CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 88MA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2002 ● INTERVENTO DI S.E. MONS. STEPHEN FUMIO HAMAO
● INTERVENTO DI P. ANGELO NEGRINI, C.S.
● INTERVENTO DI MONS. FELIX ANTHONY MACHADO
Alle 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la Conferenza Stampa di presentazione del Messaggio del Santo Padre per la 88ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2002, sul tema: "Migrazione e dialogo inter-religioso".
Prendono parte alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. Stephen Fumio Hamao, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; P. Angelo Negrini, C.S., Incaricato del Settore per le migrazioni del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti; Mons. Felix Anthony Machado, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Inter-Religioso.
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
● INTERVENTO DI S.E. MONS. STEPHEN FUMIO HAMAO
Nel corso delle sessioni della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, attualmente in corso, i Padri Sinodali non hanno mancato di ricordare il dramma dei migranti e rifugiati fra le più pressanti preoccupazioni della Chiesa odierna. Tali e simili flussi tra le nazioni e continenti inevitabilmente portano insieme persone di culture e religioni diverse. Tra gli argomenti affrontati dai Padri Sinodali infatti figura il dialogo interreligioso considerato un fattore importante nella vita della Chiesa oggi. Ecco dunque il tema di questa 88.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato: "Migrazioni e Dialogo Interreligioso".
A poco più di un mese dai tragici eventi di New York e Washington, ci si può chiedere se il tema scelto non sia un po’ azzardato. Parlare di migrazioni, proprio ora quando molti nazioni stanno rivedendo le loro leggi in proposito, forse rivalutando il peso da assegnare alla religione professata dai potenziali immigrati e rifugiati, e si stanno rafforzando le misure di controllo alle frontiere per togliere ai terroristi la possibilità di introdursi nel territorio nazionale, può sembrare mettere il dito sulla piaga.
Eppure, mi sembra che il tema del Messaggio pontificio per la Giornata del 2002 sia quanto mai attuale, proprio per dare risposta all’invocazione per la pace che oggi fiorisce nelle labbra e nei cuori delle persone innocenti, le quali non desiderano altro che essersi lasciate libere a vivere una vita degna di persone umane, figlie di un unico Padre, Dio, e fratelli e sorelle fra di loro.
Nel suo messaggio ai partecipanti del XV Incontro Internazionale di preghiera per la Pace, svoltosi a Barcellona dal 2 al 4 settembre scorso, il Santo Padre fa riferimento ad un suo sogno: "il sogno dell’unità della famiglia umana". Di questa unità, il Papa voleva un segno, per cui, nell’ottobre del 1986, ha invitato ad Assisi i cristiani delle diverse Chiese e i responsabili delle grandi Religioni mondiali. "Avevo davanti agli occhi – scrive Giovanni Paolo II – una grande visione: tutti i popoli del mondo in cammino da diversi punti della terra per riunirsi presso l’unico Dio come una sola famiglia."
Signore e signori, non è questa visione l’immagine delle migrazioni che ora si stanno attuando in tutte le parti del mondo? Non c’è nemmeno un continente che possa dirsi assente dal fenomeno migratorio. Ogni paese è terra di origine o terra di arrivo degli immigrati, e spesso è contemporaneamente l’una e l’altra.
Ma sono essi in cammino per riunirsi presso l’unico Dio come una sola famiglia? Nonostante ciò che si osserva, nonostante gli avvenimenti che sembrano dire il contrario, devo rispondere affermativamente a questa domanda. Sì, che lo vogliano o meno, che lo sappiano o no, tutti gli uomini sulla terra sono in cammino verso l’unità. Questo perché il disegno di Dio sul genere umano è unitario. Come afferma la Costituzione dogmatica Lumen Gentium (LG),1 Dio "in principio creò la natura umana una, e volle in fine radunare insieme i suoi figli che erano dispersi." Dio non ha mai cessato di essere presente nella storia, nonostante le pagine tristi che in essa sono scritte. Egli è Signore della storia e, presto o tardi, con noi o senza di noi, compierà il suo disegno d’amore sull’umanità. E’ dunque nostro interesse collaborare con Lui nell’essere artefici dell’unità della famiglia umana.
