UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CORSO SUL FORO INTERNO PROMOSSO DALLA PENITENZIERIA APOSTOLICA Alle ore 11.45 di oggi, nella Sala Clementina, Giovanni Paolo II ha ricevuto in Udienza la Penitenzieria Apostolica, i Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell’Urbe e i giovani sacerdoti e candidati al sacerdozio, partecipanti al Corso sul Foro interno promosso dalla medesima Penitenzieria.
Pubblichiamo di seguito il discorso che il Santo Padre ha rivolto ai partecipanti al Corso:
● DISCORSO DEL SANTO PADRE
Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari Seminaristi!
1. Questo tradizionale incontro annuo è sempre per me motivo di particolare gioia. L'Udienza concessa alla Penitenzieria Apostolica, ai Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe e ai giovani sacerdoti e candidati al sacerdozio, partecipanti al Corso sul Foro interno promosso dalla Penitenzieria, mi offre infatti l'occasione per intrattenermi sull'uno o sull'altro aspetto del Sacramento della riconciliazione, tanto importante per la vita della Chiesa.
Saluto innanzitutto il Cardinale Penitenziere, ringraziandolo per le gentili parole che, a nome di tutti, mi ha poc'anzi rivolto. Saluto poi i Membri della Penitenzieria, l'organo della Sede Apostolica che ha il compito di offrire i mezzi della riconciliazione nei casi più gravi e drammatici del peccato, insieme con il consiglio autoritativo per i problemi di coscienza, e l'indulgenza, coronamento della grazia conservata o ritrovata per misericordia del Signore. Saluto, inoltre, i Padri Penitenzieri che vivono il loro sacerdozio con generosa dedizione al ministero della riconciliazione sacramentale, ed i giovani presenti che, ben comprendendo l'eccellenza e l'indispensabilità di questo ministero, hanno voluto approfondire la loro preparazione mediante la partecipazione al corso che giunge ora alla sua conclusione. Il mio pensiero si allarga, infine, con grato apprezzamento a tutti i sacerdoti del mondo che, specialmente nel recente Giubileo, si sono dedicati con paziente e coscienziosa fatica al prezioso servizio del confessionale.
2. Mediante il Battesimo, l'essere umano è assimilato a Cristo con una configurazione ontologica incancellabile. La sua volontà resta, però, esposta al fascino del peccato, che è ribellione alla volontà santissima di Dio. Ciò ha come conseguenza la perdita della vita divina della grazia e, nei casi limite, la rottura anche del vincolo giuridico e visibile con la Chiesa: questa è la tragica causalità del peccato.
Ma Dio, "dives in misericordia" (cfr Ef 2, 4), non abbandona il peccatore al suo destino. Mediante la potestà concessa agli Apostoli e ai loro successori, rende operante in lui, se pentito, la redenzione acquistata da Cristo nel mistero pasquale. E' questa la mirabile efficacia del Sacramento della riconciliazione, che sana la contraddizione prodotta dal peccato e ripristina la verità del cristiano quale vivo membro della Chiesa, mistico Corpo di Cristo. Il Sacramento appare così organicamente connesso con l'Eucaristia, che, memoriale del Sacrificio del Calvario, è fonte e culmine di tutta la vita della Chiesa, una e santa.
Gesù è mediatore unico e necessario della salvezza eterna. E' esplicito, in proposito, san Paolo: "Uno solo infatti è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti" (1 Tm 2, 5). Deriva da qui la necessità, in ordine alla salvezza eterna, di quei mezzi di grazia, istituiti da Gesù, che sono i Sacramenti. E' quindi illusoria e nefasta la pretesa di regolare i propri conti con Dio, prescindendo dalla Chiesa e dall'economia sacramentaria. E' significativo che il Risorto, la sera di Pasqua, in un medesimo contesto, abbia conferito agli Apostoli il potere di rimettere i peccati e ne abbia dichiarato la necessità (cfr Gv 20,23). Nel Concilio Tridentino la Chiesa ha solennemente espresso questa necessità riguardo ai peccati mortali (cfr sess. XIV, cap. 5 e can. 6 - DS 1679, 1706).
