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"LITURGIAM AUTHENTICAM" - QUINTA ISTRUZIONE PER LA RETTA APPLICAZIONE DELLA COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA DEL CONCILIO VATICANO II, 08.05.2001


"LITURGIAM AUTHENTICAM" - QUINTA ISTRUZIONE PER LA RETTA APPLICAZIONE DELLA COSTITUZIONE SULLA SACRA LITURGIA DEL CONCILIO VATICANO II

 SINTESI IN LINGUA ITALIANA

 SINTESI IN LINGUA INGLESE

 SINTESI IN LINGUA SPAGNOLA

La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha reso noto il testo della Quinta Istruzione per la retta applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, art. 36), riguardante le traduzioni nelle lingue moderne dei testi liturgici latini.
Il testo dell’Istruzione "Liturgiam authenticam" è a disposizione dei giornalisti accreditati in lingua inglese, francese, latina. È inoltre disponibile in Internet nel sito www.vatican.va.
Di seguito diamo una sintesi dell’Istruzione, in lingua italiana, inglese e spagnola:

 SINTESI IN LINGUA ITALIANA

ANTECEDENTI

Le Grandi Istruzioni Postconciliari

Il 4 dicembre 1963 i Padri del Concilio Vaticano II hanno approvato la Costituzione sulla sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Per facilitare l’applicazione del rinnovamento liturgico auspicato dai Padri conciliari, la Santa Sede ha successivamente pubblicato cinque documenti di speciale importanza, ciascuno dei quali numerati in un’unica serie come delle "Istruzioni per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II".

La prima, Inter Oecumenici, fu emanata dalla Sacra Congregazione dei Riti e dal "Consilium" per l’applicazione della Costituzione Liturgica, il 26 settembre 1964, e conteneva i principi generali di base per l’ordinata applicazione del rinnovamento liturgico. Tre anni dopo, il 4 maggio 1967, è stata pubblicata una seconda Istruzione, Tres abhinc annos. Questa stabiliva ulteriori adattamenti all’Ordine della Messa. La terza Istruzione, Liturgicae instaurationes, del 5 settembre 1970, che fu preparata dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, organismo che successe alla Sacra Congregazione dei Riti e al "Consilium". Questa Istruzione forniva innanzitutto direttive sul ruolo centrale del Vescovo nel rinnovamento della liturgia in tutta la diocesi.

In seguito il rinnovamento liturgico si incentrava sull’intensa attività della revisione delle edizioni in lingua latina dei libri liturgici e della loro traduzione nelle varie lingue moderne. Terminata generalmente questa fase, c’è stato un periodo di esperienza pratica, la quale necessariamente richiedeva un notevole spazio di tempo. Con la Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus del 4 dicembre 1988 di Giovanni Paolo II, che commemorava il 25° anniversario della Costituzione Conciliare, si è iniziata una nuova fase di una graduale rivalutazione, di completamento e consolidamento. Il 25 gennaio 1994, la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti ha fatto avanzare ancora tale processo con l’emanazione della quarta "Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II", la Varietates legitimae, che tratta delle questioni difficili circa la Liturgia romana e l’inculturazione.

Una Quinta Istruzione

Nel febbraio del 1997 il Santo Padre ha chiesto alla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti di fare ancora un passo in avanti con la codificazione delle conclusioni del suo lavoro intrapreso in collaborazione con i Vescovi lungo gli anni riguardante la questione delle traduzioni liturgiche, argomento all’ordine del giorno, come si è già detto, dal 1988.

Di conseguenza, il 20 marzo 2001 la quinta postconciliare "Istruzione per la retta Applicazione della Costituzione sulla sacra Liturgia del Concilio Vaticano II", Liturgiam authenticam, fu approvata dal Santo Padre nell’udienza concessa al Cardinale Segretario di Stato e il 28 marzo fu emanata dalla Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti. Entrerà in vigore il 25 aprile 2001.

L’Istruzione Liturgiam authenticam serve da commentario intorno alle traduzioni nel vernacolare dei testi della Liturgia romana, come stabilito dall’articolo 36 della Costituzione liturgica:

§ 1. L’uso della lingua latina, salvo un diritto particolare, sia conservato nei Riti latini.

§ 2. Dato però che, sia nella messa sia nell’amministrazione dei Sacramenti, sia in altre parti della Liturgia, non di rado l’uso della lingua volgare può riuscire assai utile per il popolo, si possa concedere ad essa una parte più ampia, e specialmente nelle letture e nelle monizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme che vengono fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.

§ 3. In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22 § 2, consultati anche, se è il caso, i Vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua, decidere circa l’uso e l’estensione della lingua volgare. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede Apostolica.

§ 4. La traduzione del testo latino in lingua volgare da usarsi nella Liturgia, deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.

Si deve accennare che nel frattempo ci sono stati alcuni sviluppi sul piano giuridico e altro, tra cui alcune misure che hanno precisato il riferimento della Costituzione alle "competenti autorità ecclesiastiche territoriali". In pratica queste sono diventate ciò che si chiamano oggi le Conferenze dei Vescovi.

VISIONE D’INSIEME

La quinta Istruzione inizia facendo accenno all’iniziativa del Concilio e agli sforzi compiuti dai Sommi Pontefici e dai Vescovi in tutto il mondo, costatando il successo del rinnovamento liturgico e notando allo stesso tempo la necessità di una continuata vigilanza per garantire l’identità del Rito romano sul piano mondiale. A questo proposito, l’Istruzione riprende le osservazioni fatte nel 1988 dal Papa Giovanni Paolo II, cioè il suo auspicio che si passi oltre la fase iniziale per entrare in un periodo di traduzioni dei testi liturgici migliorate. Perciò la Liturgiam authenticam offre alla Chiesa Latina una nuova formulazione di principi che debbono governare le traduzioni alla luce di oltre trent’anni di esperienza nell’uso del vernacolare nelle celebrazioni liturgiche.

La Liturgiam authenticam sostituisce tutte le norme pubblicate in precedenza sulle traduzioni liturgiche, tranne le direttive della quarta Istruzione, la Varietates legitimae, e precisa che le due Istruzioni vanno lette complementariamente. Il nuovo documento più di una volta fa appello ad una nuova epoca nelle traduzioni dei testi liturgici.

Occorre notare che la presente Istruzione sostituisce tutte le norme anteriori, di cui assume molti dei contenuti, fornendo loro una disposizione più ordinata e sistematica, completandoli con alcune precisazioni e collegandoli con questioni affini che finora sono state trattate in maniera distaccata. Inoltre, il documento deve affrontare il compito di presentare in poche pagine i principi suscettibili di applicazione alle diverse centinaia di lingue attualmente usate nella celebrazione liturgica in ogni parte del mondo. L’Istruzione non fa ricorso alla terminologia tecnica della linguistica o delle scienze umane, ma limita le sue considerazioni principalmente al campo dell’esperienza pastorale.

In quanto segue, si illustra lo sviluppo generale dell’argomentazione del nuovo documento, senza seguirne ad ogni punto le espressioni precise o la sequenza dei vari punti.

La scelta delle lingue vernacole

Si dovrebbero utilizzare nella Liturgia soltanto le lingue più diffusamente parlate, evitando l’introduzione di troppe lingue, con il rischio di provocare una frammentazione del popolo in piccoli gruppi e forse dare luogo a dei dissapori. Nel fare la scelta delle lingue da introdurre nella liturgia, bisogna tener conto di fattori quali il numero di sacerdoti, diaconi e collaboratori laici che possono servirsi senza difficoltà di una determinata lingua, la disponibilità di traduttori per quella lingua, e le possibilità pratiche, compresi i problemi economici, di produrre e pubblicare traduzioni affidabili della Liturgia.

