CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO "DIRETTORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA. PRINCIPI E ORIENTAMENTI" A CURA DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI ● INTERVENTO DEL CARD. JORGE A. MEDINA ESTÉVEZ
● INTERVENTO DI S.E. MONS. FRANCESCO PIO TAMBURRINO
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede si svolge la Conferenza Stampa di presentazione del documento "Direttorio su pietà popolare e Liturgia. Principi e orientamenti" a cura della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Intervengono alla Conferenza Stampa: l’Em.mo Card. Jorge Arturo Medina Estévez, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; S.E. Mons. Francesco Pio Tamburrino, O.S.B., Segretario della medesima Congregazione; Mons. Mario Marini, Sotto-Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e P. Corrado Maggioni, Officiale della medesima Congregazione.
Pubblichiamo di seguito gli interventi del Card. Jorge Arturo Medina Estévez e di S.E. Mons. Francesco Pio Tamburrino:
● INTERVENTO DEL CARD. JORGE A. MEDINA ESTÉVEZ
L’argomento del Direttorio che viene oggi presentato è noto a tutti: riguarda una realtà che fa parte della viva tradizione della Chiesa. Certo, nel volgere dei secoli, il popolo di Dio ha attraversato stagioni differenti che hanno variamente influito sul modo di esprimere il mistero del culto cristiano che lo qualifica inconfondibilmente. Non basta infatti coltivare un qualsiasi rapporto con Dio, giacché la Chiesa esprime nella preghiera la propria fede nel Dio di Gesù Cristo, impegnandosi a tradurre in vita vissuta le mozioni dello Spirito Santo. Se un comune denominatore, quello dell’economia liturgica propriamente intesa, pervade ininterrottamente ogni comunità cristiana al di là del tempo e dello spazio geografico, dalle prime comunità apostoliche fino alle odierne, bisogna nondimeno riconoscere l’influsso avuto, su modi e forme di preghiera, dalla sensibilità ecclesiale, culturale e sociale di un dato momento storico.
Insieme alla celebrazione liturgica, "fonte e culmine della vita della Chiesa" come ricorda il Concilio Vaticano II, la tradizione testimonia pertanto una grande ricchezza di modalità di orazione privata e comunitaria: è l’ambito generalmente chiamato "pietà popolare" o "religiosità popolare" o "devozionale", avente una significativa incidenza nella vita spirituale dei fedeli. La Chiesa ha sempre avuto coscienza del necessario rapporto che deve avere con la Liturgia un tale ambito, nel rispetto della fisionomia propria, essendo meno normato pur senza cadere nello spontaneismo. Si sente spesso dire, semplificando, che alla codificazione della Liturgia si contrappone la creatività che contrassegna la pietà popolare, dove – si dice – la gente semplice ritrova più facilmente se stessa. Come in ogni generalizzazione c’è qualcosa di vero in questo, ma anche di molto parziale: ecco perché si è sentita la necessità di redigere un Documento che richiamasse i principi e desse indicazioni ed orientamenti al fine di maturare quell’armonizzazione tra Liturgia e pietà popolare auspicato dai Padri del Concilio Vaticano II.
I. La pietà popolare è un tesoro della Chiesa: per capirlo, basti immaginare la povertà che ne risulterebbe per la storia della spiritualità cristiana d’Occidente l’assenza del "Rosario" o della "Via Crucis". Sono due esempi soltanto, ma sufficientemente evidenti della posta in gioco. Qualcuno potrebbe obiettare circa la preziosità della pietà popolare, citando al contrario pratiche di superstizione falsamente rivestite di religiosità. Dunque, proprio per aiutare a riflettere e a discernere con sapienza in tale materia si è preparato il Direttorio. Dopo il Concilio Vaticano II, restava ancora, per certi versi, da affrontare il discorso toccato da Sacrosanctum Concilium sul rapporto tra Liturgia e pietà popolare.
