'assimilation, qui tendent à faire de celui qui est différent une copie de soi-même, que les modèles de marginalisation des immigrés, comportant des attitudes qui peuvent aller jusqu'aux choix de l'apartheid. La voie à parcourir est celle de l'intégration authentique (cf. Ecclesia in Europa, n. 102), dans une perspective ouverte, qui refuse de considérer uniquement les différences entre les immigrés et les populations locales (cf. Message pour la Journée mondiale de la Paix 2001, n. 12).

3. Ainsi se fait jour la nécessité d'un dialogue entre les hommes de cultures différentes, dans un contexte de pluralisme allant au-delà de la simple tolérance pour parvenir à la sympathie. Une simple juxtaposition des groupes de migrants et d'autochtones tend à la fermeture réciproque des cultures, ou bien à l'instauration entre celles-ci de simples relations d'apparence ou de tolérance. On devrait, en revanche, promouvoir une fécondation réciproque des cultures. Cela suppose la connaissance et l'ouverture des cultures entre elles, dans un contexte de compréhension et de bienveillance authentiques.

Les chrétiens, quant à eux, conscients de l'action transcendante de l'Esprit, savent en outre reconnaître la présence dans les diverses cultures de «précieux éléments religieux et humains» (cf. Gaudium et spes, n. 92), qui peuvent offrir de solides perspectives d'entente réciproque. Il faut bien sûr conjuguer le principe du respect des différences culturelles avec celui de la sauvegarde des valeurs communes inaliénables, qui sont fondées sur les droits humains universels. C'est de là que naît ce climat de «justesse civique» qui permet une coexistence amicale et sereine.

S'ils sont cohérents avec eux-mêmes, les chrétiens ne peuvent ensuite renoncer à prêcher l'Evangile du Christ à tous les hommes (cf. Mc 16, 15). Ils doivent bien sûr le faire dans le respect de la conscience d'autrui, en pratiquant toujours la méthode de la charité, comme saint Paul le recommandait déjà aux premiers chrétiens (cf. Ep 4, 15).

4. L'image du prophète Isaïe, que j'ai plusieurs fois évoquée lors de mes rencontres avec les jeunes du monde entier (cf. Is 21, 11-12), pourrait également être utilisée ici pour inviter tous les croyants à être des «sentinelles du matin». En tant que sentinelles, les chrétiens doivent tout d'abord écouter l'appel à l'aide provenant de nombreux migrants et réfugiés, mais ils doivent ensuite promouvoir, à travers un engagement actif, des perspectives d'espérance, qui préludent à l'aube d'une société plus ouverte et solidaire. C'est à eux qu'il revient en premier de percevoir la présence de Dieu dans l'histoire, même lorsque tout semble encore plongé dans les ténèbres.

Avec ces vœux, que je transforme en prière à ce Dieu qui entend rassembler autour de lui toutes les nations et toutes les langues (cf. Is 66, 18), j'envoie à chacun de vous avec une vive affection ma Bénédiction.

Du Vatican, le 24 novembre 2004

IOANNES PAULUS PP. II

[01933-03.01] [Texte original: Français]

TESTO IN LINGUA INGLESE

Intercultural Integration

Dear Brothers and Sisters,

1. The World Day of Migrants and Refugees is at hand. In the annual Message I usually address to you on this occasion, I would like this time to consider the phenomenon of migration from the perspective of integration.

Many people use this word to denote the need for immigrants to be truly incorporated in the host country, but neither the content of this concept nor its practice is easy to define. In this regard I would like to sketch the picture by recalling the recent Instruction Erga migrantes caritas Christi (The love of Christ towards migrants) (cf. nos. 2, 42, 43, 62, 80, 89).

In this Document, integration is not presented as an assimilation that leads migrants to suppress or to forget their own cultural identity. Rather, contact with others leads to discovering their "secret", to being open to them in order to welcome their valid aspects and thus contribute to knowing each one better. This is a lengthy process that aims to shape societies and cultures, making them more and more a reflection of the multi-faceted gifts of God to human beings. In this process the migrant is intent on taking the necessary steps towards social inclusion, such as learning the national language and complying with the laws and requirements at work, so as to avoid the occurrence of exasperated differentiation.

