MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA QUARESIMA 2001 ○ Testo originale in lingua italiana
○ Traduzione in lingua francese
○ Traduzione in lingua inglese
○ Traduzione in lingua tedesca
○ Traduzione in lingua spagnola
○ Testo originale in lingua italiana
"La carità non tiene conto del male ricevuto" (1 Cor 13, 5)
1. "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme" (Mc 10, 33). Con queste parole il Signore invita i discepoli a percorrere con Lui il cammino che dalla Galilea conduce al luogo dove si consumerà la sua missione redentrice. Questo cammino verso Gerusalemme, che gli Evangelisti presentano come il coronamento dell’itinerario terreno di Gesù, costituisce il modello della vita del cristiano, impegnato a seguire il Maestro sulla via della Croce. Anche agli uomini e alle donne di oggi Cristo rivolge 1’invito a "salire a Gerusalemme". Lo rivolge con forza particolare in Quaresima, tempo favorevole per convertirsi e ritrovare la piena comunione con Lui, partecipando intimamente al mistero della sua morte e risurrezione.
La Quaresima, pertanto, rappresenta per i credenti l’occasione propizia di una profonda revisione di vita. Nel mondo contemporaneo, accanto a generosi testimoni del Vangelo, non mancano battezzati che, dinanzi all’esigente appello ad intraprendere la "salita verso Gerusalemme", assumono un atteggiamento di sorda resistenza ed a volte anche di aperta ribellione. Sono situazioni in cui l’esperienza della preghiera è vissuta in modo piuttosto superficiale, così che la parola di Dio non incide nell’esistenza. Lo stesso Sacramento della Penitenza è ritenuto da molti insignificante e la Celebrazione eucaristica domenicale soltanto un dovere da assolvere.
Come accogliere l’invito alla conversione che Gesù ci rivolge anche in questa Quaresima? Come realizzare un serio cambiamento di vita? Occorre innanzitutto aprire il cuore ai toccanti messaggi della liturgia. Il periodo che prepara alla Pasqua rappresenta un provvidenziale dono del Signore ed una preziosa possibilità per avvicinarsi a Lui, rientrando in se stessi e mettendosi in ascolto dei suoi interiori suggerimenti.
2. Ci sono cristiani che pensano di poter fare a meno di tale costante sforzo spirituale, perché non avvertono 1’urgenza di confrontarsi con la verità del Vangelo. Essi tentano di svuotare e rendere innocue, perché non turbino il loro modo di vivere, parole come: "Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano" (Lc 6, 27). Tali parole, per queste persone, risuonano quanto mai difficili da accettare e da tradurre in coerenti comportamenti di vita. Sono infatti parole che, se prese sul serio, obbligano ad una radicale conversione. Invece, quando si è offesi e feriti, si è tentati di cedere ai meccanismi psicologici dell’autocompassione e della rivalsa, ignorando 1’invito di Gesù ad amare il proprio nemico. Eppure le vicende umane d’ogni giorno mettono in luce, con grande evidenza, quanto il perdono e la riconciliazione siano irrinunciabili per porre in essere un reale rinnovamento personale e sociale. Questo vale nelle relazioni interpersonali, ma anche nei rapporti fra comunità e fra nazioni.
3. I numerosi e tragici conflitti che dilaniano l’umanità, scaturiti talvolta anche da malintesi motivi religiosi, hanno scavato solchi di odio e di violenza tra popoli e popoli. A volte, questo avviene anche tra gruppi e fazioni all’interno di una stessa nazione. Si assiste infatti talora, con un doloroso senso di impotenza, al riaffiorare di lotte che si credevano definitivamente sopite e si ha l’impressione che alcuni popoli siano coinvolti in una spirale di violenza inarrestabile, che continuerà a mietere vittime e vittime, senza una concreta prospettiva di soluzione. E gli auspici di pace, che si levano da ogni parte del mondo, risultano inefficaci: l’impegno necessario per avviare verso la desiderata concordia non riesce ad affermarsi.
Di fronte a questo inquietante scenario, i cristiani non possono restare indifferenti. E' per questo che, nell’Anno giubilare appena concluso, mi sono fatto voce della richiesta di perdono della Chiesa a Dio per i peccati dei suoi figli. Siamo ben consapevoli che le colpe dei cristiani ne hanno purtroppo offuscato il volto immacolato, ma, confidando nell’amore misericordioso di Dio che non tiene conto del male in vista del pentimento, sappiamo anche di poter continuamente riprendere fiduciosi il cammino. L’amore di Dio trova la sua espressione più alta proprio quando l’uomo, peccatore e ingrato, viene riammesso alla piena comunione con Lui. In quest’ottica, la "purificazione della memoria" costituisce soprattutto la rinnovata confessione della misericordia divina, una confessione che la Chiesa, ai suoi diversi livelli, è chiamata ogni volta a fare propria con rinnovata convinzione.