Nell’affermare il primato della Liturgia, «culmine a cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium,n. 10), il Concilio ricordava anche che «la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola Liturgia» (ibidem, n. 12). Ad alimentare la vita spirituale dei fedeli vi sono, infatti, anche «i pii esercizi del popolo cristiano», specialmente quelli raccomandati dalla Sede Apostolica e praticati nelle Chiese particolari su mandato o con l’approvazione del Vescovo. Nel richiamare l’importanza che tali espressioni cultuali siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa, i Padri conciliari ne hanno tracciato l’ambito della comprensione teologica e pastorale: «i pii esercizi siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra Liturgia, da essa traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano» (ibidem, n. 13).
L’argomento della pietà popolare fu riproposto tra i compiti del rinnovamento postconciliare dallo stesso Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Vicesimus quintus annus: la «pietà popolare non può essere né ignorata, né trattata con indifferenza o disprezzo, perché è ricca di valori, e già di per sé esprime l’atteggiamento religioso di fronte a Dio. Ma essa ha bisogno di essere di continuo evangelizzata, affinché la fede, che esprime, divenga un atto sempre più maturo ed autentico. Tanto i pii esercizi del popolo cristiano, quanto altre forme di devozione, sono accolti e raccomandati purché non sostituiscano e non si mescolino alle celebrazioni liturgiche. Un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà popolare, purificarle e orientarle verso la Liturgia come offerta dei popoli» (n. 18).
Ecco allora l’importanza di conoscere il valore della pietà popolare, di tutelarne la genuina sostanza, di purificarla dove fosse necessario, di illuminarla con la luce della Sacra Scrittura, di orientarla alla Sacra Liturgia, senza contrapporla ad essa.
II. La pietà popolare è espressione della fede. È risaputo che la fede non è tanto misurata dalla conoscenza intellettuale che se ne ha, quanto dalla sua pratica nelle circostanze concrete della vita. In quest’ottica, le molteplici forme di genuina pietà popolare sono anzitutto la testimonianza della fede dei semplici di cuore, espressa in modo immediato, sottolineando l’uno o l’altro accento senza pretendere di abbracciare tutto il contenuto della fede cristiana. Gli stessi elementi "sensibili", "corporali", "visibili", che caratterizzano la pietà popolare, sono il segno dell’interiore desiderio dei fedeli di dire la propria adesione a Cristo, l’amore alla Vergine Maria, l’invocazione dei Santi: toccare un’immagine del Crocifisso o della Beata Vergine Addolorata ha il senso di volere in qualche modo avere a che fare con quel dolore; fare un pellegrinaggio a piedi, affrontando fatica e spese, è un segno per manifestare l’interiore desiderio di avvicinarsi al mistero reso visibile dal santuario.
Le genuine manifestazioni di pietà popolare affondano sempre, in un modo o nell’altro, le loro radici nei misteri della fede cristiana, sebbene talvolta abbiano elementi di origine pre-cristiana. Il Direttorio aiuta a far emergere le linee di convergenza con la Rivelazione cristiana o a operare una "evangelizzazione" di tali forme. Se il passare del tempo e il cambiamento di mentalità e della società hanno potuto offuscarne talvolta la riconoscibilità "cristiana" o enfatizzarne l’esteriorità a scapito dell’interiorità, è compito dei Pastori della Chiesa aiutare a riscoprire, in tali manifestazioni, il legame vitale con il credere e il vivere in Cristo. Da un lato, bisogna che nelle formule di preghiera e nei gesti di devozione posti da cristiani sia riconoscibile la fede cristiana, qualificata dal necessario riferimento alla Rivelazione biblica, e dall’altro, non si può esigere che ogni singola pratica di fede esprima la pienezza della Rivelazione. Del resto, la pietà popolare non si esaurisce in se stessa, ma ha la funzione di preparare il cuore, di disporre lo spirito a ricevere la grazia divina elargitaci attraverso la celebrazione liturgica del mistero di Cristo. Se la pietà popolare non deve sostituirsi alla Liturgia, la Liturgia non elimina le altre legittime forme di esprime la fede in Cristo Salvatore.
