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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA LETTERA DEL SANTO PADRE AI SACERDOTI PER IL GIOVEDÌ SANTO 2002, 21.03.2002


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELLA LETTERA DEL SANTO PADRE AI SACERDOTI PER IL GIOVEDÌ SANTO 2002

INTRODUZIONE DI S.E. MONS. CSABA TERNYÁK

INTERVENTO DEL CARD. DARÍO CASTRILLÓN HOYOS

RISPOSTA ALLE DOMANDE DEI GIORNALISTI

Alle ore 11.30 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre Giovanni Paolo II ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2002.

Prendono parte alla Conferenza Stampa l’Em.mo Card. Darío Castrillón Hoyos, Prefetto della Congregazione per il Clero, e S.E. Mons. Csaba Ternyák, Arcivescovo tit. di Eminenziana, Segretario della medesima Congregazione.

Pubblichiamo di seguito le parole introduttive dell’Arcivescovo Ternyák e l’intervento del Card. Castrillón Hoyos:

INTRODUZIONE DI S.E. MONS. CSABA TERNYÁK

La lettera che il Santo Padre, come in ogni anno, indirizza ai sacerdoti di tutto il mondo, ha come tema centrale il sacramento della riconciliazione, più precisamente, la confessione individuale. Forse può sorprendere che il Papa ritorni una seconda volta su un argomento già trattato nell’anno scorso.

Sua Eminenza il Cardinale Prefetto vi presenterà il contenuto della lettera. Le mie brevi parole di introduzione vogliono soltanto tratteggiare il contesto in cui va letto questo documento.

Basta aprire le pagine dei giornali, sentire i telegiornali o navigare su internet, per convincersi di una cosa: il peccato c’è! Esso è una realtà presente ed operante, che raggiunge tutte le componenti della società umana. Esso ha delle conseguenze gravi, non solo sui singoli, ma anche sulle comunità.

Si è cercato invano e in ogni modo di negare l’esistenza stessa del peccato, affidandosi ad un concetto di uomo asettico e autonomo, norma a se stesso, e ci troviamo oggi davanti ad un uomo ferito, prigioniero del proprio stesso male, produttore di pretesi rimedi, che aggravano i mali stessi. Vi ripeto quello che anche voi siete costretti a scrivere, forse usando altri termini, ma pensando più o meno allo stesso concetto: il peccato esiste! Nella Lettera il Papa presenta le circostanze storiche in cui è nato il suo scritto:

"Abbiamo tutti vissuto un rinnovato slancio ecclesiale all’alba del nuovo millennio… Era desiderio di tutti che ciò coincidesse con un nuovo tempo di fraternità e di pace per l’intera umanità. Abbiamo visto invece scorrere nuovo sangue. Siamo stati ancora testimoni di guerre. Sentiamo con angoscia la tragedia della divisione e dell’odio che devastano i rapporti tra i popoli."

Se il peccato si manifesta nel mondo, non possiamo negare che esso è presente anche negli elementi umani che compongono la Chiesa, non esclusi gli stessi ecclesiastici.

La Chiesa, esperta in umanità, come diceva Paolo VI., portando anch’essa nei suoi membri le ferite del peccato, è tuttavia portatrice della verità completa sull’uomo. Il peccato chiama la Redenzione, quella Redenzione che Gesù Cristo è venuto a portare, e di cui la Chiesa è ministra. La Redenzione c’è. Come esiste il peccato, esiste pure la Redenzione, unica via d’uscita dalla schiavitù del peccato per il mondo e per la Chiesa.

Il Santo Padre dopo aver fatto riferimento alle attuali circostanze, invita anche alla speranza: "È proprio la fede in Cristo che ci da forza per guardare con fiducia al futuro. Sappiamo, infatti, che il male sta, da sempre, nel cuore dell’uomo, e solo quando l’uomo, raggiunto da Cristo, si lascia ’conquistare’ da Lui, diventa capace di irradiare intorno a se pace e amore" (n. 11).