4. L’unica via della pace è il perdono. Accettare e donare il perdono rende possibile una nuova qualità di rapporti tra gli uomini, interrompe la spirale dell’odio e della vendetta e spezza le catene del male, che avvincono il cuore dei contendenti. Per le nazioni in cerca di riconciliazione e per quanti auspicano una coesistenza pacifica tra individui e popoli, non c’è altra via che questa: il perdono ricevuto ed offerto. Quanto ricche di salutari insegnamenti risuonano le parole del Signore: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (Mt 5,44-45)! Amare chi ci ha offesi disarma l’avversario e può trasformare in un luogo di solidale cooperazione anche un campo di battaglia.
È una sfida, questa, che concerne le singole persone, ma anche le comunità, i popoli e l’intera umanità. Interessa, in modo speciale, le famiglie. Non è facile convertirsi al perdono ed alla riconciliazione. Riconciliarsi può già apparire problematico quando all’origine c’è una propria colpa. Se poi la colpa è dell’altro, riconciliarsi può essere visto addirittura come irragionevole umiliazione. Per fare un simile passo è necessario un cammino di interiore conversione; occorre il coraggio dell’umile obbedienza al comando di Gesù. La sua parola non lascia dubbi: non solo chi provoca l’inimicizia, ma anche chi la subisce deve cercare la riconciliazione (cfr Mt 5, 23-24). Il cristiano deve fare la pace anche quando si sente vittima di chi l’ha ingiustamente offeso e percosso. Il Signore stesso ha agito così. Egli attende che il discepolo lo segua, cooperando in tal modo alla redenzione del fratello.
In questo nostro tempo, il perdono appare sempre più come dimensione necessaria per un autentico rinnovamento sociale e per il consolidarsi della pace nel mondo. La Chiesa, annunciando il perdono e l’amore per i nemici, è consapevole di immettere nel patrimonio spirituale dell’intera umanità un modo nuovo di rapportarsi agli altri; un modo certo faticoso, ma ricco di speranza. In questo essa sa di poter contare sull’aiuto del Signore, che mai abbandona chi a Lui ricorre nelle difficoltà.
5. "La carità non tiene conto del male ricevuto" (1 Cor 13,5).In questa espressione della prima Lettera ai Corinti, l’apostolo Paolo ricorda che il perdono è una delle forme più elevate dell’esercizio della carità. Il periodo quaresimale rappresenta un tempo propizio per meglio approfondire la portata di questa verità. Mediante il Sacramento della riconciliazione, il Padre ci dona in Cristo il suo perdono e questo ci spinge a vivere nella carità, considerando l’altro non come un nemico, ma come un fratello.
Possa questo tempo di penitenza e di riconciliazione incoraggiare i credenti a pensare e ad operare nel segno di una carità autentica, aperta a tutte le dimensioni dell’uomo. Questo atteggiamento interiore li condurrà a portare i frutti dello Spirito (cfr Ga1 5, 22) e ad offrire con cuore nuovo 1’aiuto materiale a chi è nel bisogno.
Un cuore riconciliato con Dio e con il prossimo è un cuore generoso. Nei giorni sacri della Quaresima la «colletta» assume un significativo valore, perché non si tratta di donare qualcosa del superfluo per tranquillizzare la propria coscienza, ma di farsi carico con sollecitudine solidale della miseria presente nel mondo. Considerare il volto dolorante e le condizioni di sofferenza di tanti fratelli e sorelle non può non spingere a condividere almeno parte dei propri beni con chi è in difficoltà. E l’offerta quaresimale risulta ancor più ricca di valore, se chi la compie si è liberato dal risentimento e dall’indifferenza, ostacoli che tengono lontani dalla comunione con Dio e con i fratelli.
Il mondo attende dai cristiani una coerente testimonianza di comunione e di solidarietà. Sono al riguardo quanto mai illuminanti le parole dell’apostolo Giovanni: "Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?" (1 Gv 3, 17).
Fratelli e Sorelle! San Giovanni Crisostomo, commentando l’insegnamento del Signore sul cammino verso Gerusalemme, ricorda che Cristo non lascia i discepoli ignari delle lotte e dei sacrifici che li attendono. Egli sottolinea che rinunciare al proprio «io» è difficile, ma non impossibile quando si può contare sull’aiuto di Dio a noi concesso "mediante la comunione con la persona di Cristo" ( PC 58, 619 s).
Ecco perché, in questa Quaresima, desidero invitare tutti i credenti ad un’ardente e fiduciosa preghiera al Signore, perché conceda a ciascuno di fare una rinnovata esperienza della sua misericordia. Solo questo dono ci aiuterà ad accogliere e vivere in modo sempre più gioioso e generoso la carità di Cristo, che "non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità" (l Cor 13, 5-6).
