CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA DEL 2002 ● INTERVENTO DI S.E. MONS. PAUL JOSEF CORDES
● INTERVENTO DI JEAN VANIER
Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si svolge la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la Quaresima 2002, sul tema: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10, 8).
Intervengono alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Paul Josef Cordes, Presidente del Pontificio Consiglio "Cor Unum"; Jean Vanier, fondatore dell’Arche.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DI S.E. MONS. PAUL JOSEF CORDES
Signore e Signori,
Ogni nostro contemporaneo un po’ sensibile non può non vedere la miseria di molti uomini. La si può toccare con mano, vicino e lontano da noi, quando si manifesta nella povertà e nelle catastrofi, nella sofferenza e nel bisogno, in giovani e vecchi. Più di trent’anni fa il Papa stesso si è visto costretto a prendere l’iniziativa in prima persona. In accordo con l’attività di aiuto di così tante agenzie e opere cattoliche, Paolo VI si è dato uno strumento che agisse in suo nome in specifici casi di emergenza e che fungesse da coordinamento tra le diverse istituzioni caritative della Chiesa: il 15 luglio 1971 fondò il Pontificio Consiglio "Cor Unum" con la lettera "Amoris officio". Riporto dal documento la volontà di Paolo VI: "Ci sembra, pertanto, opportuno, fondare uno speciale Consiglio, che offra la possibilità di un comune incontro a tutto il Popolo di Dio circa i temi della solidarietà e dello sviluppo".
A partire dalla sua fondazione i Papi, tanto per essere concreti, hanno canalizzato fino al 2001 aiuti per 87.510.201 dollari attraverso questo Dicastero. Come sapete, negli ultimi mesi "Cor Unum" è stato investito anche dell’incarico di gestire la colletta che il Santo Padre ha proposto in concomitanza con la giornata di digiuno dello scorso 14 dicembre. Fino al 31 gennaio ci sono giunte offerte per una somma complessiva di più di 2 milioni di euro.
1. I trent’anni di esistenza trascorsi sono occasione di riflessione e di riorientamento in conformità alle proprie origini. Per il suo anniversario, "Cor Unum" ha pubblicato un volume, Ars caritatis. Raccoglie tutti i discorsi dei Papi ai membri del nostro Consiglio, unitamente ad una descrizione storica dello stesso. Vi si aggiungono due relazioni sulle Fondazioni che ci sono state affidate, la Jean Paul II pour le Sahel e la Populorum Progressio per l’America Latina. Abbiamo annesso a questi articoli che sono più di valenza storica, una chiave concettuale dei termini più significativi nel settore di nostra competenza. Vorrei ribadire che questa parte ci sembra di notevole aiuto, forse anche per il lavoro dei giornalisti: tutti sappiamo che l’uso impreciso dei termini conduce ad un offuscamento dei concetti e quindi ad una denotazione della realtà che può persino falsarla.
2. Guardando indietro dobbiamo riconoscere però come "Cor Unum" non sia semplicemente un istituto di beneficenza. Il nostro intendimento non è solo quello di essere un servizio di emergenza, e questo lo si vede bene dall’attività svolta in questi anni. Noi tutti infatti abbiamo bisogno di qualcosa di più del pane e di un tetto.
Così la nostra attenzione non può limitarsi alle necessità materiali dell’uomo e della donna. Per esemplificare questa constatazione basta leggere il messaggio quaresimale che il Papa ha indirizzato alla Chiesa universale, al quale, come sempre, Cor Unum ha dato il suo apporto. Certamente vi troviamo un richiamo ad aiutare chi è nel bisogno. Il Papa fa appello alla "generosità fattiva verso i fratelli più poveri!". Ma non si limita a chiedere denaro. Sottolinea che il dono che il fedele offre vuole essere espressione della propria gratitudine. Il messaggio di quest’anno ha come nota di fondo la convinzione che abbiamo ricevuto tanto. La tradizionale colletta della quaresima diviene così occasione per riandare a Dio e alle opere da Lui compiute per noi; acquista cioè un significato trascendente, tende a ravvivare la nostra fede. In un’epoca in cui l’uomo vuole vivere in maniera totalmente autonoma, il Papa ricorda l’atteggiamento che ci insidia: "Le potenzialità di cui oggi disponiamo per migliorare la qualità della vita, potrebbero far pensare che l’uomo sia di essa ‘padrone’. In effetti, le conquiste della medicina e della biotecnologia a volte potrebbero indurre l’uomo a pensarsi creatore di se stesso". È la convinzione di essere autosufficiente, di non aver bisogno dell’altro. Questa tentazione crescente si contrappone in maniera decisa ad una riflessione ripetuta spesso da Giovanni Paolo II, che ritroviamo al n. 24 della Gaudium et Spes: "L’uomo non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé". Perciò la situazione di miseria di tanti uomini del nostro tempo può diventare occasione per andare oltre il proprio io, una sfida alla gratuità. In questa linea, la risposta ai doni ricevuti implica infine per il singolo lo stimolo a dare se stesso, sebbene sia tentato di schernirsi di fronte a tale stimolo come ad una minaccia. Il documento pontificio che oggi presentiamo, riassume tutte queste sollecitazioni catechetiche nell’affermazione: "Ringrazio quanti in ogni angolo del mondo rendono questa testimonianza di carità".