Il cammino verso l’unità comporta inevitabilmente delle sfide, poiché esso porta i diversi popoli "in un mondo all’interno del quale sono chiamati a convivere, gli uni accanto agli altri, uomini e donne di culture e religioni diverse".2 Nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2002, il Santo Padre offre qualche indicazione affinché si possa attuare tale convivenza nella pace. Afferma: "Perché tale convivenza si sviluppi in modo pacifico è indispensabile che cadano, tra gli appartenenti alle diverse religioni, le barriere della diffidenza, dei pregiudizi e delle paure, purtroppo ancora esistenti. … Il dialogo (è) la via maestra da percorrere e su questa strada la Chiesa invita a camminare per passare dalla diffidenza al rispetto, dal rifiuto all’accoglienza".3
Infatti, c’è bisogno del dialogo e della reciproca tolleranza all’interno di ogni Paese tra quanti professano la religione della maggioranza e coloro che appartengono alle minoranze, costituite frequentemente da immigrati, che seguono religioni diverse. Questo vale sia per i paesi a maggioranza cristiana che quelli in cui la maggioranza è di religione ebraica o musulmana, indù o buddista, o comunque cerca il Dio ignoto.4
Il vero dialogo si instaura tra persone che cercano la verità "in un modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente", con la possibilità di esporre agli altri la verità che ritengono di aver scoperto.5 Una volta riconosciuta, la verità esige l’adesione personale di chi la scopre. Le convinzioni "custodite nel sacrario più intimo della persona", afferma Giovanni Paolo II, 6 si esprimono nella libertà religiosa. Quindi, il Papa invita a riconoscere tale diritto. Il documento conciliare Dignitatis Humanae infatti dichiara: "Si fa … ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio agli essere umani, se si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l’ordine pubblico informato a giustizia".7 Tale affermazione rimane valida in qualunque ambiente si trovi la persona, sia essa migrante o autoctona.
La ricerca della verità e il dialogo che ne consegue, però, non si attuano soltanto nella ricerca teologica, ma soprattutto nella vita quotidiana, e non tanto attraverso gli avvenimenti che abbagliano i mezzi di comunicazione sociali, ma nei piccoli gesti di amicizia, solidarietà e fraternità. "Quando all’interno di una comunità civile i cittadini sanno accettarsi nelle rispettive convinzioni religiose, è più facile che s’affermi tra loro … un’intesa sui valori di fondo di una convivenza pacifica e costruttiva. Ci si sente infatti accomunati dalla consapevolezza di essere fratelli, perché figli dell’unico Dio, creatore dell’universo".8 E quando ci si riconosce fratelli e ci si ama come figli dello stesso Padre che è Amore, nasce la speranza "di allontanare lo spettro delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi della storia dell’umanità", spesso causa di dolorose migrazioni forzate. Sorge la certezza che il nome dell’unico Dio diventerà "sempre di più un nome di pace e un imperativo di pace",9 quella pace che Gesù ha chiamato sua: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi…" (Gv 14, 27).
La pace terrena infatti "è immagine ed effetto della pace di Cristo… Per mezzo della sua Croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio, e ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne l’odio e, nella gloria della sua Resurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini".10 In questo momento storico, sentiamo più che mai attuale il bisogno che questo amore regni fra tutti gli esseri umani, e che sia lo stesso amore ad animare e a spingerci verso il dialogo interreligioso, in modo particolare quello che intavoliamo con gli immigrati e i rifugiati che bussano alle nostre porte.
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1
LG 13.
2 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2002 (GMMR 2002) n. 1.
3 ibid.
4 cf. LG 16.
5 cf. Dignitatis Humanae (DH), n. 4.
6 cf. Giovanni Paolo II, Discorso ai Popoli di Kazakhstan, 22 Settembre 2001.
7 DH 3.
8 Giovanni Paolo II, Discorso…
9 cf. Novo Millennio Ineunte, n. 55, GMMR 2002, n. 2.
10 Gaudium et Spes, n. 78. [01632-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI P. ANGELO NEGRINI, C.S.
La maggior parte dei fenomeni e processi sociali, economici e culturali presenta oggi una dimensione e una portata transnazionale che travalica i confini territoriali in cui tradizionalmente i fatti avevano la loro sfera di incidenza: la globalizzazione, da alcuni anni a questa parte , è un macrofenomeno che si è posto al centro dell’attenzione di molteplici discipline.