Con questi sentimenti invoco la protezione della Madre della Misericordia sul cammino quaresimale dell’intera Comunità dei credenti e di cuore imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 7 Gennaio 2001
IOANNES PAULUS II
[00207-01.01] [Testo originale: Italiano]
○ Traduzione in lingua francese
"La charité ne tient pas compte du mal" (1 Cor 13, 5)
1. «Voici que nous montons à Jérusalem» (Mc 10, 33). Avec ces paroles, le Seigneur invite les disciples à parcourir avec Lui le chemin qui, de la Galilée, mène au lieu où se consumera sa mission rédemptrice. Ce chemin vers Jérusalem, que les Evangélistes présentent comme le couronnement de l’itinéraire de Jésus sur terre, constitue le modèle de vie du chrétien engagé à la suite du Maître sur la voie de la Croix. Cette invitation à «monter à Jérusalem», Christ l’adresse également aux hommes et aux femmes d’aujourd’hui. Il adresse cette invitation avec une force particulière durant le temps de Carême, temps favorable pour se convertir et retrouver la pleine communion avec Lui, en participant intimement au mystère de sa mort et de sa résurrection.
Pour les croyants, le Carême représente donc l’occasion propice pour une profonde révision de vie. Dans le monde contemporain, à côté des généreux témoins de l’Evangile, il ne manque pas de baptisés qui, face à l’appel exigeant d’entreprendre la «montée vers Jérusalem », assument une attitude de sourde résistance et parfois même de franche rébellion. Ce sont des situations où l’expérience de la prière est vécue de façon plutôt superficielle, de sorte que la parole de Dieu n’a pas d’incidence sur l’existence. Nombreux sont ceux qui n’accordent aucune signification même au Sacrement de la Pénitence et considèrent la Célébration eucharistique dominicale seulement comme un devoir à remplir.
Comment accueillir l’invitation à la conversion que Jésus nous adresse aussi durant ce Carême? Comment obtenir un sérieux changement de vie? Il s’agit avant tout d’ouvrir le cœur aux messages touchants de la liturgie. La période qui prépare à la Pâque représente un don providentiel du Seigneur et une possibilité précieuse pour s’approcher à Lui, en rentrant en soi-même et en se mettant à l’écoute de ses suggestions intérieures.
2. Il y a des chrétiens qui pensent pouvoir se passer de cette constante force spirituelle, parce qu’ils ne perçoivent pas l’urgence de se confronter avec la vérité de l’Evangile. Pour qu’elles ne perturbent pas leur mode de vie, ils tentent de vider et de rendre inoffensives des paroles telles que: «Aimez vos ennemis, faites du bien à ceux qui vous haïssent» (Lc 6, 27). Pour ces personnes, il résulte difficile d’accepter ces paroles et de les traduire en de comportements de vie cohérents. Il s’agit en effet de paroles qui, prises au sérieux, exigent une conversion radicale. Au contraire, lorsque nous nous sentons offensés et blessés, nous sommes tentés de céder aux mécanismes psychologiques de l’autocompassion et de la revanche, ignorant l’invitation de Jésus à aimer le propre ennemi. Les vicissitudes humaines de chaque jour pourtant font voir, avec grande évidence, combien il est inconcevable de renoncer au pardon et à la réconciliation pour un réel renouveau personnel et social. Ceci vaut dans les relations interpersonnelles, mais aussi dans les rapports entre communautés et entre nations.
3. Les nombreux conflits tragiques qui déchirent l’humanité, ayant comme origine parfois même des questions religieuses mal comprises, ont creusé des fossés de haine et de violence entre les peuples. Ceci survient parfois même entre les groupes et les factions au sein d’une même nation. C’est ainsi que nous assistons parfois, avec un fort sens d’impuissance, à la reprise de luttes que l’on considérait définitivement apaisées, donnant l’impression que certains peuples sont impliqués dans une spirale de violence incessante, qui continuera à faire victimes et victimes, sans une perspective concrète de solution. Et les vœux de paix, qui se lèvent de toutes les parties du monde, semblent inefficaces : l’engagement nécessaire pour acheminer vers la concorde désirée ne parvient pas à s’affirmer.
