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PRIMI VESPRI DELLA XXXIII DOMENICA "PER ANNUM" IN OCCASIONE DEL XL ANNIVERSARIO DEL DECRETO CONCILIARE "UNITATIS REDINTEGRATIO", 13.11.2004


Alle 18 di questo pomeriggio, nella Patriarcale Basilica Vaticana, il Santo Padre Giovanni Paolo II presiede la Celebrazione dei Primi Vespri della XXXIII domenica "per annum", in occasione del XL anniversario della promulgazione del Decreto Conciliare "Unitatis Redintegratio".

Pubblichiamo di seguito l’omelia del Santo Padre:

● OMELIA DEL SANTO PADRE

Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace" (Ef 2,13 s).

1. Con queste parole della Lettera agli Efesini, l'Apostolo annuncia che Cristo è la nostra pace. In Lui siamo riconciliati; non siamo più stranieri, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cfr Ef 2,19 s).

Abbiamo ascoltato le parole di Paolo in occasione di questa celebrazione che ci vede raccolti nella veneranda Basilica edificata sulla tomba dell’Apostolo Pietro. Saluto di cuore i partecipanti alla Conferenza ecumenica convocata per il quarantesimo anniversario di promulgazione del Decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II. Rivolgo il mio saluto ai Cardinali e ai Vescovi partecipanti, ai Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, ai Consultori, agli ospiti ed ai collaboratori del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Vi ringrazio per aver attentamente riflettuto sul significato di questo importante Decreto e sulle prospettive attuali e future del movimento ecumenico. Questa sera, siamo qui radunati per lodare Dio, dal quale proviene ogni buon regalo ed ogni dono perfetto (Gc 1,17), e per ringraziarlo dei ricchi frutti che, nei quarant'anni trascorsi, con l'aiuto dello Spirito Santo, il Decreto ha recato.

2. L’attuazione di questo Decreto conciliare, voluto dal mio predecessore, il beato Papa Giovanni XXIII, e promulgato da Papa Paolo VI, è stata, sin dall'inizio, una delle priorità pastorali del mio pontificato (Ut unum sint, 99). Poiché l'unità ecumenica non è un attributo secondario della comunità dei discepoli (cfr ibid., 9), e l’attività ecumenica non è soltanto una qualche appendice, che si aggiunge all'attività tradizionale della Chiesa (cfr ibid., 20), ma si fonda sul disegno salvifico di Dio di radunare tutti nell'unità (cfr ibid., 5), essa corrisponde alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, che ha voluto una sola Chiesa e ha pregato il Padre, alla vigilia della sua morte, affinché tutti siano una sola cosa (cfr Gv 17,21).

Ricercare l'unità è fondamentalmente aderire alla preghiera di Gesù. Il Concilio Vaticano II, che ha fatto suo questo desiderio di nostro Signore, non ha creato una novità. Guidato ed illuminato dallo Spirito di Dio, esso ha posto in rinnovata luce il senso vero e profondo dell'unità e della cattolicità della Chiesa. La via ecumenica è la via della Chiesa (cfr ibid., 7), la quale non è una realtà ripiegata su se stessa, bensì permanentemente aperta alla dinamica missionaria ed ecumenica (cfr ibid., 5).

L'impegno per il ristabilimento della piena e visibile comunione tra tutti i battezzati non si applica soltanto ad alcuni esperti d'ecumenismo; esso riguarda ogni cristiano, di ogni diocesi e parrocchia, di ogni comunità nella Chiesa. Tutti sono chiamati ad assumere questo impegno e nessuno può sottrarsi dal fare sua la preghiera di Gesù, affinché tutti siano una sola cosa. Tutti sono chiamati a pregare e ad operare per l'unità dei discepoli di Cristo.

3. Questa via ecumenica è quanto mai necessaria oggi, di fronte ad un mondo che cresce verso la sua unificazione, e la Chiesa deve raccogliere nuove sfide per la sua missione evangelizzatrice. Il Concilio ha costatato che la divisione fra i cristiani "è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo" (Unitatis redintegratio, 1). L'attività ecumenica e l'attività missionaria sono dunque collegate e sono le due vie lungo le quali la Chiesa adempie la sua missione nel mondo ed esprime concretamente la sua cattolicità. Nella nostra epoca assistiamo alla crescita di un erroneo umanesimo senza Dio e constatiamo con profondo dolore i conflitti che insanguinano il mondo. In questa situazione la Chiesa è a maggior ragione chiamata ad essere segno e strumento dell'unità e della riconciliazione con Dio e fra gli uomini (cfr Lumen gentium, 1).

Il Decreto sull'Ecumenismo è stato uno dei modi concreti con cui la Chiesa ha risposto a questa situazione, ponendosi in ascolto dello Spirito del Signore, che insegna a leggere attentamente i segni dei tempi (cfr Ut unum sint, 3). La nostra epoca avverte una profonda nostalgia per la pace. La Chiesa, segno credibile e strumento della pace di Cristo, non può non essere impegnata a superare le divisioni dei cristiani e diventare così sempre più testimone della pace che Cristo offre al mondo. Come non evocare, in tale triste situazione, le parole commoventi dell'Apostolo: "Vi esorto dunque io, prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto. Con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace" (Ef 4,1-3)?