I dialetti, che non hanno l’appoggio di risorse di formazione accademica e culturale, non vanno accettate come lingue liturgiche in senso stretto, anche se possono essere utilizzate nella Preghiera dei Fedeli, per il testo dei canti, o per alcune parti dell’omelia. L’Istruzione poi dà un riassunto aggiornato della procedura da seguire da parte delle Conferenze dei Vescovi nel decidere in comunione con la Santa Sede la piena o parziale ammissione nella Liturgia di una determinata lingua.

La Traduzione dei Testi Liturgici

Il cuore dell’Istruzione è una nuova e fresca esposizione, con toni riflessivi, dei principi che devono regolare la traduzione in lingua vernacolare dei testi liturgici. Il documento sottolinea sin dall’inizio l’indole sacra della Liturgia e l’esigenza che anche le traduzioni rispecchino attentamente tale caratteristica.

Il Rito romano, come tutte le grandi famiglie liturgiche storiche della Chiesa cattolica, ha uno stile e una struttura propria che vanno rispettate in quanto possibile anche per le traduzioni. L’Istruzione ribadisce l’appello a vari documenti pontifici precedenti per un approccio alla traduzione dei testi liturgici, che risponda a un criterio non tanto di esercizio di una creatività, quanto di cura per la fedeltà e l’esattezza nella resa dei testi latini in lingua vernacolare, tenendo anche conto, ovviamente, del modo caratteristico in cui ogni lingua si esprime. Ci sono dei requisiti particolari da affrontare nella preparazione di traduzioni che sono destinate ai territori evangelizzati in tempi più recenti e l’Istruzione considera anche le condizioni in cui degli adattamenti di maggiore entità dei testi e dei riti possono realizzarsi, rinviando la soluzione di tali problemi a quanto esposto nell’Istruzione Varietates legitimae.

Il ricorso ad altri testi per facilitare la traduzione

Il vantaggio della consultazione dei testi delle antiche fonti liturgiche viene riconosciuto e incoraggiato, anche se si nota che il testo dell’editio typica, cioè l’edizione moderna latina, è sempre il punto di partenza per la traduzione. Là dove il testo latino si serve di termini provenienti da atre lingue antiche (ad es., alleluia, Amen, oppure Kyrie eleison), tali espressioni possono essere conservate nella lingua originale. Le traduzioni liturgiche sono da farsi in base all’editio typica del latino e mai in base alle altre traduzioni. La Neo-Volgata, la versione corrente della Bibbia latina, deve essere presa in considerazione come uno strumento supplementare nella preparazione delle traduzioni bibliche per l’uso liturgico.

Lessico

Il lessico prescelto per una traduzione liturgica deve essere al contempo di facile comprensione per la persona ordinaria ed espressivo della dignità e del ritmo retorico dell’originale, un linguaggio finalizzato alla lode e al culto che esprima reverenza e gratitudine per la gloria di Dio. La lingua di questi testi non va, inoltre, intesa come espressione della disposizione interna del fedele, ma piuttosto della parola di Dio rivelata.

Le traduzioni devono essere svincolate da ogni esagerata dipendenza da modi espressivi moderni e, in generale, da una lingua di tono psicologizzante. Forme di colorito arcaizzante possono talora rivelarsi appropriate a un vocabolario propriamente liturgico.

I testi liturgici non si configurano come completamente autonomi o separabili dal contesto generale della vita cristiana. Spetta all’omelia e alla catechesi contribuire a delucidarne e spiegarne il senso e a chiarificare il contenuto di alcuni testi. Non esistono nella Liturgia testi che incentivino attitudini discriminatorie o ostili verso i cristiani non cattolici, la comunità ebraica o le altre religioni, o che negano in qualche modo l’uguaglianza universale della dignità umana. L’insorgenza di una scorretta interpretazione di senso contrario può essere chiarita dalle traduzioni, ma non è questo il loro compito primario.

Genere

Molte lingue possiedono nomi e pronomi che si riferiscono tanto al genere maschile quanto al femminile. L’abbandono di questi termini, soprattutto se risultante da una tendenza iniziale dell’evoluzione semantica, non è mai prudente né necessario, poiché non costituisce un punto di passaggio obbligato dello sviluppo linguistico. L’uso dei nomi collettivi va preferito e quello di termini tradizionali mantenuto in espressioni in cui la loro abolizione possa compromettere il significato o dare luogo a una mancanza di vocaboli che esprimano l’essere umano nella sua unitarietà, come nella traduzione dell’ebraico adam, del greco anthropos o del latino homo. Allo stesso modo, un quasi meccanico cambio del numero grammaticale o dalla creazione di coppie di termini che accostano maschile e femminile non è un modo lecito di raggiungimento di uno scopo di una vera inclusività.

Il tradizionale genere grammaticale delle persone della Trinità deve essere mantenuto. Espressioni o termini come Filius hominis (Figlio dell’uomo) e Patres (Padri) vanno resi nella traduzione con esattezza, ogni volta che si riscontrano nei testi biblici o liturgici. Il pronome femminile va mantenuto ogniqualvolta si riferisce alla Chiesa. Termini esprimenti affinità o parentela e il genere grammaticale di angeli, demoni e divinità pagane vanno tradotti e il loro genere mantenuto, tenendo presente l’uso del testo originale e quello tradizionale di una determinata lingua moderna.

La traduzione di un testo

Le traduzioni devono cercare di non estendere o restringere il significato dei termini originali, mentre vocaboli che richiamino frasi stereotipate propagandistiche di contenuto commerciale o dalle connotazioni politiche, ideologiche o simili vanno evitati. I manuali di stilistica ad uso accademico o profano per le lingue vernacolari non si possono utilizzare acriticamente, poiché la Chiesa possiede temi specifici da comunicare e uno stile espressivo ad essi appropriato.

La traduzione si caratterizza come sforzo collaborativo finalizzato a preservare la massima continuità possibile tra l’originale e il testo in lingua vernacolare. Il traduttore deve possedere non soltanto abilità specifica, ma anche fiducia nella misericordia divina e spirito di preghiera, nonché disposizione ad accettare la revisione della sua opera da altri. Quando sono necessarie modifiche sostanziali per conformare un determinato libro liturgico alla presente Istruzione, tali revisioni vanno effettuate in una sola volta, al fine di evitare ripetuti disagi e l’impressione di una continua instabilità nella preghiera liturgica.

Traduzioni bibliche

Un’attenzione particolare va riservata alla traduzione della Sacra Scrittura per uso liturgico, opera che deve alla volta badare ad una fondata esegesi, ma pure mirare a un testo adatto alla funzione liturgica. Una unica traduzione va usata universalmente nell’area di una determinata Conferenza dei Vescovi e deve essere la stessa per lo stesso passo occorrente in più parti nell’insieme dei libri liturgici. Lo scopo deve essere per ogni lingua uno stile specificamente sacro, consono al lessico fissato dall’uso cattolico popolare e, per quanto possibile, dai principali testi catechetici. Tutti i casi dubbi relativi alla canonicità e alla esatta disposizione del testo vanno risolti facendo ricorso alla Neo-Vulgata.

Le immagini concrete fornite da alcune parole, secondo uno stile linguistico propriamente figurato, come il "dito", la "mano", il "volto" di Dio, o il suo "camminare", e termini come "carne" e simili, vanno tradotti letteralmente ogniqualvolta usati e non rimpiazzati da astratti. Sono queste, infatti, figure tipiche del testo biblico, che vanno in quanto tali mantenute.

Altri testi liturgici

Le norme per la traduzione della Bibbia in uso nella Liturgia si applicano, in generale, anche alle traduzioni delle preghiere liturgiche. Al tempo stesso, si deve riconoscere che, mentre la formulazione della preghiera liturgica è soggetta ad essere in qualche senso determinata dalla cultura che ne fa uso, essa entra a sua volta a far parte di un processo di formazione di quella stessa cultura, in una tipologia di relazione non meramente passiva. La lingua liturgica può, pertanto, ragionevolmente divergere dal parlato ordinario, ma rifletterne al tempo stesso gli elementi migliori. L’ideale sarà lo sviluppo in un determinato contesto culturale di un volgare dignitoso, atto ad essere destinato al culto.