Face à ce scénario inquiétant, les chrétiens ne peuvent pas rester indifférents. Et c’est pour cela que, durant l’Année Jubilaire à peine conclue, je me suis fait porte-parole de la demande de pardon de l’Église à Dieu pour les péchés de ses enfants. Nous sommes bien conscients que les fautes des chrétiens en ont malheureusement offusqué le visage immaculé, mais, confiant en l’amour miséricordieux de Dieu qui ne tient pas compte du mal en vue du repentir, nous savons également que c’est avec confiance que nous pouvons sans cesse reprendre le chemin. L’amour de Dieu trouve son expression la plus haute justement lorsque l’homme, pécheur et ingrat, est réadmis à la pleine communion avec Lui. Dans cette optique, la «purification de la mémoire » est avant tout un renouveau de la miséricorde divine, une profession que l’Église, à ses différents niveaux, fait sienne avec une conviction renouvelée.
4. L’unique voie de la paix est le pardon. Accepter et accorder le pardon permet une nouvelle qualité de rapports entre les hommes, interrompt la spirale de la haine et de la vengeance et rompt les chaînes du mal autour du cœur des adversaires. Pour les nations à la recherche de la réconciliation et pour tous ceux qui désirent une coexistence pacifique parmi les individus et les peuples, il n’y a pas d’autre voie: le pardon reçu et offert. Quelle richesse en enseignements salutaires contiennent les paroles du Seigneur: «Aimez vos ennemis et priez pour vos persécuteurs, afin de devenir fils de votre Père qui est aux cieux, car il fait lever son soleil sur les méchants et sur les bons, et tomber la pluie sur les justes et sur les injustes» (Mt 5, 44-45)! Aimer qui nous a offensés désarme l’adversaire et peut transformer même un champ de bataille en un lieu de coopération solidaire.
Ceci est un défi qui concerne les personnes individuelles mais aussi les communautés, les peuples et l’entière humanité, et de façon spéciale les familles. Il n’est pas facile de se convertir au pardon et à la réconciliation. Se réconcilier peut déjà apparaître problématique lorsque à l’origine se trouve notre propre faute. Lorsque la faute est de l’autre, se réconcilier peut carrément être perçu comme une humiliation non raisonnable. Pour une telle démarche, un chemin de conversion intérieure est nécessaire ; il faut le courage de l’humble obéissance au commandement de Jésus. Sa parole ne laisse pas de doute: non seulement celui qui provoque l’inimitié mais aussi celui qui la subit doit chercher la réconciliation (cfr. Mt 5, 23-24). Le chrétien doit faire la paix aussi lorsqu’il se sent victime de qui l’a injustement offensé et frappé. Le Seigneur même a agi ainsi. Il s’attend que le disciple le suive, coopérant de telle façon à la rédemption du frère.
En notre temps, le pardon apparaît davantage comme dimension nécessaire pour un renouveau social authentique et pour la consolidation de la paix dans le monde. L’église, en annonçant le pardon et l’amour pour les ennemis, est consciente d’introduire dans le patrimoine spirituel de l’entière humanité une façon nouvelle de se rapporter aux autres; une façon certes laborieuse, mais riche en espérance. Pour ce faire, elle sait de pouvoir compter sur l’aide du Seigneur qui jamais n’abandonne celui qui fait appel à Lui dans les moments de difficulté.
5. «La charité ne tient pas compte du mal» (1 Cor 13,5). Dans cette expression de la première Lettre aux Corinthiens, l’apôtre Paul rappelle que le pardon est une des formes les plus élevées de l’exercice de la charité. Le temps de Carême représente un temps propice pour mieux approfondir la portée de cette vérité. Grâce au Sacrement de la réconciliation, le Père nous donne son pardon en Christ et ceci nous pousse à vivre l’esprit de charité, considérant l’autre non pas comme un ennemi, mais comme un frère.
Que ce temps de pénitence et de réconciliation puisse encourager les croyants à penser et à œuvrer dans le sens d’une charité authentique, ouverte à toutes les dimensions de l’homme. Cette attitude intérieure les mènera à porter les fruits de l’Esprit (cfr. Gal 5, 22) et à offrir avec un cœur nouveau l’aide matérielle à qui se trouve dans le besoin.
Un cœur réconcilié avec Dieu et avec le prochain est un cœur généreux. Durant les jours sacrés de Carême, la «collecte» assume une valeur significative, parce qu’il ne s’agit pas de donner quelque chose de superflu pour tranquilliser la propre conscience, mais de prendre sur soi, avec une sollicitude solidaire, la misère présente dans le monde. Considérer le visage endolori et les conditions de souffrance de tant de frères et sœurs nous poussent à partager au moins une partie des propres biens avec celui qui se trouve en difficulté. Et l’offre de Carême est encore plus riche en valeur lorsque celui qui le fait s’est libéré du ressentiment et de l’indifférence, obstacles qui tiennent loin de la communion avec Dieu et avec ses frères.