3. Questo elemento ci conduce a considerare anche un’altra tematica, che non possiamo trascurare: l’anno passato era stato proclamato dall’ONU anno del volontariato. Su richiesta di "Cor Unum" Giovanni Paolo II ha inviato un messaggio agli innumerevoli volontari, che vogliono mettere in pratica l’insegnamento dell’amore al prossimo. La Chiesa è orgogliosa di loro. I numeri parlano da soli, se pensate che in Italia le sole "Misericordie" raccolgono 650.000 aderenti. Oppure che una organizzazione spagnola come "Manos Unidas" invii aiuti al Terzo Mondo per quasi 40 milioni di dollari all’anno, quasi esclusivamente con sole forze di volontariato. D’altra parte si commenta da sé il fatto che al 31 maggio 2001 le statistiche davano 3067 volontari operanti a servizio dell’ONU.
Il volontariato è di estrema importanza per la missione ecclesiale: infatti offre al singolo credente la possibilità di vivere in maniera sistematica il comandamento dell’amore al prossimo; allo stesso tempo contribuisce a rafforzare la credibilità della Chiesa. "La carità – scrive il Papa ai volontari – rappresenta la forma più eloquente di evangelizzazione perché, rispondendo alle necessità corporali, rivela agli uomini l’amore di Dio, provvidente e padre, sempre sollecito per ciascuno" (n. 2). Ma al di là di questo, e ancor più significativo in quanto scuola di gratuità, il volontariato è un itinerario di educazione per l’operatore stesso: lo aiuta ad aprire gli occhi per l’azione di Dio nella società e nella storia. Chi si dedica all’azione caritativa riconosce presto che il male ha le sue radici nella lontananza da Dio. Il male impera dove Dio e la sua volontà vengono disprezzati o misconosciuti. Perciò la lotta che la Chiesa compie contro la miseria umana non è semplicemente un’attività filantropica.
Nella dimensione profonda, e dunque teologica della sofferenza umana - cioè che solo nell’amore di Dio esiste una risposta alla nostra ricerca di felicità - risiede il denominatore comune delle attività che oggi vengono presentate: le iniziative di "Cor Unum" nel corso della sua storia, la lettera quaresimale del Santo Padre, il sua messaggio al volontariato.
4. La bontà di Dio è il filo conduttore della sua storia con le sue creature. Il nome del Messia è Gesù, che significa "Dio è salvezza". Gesù viene annunciato come colui che libererà il suo popolo dai peccati (cfr. Lc 1, 77). Tipico in tal senso un brano dal vangelo di Matteo (cfr. 9,2): Gesù guarisce dalla malattia e libera dal peccato. Ci insegna dunque che esiste un legame tra peccato e malattia, e, sebbene ciò non si verifichi in ogni singolo caso, tuttavia Gesù mette in rilievo questa legge fondamentale. Così si esprime anche il vangelo di Giovanni, quando Gesù, al paralitico guarito comanda: "Non peccare più" (5, 14). E d’altro canto è solo la venuta definitiva del Signore a porre fine alla nostra condizione temporale segnata dal male fisico e spirituale (cfr. Ap 21, 4).