Il lessico liturgico deve includere le principali caratteristiche del Rito romano, radicarsi nelle fonti patristiche e armonizzarsi con i testi biblici. Si consiglia qui di armonizzare la traduzione in lingua moderna con gli usi del Catechismo della Chiesa Cattolica e di adoperare termini distintivi, ogniqualvolta ci si riferisca a persone o ad oggetti sacri, in modo tale da evitare confusioni con quelli adottati per cose della vita quotidiana.

La sintassi, lo stile e il genere letterario sono anch’essi elementi di importanza fondamentale per l’elaborazione di una traduzione fedele. La relazione tra i periodi, soprattutto quando espressi per il tramite della subordinazione, e figure come il parallelismo vanno accuratamente ritenute. I verbi vanno tradotti con precisione, rispettando la persona, il numero, la voce. Maggiore libertà si può, invece, avere nel tradurre strutture sintattiche più complesse.

Si tenga sempre in considerazione che i testi liturgici sono rivolti alla pubblica declamazione o al canto.

Tipologie specifiche di testo

Norme specifiche vengono, inoltre, fornite per la traduzione delle Preghiere Eucaristiche, del Credo (nel quale il verbo va posto alla prima persona singolare: "credo", e non "crediamo"), per l’impostazione e l’ordinamento interno dei libri liturgici e per i loro decreti preliminari e i testi introduttivi. Esse sono seguite da una descrizione nella preparazione delle traduzioni da parte della Conferenza dei Vescovi e delle procedure necessarie per giungere all’approvazione e alla conferma dei testi liturgici dalla Santa Sede. Gli attuali requisiti specifici dell’approvazione pontificia per le formule sacramentali, come anche l’esigenza che ci sia una unica traduzione della Liturgia per ogni determinato gruppo linguistico, specialmente per quanto attiene all’Ordo Missae, vengono riaffermati.

L’organizzazione del lavoro di traduzione e le Commissioni

La preparazione delle traduzioni è un onere gravante anzitutto sui Vescovi, per quanto essi debbano, naturalmente, ricorrere all’aiuto di esperti. In ogni lavoro di traduzione alcuni almeno dei Vescovi devono essere direttamente coinvolti, non soltanto nel diretto e personale controllo dei testi definitivi, ma anche nel prendere parte sempre attiva alle varie fasi di preparazione. Benché non tutti i Vescovi di una Conferenza siano esperti in una determinata lingua in uso nel loro territorio, essi devono assumere una responsabilità collegiale per i testi liturgici e una strategia d’insieme per l’uso delle varie lingue nel campo pastorale.

L’Istruzione espone chiaramente le procedure (in linea di massima corrispondenti a quelle già attualmente in vigore) per l’approvazione dei testi da parte dei Vescovi e la loro successiva presentazione per la revisione e la conferma da parte della Congregazione per il Culto Divino. Il documento dedica un certo spazio a sottolineare l’importanza del rimando degli affari liturgici alla Santa Sede, parzialmente basandosi sul Motu Proprio di Sua Santità Giovanni Paolo II "Apostolos suos" del 1998, in cui si chiariva la natura e la funzione delle Conferenze dei Vescovi. La procedura di rimando, oltre che segno della comunione dei Vescovi con il Papa, ha anche un valore di consolidamento di questa relazione. Essa è garanzia della qualità dei testi e ha per fine che le celebrazioni liturgiche delle Chiese particolari (diocesi) siano in piena armonia con la tradizione della Chiesa Cattolica lungo i secoli e in tutti i luoghi del mondo.

Laddove una cooperazione tra Conferenze dei Vescovi facenti uso della stessa lingua risulti appropriata o necessaria, spetta unicamente alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigere commissioni congiunte o "miste", di solito in seguito a richiesta dei Vescovi. Tali Commissioni non sono autonome e non costituiscono un canale di comunicazione tra la Santa Sede e le Conferenze dei Vescovi; non ricoprono un ruolo decisionale, ma sono semplicemente al servizio del ministero pastorale dei Vescovi; sono incaricate esclusivamente della traduzione delle editiones typicae latine, ma non della composizione di nuovi testi in volgare, né di considerazioni su questioni teoretiche, né di adattamenti culturali, e non hanno relazione con organismi analoghi di altri gruppi linguistici.

La quinta Istruzione raccomanda che almeno alcuni dei Vescovi componenti la commissione siano pure membri della commissione liturgica della Conferenza dei Vescovi a cui appartengono. Ad ogni modo, la commissione "mista" è diretta dai Vescovi membri, in accordo con gli statuti, che vanno confermati dalla Congregazione per il Culto Divino. Tali statuti devono, di solito, ricevere l’approvazione di tutte le Conferenze partecipanti dei Vescovi; se ciò non risulta possibile, la Congregazione per il Culto Divino può intervenire per redigere e approvare di sua autorità gli statuti.

Tali Commissioni – a quanto espone il documento – operano in particolare nel coordinare l’uso delle risorse disponibili per le singole Conferenze dei Vescovi, in modo che, per esempio, una determinata Conferenza possa produrre un primo abbozzo di traduzione, successivamente rifinito dalle altre Conferenze dei Vescovi, per giungere così a un testo migliorato per divenire universalmente utilizzabile.

Le commissioni "miste" non sono volte a sostituire le commissioni liturgiche nazionali e diocesane e non possono, pertanto, ricoprire alcuna delle funzioni di queste ultime.

Data l’importanza della loro opera, tutte le persone, salvo i Vescovi, coinvolte nell’attività di una commissione "mista" devono ottenere il nihil obstat da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti prima di assumere il proprio incarico. Come tutti, quanti risultano collegati con la commissione collaborano con essa solo a tempo determinato e sono vincolati da contratto a svolgere le loro funzioni in assoluta segretezza e in anonimato.

Le commissioni esistenti devono conformare i propri statuti con questa Istruzione e sottoporli alla Congregazione per il Culto Divino entro due anni dalla data della sua emanazione.

Il documento pone l’accento anche sul bisogno della stessa Santa Sede di traduzioni liturgiche, soprattutto nelle principali lingue, e sul suo desiderio di essere più strettamente coinvolta in avvenire nella loro preparazione. Esso fa accenno anche, in modo generale, ai vari tipi di organismi che la Congregazione per il Culto Divino può costituire per la soluzione dei problemi di traduzione in una o più lingue.

Nuovi testi

Una sezione sulla composizione di nuovi testi sottolinea che loro scopo è essenzialmente quello di venire incontro ai genuini bisogni culturali e pastorali. Essi, pertanto, spettano esclusivamente alle Conferenze dei Vescovi, e in nessun modo alle commissioni "miste" per le traduzioni. Essi devono rispettare stile, struttura, lessico e le altre tradizionali caratteristiche del Rito romano. Particolarmente importanti, in virtù del loro impatto sulla persona e sulla memoria, sono gli inni e i canti. Questo materiale in lingua moderna deve essere sottoposto ad una revisione generale e le Conferenze dei Vescovi sono invitate a regolare la questione in accordo con la Congregazione entro cinque anni.

L’Istruzione conclude con una serie di brevi sezioni tecniche contenenti direttive in merito alla pubblicazione delle edizioni dei libri liturgici, ivi inclusi il copyright, e alle procedure per la traduzione dei testi liturgici propri delle singole diocesi e famiglie religiose.