Per molti versi, connesso con il fenomeno della mondializzazione, è un altro grande tema del nostro tempo, l’emigrazione, che si pone come evento speculare al processo della globalizzazione. La mondializzazione ha spalancato i mercati ma non le frontiere, ha abbattuto i confini dell’informazione, dei capitali e della proprietà, ma non i confini delle persone e delle nazioni. Centocinquanta milioni di persone vivono oggi in Paesi con cultura, lingua e religione diversa dalla loro. L’integrazione sul piano sociale, e l’interazione su quello culturale e religioso, sono diventate oggi il necessario presupposto per una pacifica convivenza tra la popolazione autoctona di una nazione e i vari gruppi etnici che vi risiedono. "E’ il dialogo, afferma il Messaggio, la via maestra da percorrere e su questa strada la Chiesa invita a camminare per passare dalla diffidenza al rispetto, dal rifiuto all’accoglienza".
Un dialogo inteso necessariamente non tanto come ricerca di punti dottrinali comuni, ma come stimolo reciproco a recuperare tutte le dimensioni umane all’interno delle rispettive religioni: la preghiera e il digiuno la vocazione fondamentale dell’uomo, l’apertura al trascendente, la solidarietà tra le nazioni. Tutte e tre le grandi religioni abramitiche (le cosiddette "religioni del libro": la Torah per gli ebrei, il Vangelo per i cristiani, il Corano per i musulmani) si rifanno alla fede soprannaturale, parlano di shalom, cioè di armonia con se stessi, con gli altri, con la natura e con Dio; di rispetto reciproco della diversità nella comune sottomissione a Dio; del "perdersi per ritrovarsi", assumendo l’amore come legge di vita. Per i cristiani il dialogo diventa quasi il "costitutivo formale" della nostra fede in Cristo.
La grande novità del Messaggio della prossima Giornata penso che sia proprio il superamento di una visione "ideologica" della fede, di una dialettica teologica per approdare a un dialogo concepito soprattutto come dono esterno, pratico, operativo della carità.
Il problema non si pone tanto nei confronti degli ebrei (oggi quasi "invisibili" nelle nazioni di immigrazione) che da Papa sono stati definiti "i nostri fratelli maggiori".
Si pone invece sempre più urgentemente nei confronti dei musulmani, sempre più numerosi nei paesi industrializzati: verso di essi il dialogo deve tradursi non tanto in un confronto dottrinale, quanto in una testimonianza della nostra fede, vissuta nella carità e nella verità e per questo incarnata nella vita quotidiana.
Il Papa è convinto che la presenza musulmana nella nostra società sia un fatto caratteristico da interpretare e al quale rispondere con una vita cristiana conforme ai dettati del Vangelo.
In occasione della sua prima visita in Germania, Giovanni Paolo II affermò: "Dobbiamo vedere nell’immigrato non solo un puro prestatore di manodopera, ma anche l’uomo con la sua dignità e il suo diritto, con la sua preoccupazione per la famiglia, con la sua esigenza di essere preso seriamente in tutti i settori della sua vita. (...) Ciascuno esamini il proprio atteggiamento nei confronti dello straniero che gli è vicino e si renda conto in coscienza se abbia già scoperto in lui l’uomo con la stessa aspirazione di pace e libertà, di tranquillità e di sicurezza, la cui soddisfazione esigiamo per noi stessi come cosa del tutto normale". E rivolgendosi ai musulmani: "Se avete portato con cuore sincero la vostra fede in Dio in un paese straniero e se qui pregate Dio come vostro Creatore e Signore, appartenete anche voi alla grande schiera di pellegrini che già dal tempo di Abramo si sono messi in cammino per cercare il vero Dio. La vostra preghiera pubblica è per tutti i cristiani un esempio degno del massimo rispetto. Vivete la vostra fede anche in un paese straniero e non permettete che alcun interesse umano o politico usi violenza su di voi".
Queste parole incoraggiano cristiani e musulmani ad abbattere i pregiudizi, li spingono a costruire una vita comune basata sul rispetto e sull’amicizia e a ricercare un cammino verso la giustizia sociale, la pace e la libertà; invitano infine al rispetto reciproco delle convinzioni religiose e delle differenti pratiche della fede.