Le monde attend de la part des chrétiens un témoignage cohérent de communion et de solidarité. A ce sujet les paroles de l’apôtre Jean sont particulièrement révélatrices: «Si quelqu’un, jouissant des biens de ce monde, voit son frère dans la nécessité et lui ferme ses entrailles, comment l’amour de Dieu demeurerait-il en lui?» (1 Jn 3, 17).
Frères et Sœurs! Saint Jean Chrysostome, en commentant l’enseignement du Seigneur sur la montée vers Jérusalem, rappelle que Christ ne laisse pas les disciples ignares quant à la lutte et aux sacrifices qui les attendent. Il souligne qu’il est difficile de renoncer au propre «moi», mais non impossible en comptant sur l’aide de Dieu qui nous est accordée «à travers la communion avec la personne de Christ» (PG 58, 619 s).
Voilà pourquoi, en ce Carême, je désire inviter tous les croyants à une prière ardente et pleine de confiance au Seigneur pour qu’il accorde à chacun de nous de faire une nouvelle expérience de sa miséricorde. Seulement ce don nous aidera à accueillir et à vivre de façon de plus en plus joyeuse et généreuse la charité de Christ, qui «ne s’irrite pas, ne tient pas compte du mal; elle ne se réjouit pas de l’injustice, mais elle met sa joie dans la vérité» (1 Cor 13, 5-6)
Avec ces sentiments j’invoque la protection de la Mère de la Miséricorde sur le chemin de Carême de l’entière Communauté des croyants et donne de tout cœur à chacun de vous la Bénédiction Apostolique.
Du Vatican, 7 janvier 2001
IOANNES PAULUS II
[00207-03.01] [Texte original: Italien]
○ Traduzione in lingua inglese
"Love is not resentful" (1 Cor 13:5)
1. "Behold, we are going up to Jerusalem" (Mk 10:33). With these words, the Lord invites the disciples to journey with him along the road that leads from Galilee to the place where he will complete his redemptive mission. The road towards Jerusalem, which the Evangelists present as the crowning point of Jesus’ earthly journey, is the model for the Christian who is committed to following the Teacher on the Way of the Cross. Also to the men and women of today are asked by Christ to "go up to Jerusalem". He insists on this, particularly in Lent, a propitious time for self-conversion and for finding full communion with Him, intimately taking part in the mystery of his death and resurrection.
Lent, therefore, represents for believers the opportune occasion for a profound re-examination of life. In the contemporary world, alongside the generous testimonies of the Gospel, there are baptised who, in the face of the demanding appeal to set out "up to Jerusalem", offer indifferent resistance and sometimes even open rebellion. There are situations in which the experience of prayer is lived in a somewhat superficial way, in a way that the word of God does not penetrate into life. Even the Sacrament of Penance itself is thought by many to be insignificant and the celebration of Sunday Liturgy only as a duty to be fulfilled.
How is one to accept the invitation to conversion that Jesus addresses to us also in this Lenten Season? How can a serious change in life come to be realised? It is necessary first of all to open the heart to the touching messages of the liturgy. The period that leads to Easter represents a providential gift of the Lord and a precious opportunity to draw closer to him, turning inward and listening to his voice within us.
2. Some Christians think they are able to do without such a constant spiritual effort because they do not heed the urgency of confronting themselves with the truth of the Gospel. So as not to disturb their way of living, they attempt to empty and make innocuous words such as: "Love your enemies, do good to those who hate you" (Lk 6:27). For these persons such words sound so difficult to accept and translate into a coherent conduct of life. In fact, they are words that, if taken seriously, demand a radical conversion. Instead, when one is offended or hurt, one is tempted to give in to the psychological mechanisms of self-pity and revenge, ignoring the invitation of Jesus to love one’s enemy. Nevertheless, daily human events clearly evidence how much forgiveness and reconciliation are undeniably needed for bringing about a real personal and social renewal. This is valid in interpersonal relations but also among communities as well as nations.
3. The numerous and tragic conflicts which tear at humanity, sometimes also arising from misunderstood religious motives, have left marks of hatred and violence among peoples. Occasionally, this occurs also among groups and factions within a nation itself. In fact, with a sad sense of helplessness, we assist at times to the return of skirmishes, which were believed definitively settled. This gives the impression that some people are involved in a spiral of unstoppable violence that will continue to reap victims upon victims, without a concrete solution envisioned. The desires for peace that arise from every part of the world are thus ineffective: the necessary commitment to move toward the desired agreement does not appear to take root.
In the face of this alarming scenario, Christians cannot remain indifferent. It is for this reason that, in the Jubilee Year just concluded I spoke out asking God’s pardon for the Church and for the sins of Her children. We are well aware that the guilt of Christians somewhat darkened the spotless face. However, trusting in the God’s merciful love, which does not take into account evil in the face of repentance, we are also able to continually return with confidence to the path. The love of God finds its highest expressions precisely when man, sinful and thankless, is brought back to full communion with him. In this perspective, the "purification of the memory" is above all the renewed confession of Divine mercy, a confession that the Church, at the various levels, is called each time to acknowledge as Her own with renewed conviction.