[00735-01.02] [Testo originale: Italiano]

 SINTESI IN LINGUA INGLESE

BACKGROUND

The Great Post-Conciliar Instructions

On 4 December 1963 the Fathers of the Second Vatican Council approved the Constitution on the Sacred Liturgy, Sacrosanctum Concilium. In order to facilitate the implementation of the liturgical renewal desired by the Council Fathers, the Holy See has subsequently published five documents of special importance, each successively numbered as an "Instruction for the Right Application of the Constitution on the Sacred Liturgy of the Second Vatican Council".

The first of these, Inter Oecumenici, was issued by the Sacred Congregation of Rites and the "Consilium" for the Implementation of the Liturgy Constitution on 26 September 1964, and contained initial general principles for the orderly carrying out of the liturgical renewal. Three years later, on 4 May 1967, a second Instruction was issued, Tres abhinc annos. This described further adaptations to the Order of Mass. The third Instruction, Liturgicae instaurationes, of 5 September 1970, was issued by the Sacred Congregation for Divine Worship, the body that succeeded the Sacred Congregation of Rites and the "Consilium". It provided directives on the central role of the Bishop in the renewal of the Liturgy throughout the diocese.

Subsequently the intensive activity of the revision of the Latin editions of the liturgical books and their translation into the various modern languages was the main vehicle for the liturgical renewal. After the general completion of this phase, there came a period of practical experience, which necessarily required a considerable space of time. With Pope John Paul II's

Apostolic Letter Vicesimus quintus annus, issued on 4 December 1988 to mark the 25th anniversary of the Council's Constitution, there began a new gradual process of evaluation, completion and consolidation of the liturgical renewal. On 25 January 1994, the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments carried this process forward by issuing the Fourth "Instruction for the Right Application of the Constitution on the Sacred Liturgy of the Second Vatican Council", Varietates legitimae, concerning difficult questions on the Roman Liturgy and inculturation.

A Fifth Instruction

In February 1997 the Holy Father asked the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments to carry forward the process of the liturgical renewal by codifying the conclusions of its work in collaboration with the Bishops over the years regarding the question of the liturgical translations. This matter had been in course, as mentioned, since 1988.

As a result, on 20 March 2001 the Fifth post-Conciliar "Instruction for the Right Application of the Constitution on the Sacred Liturgy" of the Second Vatican Council, Liturgiam authenticam, was approved by the Holy Father in an audience with the Cardinal Secretary of State and on 28 March it was issued by the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments. It takes effect on 25 April 2001.

The Instruction Liturgiam authenticam serves to set forth authoritatively the manner in which the provisions of article 36 of the Liturgy Constitution are to be applied to the vernacular translation of the texts of the Roman Liturgy. That article states:

§ 1. The use of the Latin language is to be preserved in the Latin Rites, while maintaining particular law.

§ 2. However, since the use of the vernacular not infrequently may be of great benefit to the people either in the Mass or in the administration of the Sacraments, or in the other parts of the Liturgy, a wider use may be made of it especially in the readings and instructions [to the people], in certain prayers and sung texts, according to the norms on this matter to be set forth in detail in the chapters following.

§ 3. With due regard for such norms, it pertains to the competent territorial ecclesiastical authority mentioned in article 22, § 2, in consultation, if the case arises, with Bishops of neighboring regions which have the same language, to make decisions regarding whether and to what extent the vernacular language is to be used. Their decisions are to be approved—that is, confirmed—by the Apostolic See.

§ 4. A translation of a Latin text into the vernacular for use in the Liturgy must be approved by the competent territorial ecclesiastical authority mentioned above.

It should be mentioned that there have been a number of legal and other developments in the meantime, among them measures which have further defined the "competent territorial ecclesiastical authorities" of which the Constitution speaks. In practice these have become what are known as the Bishops' Conferences today.

OVERVIEW

The Fifth Instruction begins by referring to the initiative of the Council and the work of the successive Popes and the Bishops throughout the world, recalling the successes of the liturgical reform, while at the same time noting the continued vigilance needed in order to preserve the identity and unity of the Roman Rite throughout the world. In this regard, the Instruction takes up the observations made in 1988 by Pope John Paul II calling for progress beyond an initial phase to one of improved translations of liturgical texts. Accordingly, Liturgiam authenticam offers the Latin Church a new formulation of principles of translation with the benefit of more than thirty years' experience in the use of the vernacular in liturgical celebrations.

Liturgiam authenticam supersedes all norms previously set forth on liturgical translation, with the exception of those in the fourth Instruction Varietates legitimae, and specifies that the two Instructions should be read in conjunction with each other. It calls more than once for a new era in translation of liturgical texts.

It should be noted that the new document substitutes for all previous norms while integrating much of their content, drawing them together in a more unified and systematic way, underpinning them with some careful reflection, and linking them to certain related questions that so far have been treated separately. Moreover, it is faced with the task of speaking in a few pages of principles applicable to several hundred languages currently used in liturgical celebration in every part of the world. It does not employ the technical terminology of linguistics or of the human sciences but refers principally to the domain of pastoral experience.

In what follows, the general development of the document is followed, but not always the exact wording or order of points.

Choice of Vernacular Languages

Only the more commonly spoken languages should be employed in the Liturgy, avoiding the introduction of too many languages for liturgical use, which could prove divisive by fragmenting a people into small groups. A number of factors should be kept in mind when choosing a language for liturgical use, such as the number of priests, deacons and lay collaborators at ease in a given tongue, the availability of translators for each language, and the practical possibility, including cost, of producing and publishing accurate translations of the liturgical books.

Dialects which do not have the backing of academic and cultural formation may not be formally accepted as liturgical languages, although they may be used for the Prayers of the Faithful, sung texts or parts of the homily.

The Instruction next gives a careful updated outline of the process to be followed by the Conferences of Bishops in communion with the Holy See in deciding up full or partial introduction into liturgical use of a given language.

The Translation of Liturgical Texts

The heart of the Instruction is a fresh exposition with a reflective tone of principles that should govern the vernacular translation of liturgical texts. From the outset this section stresses the sacred nature of the Liturgy, which the translated texts must carefully safeguard.

The Roman Rite, like all the great historical liturgical families of the Catholic Church, has its own style and structure that must be respected in so far as possible in translation. The Instruction repeats the call of earlier papal documents for an approach to the translation of liturgical texts that sees it not so much a work of creative inventiveness as one of fidelity and exactness in rendering the Latin texts into a vernacular language, with all due consideration for the particular way that each language has of expressing itself. The special needs that must be addressed when making translations intended for newly evangelized territories are mentioned, and the Instruction also discusses the conditions under which more significant adaptations of texts and rites may occur, referring the regulation of these issues to the Instruction Varietates legitimae.

Using Other Texts as Aids

The usefulness of consulting ancient source texts is acknowledged and encouraged, though it is noted that the text of the editio typica, the official modern Latin edition, is always the point of departure for the translation. When the Latin text employs certain words from other ancient languages (e.g., alleluia, Amen, or Kyrie eleison), such terms may be retained in their original languages. Liturgical translations are to be made only from the editio typica of the Latin and never from other translations in turn. The Neo-Vulgate, the current Catholic version of the Latin Bible, should be employed as an auxiliary tool in preparing biblical translations for use in the Liturgy.

Vocabulary

The vocabulary chosen for liturgical translation must be at one and the same time easily comprehensible to ordinary people and also expressive of the dignity and oratorical rhythm of the original: a language of praise and worship which fosters reverence and gratitude in the face of God’s glory. The language of these texts is, therefore, not intended primarily as an expression of the inner dispositions of the faithful but rather of God's revealed word and his continual dialogue with his people in history.

Translations must be freed from exaggerated dependence on modern modes of expression and in general from psychologizing language. Even forms of speech deemed slightly archaic may on occasion be appropriate to the liturgical vocabulary.