Nessuno è tanto peccatore da non poter aprirsi all’infinita misericordia di Dio, occorre l’umiltà di riconoscere la propria condizione e rispondere coraggiosamente all’invito della prima predicazione di Gesù: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1, 15). Nulla è impossibile a Dio.

Dopo questa breve introduzione ascoltiamo ora Sua Eminenza il Card. Castrillón Hoyos, Prefetto della Congregazione per il Clero, che presenterà la Lettera.

[00441-01.01] [Testo originale: Italiano]

INTERVENTO DEL CARD. DARÍO CASTRILLÓN HOYOS

1. Se ogni Lettera del Santo Padre ai sacerdoti per il Giovedì Santo è, sempre, una viva testimonianza della premurosa carità del Successore di Pietro - carità volta a confermare nella fede i ministri sacri e la loro missione (cfr. Lc 22,32) -, questa Lettera lo è in un modo del tutto particolare, perché essa è volta essenzialmente a far riscoprire ai sacerdoti il sacramento della Riconciliazione, incontro personale con Cristo nel mysterium pietatis (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, n. 37) e a far sì che mediante il loro ministero sacerdotale, tutti i fedeli possano fare "una esperienza viva del volto di Cristo Buon Pastore" (Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo 2002, n. 4).

In questo contesto, desidero porre in risalto tre aspetti del contenuto della Lettera.

2. Innanzitutto, dalla Lettera emerge l’intima connessione del sacramento della Riconciliazione con l’Eucaristia, "fonte ed apice di tutta la vita cristiana" (Conc. Ecum. Vaticano II, Lumen gentium, n. 11).

"Con animo commosso mi rivolgo a voi, com’è tradizione, per la giornata del Giovedì Santo, quasi assidendomi con voi a quella mensa del Cenacolo in cui il Signore Gesù celebrò con gli Apostoli la prima Eucaristia" (n. 1). Traspare, già da queste iniziali parole, l’affetto del Papa verso i sacerdoti, ed il suo profondo spirito di comunione fraterna con essi.

Colui che è Pastore universale del gregge (cfr. Gv 21, 15-17) e fondamento visibile dell’unità della Chiesa (cfr. Mt 16,18), si rivolge ai "cari Fratelli nel sacerdozio", "abilitati ad agire in persona Christi Capitis": infatti anch’essi, partecipando della stessa missione dei Vescovi, sono veri apostoli di Cristo (cfr. n. 1). Ricordiamo che i sacerdoti, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, ricevuta nell’Ordinazione presbiterale, vengono segnati da uno speciale ed indelebile carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo (cfr. Conc. Ecum. Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 2c).

La vocazione al sacerdozio ordinato ci manifesta quel "meraviglioso scambio" tra Dio e l’uomo: la creatura umana dona a Cristo la sua umanità - la sua voce, le sue mani, il suo sguardo…- perché Egli se ne possa servire come strumento di salvezza, quasi facendo di quest’uomo un altro se stesso. "Se non si coglie il mistero di questo scambio non si riesce a capire - scriveva il Santo Padre in occasione del Suo Giubileo sacerdotale - come possa avvenire che un giovane ascoltando la parola «Seguimi!», giunga a rinunciare a tutto per Cristo, nella certezza che per questa strada la sua personalità umana si realizzerà pienamente" (Dono e Mistero, p. 84).

Per questo riaffermiamo che la vocazione al ministero ordinato "è essenzialmente una chiamata alla santità, nella forma che scaturisce dal sacramento dell’Ordine" (Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Pastores dabo vobis, n. 33).

Possiamo allora ben comprendere l’espressione di Giovanni Paolo II, che in questa Lettera, esclama: «Che vocazione meravigliosa è la nostra, miei cari Fratelli sacerdoti! Davvero possiamo ripetere col Salmista: "Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore" (Sal 116, 12-13).» E con essa, il Pontefice apre la riflessione iniziata lo scorso anno sulla missione che il Signore ha affidato ai sacerdoti "di rappresentarlo non solo nel Sacrificio eucaristico, ma anche nel sacramento della Riconciliazione" (n. 2).