Nella vita di tutti i giorni infatti cristiani autoctoni e musulmani emigrati vivono gli uni accanto agli altri, abitano porta a porta nello stesso edificio, lavorano nello stesso posto, i loro bambini frequentano la stessa scuola materna o la stessa classe scolastica, ogni giorno si incontrano per strada. E’ importante che la vita vissuta degli uni accanto agli altri si trasformi in una vera e propria convivenza.
Un primo passo in questa direzione è il contatto umano nelle sue diverse forme: il saluto cordiale sulle scale di casa, il domandarsi come va, un comportamento amichevole sul posto di lavoro, un giusto trattamento degli stranieri alla ricerca di un appartamento o nella remunerazione del loro lavoro. Il rispetto della loro dignità, il riconoscimento della loro identità culturale e religiosa richiedono l’interesse per il loro mondo, una informazione approfondita sul loro paese di origine, sulle difficoltà che incontrano tra di noi, sulle loro abitudini mentali, sul diverso stile di vita, sulle differenti tradizioni e convinzioni religiose. Senza informazione non esiste comprensione; senza comunicazione non esiste vita in comune. Solo quando si cerca un punto di incontro si scopre che le differenze culturali e religiose non devono necessariamente portare a conflitti e separazioni ma a veri rapporti umani. Individualmente e collettivamente si tratta di percorrere vie nuove per ottenere cambiamenti in campo politico, culturale e religioso.
Già l’invito ad una festa di compleanno da parte dei vicini di casa o dei colleghi di lavoro rappresenta, dal punto di vista dei rapporti umani, un segno di stima e di rispetto; la conoscenza delle feste musulmane offre la possibilità di porgere gli auguri ed eventualmente di essere invitati a tali celebrazioni. Purtroppo sui nostri calendari non sono ancora indicate tali feste, come pure quelle di altre religioni. Mi pare urgente che i mass media, anche quelli della Chiesa, forniscano in proposito informazioni aggiornate e dettagliate.
Rispettandosi vicendevolmente e cercando un punto di incontro è possibile ricomporre conflitti e superare le tensioni trasformandole in uno scambio costruttivo. Sempre il Papa (in un incontro a Bruxelles con i musulmani nel maggio 1985): "Le circostanze attuali devono incitare tutti i credenti, cristiani e musulmani, a cercare di conoscersi meglio, a dialogare per trovare la maniera pacifica di vivere insieme e di arricchirsi reciprocamente. E’ bello conoscersi accettando le differenze, superare i pregiudizi nel rispetto reciproco, lavorare per la riconciliazione e il servizio ai più umili. E’ questo un dialogo fondamentale che tutti devono portare avanti nei quartieri, nei posti di lavoro, nella scuola. E’ il dialogo che si addice ai credenti che vivono insieme in una società moderna e pluralista".
L’immigrazione ci ha portato l’Islam in casa nostra: sta lì davanti a noi con le sue moschee, la sua altissima idea di Dio, il suo complesso di riti. Ci sollecita e ci provoca con il suo modo di intendere la vita, la preghiera, la società. Il confronto diventa inevitabile, come inevitabile diventa a questo punto il dialogo.
Discussioni dottrinali e teologiche non approderanno verosimilmente a concreti risultati positivi. Non si insisterà mai abbastanza invece sull’arricchimento che il dialogo potrà apportare se si è capaci di lavorare fianco a fianco, mangiare insieme, sopportare con solidarietà gli stessi problemi e sofferenze, condividere gli stessi momenti di gioia. E’ in questa quotidiana condivisione dei valori più umili e più profondamente umani che cristiani e musulmani, potranno aiutarsi reciprocamente a rispondere alle domande essenziali sul mondo, sull’uomo e su Dio.
Ed è su questo piano che i cristiani sono chiamati a verificare l’originalità e l’autenticità della loro fede e a confrontarla, serenamente, con la fede degli altri.
Malgrado tutti i fallimenti del passato, dobbiamo sperare che l’incontro con l’islam si può vivere e realizzare in tantissime circostanze della nostra vita. Convinti che dialogare non significa annullare o annacquare la propria identità, ma anzi riconoscerla e possederla coscientemente, manifestarla con convinzione, senza timore di coloro che la pensano diversamente. Sono la mancanza di chiarezza e l’ambiguità a impedire, falsare e imbrogliare il dialogo, non una fede convinta. E’ l’incertezza o la scarsa convinzione che rende arroganti e fa del dialogo un’operazione puramente "politica".