The liturgical texts are neither completely autonomous nor separable from the general context of Christian life. There are in the Liturgy no texts that are intended to promote discriminatory or hostile attitudes to non-Catholic Christians, to the Jewish community or other

religions, or which in any way deny universal equality in human dignity. If incorrect interpretation arises, the matter should be clarified, but this is not primarily the business of translations. The homily and catechesis are there to help fill out and explain their meaning and to clarify certain texts.

Gender

Many languages have nouns and pronouns capable of referring to both the masculine and the feminine in a single term. The abandonment of these terms under pressure of criticism on ideological or other grounds is not always wise or necessary nor is it an inevitable part of linguistic development. Traditional collective terms should be retained in instances where their loss would compromise a clear notion of man as a unitary, inclusive and corporate yet truly personal figure, as expressed, for example, by the Hebrew term adam, the Greek anthropos or the Latin homo. Similarly, the expression of such inclusivity may not be achieved by a quasi-mechanical changes in grammatical number, or by the creation of pairs of masculine and feminine terms.

The traditional grammatical gender of the persons of the Trinity should be maintained. Expressions such as Filius hominis (Son of Man) and Patres (fathers) are to be translated with exactitude wherever found in biblical or liturgical texts. The feminine pronoun must be retained in referring to the Church. Kinship terms and the grammatical gender of angels, demons and pagan deities should be translated, and their gender retained, in light of the usage of the original text and of the traditional usage of the modern language in question.

The Translation of a Text

Translations should try not to extend or to restrict the meaning of the original terms, and terms that recall publicity slogans or those that have political, ideological or similar overtones should be avoided. Academic and secular style-books on vernacular composition should not be used uncritically, since the Church has distinctive things to say and a style of expression that is appropriate to them.

Translation is a collaborative effort that should maintain continuity as much as possible between the original and vernacular texts. The translator must possess not only special skills, but also a trust in divine mercy and a spirit of prayer, as well as a readiness to accept review of his work by others. When substantial changes are needed to bring a given liturgical book into conformity with this Instruction, such revisions must be made all at once so as to avoid repeated disturbances or a sense of continual instability in liturgical prayer.

Scriptural Translations

Special consideration is given to the translation of the Scriptures for use in the Liturgy. A version should be developed which is exegetically sound and also suitable for the Liturgy. Such a translation should be used universally within the area of a single Bishops' Conference and be the same for a given passage in all parts of the liturgical books. The aim should be a distinctive sacred style in each language that is consonant, as far as possible, with the established vocabulary of popular Catholic usage and major catechetical texts. All doubtful cases regarding canonicity and the ordering of verses should be resolved by reference to the Neo-Vulgate.

Concrete images found in words referring in figurative language that speaks, for example of the "finger", the "hand", the "face" of God, or of his "walking", and terms like "flesh" and the so on, should usually be translated literally and not replaced by abstractions. These are distinctive features of the biblical text that are to be maintained.

Other Liturgical Texts

Norms for the translation of the Bible as used in the Liturgy apply also in general to the translation of liturgical prayers. At the same time, it must be acknowledged that while liturgical prayer is formed by the culture which practices it, it is also formative of culture, so that the relationship is not merely passive. As a result, liturgical language can be expected to diverge from ordinary speech, as well as to reflect its better elements. The ideal is to develop a dignified vernacular fit for worship in a given cultural context.

Liturgical vocabulary must include the major characteristics of the Roman Rite, and should be drawn from patristic sources and harmonized with biblical texts. The vocabulary and usage of the vernacular translation of the Catechism of the Catholic Church should be respected as far as this is feasible, and the proper distinctive terms should be used for sacred persons or things, rather than employing the same words as for the persons or things of everyday domestic life.

Syntax, style and literary genre are also key elements to be considered in rendering a faithful translation. The relationship between clauses, especially as expressed through subordination and devices such as parallelism, must be accurately conveyed. Verbs must be translated precisely in respect of person, number and voice, while some latitude will be needed in rendering more complex syntactical structures.

A prime consideration should be the fact that liturgical texts are intended to be publicly proclaimed aloud and even sung.

Particular Types of Texts

Specific norms are then given for the translation of Eucharistic Prayers, the Creed, (which is to be translated in the first person singular: "I believe . . ."), and the general ordering and layout of liturgical books and their preliminary decrees and introductory texts. This is followed by a description of the preparation of translations by Bishops' Conferences and the processes to be used for obtaining the approval and confirmation of liturgical texts from the Holy See. The present special requirements of papal approbation for sacramental formulae are reaffirmed, as is the insistence on the desirability of a single translation of the Liturgy, especially the Order of Mass, within each language group.

The Organization of Translation Work and Commissions

The preparation of translations is a serious charge incumbent in the first place upon the Bishops themselves, even if they naturally often draw on the services of experts. In all work of translation at least some of the Bishops should be closely involved, not only personally checking the final texts, but taking active part in the various stages of preparation. Even if not all the Bishops of a Conference are proficient in a given language used within its territory, they must take collegial responsibility for the liturgical texts and the overall pastoral language policy.

The Instruction sets out clearly the procedures (in general those in use until now) for the approval of texts by the Bishops and the forwarding of the texts for review and confirmation by the Congregation for Divine Worship. The document devotes some space to expressing the significance of the referral of liturgical matters to the Holy See, in terms partly based on the Pope John Paul II's Motu Proprio Apostolos suos of 1998, in which the nature and function of Bishops' Conferences was clarified. The referral procedure is a sign of the Bishops' communion with the Pope and a means to strengthening it. It is also a guarantee of the quality of texts and aims at ensuring that the liturgical celebrations of the particular Churches (dioceses) be in full harmony with the tradition of the Catholic Church down through the ages and throughout the world.

Where cooperation is appropriate or necessary between Bishops' Conferences using the same language, the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments alone erects joint or "mixed" commissions, usually following up on a request from the Bishops. Such commissions are not autonomous and are not a channel of communication between the Holy See and the Bishops' Conferences. They have no decision-making capacity, but are solely at the service of the pastoral office of the Bishops. They are concerned exclusively with the translation of the Latin editiones typicae, not with the composition of new vernacular texts, nor the consideration of theoretical questions or cultural adaptations; and the establishment of relations with similar bodies of other language groups lies outside their competence.

The Fifth Instruction recommends that at least some of the Bishops making up the commission be chairmen of the liturgical commission of their Bishops' Conference. In any case the "mixed" commission is run by Bishops, in accordance with statutes confirmed by the Congregation for Divine Worship. These statutes should normally have the approval of all participating Bishops' Conferences, but if this is not feasible, the Congregation for Divine Worship may both draw up and approve statutes on its own authority.

Commissions of this kind, says the document, operate best by coordinating use of resources available to individual Bishops' Conferences, so that one Conference, for example, may produce a first draft of a translation which is subsequently refined by the other Conferences of Bishops to arrive at an improved and universally serviceable text.

Such "mixed" commissions are not intended to replace national and diocesan liturgical commissions and therefore cannot take on any of the functions of the latter.

Because of the importance of the work, all involved in the activity of a "mixed" commission on a stable basis, other than the Bishops, must obtain a nihil obstat from the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments prior to taking up their duties. Like all connected with the commission, they serve only for a fixed term and are bound by a contract to confidentiality and anonymity in completing assignments.

Existing commissions must bring their statutes into conformity with this Instruction and submit them to the Congregation for Divine Worship within two years from the issue date of the Instruction.

The document also stresses the Holy See's own need for liturgical translations, especially in the major world languages, and its desire to be more closely involved in their preparation in future. It also refers in general terms to various kinds of bodies which the Congregation for Divine Worship may set up to resolve translation problems of one or more languages.