In tal senso, la Lettera ricorda che, nella scuola della fede, si deve imparare che per un cristiano il sacramento della penitenza è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi, commessi dopo il Battesimo; e riportando le parole dell’Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia del Santo Padre, aggiungo: "Sarebbe dunque insensato, oltreché presuntuoso voler prescindere arbitrariamente dagli strumenti di grazia e di salvezza che il Signore ha disposto e, nel caso specifico, pretendere di ricevere il perdono facendo a meno del sacramento, istituito da Cristo proprio per il perdono" (n. 31).

Ribadendo che l’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali (cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1395), la Lettera richiama l’importanza per ogni sacerdote di scoprire e far riscoprire a tutti la ricchezza del Perdono di Dio.

3. In secondo luogo si afferma che la confessione sacramentale è uno specialissimo colloquio personale e salvifico dell’uomo con Cristo che perdona.

Se molti hanno perso la dimensione del bene e del male, è perché hanno smarrito il senso di Dio, interpretando la colpa soprattutto secondo prospettive psicologiche e sociologiche. Il liberarsi dal più profondo dal peccato, ritrovando la propria verità interiore, turbata e sconvolta dall’offesa arrecata a Dio, è un riacquistare la gioia perduta, la gioia di essere salvati, che molti uomini del nostro tempo ormai non sanno quasi più gustare.

Il Santo Padre ricorda come nell’anno Giubilare, il Sacramento della Riconciliazione, adeguatamente presentato e celebrato, sia stato riscoperto "largamente anche dai giovani" (n. 3), desiderosi di poter conoscere personalmente e sperimentare "il cuore misericordioso di Dio attraverso il volto amico di un fratello" (n. 3).

Sappiamo che la maturità della vita ecclesiale dipende in gran parte dalla rinnovata esperienza del tribunale divino del Perdono da parte di tutti i fedeli. Pertanto, nel ministero ordinato non può essere disattesa la cura pastorale, che manifesta ad ogni uomo l’efficacia di questo sacramento, quale colloquio personale con Dio, colloquio portatore di salvezza. È necessario che l’annuncio della riconciliazione, il cammino di conversione e la stessa celebrazione del sacramento possano maggiormente risplendere e toccare l’intimo del cuore umano.

In particolare leggiamo nella Lettera questa esortazione di Giovanni Paolo II: "Riscopriamo con gioia e fiducia questo Sacramento. Viviamolo innanzitutto per noi stessi, come una esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare vigore e slancio al nostro cammino di santità e al nostro ministero" (n. 4). I sacerdoti sanno che si è buoni confessori se si è umili ed assidui penitenti. Essi riscoprono quotidianamente l’assoluta necessità della propria santità personale. "Bisogna cominciare col purificare se stessi prima di purificare gli altri - afferma San Gregorio Nazianzeno - bisogna esseri istruiti per poter istruire, bisogna divenire luce per illuminare, avvicinarsi a Dio per avvicinare a Lui gli altri, essere santificati per santificare" (Orationes, n. 2,71: PG 35,480).

Ogni sacerdote è invitato ad offrire a tutti l’opportunità di un incontro e di un colloquio personale con il divino Emanuele, il Dio con noi (cfr. Mt 1,23) il cui epilogo sia la comunione sacramentale. Nella parabola del Figliol prodigo (cfr. Lc 15, 11-32), all’abbraccio del Padre, seguì il banchetto festoso per il figlio ritrovato. Allo stesso modo, il perdono sacramentale permette di "prendere di nuovo parte all’Eucaristia come segno della rinnovata comunione con il Padre e con la Chiesa" (Giovanni Paolo II, Bolla Incarnationis mysterium, n. 9).

In questo è racchiuso il segreto della fedeltà e della perseveranza dei cristiani, della sicurezza e della solidità della loro casa interiore, in mezzo alle afflizioni ed alle difficoltà del mondo.