I will not deal with the various aspects of integration. All I desire on this occasion is to go deeper with you into some implications of its intercultural dimension.

2. No one is unaware of the identity conflict that often comes about in the meeting of persons of different cultures. Positive elements do exist in this. By introducing themselves into a new environment, immigrants often become more aware of who they are, especially when they miss the persons and values that are important to them.

In our society, characterized by the global phenomenon of migration, individuals must seek the proper balance between respect for their own identity and recognition of that of others. Indeed, it is necessary to recognize the legitimate plurality of cultures present in a country, in harmony with the preservation of law and order, on which depend social peace and the freedom of citizens.

Indeed, it is essential to exclude on the one hand assimilationist models that tend to transform those who are different into their own copy, and on the other, models of marginalization of immigrants, with attitudes that can even arrive at the choice of apartheid. The way to take is the path of genuine integration (cf. Ecclesia in Europa, no. 102) with an open outlook that refuses to consider solely the differences between immigrants and the local people (cf. Message for World Day for Peace 2001, no. 12).

3. Thus the need arose for a dialogue between people of different cultures in a context of pluralism that goes beyond mere tolerance and reaches sympathy. A simple juxtaposition of groups of migrants and locals tends to encourage a reciprocal closure between cultures, or the establishment, among them, of relations that are merely superficial or tolerant. We should encourage instead a mutual fecundation of cultures. This implies reciprocal knowledge and openness between cultures, in a context of true understanding and benevolence.

Christians, conscious on their part of the transcendent action of the Spirit, can also recognize in the various cultures the presence of "precious elements of religion and humanity" (cf. Gaudium et Spes, no. 92) that can offer solid prospects of mutual understanding. It will, of course, be necessary to combine the principle of respect for cultural differences with the protection of values that are in common and inalienable, because they are founded on universal human rights. This gives rise to that atmosphere of "civic reasonableness" that permits friendly and serene coexistence.

Moreover, if they are coherent with themselves, Christians cannot give up proclaiming the Gospel of Christ to all creation (cf. Mk 16:15). Obviously, they must do so with respect for the conscience of others, always resorting to the method of charity, as St Paul had already recommended to the early Christians (cf. Eph 4:15).

4. The image from the Prophet Isaiah, to which I have several times referred at the meetings with the youth of the whole world (cf. Is 21:11-12), could also be used here to invite all believers to be "morning watchmen". As such, Christians must above all listen to the cry for help that comes from a multitude of migrants and refugees, but they must then foster, with active commitment, prospects of hope that will herald the dawn of a more open and supportive society. It is up to them in the first place to make out God's presence in history, even when everything still seems to be enveloped in darkness.

With this hope, which I transform into prayer to God who wants to gather every nation and every language around him (cf. Is 66:18), I send to each one of you my Blessing with deep affection.

From the Vatican, 24 November 2004

IOANNES PAULUS PP. II

[01933-02.01] [Original text: English]

TESTO IN LINGUA TEDESCA

Integration zwischen den Kulturen

Liebe Brüder und Schwestern!

1. Es nähert sich der Tag der Migranten und Flüchtlinge. In der jährlichen Botschaft, die ich Euch, wie gewohnt, aus diesem Anlaß sende, möchte ich diesmal das Migrationsphänomen vom Blickwinkel der Integration aus betrachten.

Dieses Wort wird von vielen verwendet, um auf die Notwendigkeit hinzuweisen, daß sich die Zuwanderer wirklich in die Aufnahmeländer eingliedern. Der Begriffsinhalt und seine Praxis sind jedoch nicht leicht zu bestimmen. Aus gegebenem Anlaß erkläre ich ihn gerne, indem ich auf die jüngste Instruktion Erga migrantes caritas Christi verweise (vgl. N. 2, 42, 43, 62, 80 und 89).