Lo ha ricordato recentemente il Santo Padre nel Messaggio rivolto nel settembre del 2001 alla Plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: «La religiosità popolare, che si esprime in forme diversificate e diffuse, quando è genuina, ha come sorgente la fede e dev’essere, pertanto, apprezzata e favorita. Essa, nelle sue manifestazioni più autentiche, non si contrappone alla centralità della Sacra Liturgia, ma, favorendo la fede del popolo che la considera una sua connaturale espressione religiosa, predispone alla celebrazione dei sacri misteri. Il corretto rapporto tra queste due espressioni di fede deve tener presenti alcuni punti fermi e, tra questi, innanzitutto che la Liturgia è il centro della vita della Chiesa e nessun’altra espressione religiosa può sostituirla od essere considerata allo stesso livello. È importante ribadire, inoltre, che la religiosità popolare ha il suo naturale coronamento nella celebrazione liturgica, verso la quale, pur non confluendovi abitualmente, deve idealmente orientarsi, e ciò deve essere illustrato con un’appropriata catechesi» (nn. 4-5).
III. La pietà popolare ha il suo risvolto nella vita, sia privata che pubblica. Ha ancora senso portare un abito votivo, baciare un’immagine sacra, recarsi ad un santuario in pellegrinaggio, appendere un Crocifisso alle pareti di casa o negli ambienti di lavoro, fare suffragi per l’anima di un defunto? E quale è il loro autentico significato, in modo che sia la santità della vita a manifestarsi attraverso tali segni e gesti?
Le pagine del Direttorio aiutano a rispondere a queste domande, raccogliendo istanze e problematiche, sottolineando valori e pericoli, richiamando i criteri teologico-liturgici alla cui luce orientare le scelte concrete. Nell’esporre questa complessa materia, qual è appunto la pietà popolare, si sono tenuti presenti il passato e il presente, la teologia e la pastorale, il vissuto dei singoli fedeli e delle comunità cristiane, nel rispetto delle loro tradizioni e del contesto culturale diversificato a seconda dei Paesi.
Sarà compito dei Vescovi, con l’aiuto dei loro diretti collaboratori, in modo speciale i Rettori dei santuari, stabilire norme e dare orientamenti concreti tenendo conto delle situazioni locali. Sono destinatari del Direttorio, oltre ai Vescovi, i sacerdoti e quanti hanno responsabilità nella cura animarum, così come le famiglie, i movimenti, le associazioni, le confraternite…
Sono passati ormai una quarantina d’anni dal rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II: l’augurio è che il presente Direttorio contribuisca a far maturare nel popolo cristiano quell’autentica vita spirituale che si sviluppa in maniera fruttuosa attraverso la celebrazione liturgica del mistero di Cristo e le altre forme di preghiera che da essa traggono ispirazione e ad essa conducono.
[00544-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI S.E. MONS. FRANCESCO PIO TAMBURRINO
Il Direttorio è un documento di carattere pastorale, avente per oggetto il nesso che intercorre tra la celebrazione liturgica del mistero di Cristo e altre forme di culto, sia comunitario che privato, generalmente raggruppabili sotto la denominazione di "pietà popolare". Se l’attenzione si rivolge direttamente alla pietà popolare, lo sguardo non è tuttavia disgiunto dalla liturgia - come richiama lo stesso titolo del Direttorio - , anzi è la luce del mistero del culto cristiano a rischiarare la trattazione dell’argomento. Questa prospettiva, in verità, viene già suggerita dal n. 13 di Sacrosanctum Concilium, che offre alcuni principi di base per valorizzare correttamente e fruttuosamente la pietà popolare, profondamente radicata nella tradizione della Chiesa ed oggi variamente sentita dal popolo di Dio, a seconda dei luoghi e delle situazioni.