4. Infine, la Lettera presenta l’icona biblica dell’incontro di Gesù con Zaccheo (cfr. Lc 19, 1-10), mirabile manifestazione della misericordia divina che previene e conduce l’uomo penitente ad una sincera conversione esistenziale: ad aprirsi all’amore, alla riparazione del male compiuto ed ad un proposito fermo di vita nuova.

Il Santo Padre svolge una profonda esegesi del passo evangelico di San Luca: "Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua" (Lc 19,5). Viene posto in risalto l’incontro personale di Gesù che va in cerca della sua creatura, allontanatasi e smarritasi per il peccato. È il Verbo divino a farsi avanti, ed in questo caso, a fermarsi ed elevare lo sguardo su quell’uomo che aveva defraudato molti e che si trovava lì forse per semplice curiosità.

La stessa misericordia divina previene l’incontro e prepara Zaccheo alla sincera conversione. Cristo dice al pubblicano di Gerico: "devo fermarmi a casa tua", significando il desiderio di adempiere ad un mandato di Dio Padre, riportare tutti sulla via della santità, di comunione con il Padre. Per questo si legge nella Lettera questa affermazione: "La confessione prima di essere un cammino dell’uomo verso Dio, è un approdo di Dio nella casa dell’uomo" (n. 6).

La casa di Zaccheo diviene il luogo del suo pentimento e della sua conversione. Ed il Santo Padre esorta pure i sacerdoti, anch’essi peccatori come tutti gli uomini, ad aprire la loro casa interiore a Cristo per accogliere l’abbraccio misericordioso di Dio e ristabilire quella piena amicizia infranta dal peccato. L’offesa a Dio - ricordiamolo - non annienta la santità della Chiesa, dove la carità di Cristo effusa dallo Spirito Santo, sostiene la santità di vita di tutti i battezzati, ed in modo particolare quella dei ministri sacri, chiamati al dono completo di sé, fino all’eroismo, per santificare il Popolo che Dio ha affidato loro (cfr. 7-10).

Ma sono l’intera comunità cristiana e tutta la società civile, ad essere coinvolte nel rinnovamento operato dal sacramento della Riconciliazione.

Riferendoci all’episodio di Zaccheo, non possiamo dimenticare quanti creditori ottennero giustizia e furono abbondantemente compensati, grazie alla conversione del pubblicano operata da Cristo!

La Chiesa vive incessantemente del Vangelo della pace. La annunzia a tutti i popoli e a tutte le nazioni. Instancabilmente indica le vie della pace e la introduce abbattendo le mura dei pregiudizi e le ostilità tra gli uomini. E lo fa prima di tutto tramite il sacramento del Perdono: portando la grazia della divina misericordia, la Chiesa, mediante i suoi ministri sacri, arriva alle radici stesse delle angosce umane, guarisce le coscienze ferite dal peccato, in modo che l’uomo provi conforto nella fortezza divina e diventi portatore di pace.

Purtroppo ancora quanto sangue innocente viene versato davanti ai nostri occhi, in diverse parti del mondo! Lo ricorda il Santo Padre con accorate parole (cfr. n. 11).

Le società e le nazioni hanno bisogno di uomini di pace, autentici seminatori della concordia e del rispetto reciproco, uomini che colmino i propri cuori con la pace di Cristo e la portino agli altri, la portino nelle case, negli uffici e nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nel mondo intero: e questi sono e debbono essere innanzitutto i sacerdoti di Cristo, strumenti della grazia divina, amministratori dei doni divini, specialmente del sacramento della Riconciliazione e dell’Eucaristia.