New Compositions

A section on the composition of new texts notes that their purpose is solely to respond to genuine cultural and pastoral needs. As such, their composition is the exclusive province of Bishops' Conferences rather than the "mixed" translation commissions. They are to respect the style, structure, vocabulary and other traditional qualities of the Roman Rite. Particularly important, because of their impact on the person and on the memory, are hymns and chants. There is to be a general review of vernacular material in this field and Bishops' Conferences are to regulate the question with the assent of the Congregation within five years.

The Instruction concludes with a number of brief technical sections giving guidelines on publication of editions of liturgical books, including copyright, and on procedures for the translation of the liturgical texts proper to individual dioceses and religious communities.

[00735-02.01] [Original text: English]

 SINTESI IN LINGUA SPAGNOLA

ANTECEDENTES

Las Grandes Instrucciones Post-Conciliares

El 4 de diciembre de 1963 los Padres del Concilio Vaticano II aprobaron la Constitución sobre la Sagrada Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Con el fin de facilitar la aplicación de la renovación deseada por los Padres Conciliares, la Santa Sede ha publicado, sucesivamente, cinco documentos de especial importancia, numerados consecutivamente, como "Instrucción para la Recta Aplicación de la Constitución sobre la Sagrada Liturgia del Concilio Vaticano II".

La primera de ellas, Inter Oecumenici, fue publicada por la Sagrada Congregación para los Ritos y el "Consilium", para la aplicación de la Constitución Litúrgica, el 26 de septiembre de 1964, y contenía principios generales para el ordenado desarrollo de la renovación litúrgica. Tres años más tarde, el 4 de mayo de 1967, salió una segunda Instrucción, Tres abhinc annos. Esta describía ulteriores adaptaciones en el Ordinario de la Misa. La tercera Instrucción, Liturgicae instaurationes, de 5 de septiembre de 1970, fue publicada por la Sagrada Congregación para el Culto Divino, entidad que sucedió a la Sagrada Congregación para los Ritos y al "Consilium". Ésta ofrecía directivas sobre el papel central del Obispo en la renovación litúrgica en su diócesis.

Más tarde, la intensa actividad de revisión de las ediciones latinas de los libros litúrgicos y sus traducciones a las diferentes lenguas modernas, constituyó el medio principal de la renovación litúrgica. Después de la conclusión de esta fase, vino un período de experiencia práctica, que, obviamente, requirió un tiempo considerable. Con la Carta Apostólica Vicesimus quintus annus, del Papa Juan Pablo II, publicada el 4 de diciembre de 1988, con motivo del vigésimo quinto aniversario de la Constitución Conciliar, se inició un nuevo y gradual proceso de evaluación, perfeccionamiento y consolidación de la Renovación Litúrgica. El 25 de enero de 1994, la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos continuó con este proceso, por medio de la publicación de la cuarta "Instrucción sobre la Recta Aplicación de la Constitución sobre la Sagrada Liturgia del Concilio Vaticano II", Varietates legitimae, concerniente a las difíciles cuestiones sobre la Liturgia Romana y la Inculturación.

La Quinta Instrucción

En febrero de 1997, el Santo Padre pidió a la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos que continuase llevando adelante el proceso de la Renovación Litúrgica, recopilando las conclusiones de los trabajos realizados, a través de los años, por la Congregación en colaboración con los Obispos, referentes a las traducciones litúrgicas. Esta realidad, como se ha mencionado, ha ocupado la atención de la Congregación desde 1988.

En consecuencia, el 20 de marzo de 2001, la "Instrucción Post-Conciliar sobre la Recta Aplicación de la Constitución sobre la Sagrada Liturgia" del Concilio Vaticano II, Liturgiam authenticam, fue aprobada por el Santo Padre en audiencia concedida al Cardenal Secretario de Estado y, posteriormente, la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos la promulgó el 28 de marzo. Esta Instrucción entró en vigor el 25 de abril de 2001.

La Instrucción Liturgiam authenticam establece autorizadamente la forma de proceder en la traducción de los textos de la Liturgia Romana a las lenguas vernáculas, como se indica en el número 36 de la Constitución de Liturgia:

§ 1. Se conservará el uso de la lengua Latina en los Ritos Latinos, salvo derecho particular.

§ 2. Sin embargo, como el uso de la lengua vernácula es muy útil para el pueblo en no pocas ocasiones, tanto en la Misa como en la administración de los Sacramentos, y en otras partes de la Liturgia, se le podrá dar mayor cabida, ante todo, en las lecturas y moniciones, en algunas oraciones y cantos, conforme a las normas que acerca de esta materia se establecen para cada caso en los capítulos siguientes.

§ 3. Supuesto el cumplimiento de estas normas, será de la incumbencia de la competente autoridad eclesiástica territorial, de la que se habla en el número 22, §2, determinar si ha de usarse la lengua vernácula y en qué extensión; estas decisiones tienen que ser aceptadas, es decir, confirmadas por la Sede Apostólica. Si hiciera falta, se consultará a los Obispos de las regiones limítrofes de la misma lengua.

§ 4. La traducción del texto Latino a la lengua vernácula, que ha de usarse en la Liturgia, debe ser aprobada por la competente autoridad eclesiástica territorial antes mencionada.

Es necesario indicar que en el tiempo transcurrido desde la Constitución Litúrgica, han tenido lugar numerosos cambios, incluso en el campo jurídico, entre los que se encuentra lo referente a "la competente autoridad eclesiástica territorial", de la que habla la Constitución, y que en la práctica, se ha convertido en lo que hoy conocemos como Conferencia de los Obispos.

CONTENIDO DEL DOCUMENTO

La Quinta Instrucción, comienza recordando las iniciativas del Concilio, el esfuerzo de los sucesivos Papas y de los Obispos de todo el mundo, haciendo referencia al éxito que ha tenido la renovación litúrgica y haciendo notar, al mismo tiempo, la necesidad de una continua vigilancia para garantizar la identidad y la unidad del Rito Romano, en todo el mundo. A este propósito, la Instrucción tiene en cuenta las observaciones hechas en 1988 por el Papa Juan Pablo II, en relación al progreso que debe darse, después de la fase inicial ya realizada, entrando en otro período de mejora de la traducción de los textos litúrgicos. De acuerdo con estas observaciones, Liturgicam authenticam ofrece a la Iglesia Latina una nueva formulación de los principios que deben guiar las traducciones litúrgicas, aprovechando la experiencia de más de treinta años usando las lenguas vernáculas en las celebraciones.

Liturgicam authenticam supone un avance respecto a las normas para la traducción litúrgica previamente existentes, a excepción de las directrices de la cuarta Instrucción, Varietates legitimae, precisando que ambas Instrucciones deben ser entendidas como complementarias. El nuevo documento, varias veces, señala la presencia de una nueva etapa en la traducción de los textos litúrgicos.

Debe notarse que la presente Instrucción se sustituye a todas las normas anteriores, asumiendo muchos de sus contenidos, dándoles una forma ordenada y sistemática y completándolos son algunas precisiones y conectándolos con cuestiones afines que antes habían sido tratadas separadamente. Más aún, enfrenta la delicada tarea de exponer en unas pocas páginas los principios aplicables a cientos de lenguas, usadas en la celebración litúrgica en el mundo entero. No utiliza una terminología técnica de la lingüística o de las ciencias humanas, sino que hace sus consideraciones refiriéndose principalmente al campo de la experiencia pastoral.

A continuación se presenta un desarrollo general del contenido de la Instrucción, sin citar siempre expresiones literales y variando el orden de algunos puntos.

La elección de las Lenguas Vernáculas

Sólo las lenguas más comúnmente habladas deben ser empleadas en la liturgia, evitando la introducción de infinidad de lenguas en el uso litúrgico, con el peligro de constituir un agente de división, fragmentando al pueblo en pequeños grupos y creando conflictos. A la hora de elegir una lengua para el uso litúrgico hay que tener en cuenta aspectos como el número de sacerdotes, diáconos y colaboradores laicos que pueden utilizar una lengua determinada, así como la existencia de traductores especializados para cada lengua y los medios prácticos existentes, incluidos los recursos económicos, para la realización y la publicación de traducciones confiables de los textos litúrgicos.