4. The only way to peace is forgiveness. To accept and give forgiveness makes possible a new quality of rapport between men, interrupting the spiral of hatred and revenge and breaks the chains of evil which bind the heart of rivals. For nations in search of reconciliation and for those hoping for peaceful coexistence among individuals and peoples, there is no other way than forgiveness received and offered. How rich are the beneficial teachings which resonate in the words of the Lord: "Love your enemies and pray for those who persecute you so that you may be sons of your Father who is in heaven; for he makes his sun rise on the evil and on the good and sends rain on the just and on the unjust (Mt 5: 44-45)! To love the one who offends you disarms the adversary and is able to transform a battlefield into a place of supportive co-operation.
This is a challenge that concerns individuals but also communities, peoples and all humanity. It concerns families in a special way. It is not easy to convert one’s self to forgiveness and reconciliation. To reconcile can already seem problematic when at the origin there is self-guilt. If then the other is guilty, to reconcile one’s self can be seen even as an unreasonable humiliation. To take this path, it is necessary to experience interior conversion; the courage of humble obedience to the command of Jesus is necessary. His word leaves no doubt: not only the one who provokes the estranged, but also the one who suffers must find reconciliation (cf. Mt 5:23-24). The Christian must make peace even when feeling as the victim of one who has unjustly offended and struck. The Lord himself acted in this manner. He waits for the disciple to follow him, co-operating in this way in the brotherly redemption.
In our times, forgiveness appears more and more as a necessary dimension for an authentic social renewal and for the strengthening of peace in the world. The Church, announcing forgiveness and love of enemies, is conscious to inspire in the spiritual patrimony of all humanity a new way of relating to each other; a somewhat difficult way but rich in hope. In this the Church knows to rely on the help of the Lord, who never abandons one who turns to him in difficulty.
5. "Love is not resentful" (1 Cor 13:5). In this expression from the First Letter to the Corinthians, the Apostle Paul recalls that forgiveness is one of the highest forms of practising charity. Lent represents a propitious time to further deepen the significance of this virtue. Through the Sacrament of Reconciliation, the Father gives to us in Christ his forgiveness and this encourages us to live in love, considering the other not as an enemy but as a brother.
May this time of penance and reconciliation encourage believers to think and act in the sign of authentic charity, open to all the human dimensions. This inner attitude will lead them to carry the fruits of the Spirit (cf. Gal 5:22) and to offer with a new heart material help to those who are in need.
A heart reconciled with God and with neighbour is a generous heart. In the holy days of Lent the "offering" assumes a deeper meaning, because it is not just giving something from the surplus to relieve one’s conscience, but to truly take upon one’s self the misery present in the world. To look at the suffering face and the conditions of misery of many brothers and sisters forces us to share at least part of our own goods with those in difficulty. The Lenten offering brings about an added richness of meaning if the one making the offering is freed from resentment and indifference, obstacles which keep us far from communion with God and with our brothers and sisters.
The world expects from Christians a consistent witness of communion and solidarity. In this context the words of the Apostle John are very enlightening: "But if any one has the world’s goods and sees his brother in need, yet closes his heart against him, how does God’s love abide in him?" (1 Jn 3:17).
Brothers and Sisters! Saint John Chrysostom, commenting on the teaching of Our Lord on the way to Jerusalem, recalls that Christ does not leave the disciples ignorant of the struggles and sacrifices that awaited them. He underscores that to renounce the "I" is difficult. However it is not impossible when one is able to count on the help of God granted us "through the communion with the person of Christ" (PG 58, 619 s).
That is why, in this Lenten Season, I want to invite all believers to an ardent and confident prayer to the Lord, because it allows each person to experience anew his mercy. Only this gift will help us to welcome and live the love of Christ in an ever more joyful and generous way, a love which "does not insist on its own way; it is not resentful; it does not rejoice at wrong, but rejoices in the right" (1 Cor 13:5-6).
With these sentiments I invoke the protection of the Mother of Mercy on the Lenten journey of the entire Community of believers and impart my heartfelt Apostolic Blessing on each of you.
From the Vatican, 7 January 2001
IOANNES PAULUS II
[00207-02.01] [Original text: Italian]
○ Traduzione in lingua tedesca
"Die Liebe trägt das Böse nicht nach" (1 Kor 13,5).