Ho voluto riprendere alcune considerazioni della scrittura per evidenziare una verità che però ci viene trasmessa anche dalla vita stessa. Una verità che ognuno può apprendere molto bene nell’impegno concreto per chi soffre, come per esempio nel caso di Agnes Neuhaus. È stata una protagonista dell’attività caritativa in Germania, la prima che si è dedicata in maniera speciale alle donne maltrattate ed abusate. È la fondatrice del "Sozialdienst katholischer Frauen" (1899). Un’altra, grande personalità del movimento sociale in Germania, Helene Weber, sindacalista e deputato nel Parlamento, disse di lei: "Oggi non dobbiamo stravolgere le cose e riportare pensieri, che sono moderni, nella mente di Agnes Neuhaus. Il suo punto di partenza non è stata l’opera della legge, la filantropia umanitaria, lo stato di bisogno della popolazione, ma il desiderio di salvare l’anima del singolo, la singola persona.
È un’affermazione forte, che cade pesantemente nel nostro tempo, poter dire di lei, Agnes Neuhaus, che era il peccato a spaventarla, l’uomo lontano da Dio. Oggi chi può dire questo di sé? Lei lo ha fatto, e percepiva la chiamata di Dio a diffondere il suo regno nelle anime delle donne, che per colpa propria o di altri erano distrutti e caduti".
5. Abbiamo tra noi uno dei grandi iniziatori del volontariato cattolico ai giorni nostri: Jean Vanier. È un personaggio conosciuto, canadese che vive in Francia, che nel 1964 ha fondato il primo gruppo dell’Arche. Oggi tali comunità sono 117 in 29 diversi Paesi del mondo. Vogliono essere un luogo di accoglienza e di integrazione per malati mentali. Lo scopo della fondazione è proprio questo: dare una famiglia, una comunità a chi ha handicap mentali, per dare la possibilità di apprendere il più possibile a vivere autonomi nella vita di ogni giorno, lavorando, vivendo in comunione con altri e incontrando Dio. Nella sua esperienza spirituale di vicinanza ai più deboli Jean Vanier raccoglie migliaia di persone nel movimento "Fede e Luce". In particolare la sua testimonianza ci trasmette alcuni dati importanti: la buona azione non ha il solo fine di alleviare la sofferenza o far contento qualcuno. Determinante per l’impegno caritativo è il fatto che per qualcuno è diventato un itinerario per scoprire Dio.
[00188-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI JEAN VANIER
I am always impressed by the way John Paul II, day after day, proclaims a way of love, a vision of the "civilization of love". Is this just a dream? Is this civilization possible? We live in a world filled with conflicts, inequalities, a world where selfishness, hatred and violence so often seem to overshadow the works of love. What can each one of us do to change things and to bring hope to our world?
In his message for Lent, the Holy Father calls us to "give freely", because we "have received freely". He calls us in a special way to welcome each person regardless of their qualities or defects, and to accept responsibility for the sick, the marginalized, the poor and the exploited.
For 37 years now I have had the privilege of living with men and women with learning disabilities who have often known the pain of being mocked, rejected and excluded. People with mental handicaps are amongst the most oppressed people; they are not wanted in our stressful world of competition. Many consider them a nuisance, a disturbance, less than human, having no real value. A recent survey in France has shown that 96% of the women who know that the child within their womb has a handicap, seek an abortion. I would like to bear witness here however to the "power" of these so called "powerless" people, their capacity to open hearts, to help people become more truly human, to lead people into the mystery of the gospels and a meeting with Jesus.
We cannot however ignore that children born with a severe disability are a scandal, humanly speaking. Maybe it is only the gospel message that can help us to enter into the mystery of their lives.
We know that each person is important, unique, precious for Jesus. People with learning disabilities have a special importance for Jesus because in all their apparent incapacities, they are more open to love. They may not be able to develop their intellectual capacities but they are people of the heart, people yearning for relationship. That is why Paul affirms in his letter to the Corinthians that God has chosen the weak and foolish in the eyes of the world in order to confound the strong and the so called clever; that those who are weakest, "the least presentable" are necessary to the church and should be honoured (cf 1Cor 1:21; 1Cor 12 ).
Over these last 37 years I have also met and accompanied a number of young and less young volunteers who have come to l’Arche and to Faith and Light. In our 120 l’Arche communities they share their lives, living and working daily, with men and women with disabilities. In the 1,500 Faith and Light communities they meet regularly with people with disabilities and their parents. Some have become faithful friends of people with disabilities, committed to them. And I can testify to how this friendship with the weak has led them to growth in maturity and wholeness and in faith in Jesus.