Darin wird die Integration nicht als eine Angleichung dargestellt, die dazu beiträgt, die eigene kulturelle Identität zu unterdrücken oder zu vergessen. Der Kontakt mit dem andern führt vielmehr dazu, sein »Geheimnis« zu entdecken, sich ihm zu öffnen, um seine wertvollen Seiten anzunehmen und so eine bessere gegenseitige Kenntnis zu erlangen. Das ist ein langer Prozeß, der darauf abzielt, die Gesellschaft und die Kulturen zu formen, so daß sie immer mehr der Widerschein der vielfältigen Gaben werden, die Gott den Menschen geschenkt hat. In diesem Prozeß bemüht sich der Zuwanderer, die notwendigen Schritte zur gesellschaftlichen Integration zu tun, wie das Erlernen der Landessprache und die eigene Anpassung an die Gesetze und Erfordernisse der Arbeit, um eine übertriebene Unterschiedlichkeit zu vermeiden.

Ich will nicht näher auf die verschiedenen Aspekte der Integration eingehen, sondern möchte mit Euch bei dieser Gelegenheit nur einige Implikationen des interkulturellen Aspektes vertiefen.

2. Niemandem entgeht der Identitätskonflikt, der bei der Begegnung zwischen Personen verschiedener Kulturen entsteht. Dabei fehlt es nicht an positiven Elementen. Wenn er sich in ein neues Umfeld eingliedert, wird sich der Zuwanderer häufig tiefer dessen bewußt, wer er ist, besonders wenn ihm die Personen und Werte fehlen, die für ihn wichtig sind.

In unseren Gesellschaften, die vom globalen Migrationsprozeß betroffen sind, ist es notwendig, das rechte Gleichgewicht zwischen der Achtung der eigenen Identität und der Anerkennung der Identität der anderen herzustellen. Denn es ist notwendig, die berechtigte Pluralität der in einem Land vertretenen Kulturen anzuerkennen, soweit sie mit dem Schutz der Ordnung vereinbar ist, von der sozialer Frieden und Freiheit der Bürger abhängen.

In der Tat sind sowohl die Modelle der Anpassung auszuschließen, die aus dem anderen eine Kopie von sich selbst machen wollen, als auch die Modelle der Ausgrenzung der Zuwanderer durch Haltungen, die bis zur Wahl der »Apartheid« führen können. Der beste Weg ist der Weg der echten Integration (vgl. Ecclesia in Europa, 102–103) in einer offenen Sicht, die es ablehnt, nur die Unterschiede zwischen Zuwanderern und Einheimischen zu sehen (vgl. Botschaft zum Welttag des Friedens 2001, 12).

3. So erwächst die Notwendigkeit des Dialogs zwischen den Menschen unterschiedlicher Kulturen in einem Kontext des Pluralismus, der die bloße Toleranz übersteigt und zu Sympathie wird. Eine einfache Gegenüberstellung der Gruppen der Zuwanderer und der Einheimischen führt unter ihnen zum gegenseitigen Verschließen der Kulturen oder zum Entstehen von auf reinen Äußerlichkeiten oder auf reiner Toleranz gründenden Beziehungen. Man sollte jedoch eine gegenseitige Befruchtung der Kulturen fördern. Das setzt die gegenseitige Kenntnis und Öffnung der Kulturen zwischen ihnen voraus im Kontext der wahren Verständigung und des Wohlwollens.

Die Christen ihrerseits sind sich des transzendenten Wirkens des Heiligen Geistes bewußt und deshalb imstande, in den verschiedenen Kulturen »wertvolle religiöse und menschliche Elemente« zu erkennen (vgl. Gaudium et spes, 92), die feste Perspektiven für die gegenseitige Verständigung anbieten können. Natürlich ist es notwendig, das Prinzip des Respekts vor den kulturellen Unterschieden mit dem des Schutzes der gemeinsamen unverzichtbaren Werte zu verbinden, die auf den universalen Menschenrechten gründen. Daraus entsteht dann jene Atmosphäre der »bürgerlichen Vernunft«, die ein freundschaftliches und ausgewogenes Zusammenleben erlaubt.