1. "Wir gehen jetzt nach Jerusalem hinauf" (Mk 10,33). Mit diesen Worten bittet der Herr die Jünger, mit ihm den Weg zu gehen, der von Galiläa bis an den Ort der Vollendung seiner Sendung führt. Dieser Gang nach Jerusalem, den die Evangelisten als den Gipfel des irdischen Weges Jesu darstellen, ist das Lebensmodell des Christen, der seinem Meister auf dem Weg des Kreuzes nachfolgt. Auch an die Männer und Frauen von heute richtet Christus die Einladung, "nach Jerusalem zu gehen". Mit besonderem Nachdruck ergeht sein Wunsch in der Fastenzeit, einer Zeit der Gnade für die Umkehr und die Rückkehr zur vollen Gemeinschaft mit Christus durch die innige Teilnahme am Geheimnis seines Todes und seiner Auferstehung.
Die Vorbereitung auf Ostern wird so für die Gläubigen zur geistlichen Gelegenheit tiefer Lebenserneuerung. In der gegenwärtigen Welt gibt es neben den großmütigen Zeugen des Evangeliums andere Getaufte, die den anspruchsvollen Ruf, "nach Jerusalem zu gehen", mit taubem Widerstand und manchmal mit offener Auflehnung beantworten. Es gibt Situationen, in denen das Gebet oberflächlich bleibt, so dass Gottes Wort nicht anrührt. Das Bußsakrament erscheint bedeutungslos und die sonntägliche Eucharistiefeier als lästige Pflicht.
Wie können wir der Einladung, die Jesus auch in dieser österlichen Bußzeit an uns richtet, folgen? Wie können wir eine ernsthafte Wandlung des Lebens vollziehen? Vor allem bedarf es eines offenen Herzens für die bewegende Botschaft der Liturgie. Die Zeit des vierzigtägigen Fastens ist ein Geschenk des gütigen Herrn und eine kostbare Möglichkeit, ihm durch Einkehr und Hinhören auf seine Eingebungen nahezukommen.
2. Es gibt Christen, die auf eine Periode ständiger geistlicher Anstrengung glauben verzichten zu können, da sie die dringliche Auseinandersetzung mit der Wahrheit des Evangeliums nicht spüren. Sie wollen im eigenen Lebensstil nicht gestört werden und sind deshalb versucht, Worte, wie: „Liebt eure Feinde; tut denen Gutes, die euch hassen"(Lk 6,27), zu entschärfen und auszuhöhlen. Für sie sind solche Imperative schwer anzunehmen und in das Leben umzusetzen; werden sie ernst genommen, so erfordern sie ja eine radikale Umkehr. Indessen sind manche bei Beleidigungen oder Verletzungen versucht, den psychologischen Mechanismen des Selbstmitleids und dem Vergeltungsdrang nachzugeben und die Einladung Jesu zur Feindesliebe zu ignorieren. Doch zeigt der Alltag fortwährend, dass Vergebung und Versöhnung für eine wirkliche persönliche und soziale Erneuerung unerläßlich sind. Dies gilt für die interpersonalen Beziehungen wie für die zwischen Gemeinschaften und Nationen.
3. Die vielen und tragischen Konflikte, die auf der Menschheit lasten und manchmal auch aus falsch verstandenen religiösen Motiven entspringen, haben tiefe Furchen des Hasses und der Gewalt zwischen den Völkern hinterlassen. Manchmal trennen sie auch Gruppen und Seilschaften einer und derselben Nation. Mit dem schmerzhaften Gefühl der Ohnmacht steht man nicht selten vor dem Wiederaufleben längst überwunden geglaubter Kämpfe, und man hat den Eindruck, dass sich gelegentlich Völker in einer permanenten Spirale der Gewalt drehen, die Opfer über Opfer kostet ohne eine konkrete Aussicht auf ein Ende. Und die sehnsuchtsvollen Rufe nach Frieden, die überall laut werden, bleiben unerfüllt: der notwendige Entwurf für das ersehnte Einvernehmen scheiterte.
Angesichts dieser beunruhigenden Lage können die Christen nicht gleichgültig bleiben. So habe ich denn im vor kurzem zu Ende gegangenen Jubiläum die Vergebungsbitte der Kirche für ihre Söhne und Töchter an Gott gerichtet. Wir sind uns wohl bewußt, dass die Verfehlungen der Christen deren makelloses Antlitz leider verdunkelt haben. Doch im Vertrauen auf die barmherzige Liebe Gottes, der bei Reue das Böse nicht anrechnet, dürfen wir vertrauensvoll unseren Weg fortsetzen. Die Liebe Gottes kommt zur Fülle, wenn der undankbare sündige Mensch in Gottes volle Gemeinschaft wieder aufgenommen wird. In dieser Hinsicht beinhaltet die „Reinigung des Gewissens" vor allem das Bekenntnis zum göttlichen Erbarmen, das die Kirche auf ihren verschiedenen Ebenen je neu sich anzueignen gerufen ist.