Aquellos dialectos que no poseen un desarrollo completo en su estructura lingüística y cultural, no deben ser aceptados, propiamente, como lenguas litúrgicas, aunque si podrán ser usados, a veces, en la Oración de los Fieles, en partes de la Homilía y en los cantos.

La Instrucción presenta, seguidamente, los criterios que actualmente deben seguir las Conferencias de Obispos en la decisión de introducir parcial o totalmente, en comunión con la Santa Sede, una determinada lengua en el uso litúrgico.

La Traducción de Textos Litúrgicos

El centro de la Instrucción es una nueva y renovada exposición, que reflexiona sobre los principios que deben regular la traducción de los textos litúrgicos a las lenguas vernáculas. En esta perspectiva, el documento acentúa la naturaleza sagrada de la Liturgia, aspecto que las traducciones deben tutelar cuidadosamente.

El Rito Romano, como todas las demás grandes familias litúrgicas de la Iglesia Católica, posee un estilo y una estructura propios, que deben ser respetados en cuanto es posible, también en las traducciones. En este sentido, la Instrucción renueva las indicaciones de anteriores documentos pontificios, para que se tenga en la traducción de los textos litúrgicos, un criterio de fidelidad y exactitud en la traducción del texto Latino a la lengua vernácula y no un puro ejercicio de la creatividad, teniendo en cuenta la debida consideración a la manera particular de expresarse que tiene cada lengua. Sin embargo, la Instrucción también menciona las necesidades especiales que pueden surgir cuando se hacen traducciones para territorios recientemente evangelizados y considera, asimismo, las condiciones bajo las cuales puedan llevarse a cabo adaptaciones significativas de los textos y de los ritos, remitiendo siempre a la Instrucción Varietates legitimae para la regulación de esos temas.

El uso de Otros Textos para facilitar la Traducción

El beneficio que se obtiene consultando los textos antiguos de las fuentes litúrgicas es reconocido y aconsejado, aunque la Instrucción indica que el texto de la editio typica, la actual edición latina oficial, constituye siempre el punto de partida para cualquier traducción. Cuando el texto latino utiliza términos provenientes de otras lenguas antiguas (p.e. alleluia, Amen o Kyrie eleison), tales expresiones pueden ser conservadas en su lengua original. Las traducciones litúrgicas deben hacerse sólo a partir de la editio typica latina y nunca de otras traducciones ya existentes. La Neo-Vulgata, que es la actual versión oficial de la Biblia Latina, debe ser utilizada como referencia en la preparación de las traducciones bíblicas, para uso en la liturgia.

Vocabulario

El vocabulario elegido para una traducción litúrgica debe ser de fácil comprensión para la gente sencilla y, al mismo tiempo, expresión de la dignidad y elegancia del original latino: debe ser un lenguaje apropiado para la alabanza y adoración, que manifieste reverencia y gratitud ante la gloria de Dios. El lenguaje de estos textos no es concebido, por lo tanto, como expresión, en primer lugar, de la disposición interior de los fieles, sino más bien, como palabra de Dios revelada y como medio del diálogo constante entre Dios y su pueblo, a lo largo de la historia.

Las traducciones deben estar libres de toda exagerada dependencia de formas modernas de expresión y, en general, de un lenguaje psicologizante. Además, formas de hablar que podrían parecer menos actuales, pueden ser, en ocasiones, apropiadas para el vocabulario litúrgico.

Los textos litúrgicos no son completamente autónomos ni separables del contexto general de la vida cristiana. No existen en la liturgia textos que intenten promover actitudes discriminatorias u hostiles contra cristianos no católicos, la comunidad judía u otras religiones; o que nieguen de algún modo la igualdad universal de la dignidad humana. Cualquier interpretación incorrecta, debe ser clarificada, aunque no es ésta la finalidad primaria de las traducciones. Corresponde a la homilía y a la catequesis, la tarea de contribuir a la aclaración y explicación del sentido y del contenido de algunos textos.

Género

Muchas lenguas poseen nombres y pronombres que hacen referencia, simultáneamente, al género masculino y femenino, con un solo término. El abandono de estos términos, como resultado de una tendencia ideológica que afecta a la cuestión filológica y semántica, no siempre es acertado o conveniente, ni constituye una parte esencial del desarrollo lingüístico. Los términos colectivos tradicionales deben ser conservados en aquellos casos en los que su abandono puede comprometer una clara noción del hombre como figura unitaria, inclusiva y corporativa, al mismo tiempo que personal; como es expresado, por ejemplo, en el Hebraico adam, el Griego anthropos y el Latín homo. Del mismo modo, la expresión de una tal inclusividad no debe ser reemplazada por un cambio automático del número gramatical ni por la utilización de términos paralelos, masculino y femenino.

El género tradicional gramatical de las Personas de la Trinidad debe ser mantenido. Expresiones tales como Filius Hominis (Hijo del Hombre) y Patres (Padres) deben ser traducidos con exactitud, ya sea en los textos bíblicos o en los litúrgicos. El pronombre femenino debe ser siempre conservado en referencia a la Iglesia. Los términos que expresan afinidad o parentesco y el género gramatical de los ángeles, demonios y deidades paganas, deben ser traducidos, y su género conservado, a la luz del uso en el texto original y el uso tradicional de cada lengua moderna.

La Traducción de un texto

Las traducciones no deben extender o restringir el significado del término original y los términos que recuerden motivos publicitarios o que tienen tonos políticos, ideológicos o semejantes, deben evitarse. Los manuales de estilística para composición vernácula, de corte académico y profano, no deben ser utilizados acriticamente, ya que la Iglesia posee temas muy específicos y un estilo de expresión apropiado para cada uno de ellos.

La traducción es un esfuerzo de colaboración dirigido a mantener la mayor continuidad posible entre el original y los textos en las lenguas vernáculas. El traductor no debe poseer solamente capacidad técnica, sino también confianza en la divina misericordia y espíritu de oración, así como prontitud para aceptar, de buena gana, la revisión de su trabajo por parte de otros. Cuando sean necesarios cambios substanciales para acomodar a esta Instrucción un determinado libro litúrgico, dichas revisiones deben ser realizadas de una sola vez, con el fin de evitar repetidos trastornos o una sensación de continua inestabilidad en la oración litúrgica.

 

 

Traducciones de la Escritura

Se debe prestar especial atención a la traducción de las Sagradas Escrituras, para su uso en la Liturgia. Para ello, debe desarrollarse una versión que sea exegéticamente correcta y, al mismo tiempo idónea para la celebración litúrgica. Una única versión, con estas características, deberá ser usada de forma general dentro del área de una misma Conferencia de los Obispos y ha de ser la misma para un determinado pasaje que pueda encontrarse en diferentes lugares de los libros litúrgicos. La finalidad debe ser la de conseguir un estilo específico, con sentido sagrado, en cada lengua, y que sea acorde, hasta donde sea posible, con el vocabulario utilizado por el uso popular católico y los textos catequéticos más comunes. Todos los casos dudosos que surjan, en referencia a la canonicidad y a la exacta disposición del texto, deben ser resueltos con referencia a la Neo-Vulgata.

Las imágenes concretas, que se encuentran en palabras que se refieren a lenguaje figurativo y hablan, por ejemplo, de "dedo", "mano", "rostro" de Dios o de su "caminar", y términos como "carne" u otros, deben ser traducidos literalmente y no ser reemplazados por abstracciones. Estos constituyen, de hecho, imágenes propias del texto bíblico y, en cuanto tales, deben ser mantenidas.