Rispetto al problema che tanto scuote l’opinione pubblica in questi ultimi giorni nei vari paesi, il Santo Padre dopo aver fatto riferimento al problema della violenza e delle guerre, e dopo aver manifestato la sua angoscia dinanzi alla divisione e all’odio tra i popoli, scrive:

"In questo momento, inoltre, in quanto sacerdoti, noi siamo personalmente scossi nel profondo dai peccati di alcuni nostri fratelli che hanno tradito la grazia ricevuta con l’Ordinazione, cedendo anche alle peggiori manifestazioni del mysterium iniquitatis che opera nel mondo. Sorgono così scandali gravi, con la conseguenza di gettare una pesante ombra di sospetto su tutti gli altri benemeriti sacerdoti, che svolgono il loro ministero con onestà e coerenza, e talora con eroica carità" (n. 11).

Il Santo Padre esprime la sollecitudine di tutta la Chiesa per le vittime di queste penose situazioni e rivolge l’invito a tutti i sacerdoti a fidarsi della potenza sanatrice della grazia, ad abbracciare il "mysterium Crucis" e ad impegnarsi ulteriormente nella ricerca della santità.

"Dobbiamo pregare - aggiunge - perché Dio, nella sua provvidenza, susciti nei cuori un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo che stanno alla base del ministero sacerdotale" (Ibidem.).

Sono in grado di poter dire che il Santo Padre è solidale con i Vescovi ed i sacerdoti, soprattutto di quelle diocesi che si trovano ad affrontare alcuni di questi problemi.

Che la Vergine Maria, nel cui grembo si celebrò la vera riconciliazione, vegli sui suoi figli prediletti, i sacerdoti, affinché, in pace con Dio, siano sorgente viva di Riconciliazione per l’intera società!

[00440-01.02] [Testo originale: Italiano]

RISPOSTA ALLE DOMANDE DEI GIORNALISTI

Nel corso della conferenza stampa, rispondendo alle domande dei giornalisti, il Card. Darío Castrillón Hoyos ha così proseguito:

Con riguardo al problema degli abusi sessuali e casi di pedofilia, mi permetto di dare una sola ed unica risposta.

Nell'ambiente di pansessualismo e libertinaggio sessuale creatosi nel mondo, alcuni preti, anch'essi uomini di questa cultura, hanno commesso il gravissimo delitto dell'abuso sessuale.

Vorrei fare due rilievi:

1. Non c'è ancora un'accurata statistica comparativa con riguardo ad altre professioni, medici, psichiatri, psicologi, educatori, sportivi, giornalisti, politici o ad altre categorie comuni, inclusi genitori e parenti. Da quel che sappiamo, risulta da uno studio - tra gli altri - pubblicato nel Libro del Prof Philip Jenkins della Pensilvania State University, che circa il 3% del clero americano avrebbe tendenze all'abuso dei minori ed lo 0,3% del clero stesso sarebbe pedofilo.

2. Nel momento in cui la morale sessuale cristiana e l’etica sessuale civile hanno sofferto un notevole rilassamento mondiale, paradossalmente ma anche fortunatamente, si è sviluppato, in non pochi paesi, un senso di rigetto ed una sensibilità congiunturale con riguardo alla pedofilia, con ripercussioni penali ed economiche per risarcimento di danni.

Qual è l'atteggiamento della Chiesa Cattolica?

La Chiesa ha difeso sempre la morale pubblica ed il bene comune ed è intervenuta in difesa della santità di vita dei sacerdoti, stabilendo con le sue pene canoniche sanzioni per questi crimini.

La Chiesa non ha mai trascurato il problema degli abusi sessuali soprattutto di Ministri sacri, non solo verso i fedeli in genere ma in specie verso i minori, per i quali è prioritario il compito di educare alla fede e al progetto morale cristiano (cfr. la storia delle Congregazioni dedite all'educazione e alla promozione umana).

Già nel CIC del 1917, il can. 2359 § 2 recitava: "Si delictum admiserint contra sextum decalogi praeceptum cum minoribus infra aetatem sexdecim annorum... suspendantur, infames declarentur, quolibet officio, beneficio, dignitate, munere, si quod habeant, priventur, et in casibus gravioribus deponantur".