Antonio is a young man with severe mental and physical disabilities. He had an incredible, beautiful face and a capacity to touch hearts. When you called him by name, his face would light up. Many of us regarded Antonio as our "teacher", because so many of us have trouble accepting ourselves as we are. We may be able to walk and talk and learn, but our handicaps are more interior, we have difficulties with relationships. We are often filled with prejudices, closed up behind protective inner walls or barriers. We have difficulty forgiving others when they have hurt us. We frequently want power over others who quickly become rivals. Sometimes we are angry or in depression. Antonio showed us how to accept our limits and to work with them so that we become more whole. If you had visited Antonio he would have touched you by his smile, his self acceptance, his thirst for love and friendship. You would also have been touched by the young volunteers along side of him. If you had asked them: "Is it difficult to be with Antonio and to care for him?" You might have been surprised by their answer. "I had been taught to be strong, assertive, aggressive so that I could get a good job. Later, at work, I had to struggle, to be the best, in order to climb the ladder of promotion and have more money. Antonio has led me into a completely different world: the world of community, mutual listening, of growth in compassion, where each person is important however weak, able or disabled."
I can witness that many young volunteers who come to our communities live an experience of transformation. Jesus is waiting for them in the poor and the weak. They discover something fundamental about being human and about being a follower of Jesus.
First of all, they gradually discover their own hearts, their own deepest self. People with learning disabilities are crying out for affection, faithful friendship and understanding. They have a mysterious way of breaking down barriers around peoples’ hearts. They awaken what is deepest within us: our hearts and our desire for relationship. We see in the parable of the "good Samaritan", how the wounded Jewish man left lying in the street somewhere between Jerusalem and Jericho touched and awoke the heart of the Samaritan who was passing by.
Many other young people today want to go to poorer areas of the world, to share their lives with people in the slums, in refugee camps, in schools for disadvantaged children. They also live an experience that transforms their lives. They realise that they can do something beautiful with their lives just by being with people, learning to love them intelligently. They also realise how closed and prejudiced they were before, how they were only concerned about their own immediate family or group or religion or culture and they begin to understand how richer cultures oppress the poorer ones. This shared experience with suffering and weak people helps them to discover what it means to be part of the human family. They discover that to be human and to be Christian means to love people. Things and projects are important but should always be orientated towards people. Martin Buber, the Jewish Philosopher says that when societies put too much emphasis on acquiring things, they tend to lose the importance of relationships. And yet the treasure of we human beings is precisely relationships, the heart. The road to conflict resolution and justice can only come through dialogue, relationship and love.
Many young volunteers come to our communities wanting to do good to the poor, but what they discover is that it is the weak and the poor who are healing and transforming them, leading them into compassion. Many discover or deepen their faith through compassion. It is a road to Jesus. They discover that God is waiting for us in the poor and the weak. Then they discover that Christianity is not first of all a theology, a catechism or moral laws, but a relationship with a person, the person of Jesus. Isn’t that what John, the beloved disciple, reveals when he says in his letters:
"Beloved, let us love one another because love is from God and whoever loves is born of God, knows God." (1Jn 4)
"But if any one has the world’s goods and sees his brother in need yet closes his heart against him, how does God’s love abide in him?" (1Jn 3:17)
In our broken world, many young people feel confused. Some, when they discover the chaos in the world and in themselves, in their own violence and disordered sexuality, can fall into a life of chaos. Others just want to do what everybody else is doing. They seek to ignore the chaos, not question the values of society and just want security, money and success. Still others see the chaos which can make them insecure. They look for strong groups which give them security. They need to feel that they are strong and on the right side.
Still others take the rather insecure road of compassion. They want to be with the broken of our world. But they discover also how broken they themselves are. To grow in love they need help. Through compassion they discover community and their need for a deep, personal relationship with Jesus. They discover the meaning of Eucharist and the washing of the feet. They discover the church, a community of believers, and they begin to cry out for unity amongst all followers of Jesus and of all of humanity.
In our world of confusion and brokenness, L’Arche and Faith and Light are like schools of relationship, schools of the heart. We learn through moments of hardship, when we touch our own violence, how much we need help in order to love intelligently. We need the support of community and good spiritual accompaniment to grow to greater wholeness, maturity and union with Jesus.
"Be compassionate as your Father is compassionate. Do not judge and you will not be judged. Do not condemn and you will not be condemned. Forgive and you will be forgiven. Give and it will be given to you." (Luke 6:36-38)
[00189-02.01] [Original text: English]