Otros Textos Litúrgicos

Las normas para la traducción de la Biblia en su uso litúrgico se aplican también, generalmente, para la traducción de las oraciones litúrgicas. Al mismo tiempo, debe reconocerse que mientras la oración litúrgica es compuesta bajo el condicionamiento de la cultura que la utiliza, tiene asimismo un papel que favorece la misma cultura, por lo que su relación con ella no es meramente pasiva. Como resultado de esta realidad, el lenguaje litúrgico suele ser distinto del lenguaje ordinario, reflejando también sus mejores elementos. El ideal será el desarrollo, en un determinado contexto cultural, de un lenguaje digno, adecuado para ser utilizado en el culto.

El vocabulario litúrgico debe incluir las características principales del Rito Romano, enraizado en las fuentes patrísticas y en armonía con los textos bíblicos. El vocabulario y los usos en la traducción vernácula del Catecismo de la Iglesia Católica y de la Liturgia deberían ser, hasta donde fuera posible, los mismos; además, los términos específicos deberían ser utilizados para las personas o las cosas sagradas, en vez emplear las palabras que se aplican a las personas o las cosas en la vida cotidiana.

La sintaxis, el estilo y el género literario son igualmente elementos de gran importancia que deben ser tenidos en cuenta para una traducción fiel. La relación entre proposiciones, especialmente entre aquellas que se sirven de la subordinación, y técnicas tales como el paralelismo, deben ser respetadas diligentemente. Los verbos deben traducirse con precisión, respetando la persona, el género y el número. Mayor libertad puede haber, en cambio, al traducir estructuras sintácticas más complejas.

Siempre se debe tener presente que los textos litúrgicos están destinados a la proclamación pública, en voz alta, e incluso, a ser cantados.

Tipos de Textos Particulares

Se dan normas específicas para la traducción de las Plegarias Eucarísticas, del Credo (que debe traducirse en primera persona singular: Creo…), de la ordenación general de los libros litúrgicos, de sus decretos preliminares y de sus textos introductorios. A ellas sigue una descripción de la preparación de las traducciones, a cargo de las Conferencias de los Obispos, y del proceso necesario para obtener la aprobación y confirmación de la Sede Apostólica. Los actuales requisitos específicos, para la aprobación pontificia de las fórmulas sacramentales, se confirman y la exigencia de que haya dentro de cada grupo lingüístico una sola traducción litúrgica, especialmente del Ordinario de la Misa.

La Organización del Trabajo de Traducción y de las Comisiones

La preparación de las traducciones es una grave obligación, que incumbe, sobre todo, a los Obispos, aunque ellos, naturalmente, se valgan de la ayuda de los expertos. En todo trabajo de traducción, al menos algunos de los Obispos deben involucrarse directamente, no sólo revisando personalmente los textos definitivos, sino tomando parte activa en los varios estadios de su desarrollo. Aunque no todos los Obispos de una Conferencia sean expertos en un determinado idioma usado en sus territorios, deberían, sin embargo, asumir colegialmente la responsabilidad de los textos litúrgicos y la forma común de proceder, pastoralmente, en la elección de las distintas lenguas.

La Instrucción presenta con claridad el procedimiento (que en general es el que ha estado hasta ahora en uso) para la aprobación de los textos litúrgicos, por parte de los Obispos y de su posterior presentación para la revisión y confirmación, a la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos. El documento dedica cierto espacio a expresar el sentido de la competencia de la Santa Sede en las cuestiones litúrgicas, fundamentándose, en parte, en el Motu Proprio Apostolos suos del Papa Juan Pablo II, de 1998, en el que fueron clarificadas la naturaleza y la función de las Conferencias de los Obispos. El referido procedimiento constituye un signo de la comunión de los Obispos con el Papa y un medio para afianzarla. Es, además, una garantía de la calidad de los textos, asegurando y testimoniando que las celebraciones litúrgicas de las Iglesias particulares (diócesis) están en plena armonía con la tradición de la Iglesia Católica a través de los tiempos y en todos los lugares del mundo entero.

Cuando la cooperación entre varias Conferencias de Obispos que usan una misma lengua es conveniente o necesaria, únicamente la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos tiene la facultad de erigir comisiones conjuntas o "mixtas", y sólo después de una petición de los Obispos interesados. Dichas comisiones no son autónomas y no constituyen, en ningún caso, un canal de comunicación entre la Santa Sede y las Conferencias de los Obispos. No tienen ninguna facultad de tomar decisiones y su papel se limita a estar al servicio del oficio pastoral de los Obispos. Deben ocuparse exclusivamente de la traducción de las editiones typicae latinas y no de la composición de nuevos textos en lengua vernácula, ni de la consideración de cuestiones teóricas o de adaptaciones culturales, y el establecimiento de relaciones con instancias semejantes de otros grupos lingüísticos queda fuera de su competencia.

La quinta Instrucción recomienda que, al menos algunos de los Obispos que formen parte de dicha comisión, sean Presidentes de la Comisión Litúrgica de sus Conferencias respectivas. De cualquier modo, la comisión "mixta" está dirigida por los Obispos, de acuerdo con los estatutos que deben ser confirmados por la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos. Los estatutos deben ser aprobados, normalmente, por todas las Conferencias de los Obispos participantes, pero si ello no fuese posible, la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos podría preparar y aprobar los estatutos por su propia autoridad.

Comisiones de ese tipo, dice el documento, operan mejor coordinando el uso de los recursos disponibles de cada Conferencia de los Obispos, así por ejemplo, una de ellas puede elaborar una primera redacción de traducción, que luego puede ser pulida por otra Conferencia, hasta llegar a obtener un texto mejorado y apto para el uso general.

Dichas Comisiones "mixtas" no tienen como finalidad sustituir a las comisiones litúrgicas nacionales y diocesanas, y por tanto, no deben ser encargadas de las funciones de estas últimas.

A causa de la importancia del trabajo, todos los involucrados en forma estable en la actividad de una Comisión "mixta", excepto los Obispos, deben obtener un nihil obstat de la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos, antes de asumir las tareas. Como todo lo relacionado con la comisión, estos colaboradores prestan su servicio por un tiempo determinado y se encuentran ligados por un contrato que, entre otras cosas, implica el debido secreto y el anonimato en el cumplimiento de sus tareas.

La comisiones ya existentes deben presentar sus estatutos, en conformidad con esta Instrucción, y someterlos a la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos en el plazo de dos años desde la fecha de publicación de la misma.

El documento presenta también la necesidad propia que tiene la Santa Sede de traducciones litúrgicas, especialmente en las principales lenguas mundiales, y su deseo de estar más íntimamente involucrada en su preparación, en el futuro. Se refiere también, en términos generales, a los diversos tipos de organismos que la Congregación para el Culto Divino y la Disciplina de los Sacramentos puede establecer, crear y erigir para resolver problemas relacionados con la traducción en una o más lenguas.

Nuevas Composiciones

Un apartado sobre la composición de nuevos textos, señala que su propósito es, solamente, el de responder a una necesidad genuinamente cultural o pastoral. De ahí que su composición sea competencia exclusiva de las Conferencias de los Obispos y no de las comisiones "mixtas" para las traducciones. Dichos textos deben respetar el estilo, la estructura, el vocabulario y las demás cualidades tradicionales del Rito Romano. Son particularmente importantes, a causa de su impacto en la persona y en la memoria, los himnos y los cantos. En este campo, las Conferencias de Obispos deben realizar una revisión general del material existente en lengua vernácula y regular la cuestión de acuerdo con la Congregación, en el plazo de cinco años.

La Instrucción concluye con un breve número de apartados técnicos, ofreciendo directrices sobre la publicación y edición de los libros litúrgicos, incluyendo el copyright (derechos de autor), y también sobre los procedimientos para la traducción de los textos litúrgicos propios, de cada diócesis y de cada familia religiosa.

[00735-04.01] [Texto original: Español]