Nel CIC riformato del 1983 c'è un riferimento preciso al nostro problema nel can. 1395 § 2 ("Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto. . . con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti") e nel CCEO del 1990, nel can. 1435 § 1.

Più recentemente il Santo Padre Giovanni Paolo II ha deplorato la gravità di questi comportamenti richiamando fermamente i Vescovi e i Sacerdoti alla vigilanza nella fedeltà all'impegno di esemplarità morale, sia scrivendo e parlando ai Vescovi degli Stati Uniti d'America, sia nell'Esortazione apostolica Ecclesia in Oceania dove dichiara: "In alcune parti dell'Oceania, abusi sessuali da parte di sacerdoti e di religiosi sono stati causa di grandi sofferenze e di danno spirituale per le vittime. È stato pure un grave danno alla vita della Chiesa ed è divenuto un ostacolo all'annuncio del Vangelo. I Padri del Sinodo hanno condannato ogni genere di abusi sessuali come pure ogni forma di abuso di potere, sia all'interno della Chiesa che più in generale nella società. L'abuso sessuale all'interno della Chiesa è una profonda contraddizione all'insegnamento ed alla testimonianza di Gesù Cristo. I Padri sinodali hanno espresso le loro scuse incondizionate alle vittime per il dolore e la delusione causati loro. La Chiesa in Oceania è alla ricerca di giuste procedure per rispondere alle lagnanze in tale ambito, ed è impegnata in modo inequivocabile nel provvedere alla cura compassionevole ed efficace per le vittime, le loro famiglie, l'intera comunità e i colpevoli stessi." (n. 49).

Il Santo Padre poi ha pubblicato, il 30 aprile del 2001 la Lettera apostolica "Sacramentorum sanctitatis tutela" con le "Normae de gravioribus delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis" dove si riserva alla Congregazione per la Dottrina della Fede la competenza su una serie di gravi delitti contro la santità dei Sacramenti e contro la specifica missione educativa dei Ministri sacri verso i giovani, tra i quali la pedofilia.

La Congregazione per la Dottrina della Fede assumendo questa speciale competenza ha inviato un'apposita lettera ai Vescovi di tutto il mondo e li accompagna nella presa di responsabilità davanti a fatti così gravi, sia per evitare il rischio di una qualche trascuratezza, sia per un maggior raccordo e coordinamento tra le Chiese locali e il centro di governo della Chiesa universale, al fine di ottenere un atteggiamento omogeneo da parte delle Chiese locali pur rispettando la diversità delle situazioni e delle persone.

Con le vecchie norme si poteva parlare di pedofilia se un chierico aveva un comportamento delittuoso di questo genere con un minore di meno di 16 anni. Ora questo limite di età è stato innalzato a 18 anni. Inoltre per questo tipo di delitto è stata prolungata la prescrizione a dieci anni ed è stato stabilito che scatti a partire dal compimento dei 18 anni della vittima a prescindere da quando abbia subito l'abuso.

Nella normativa c'è anche un elemento, diciamo così, garantista. Serve ad allontanare i pericoli che vinca la cultura del sospetto. Si prevede un vero, regolare processo per accertare i fatti, per confermare le prove della colpevolezza davanti ad un tribunale. Certamente si insiste sulla rapidità del processo. Ma si insiste anche sulle indagini previe che permettono di prendere dei provvedimenti cautelativi che impediscano all'individuo sospettato di recare ulteriori danni.

I provvedimenti ed i processi devono garantire la preservazione della santità della Chiesa, il bene comune ed i diritti e delle vittime e dei colpevoli.

Le leggi della Chiesa sono serie e severe e sono concepite dentro la tradizione, già apostolica, di trattare le cose interne all’interno, il che non significa nell’ordine pubblico esterno, di sottrarsi a qualsiasi ordinamento civile vigente nei diversi paesi, salvo sempre il caso del sigillo sacramentale o del segreto vincolato all’esercizio del ministero episcopale ed al bene comune pastorale.

[00447-01.01] [Testo originale: Italiano]