Facendo riferimento a tradizioni e a pii esercizi di varia indole e natura, il Direttorio ricorda i presupposti teologici fondamentali, richiama le direttive e dà suggerimenti in vista di una sapiente azione pastorale. Non si è mirato a fare di queste pagine un catalogo completo delle manifestazioni di pietà popolare dei differenti Paesi del mondo, quanto piuttosto a offrire le linee salienti di applicazione comune. Nell’esemplificazione concreta, ci si è lasciati guidare dalla rilevanza e dalla peculiarità delle forme di devozione, in modo da evidenziare i criteri riferibili anche a circostanze analoghe. Sarà compito dei Vescovi, con l’aiuto dei loro diretti collaboratori, stabilire norme e dare orientamenti pratici, tenendo conto delle tradizioni locali e di particolari espressioni di religiosità e pietà popolare esistenti nelle loro diocesi.
Il Direttorio è costituito da due parti, precedute da una Introduzione che illustra, a grandi linee, il tema, la natura, i destinatari, i principi, il linguaggio della "pietà popolare". La prima parte del Direttorio fornisce i punti di riferimento ricavati dalla storia, dal Magistero e dalla teologia, da tener presenti in vista di armonizzare la pietà popolare con la liturgia. Anzitutto viene tratteggiata l’esperienza maturata lungo la storia, messa a confronto con la problematica del nostro tempo (cap. I); si ripropongono quindi gli insegnamenti del Magistero, che devono guidare una proficua azione pastorale (cap. II); infine, sono presentati i principi teologici alla cui luce comprendere e realizzare il nesso tra liturgia e pietà popolare (cap. III).
La seconda parte si presenta come un insieme di proposte operative, senza pretendere di passare in rassegna esaustiva tutti gli usi esistenti. L’esposizione è articolata prendendo anzitutto come cornice lo sviluppo dell'anno liturgico (cap. IV); quindi si affrontano punti particolarmente rilevanti della pietà popolare: la speciale venerazione che la Chiesa rende alla Madre del Signore (cap. V); la devozione di cui sono oggetto gli Angeli, i Santi e i Beati (cap. VI); i suffragi per i fratelli e le sorelle defunti (cap. VII); i pellegrinaggi e le manifestazioni di pietà nei santuari (cap. VIII).
Nell’accostare queste tematiche viene toccata una serie di elementi che permettono di conoscere l’origine e la fisionomia di singole devozioni, soffermandosi sugli aspetti che compongono il linguaggio verbale e gestuale della pietà popolare, come i testi e le formule di preghiera, il canto e la musica, i gesti e le azioni, le immagini sacre, i tempi e i luoghi.
L’intento del Direttorio non è di stabilire delle nuove normative, quanto di richiamare i principi teologico-liturgici e la disciplina vigente, in vista di una più convinta ricezione e attuazione nelle comunità cristiane del fruttuoso raccordo tra liturgia e pietà popolare auspicato dal Concilio Vaticano II.
Per aiutare a cogliere il quadro teologico di quanto viene largamente esposto e spiegato nel Direttorio, mi soffermo su alcuni punti.
1. Il primato della liturgia, cioè il fatto che la celebrazione liturgica si pone come "culmine e fonte" di ogni manifestazione di pietà cristiana. A richiamarlo, basta il seguente passaggio di Sacrosanctum Concilium: «ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (n. 7). Superando dunque l’equivoco che la liturgia non sia "popolare", il rinnovamento conciliare ha promosso la partecipazione interiore ed esteriore del popolo nella celebrazione liturgica, favorendo modi e spazi di coinvolgimento diretto che, in altri tempi, erano lasciati a preghiere alternative o sostitutive all’azione liturgica.