4. I molti incontri ecumenici a tutti i livelli della vita ecclesiale, i dialoghi teologici e la riscoperta dei comuni testimoni della fede, hanno confermato, approfondito e arricchito la comunione con gli altri cristiani, comunione già in qualche misura esistente sebbene non ancora in modo pieno. Non consideriamo più gli altri cristiani come lontani o stranieri, ma vediamo in essi dei fratelli e delle sorelle. "La fraternità universale dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica… I cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo" (Ut unum sint, 42). Siamo grati a Dio nel constatare come, in questi ultimi decenni, molti fedeli in tutto il mondo siano stati toccati dal desiderio ardente dell'unità di tutti i cristiani. Ringrazio di cuore coloro che si sono fatti strumento dello Spirito ed hanno pregato e operato per questo itinerario di ravvicinamento e di riconciliazione.

Tuttavia non abbiamo ancora raggiunto il traguardo del nostro cammino ecumenico: la comunione piena e visibile nella stessa fede, negli stessi sacramenti e nello stesso ministero apostolico. Grazie a Dio, non poche differenze ed incomprensioni sono state superate, ma molte pietre d'inciampo sono ancora disseminate lungo il cammino. A volte permangono non soltanto malintesi e pregiudizi, ma anche deplorevoli pigrizie e ristrettezze di cuore (cfr Novo millennio ineunte, 48), e soprattutto differenze in materia di fede, che si concentrano in massima parte attorno al tema della Chiesa, della sua natura, dei suoi ministeri. Purtroppo siamo posti di fronte anche a problemi nuovi, specialmente in campo etico, dove affiorano ulteriori divisioni, che impediscono la testimonianza comune.

5. So bene che è causa di molte sofferenze e delusioni il fatto che tutte queste ragioni ci vietano - come ho spiegato nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia (nn. 43-46) - di partecipare sin da ora al Sacramento dell'unità, condividendo il Pane eucaristico e bevendo al comune Calice della mensa del Signore.

Tutto ciò non deve indurre alla rassegnazione, anzi, al contrario, deve essere di incoraggiamento a continuare e a perseverare nella preghiera e nell'impegno per l'unità. Anche se probabilmente la via da percorrere è ancora lunga e faticosa, essa sarà comunque piena di gioia e di speranza. Ogni giorno, infatti, scopriamo e sperimentiamo l'azione e l'impulso dello Spirito di Dio, che, con gioia, constatiamo all'opera anche nelle Chiese e Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica. Riconosciamo "le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo, talora sino all'effusione del sangue" (Unitatis redintegratio, 4). Piuttosto che lamentarci di ciò che non è ancora possibile, dobbiamo essere grati e rallegrarci di ciò che già esiste ed è possibile. Fare sin da ora ciò che è possibile ci fa crescere nell'unità e ci dà entusiasmo per superare le difficoltà. Un cristiano non può mai rinunciare alla speranza, perdere il coraggio e l'entusiasmo. L’unità dell’unica Chiesa, che già esiste nella Chiesa cattolica senza possibilità di essere perduta, ci garantisce che un giorno anche l’unità di tutti i cristiani diventerà realtà (cfr ibid., 4).

6. Come immaginare il futuro ecumenico? Dobbiamo innanzitutto rafforzare i fondamenti dell'attività ecumenica, cioè la fede comune in tutto ciò che è espresso nella professione battesimale, nel Credo apostolico e nel Credo Niceno-Costantinopolitano. Tale fondamento dottrinale esprime la fede professata dalla Chiesa fin dal tempo degli Apostoli. A partire da questa fede dobbiamo poi sviluppare il concetto e la spiritualità di comunione. "Comunione dei santi" e piena comunione non significano astratta uniformità, ma ricchezza di legittima diversità di doni condivisi e riconosciuti da tutti, secondo il noto adagio "in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas".

7. Spiritualità di comunione significa, inoltre, capacità di sentire il fratello cristiano, nell'unità profonda che nasce dal battesimo, "come ‘uno che mi appartiene’, per saper condividere … e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia" (Novo millennio ineunte, 43).

Spiritualità di comunione "è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come un dono di Dio: un ‘dono per me’ oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità di comunione è infine saper ‘fare spazio’ al fratello, portando ‘i pesi gli uni degli altri’ (Ga1 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz'anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita" (Novo millennio ineunte, 43).

In sintesi, dunque, spiritualità di comunione significa condividere insieme il cammino verso l’unità nell’integra professione di fede, nei sacramenti e nel ministero ecclesiastico (cfr Lumen gentium, 14; Unitatis redintegratio, 2).

8. Concludendo, vorrei riferirmi in particolare all'ecumenismo spirituale, che - secondo le parole del Decreto Unitatis redintegratio - è l'anima ed il cuore di tutto il movimento ecumenico (cfr n. 8; Ut unum sint, 15-17; 21-27). Sono grato a tutti voi per aver sottolineato durante il convegno tale aspetto centrale per il futuro dell'ecumenismo. Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione e purificazione della memoria, senza santità di vita in conformità con il Vangelo, e soprattutto senza un’intensa ed assidua preghiera che faccia eco alla preghiera di Gesù. A questo proposito, constato con gioia lo svilupparsi di iniziative di preghiera comune ed anche il sorgere di gruppi di studio e di condivisione delle reciproche tradizioni di spiritualità (cfr Direttorio ecumenico, 114).

Dobbiamo comportarci come gli apostoli insieme con Maria, la Madre di Dio, dopo l'Ascensione del Signore; essi si sono radunati nel Cenacolo ed hanno pregato per l'effusione dello Spirito (cfr At 1,12-14). Solo Lui, che è lo Spirito di comunione e d'amore, può donarci la piena comunione, che tanto ardentemente desideriamo.

"Veni creator Spiritus!". Amen!

[01807-01.02] [Testo originale: Italiano]

[B0558-XX.01]