Wenn sie konsequent bleiben, können die Christen nicht darauf verzichten, »allen Geschöpfen das Evangelium Christi zu verkünden« (vgl. Mk 16,15). Sie sollen es natürlich unter Achtung des Gewissens des andern tun, indem sie immer die Methode der Liebe anwenden, wie es schon Paulus den ersten Christen empfohlen hat (vgl. Eph 4,15).

4. Die Gestalt des Propheten Jesaja, die ich bei den Treffen mit den Jugendlichen aus aller Welt mehrmals erwähnt habe (vgl. Jes 21,11–12), könnte auch hier Anwendung finden, um alle Gläubigen einzuladen, »Wächter des Morgens« zu sein. Als Wächter sollen die Christen vor allem den Hilferuf hören, der von den vielen Migranten und Flüchtlingen kommt, aber sie sollen dann durch aktiven Einsatz Perspektiven der Hoffnung fördern, die die Morgenröte einer offeneren und solidarischeren Gesellschaft andeuten. Ihnen steht es als erste zu, Gottes Gegenwart in der Geschichte zu erkennen, auch wenn alles noch in Dunkel gehüllt scheint.

Mit diesem Wunsch, den ich als Gebet an Gott richte, der die Völker aller Sprachen zusammenrufen will (vgl. Jes 66,18), sende ich jedem von Herzen meinen Segen.

Aus dem Vatikan, am 24. November 2004

IOANNES PAULUS PP. II

[01933-05.01] [Originalsprache: Deutsch]

TESTO IN LINGUA SPAGNOLA

La integración intercultural

Queridos hermanos y hermanas:

1. Se aproxima la Jornada del Emigrante y del Refugiado. En el Mensaje anual, que suelo enviaros con esta ocasión, quisiera referirme, esta vez, al fenómeno migratorio desde el punto de vista de la integración.

Muchos utilizan esta palabra para indicar la necesidad de que los emigrantes se inserten de verdad en los países de acogida, pero el contenido de este concepto y su práctica no se definen fácilmente. A este respecto, me complace trazar su marco recordando la reciente Instrucción «Erga migrantes caritas Christi» (cf. nn. 2, 42, 43, 62, 80 y 89).

En ella la integración no se presenta como una asimilación, que induce a suprimir o a olvidar la propia identidad cultural. El contacto con el otro lleva, más bien, a descubrir su «secreto», a abrirse a él para aceptar sus aspectos válidos y contribuir así a un conocimiento mayor de cada uno. Es un proceso largo, encaminado a formar sociedades y culturas, haciendo que sean cada vez más reflejo de los multiformes dones de Dios a los hombres. En ese proceso, el emigrante se esfuerza por dar los pasos necesarios para la integración social, como el aprendizaje de la lengua nacional y la adecuación a las leyes y a las exigencias del trabajo, a fin de evitar la creación de una diferenciación exasperada.

No trataré los diversos aspectos de la integración. En esta ocasión, sólo deseo profundizar con vosotros en algunas implicaciones del aspecto intercultural.

2. De todos es conocido el conflicto de identidad que a menudo se verifica en el encuentro entre personas de culturas diversas. En ello no faltan elementos positivos. Al insertarse en un ambiente nuevo, el inmigrante con frecuencia toma mayor conciencia de quién es, especialmente cuando siente la falta de personas y valores que son importantes para él.

En nuestras sociedades, marcadas por el fenómeno global de la migración, es preciso buscar un justo equilibrio entre el respeto de la propia identidad y el reconocimiento de la ajena. En efecto, es necesario reconocer la legítima pluralidad de las culturas presentes en un país, en compatibilidad con la tutela del orden, del que dependen la paz social y la libertad de los ciudadanos.