Si fonda qui il dovere dei sacerdoti verso i fedeli e il diritto di questi verso i sacerdoti alla corretta amministrazione del Sacramento della penitenza. Su questo tema, nei suoi vari aspetti, vertono i dodici Messaggi da me diretti alla Penitenzieria Apostolica, nell'arco di tempo tra il 1981 e lo scorso anno 2000.
3. Il grande afflusso dei fedeli alla Confessione sacramentale durante l'Anno Giubilare ha mostrato come tale tema - e con esso quello delle Indulgenze, che sono state e sono felice stimolo per la riconciliazione sacramentale - sia sempre attuale: i cristiani avvertono questo interiore bisogno e si dimostrano grati quando, con doverosa disponibilità, i sacerdoti li accolgono al confessionale. Perciò, nella Lettera apostolica "Novo millennio ineunte" ho scritto: "L'Anno Giubilare, che è stato particolarmente caratterizzato dal ricorso alla Penitenza sacramentale, ci ha offerto un messaggio incoraggiante, da non lasciar cadere: se molti, e tra essi anche tanti giovani, si sono accostati con frutto a questo sacramento... è necessario... presentarlo e farlo valorizzare" (n. 37).
Confortato da questa esperienza, che è promessa per il futuro, desidero nell'odierno Messaggio richiamare alcuni aspetti di speciale importanza sul piano sia dei principi che dell'orientamento pastorale. La Chiesa è, nei suoi ministri ordinati, soggetto attivo dell'opera della riconciliazione. San Matteo registra le parole di Gesù ai discepoli: "In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo" (18, 18). Parallelamente san Giacomo, parlando dell'Unzione degli infermi, anch'essa Sacramento di riconciliazione, esorta: "Chi è malato, chiami a se i presbiteri della Chiesa, e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore" (5, 14).
La celebrazione del Sacramento della penitenza è sempre atto della Chiesa, che in esso proclama la sua fede e rende grazie a Dio, che in Gesù Cristo ci ha liberati dal peccato. Da ciò consegue che, sia per la validità sia per la liceità del Sacramento stesso, il sacerdote e il penitente devono attenersi fedelmente a ciò che la Chiesa insegna e prescrive. Per l'assoluzione sacramentale, in particolare, le formule da usare sono quelle prescritte nell'"Ordo Paenitentiae" e negli analoghi testi rituali vigenti per le Chiese orientali. E' assolutamente da escludere l'uso di formule diverse.
E' necessario anche tener presente il disposto del can. 720 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali e del can. 960 del Codice di Diritto Canonico, secondo i quali la confessione individuale ed integra e l'assoluzione sono l'unico modo ordinario perché il fedele conscio di peccato grave possa riconciliarsi con Dio e con la Chiesa. Perciò l'assoluzione collettiva, senza la previa accusa individuale dei peccati, deve essere rigorosamente contenuta entro le tassative norme canoniche (cfr CCEO, cann. 720-721; CIC, cann. 961, 962 e 963).
4. Il sacerdote, come ministro del Sacramento, agisce in persona Christi, al vertice dell'economia soprannaturale. Il penitente nella confessione sacramentale compie un atto "teologale", dettato cioè dalla fede, con un dolore derivato da motivi soprannaturali di timore di Dio e di carità, in ordine al ripristino dell'amicizia con Lui, e quindi in ordine alla salvezza eterna.
Al tempo stesso, come è suggerito dalla formula dell'assoluzione sacramentale, con le parole: "Dio... ti conceda il perdono e la pace", il penitente aspira alla pace interiore, e legittimamente desidera anche quella psicologica. Non bisogna tuttavia confondere il Sacramento della riconciliazione con una tecnica psicoterapeutica. Pratiche psicologiche non possono surrogare il Sacramento della penitenza, né tanto meno essere imposte in suo luogo.