Il problema dell’incontro con l’islam, come del resto con tutte le altre religioni, diventa così un problema personale, un problema di formazione all’essere cristiani autentici, non per intraprendere altre crociate o guerre sante, ma per impostare un confronto sincero tra credenti adulti nella fede, convinti che il pluralismo non nasce certo dalla omologazione delle diverse verità di fede, men che meno da preconcetti sulle convinzioni altrui, ma dal confronto con esse.
Il sentirsi uguali agli altri a livello umano e "identici" a noi stessi a livello cristiano, rimane ancora e sempre il più valido supporto per un vero incontro con qualsiasi "altro", religiosamente diverso da noi.
[01633-01.01] [Testo originale: Italiano]
● INTERVENTO DI MONS. FELIX ANTHONY MACHADO
Molti dei circa 150 milioni di migranti sparsi in varie parti della terra, hanno portato con loro le proprie tradizioni religiose. Il nostro mondo, come una "mappa delle varie religioni", vive un’esperienza che può essere fonte di arricchimento. Il carattere multireligioso della terra può generare grande armonia e pace. Naturalmente il reciproco arricchimento e la pace non si creano da soli. Siamo del tutto consapevoli delle tensioni e dei conflitti esistenti, spesso intensificati dalla diversità di religione. E’ necessario che ci siano interazioni e scambi salutari tra persone di diverse tradizioni religiose. L’arricchimento reciproco, l’armonia e la pace sono frutti del dialogo. La Chiesa cattolica ha promosso questo dialogo tra le religioni da lungo tempo e il messaggio del Santo Padre in occasione della Giornata Mondiale dei Migranti e Rifugiati per il 2002, deve essere letto in questo contesto.
Alcuni immigrati si fermano temporaneamente, perché in transito verso una destinazione più permanente o forse nella speranza di tornare ai propri paesi di origine. Altri sono venuti per restare e formare comunità stabili. Essi hanno lasciato il proprio paese e si sono stabiliti in permanenza in un altro luogo, senza tuttavia lasciare la propria religione. In Italia, ad esempio, ci sono immigrati dal Nordafrica, dall’Africa Sub-sahariana e dall’Asia del Sud. Molti di loro sono musulmani. Ci sono indiani, tra i quali troviamo seguaci della religione Sikh. Ci sono immigrati dal Tibet che sono buddisti, e immigrati da quella che una volta era l’Indocina, molti dei quali appartengono alla religione buddista.
A volte si parla di immigrazione e di dialogo inter-religioso come di un problema nella nostra società. In occasione della Giornata Mondiale del 2002, il Santo Padre accomuna migranti e rifugiati e mostra come essi possono costituire un’opportunità per l’armonia e la pace nel mondo. Il fenomeno dell’immigrazione offre ai cristiani l’occasione di impegnarsi in un dialogo con persone di altre tradizioni religiose. La pratica del dialogo, a sua volta, permette ai cristiani di conoscere gli immigrati in una maniera giusta e pertanto di aiutarli a integrarsi meglio nella società.
Per la Chiesa cattolica il dialogo inter-religioso non è un’idea astratta. Rimanendo radicalmente conforme alla sua dottrina e tradizione, la Chiesa cattolica invita tutti i suoi fedeli a prendere parte a questo dialogo inter-religioso, il che vuol dire passare da un atteggiamento di sfiducia, di sospetto e rifiuto ad uno di rispettosa accettazione. Pur riconoscendo che quella del dialogo non è una strada facile, il Santo Padre esorta i cristiani a intraprendere questo cammino, considerandolo anche un aspetto della nuova evangelizzazione. La strada del dialogo offre opportunità per iniziative pastorali. Il Santo Padre ricorda ai fedeli cristiani che per un autentico dialogo è indispensabile la propria testimonianza di fede. La pratica del dialogo inter-religioso presuppone onestà e fiducia reciproca. Per questo i partners del dialogo non possono non considerare i fatti ordinari della vita quotidiana. Ad esempio, il Santo Padre allude alle difficoltà in cui si trovano gli immigrati che non sempre godono di libertà religiosa quando scelgono di vivere in paesi in cui la maggioranza professa una religione diversa dalla loro.