En efecto, se deben excluir tanto los modelos asimilacionistas, que tienden a hacer que el otro sea una copia de sí, como los modelos de marginación de los inmigrantes, con actitudes que pueden llevar incluso a la práctica del apartheid. Es preciso seguir el camino de la auténtica integración (cf. Ecclesia in Europa, 102), con una perspectiva abierta, que evite considerar sólo las diferencias entre inmigrantes y autóctonos (cf. Mensaje para la Jornada mundial de la paz de 2001, n. 12).

3. Así surge la necesidad del diálogo entre hombres de culturas diversas en un marco de pluralismo que vaya más allá de la simple tolerancia y llegue a la simpatía. Una simple yuxtaposición de grupos de emigrantes y autóctonos tiende a la recíproca cerrazón de las culturas, o a la instauración entre ellas de simples relaciones de exterioridad o de tolerancia. En cambio, se debería promover una fecundación recíproca de las culturas. Eso supone el conocimiento y la apertura de las culturas entre sí, en un marco de auténtico entendimiento y benevolencia.

Además, los cristianos, por su parte, conscientes de la trascendente acción del Espíritu, saben reconocer la presencia en las diversas culturas de «valiosos elementos religiosos y humanos» (cf. Gaudium et spes, 92), que pueden ofrecer sólidas perspectivas de entendimiento mutuo. Obviamente, es preciso conjugar el principio del respeto de las diferencias culturales con el de la tutela de los valores comunes irrenunciables, porque están fundados en los derechos humanos universales. De aquí brota el clima de «racionabilidad cívica» que permite una convivencia amistosa y serena.

Los cristianos, si son coherentes consigo mismos, no pueden pues renunciar a predicar el Evangelio de Cristo a todas las gentes (cf. Mc 16, 15). Obviamente, lo deben hacer respetando la conciencia de los demás y practicando siempre el método de la caridad, como ya recomendaba san Pablo a los primeros cristianos (cf. Ef 4, 15).

4. La imagen del profeta Isaías que he recordado varias veces en los encuentros con los jóvenes de todo el mundo (cf. Is 21, 11-12) podría utilizarse también aquí para invitar a todos los creyentes a ser «centinelas de la mañana». Como centinelas, los cristianos deben ante todo escuchar el grito de ayuda que lanzan tantos inmigrantes y refugiados, y luego deben promover, con un compromiso activo, perspectivas de esperanza, que anticipen el alba de una sociedad más abierta y solidaria. A ellos, en primer lugar, corresponde descubrir la presencia de Dios en la historia, incluso cuando todo parece estar aún envuelto en las tinieblas.

Con este deseo, que transformo en oración al Dios que quiere reunir en torno a sí a todos los pueblos y a todas las lenguas (cf. Is 66, 18), envío a cada uno con gran afecto mi bendición.

Vaticano, 24 de noviembre de 2004

IOANNES PAULUS PP. II

[01933-04.01] [Texto original: Español]

TESTO IN LINGUA PORTOGHESE

A integração intercultural

Caríssimos Irmãos e Irmãs

1. Aproxima-se o Dia do Migrante e do Refugiado. Na Mensagem anual, que costumo enviar-vos para esta circunstância, desta vez gostaria de reflectir sobre o fenómeno migratório do ponto de vista da integração.

Esta é uma palavra que muitos usam para indicar a necessidade de que os migrantes se insiram verdadeiramente nos países de acolhimento, mas o conteúdo deste conceito e a sua prática não se definem facilmente. A este propósito, é-me grato delinear o quadro recordando a recente Instrução «Erga migrantes caritas Christi» (cf. nn. 2, 42-43, 62, 80 e 89).

Nela, a integração não é apresentada como uma assimilação, que leva a suprimir ou a esquecer a própria identidade cultural. O contacto com o outro leva sobretudo a descobrir o seu «segredo», a abrir-se para ele, a fim de acolher os seus aspectos válidos e contribuir assim para um maior conhecimento de cada um. Trata-se de um processo prolongado, que tem em vista formar sociedades e culturas, tornando-as cada vez mais um reflexo das dádivas multiformes de Deus aos homens. Neste processo, o migrante compromete-se em dar os passos necessários para a inclusão social, como a aprendizagem da língua nacional e a própria adequação às leis e às exigências do trabalho, de modo a evitar a criação de uma diferenciação exagerada.