Il confessore, ministro della misericordia di Dio, si sentirà impegnato ad offrire ai fedeli con piena disponibilità il suo tempo e la sua comprensiva pazienza. In merito il can. 980 del Codice di Diritto Canonico statuisce che "se il confessore non ha dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chiede l'assoluzione, essa non sia negata ne differita"; il can. 986, poi, fa preciso obbligo ai sacerdoti in cura d'anime di ascoltare le confessioni dei loro fedeli "qui rationabiliter audiri petant" (CCEO, can. 735 § 1). Tale obbligo è un'applicazione di un principio generale, di ordine sia giuridico che pastorale, secondo il quale "i ministri sacri non possono rifiutare l'amministrazione dei sacramenti a coloro che la chiedono opportunamente, siano disposti nel debito modo, e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli" (CIC, can. 843 § 1). E poiché "caritas Christi urget nos", anche il sacerdote che non è in cura d'anime si mostrerà al riguardo generoso e pronto. In ogni caso, si rispetti la normativa canonica circa la sede necessaria e opportuna per udire le confessioni sacramentali (cfr CCEO, can. 736; CIC, can. 964).
Oltre che atto della fede della Chiesa, il Sacramento è anche personale atto di fede, di speranza e, almeno in uno stadio incipiente, di carità del penitente. Compito del sacerdote sarà quindi di aiutarlo a compiere la confessione dei peccati non come semplice rivisitazione del passato, ma come atto di religiosa umiltà e di confidenza nella misericordia di Dio.
5. La trascendente dignità, che rende possibile al sacerdote di agire in persona Christi nell'amministrazione dei Sacramenti, crea in lui - salva sempre per il penitente l'efficacia del Sacramento anche se il ministro non fosse degno - il dovere di assimilarsi a Cristo così da riuscire per il fedele viva immagine di Lui: per giungere a ciò è necessario che egli, a sua volta, si accosti fedelmente e spesso, come penitente, al Sacramento della riconciliazione.
La stessa condizione di ministro in persona Christi fonda nel sacerdote l'obbligo assoluto del sigillo sacramentale sui contenuti confessati nel Sacramento, anche a costo, se necessario, della stessa vita. I fedeli, infatti, affidano il misterioso mondo della loro coscienza al sacerdote non in quanto persona privata, ma in quanto strumento, per mandato della Chiesa, di un potere e di una misericordia che sono solo di Dio.
Il confessore è giudice, medico e maestro per conto della Chiesa. Come tale egli non può proporre la "sua" personale morale o ascetica, cioè le sue private opinioni od opzioni, ma deve esprimere la verità di cui la Chiesa è depositaria e garante nel Magistero autentico (cfr CIC, can. 978).
Nel Giubileo, dei cui frutti spirituali rendiamo grazie a Dio, la Chiesa ha commemorato il bimillenario della nascita tra gli uomini del Figlio di Dio, fattosi uomo nel seno di Maria e resosi partecipe in tutto, fuorché nel peccato, della condizione umana. La celebrazione ha ravvivato nella coscienza dei cristiani la consapevolezza della presenza viva ed operante di Cristo nella Chiesa: "Christus heri et hodie, Ipse et in saecula". E' precisamente a servizio di questo dinamismo della grazia di Cristo che si pone l'economia sacramentaria. In essa la Penitenza, strettamente connessa col Battesimo e con l'Eucaristia, agisce affinché il Cristo rinasca e permanga misticamente nei credenti.
Scaturisce di qui l'importanza di questo Sacramento, di cui Cristo ha voluto far dono alla sua Chiesa nel giorno stesso della sua risurrezione (cfr Gv 20,19-23). Esorto i sacerdoti di ogni parte del mondo a farsene ministri generosi, affinché l'onda della misericordia divina possa raggiungere ogni anima bisognosa di purificazione e di conforto. Maria Santissima, che in Betlemme diede fisicamente alla luce Gesù, ottenga ad ogni sacerdote di essere generatore del Cristo nelle anime, facendosi strumento di un Giubileo senza tramonto.
Su queste aspirazioni scenda la benedizione del Signore, che con voi e per voi invoco in umile preghiera: ne sia auspice la Benedizione Apostolica, che di gran cuore a tutti imparto.
[00512-01.01] [Testo originale: Italiano]