L’esperienza di lunghi anni ha mostrato che il dialogo inter-religioso può essere intrapreso a diversi livelli. La Chiesa cattolica parla di quattro livelli o forme di dialogo, diversi l’uno dall’altro ma allo stesso tempo interconnessi: 1. dialogo di vita, che implica attenzione, rispetto e ospitalità nei confronti dell’altro; 2. dialogo di collaborazione, che chiama ogni cristiano a cooperare per il raggiungimento di obiettivi di natura umanitaria, sociale, economica o politica per la liberazione e il progresso dell’umanità; 3. dialogo di specialisti, che comprende il confronto, l’approfondimento e l’arricchimento delle rispettive eredità religiose; infine 4. dialogo di esperienza religiosa, cioè la condizione della propria esperienza di preghiera, contemplazione, fede e dovere, come pure le proprie espressioni e strade di ricerca dell’Assoluto.
Nel suo messaggio in occasione della Giornata Mondiale dei Migranti e Rifugiati per il 2002, il Santo Padre invita i cristiani a operare principalmente a partire dalle loro parrocchie. La parrocchia è una "palestra di ospitalità", dice il Papa. Attraverso queste comunità cristiane si possono costruire legami di amicizia, intraprendere una collaborazione al servizio del bene comune e promuovere una cultura di rispetto e solidarietà insieme agli immigrati che appartengono a tradizioni religiose differenti.
A livello di dialogo di vita, i cristiani, attraverso le proprie parrocchie, possono manifestare uno spirito di accoglienza, comprensione e rispetto nei confronti degli immigrati e dei rifugiati. Ad esempio, in occasione di festività religiose delle diverse religioni, la comunità cristiana può organizzare dei programmi che prevedano uno scambio di auguri (il Presidente del Pontificio consiglio per il Dialogo Inter-religioso invia uno speciale messaggio alle comunità di indu, buddisti e musulmani per le rispettive festività di Diwali, Vesakh e Id al Fitr). È anche un’occasione per comprendere il profondo significato religioso di una festa di una particolare tradizione religiosa.
Il Santo Padre richiama la nostra attenzione al dialogo di vita attraverso la pratica della carità cristiana. Egli dice "ogni giorno, in tante parti del mondo, migranti, rifugiati e sfollati si rivolgono a parrocchie e organizzazioni cattoliche in cerca di sostegno e sono accolti senza tener conto della loro appartenenza culturale e religiosa" (n. 4).
Il dialogo di collaborazione può essere promosso anche quando i cristiani sono gli strumenti di cooperazione con gli immigrati che appartengono ad altre religioni per il bene dell’intera società.
Diversi luoghi e centri di culto possono incoraggiare il dialogo di esperienza spirituale. Relazioni amichevoli e fraterne con persone di diverse religioni possono contribuire ad acquisire una sana conoscenza delle diverse religioni che può sostituire il pregiudizio, l’incomprensione e l’intolleranza.
"Il dialogo inter-religioso non è opposto alla missione ad gentes (Redemptoris Missio, 55) e "… il dialogo interreligioso suppone da parte del cristiano il desiderio di far meglio conoscere, riconoscere e amare Gesù Cristo … "(Dialogo e Proclamazione, n. 77). Le comunità cristiane possono invitare gli immigrati e i rifugiati che appartengono a tradizioni religiose diverse dalla loro a scoprire Cristo, Signore e Salvatore di tutti. Il Santo Padre sottolinea questo punto quando dice: "Il servizio della carità, che sempre i cristiani sono chiamati a compiere, non può limitarsi alla mera distribuzione di soccorsi umanitari. Si vengono in tal modo a creare nuove situazioni pastorali, delle quali la comunità ecclesiale non può non tener conto. Spetterà ai suoi membri di cercare occasioni opportune per condividere con coloro che vengono accolti il dono della rivelazione del Dio-Amore ‘che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito’ (Gv 3,16). Col pane materiale è indispensabile non trascurare l’offerta del dono della fede specialmente attraverso la propria testimonianza esistenziale e sempre con grande rispetto per tutti. L’accoglienza e la reciproca apertura consentono di conoscersi meglio e di scoprire che le diverse tradizioni religiose non raramente contengono preziosi semi di verità. Il dialogo che ne risulta può arricchire ogni spirito aperto alla Verità e al bene" (n. 4).
[01634-01.01] [Testo originale: Italiano]