La scelta del Direttorio di adottare l’anno liturgico come quadro generale entro il quale esaminare i pii esercizi e le pratiche di pietà del popolo cristiano non è arbitrario, bensì suggerito dalla loro origine storica e dalla collocazione cronologica che già hanno acquisito nel ritmo dell’anno liturgico. «L’eminenza della Liturgia rispetto ad ogni altra possibile e legittima forma di preghiera cristiana deve trovare riscontro nella coscienza dei fedeli: se le azioni sacramentali sono necessarie per vivere in Cristo, le forme della pietà popolare appartengono invece all’ambito del facoltativo […]. Ciò chiama in causa la formazione dei sacerdoti e dei fedeli, affinché venga data la preminenza alla preghiera liturgica e all’anno liturgico su ogni altra pratica di devozione. In ogni caso, questa doverosa preminenza non può comprendersi in termini di esclusione, contrapposizione, emarginazione» (Direttorio, n. 11).
2. Valorizzazione e rinnovamento della pietà popolare. Il fatto che i pii esercizi e le devozioni siano considerati facoltativi, non significa, tuttavia, scarsa considerazione nei confronti di ciò che costituisce una ricchezza del popolo di Dio. La pietà popolare contiene degli autentici valori e può favorire l’impegno di conversione nella vita dei fedeli. La misura di ogni modulo espressivo di genuina pietà cristiana è il Vangelo e l’adorazione del Padre «in spirito e verità» (Gv 4,23): perciò la valorizzazione della pietà popolare comporta anche, quando è il caso, la necessaria purificazione ed evangelizzazione.
«In quest’ottica, si comprende che il rinnovamento voluto per la liturgia dal Concilio Vaticano II deve, in qualche modo, ispirare anche la corretta valutazione e il rinnovamento dei pii esercizi e pratiche di devozione. Nella pietà popolare devono percepirsi: l’afflato biblico, essendo improponibile una preghiera cristiana senza riferimento diretto o indiretto alla pagina biblica; l’afflato liturgico, dal momento che dispone e fa eco ai misteri celebrati nelle azioni liturgiche; l’afflato ecumenico, ossia la considerazione di sensibilità e tradizioni cristiane diverse, senza per questo giungere a inibizioni inopportune; l’afflato antropologico, che si esprime sia nel conservare simboli ed espressioni significative per un dato popolo evitando tuttavia l’arcaismo privo di senso, sia nello sforzo di interloquire con sensibilità odierne. Per risultare fruttuoso, tale rinnovamento deve essere permeato di senso pedagogico e realizzato con gradualità, tenendo conto dei luoghi e delle circostanze» (Direttorio, n. 12).
3. Distinzione e armonia con la liturgia. La differenza oggettiva tra pietà popolare e liturgia deve trovare visibilità nell’espressione cultuale. Ciò significa il rispetto della fisionomia peculiare dei differenti ambiti, ossia la non mescolanza di formule proprie di pii esercizi o devozioni con le celebrazioni liturgiche. In effetti, «il linguaggio, il ritmo, l’andamento, gli accenti teologici della pietà popolare si differenziano dai corrispondenti delle azioni liturgiche. Similmente, è da superare, dove è il caso, la concorrenza o la contrapposizione con le azioni liturgiche: va salvaguardata la precedenza da dare alla domenica, alla solennità, ai tempi e giorni liturgici» (Direttorio, n. 13).
L’importanza e l’attualità dell’argomento trattato nel Direttorio sono concordemente riconosciute, anche perché il "mondo" della pietà popolare appartiene all’eredità che dà fisionomia alla tradizione di un popolo, al suo modo condiviso di esprimere in forma semplice ma significativa il rapporto con Dio, la fede in Gesù, la devozione alla Vergine Maria, l’invocazione dei Santi, i suffragi per i defunti. Anzi, bisogna riconoscere che in non poche forme di pietà popolare si manifesta l’animo "religioso" insito nella natura umana. Lo rilevava il Card. Cláudio Hummes all’Assemblea Plenaria del Dicastero nel settembre del 2001, parlando della pietà del popolo «come forma privilegiata di inculturazione del dato religioso, come lingua materna e primigenia di qualsiasi religione».
[00545-01.01] [Testo originale: Italiano]