Não abordarei os vários aspectos da integração. Nesta circunstância, desejo somente aprofundar convosco algumas implicações do aspecto intercultural.

2. A ninguém passa despercebido o conflito de identidade, que frequentemente se insere no encontro entre pessoas de culturas diferentes. Nisto não faltam elementos positivos. Inserindo-se num novo ambiente, o imigrado torna-se muitas vezes consciente de quem ele é, especialmente quando sente a falta de pessoas e de valores que são importantes para ele.

Nas nossas sociedades investidas pelo fenómeno global da migração é necessário procurar um justo equilíbrio entre o respeito da própria identidade e o reconhecimento da identidade dos outros. Com efeito, é necessário reconhecer a legítima pluralidade das culturas presentes num país, compativelmente com a salvaguarda da ordem, da qual dependem a paz social e a liberdade dos cidadãos.

Efectivamente, devem-se excluir tanto os modelos de assimilação, que tendem a fazer do diverso uma cópia de si mesmo, como os modelos de marginalização, com atitudes que podem chegar até às opções do apartheid. O caminho a percorrer é o da integração genuína (cf. Ecclesia in Europa, 102), numa perspectiva aberta, que rejeite considerar apenas as diferenças entre os imigrados e os autóctones (cf. Mensagem para o Dia Mundial da Paz de 2001, n. 12).

3. Assim, surge a necessidade do diálogo entre homens de culturas diferentes, num contexto de pluralismo que vá para além da simples tolerância e chegue à simpatia. Uma simples justaposição de grupos de migrantes e de autóctones tende ao fechamento recíproco das culturas, ou então à instauração de simples relacionamentos de exterioridade ou de tolerância entre si. Todavia, dever-se-ia promover uma fecundação recíproca das culturas. Isto supõe o conhecimento e abertura das culturas entre si mesmas, num contexto de compreensão e benevolência autênticas.

Os cristãos, por sua vez, conscientes da acção transcendente do Espírito, sabem também reconhecer, nas várias culturas, a presença de «preciosos elementos religiosos e humanos» (cf. Gaudium et spes, 92), que podem oferecer sólidas perspectivas de compreensão recíproca. Obviamente, é necessário unir o princípio do respeito pelas diferenças culturais ao respeito pela salvaguarda dos valores conjuntos irrenunciáveis, porque estão alicerçados sobre os direitos humanos fundamentais. Brota daqui aquele clima de «bom senso cívico», que permite uma convivência amistosa e tranquila.

Se forem coerentes com eles mesmos, os cristãos não poderão pois renunciar à pregação do Evangelho de Cristo a todas as criaturas (cf. Mc 16, 15). Obviamente, devem fazê-lo no respeito pela consciência do próximo, praticando sempre o método da caridade, como já São Paulo recomendava aos primeiros cristãos (cf. Ef 4, 15).

4. A imagem do profeta Isaías, que evoquei muitas vezes nos encontros com os jovens do mundo inteiro (cf. Is 21, 11-12), poderia ser utilizada também aqui, para convidar todos os fiéis a ser «sentinelas da manhã». Como sentinelas, os cristãos devem escutar em primeiro lugar o grito de ajuda proveniente da parte de muitos migrantes e refugiados, mas devem promover também, com um compromisso concreto, perspectivas de esperança, que preludiem o alvorecer de uma sociedade mais aberta e solidária. Em primeiro lugar, é a eles que compete vislumbrar a presença de Deus na história, mesmo quando tudo ainda parece envolvido pelas trevas.

Com estes bons votos, que transformo em oração ao Deus que deseja reunir ao seu redor todos os povos e todas as línguas (cf. Is 66, 18), é com profundo afecto que transmito a cada um a minha Bênção.

Vaticano, 24 de Novembro de 2004

IOANNES PAULUS PP. II

[01933-06.01] [Texto original: Português]

[B0594-XX.01]