4. Der einzige Weg zum Frieden ist die Vergebung. Vergebung zu gewähren und zu erlangen, ermöglicht eine neue Qualität der Beziehungen zwischen den Menschen. Sie durchbricht die Spirale von Hass und Rache sowie die Ketten des Bösen, welche die Herzen der Betroffenen fesseln. Für die Nationen auf der Suche nach Versöhnung und für alle, die ein friedliches Zusammenleben zwischen den Individuen und den Völkern ersehnen, gibt es nur den Weg der gewährten und erlangten Verzeihung. Welch reiche, heilbringende Lehre enthalten die Worte des Herrn: "Liebt eure Feinde und betet für die, die euch verfolgen, damit ihr Söhne eures Vaters im Himmel werdet; denn er läßt seine Sonne aufgehen über Bösen und Guten, und er läßt regnen über Gerechte und Ungerechte" (Mt 5,44-45)! Die Liebe zu dem, der uns beleidigt hat, entwaffnet den Gegner und vermag auch ein Kampffeld in einen Ort solidarischer Zusammenarbeit umzuwandeln.
Die zitierte Herausforderung des Herrn meint die einzelnen Personen, die Gemeinschaften, die Völker und die ganze Menschheit. Sie richtet sich in besonderer Weise an die Familien. Nicht leicht ist es, zu Vergebung und Versöhnung umzukehren. Sich zu versöhnen scheint bereits schwierig, wenn am Ursprung die eigene Schuld steht. Wenn die Schuld beim anderen liegt, kann die Versöhnung sogar als törichte Verdemütigung angesehen werden. Nur der Weg innerer Erneuerung gibt die Kraft, einen solchen Schritt zu wagen; es bedarf des demütigen Gehorsams gegenüber dem Gebot Christi. Sein Wort läßt keinen Zweifel zu: Nicht nur wer die Feindschaft verursacht, sondern auch wer sie erleidet, soll die Versöhnung suchen (vgl. Mt 5,23-24). Der Christ muss dem Frieden nachjagen, auch mit dem, der ihn zu Unrecht gekränkt und geschlagen hat. Der Herr selbst hat so gehandelt. Er erwartet, dass der Jünger ihm nachfolgt und so an der Erlösung des Bruders und der Schwester mitwirkt.
In unserer Zeit erweist sich die Vergebung immer mehr als notwendige Dimension für eine wirkliche soziale Erneuerung und für die Festigung des Friedens in der Welt. Die Kirche verkündigt Vergebung und Feindesliebe. Innerhalb des geistlichen Erbes der Menschheit stiftet sie bewußt eine neue Weise der Beziehungen mit anderen - ein sehr schwieriges, aber von Hoffnung erfülltes Unterfangen. Sie vertraut dabei auf die Hilfe des Herrn, der den nie verläßt, der zu ihm in Bedrängnis seine Zuflucht nimmt.
5. "Die Liebe trägt das Böse nicht nach" (1 Kor 13,5). Mit dieser Aussage aus dem ersten Korintherbrief erinnert der Hl. Paulus an die Vergebung als eine der vornehmsten Formen der Liebe. Die Fastenzeit ist besonders geeignet, den Rang dieser Wahrheit zu künden. Durch das Sakrament der Versöhnung schenkt uns der Vater in Christus seine Vergebung, und diese drängt uns, eine Liebe zu leben, die andere nicht als Feinde, sondern als Geschwister betrachtet.
Möge diese Zeit der Buße und der Versöhnung die Gläubigen ermutigen, offen für alle Dimensionen des Menschseins in echter Liebe zu denken und zu handeln. Diese innere Haltung läßt sie die Früchte des Geistes (vgl. Gal 2,22) tragen.
Sie läßt auch mit neuem Herzen den Bedürftigen materiell helfen. Ein mit Gott und dem Nächsten versöhntes Herz ist freigiebig. Der Beitrag zur Fastenkollekte beschränkt sich demnach nicht darauf, etwas vom Überfluß zu geben und das eigene Gewissen zu beruhigen, sondern sich in solidarischer Sorge der Not der Welt anzunehmen. Der Anblick von Schmerzen und Leiden so vieler Menschen drängt dazu, wenigstens einen Teil der eigenen Güter mit denen zu teilen, die in Not sind. Und das Fastenopfer ist noch wertvoller, wenn der Geber befreit ist von Groll oder von Gefühllosigkeit, die die Gemeinschaft mit Gott und den Nächsten behindern und die Zwiespalt säen.
Die Welt erwartet von den Christen ein authentisches Zeugnis der Gemeinschaft und der Solidarität. In dieser Hinsicht sind die Worte des Hl. Apostels Johannes erhellend: "Wenn jemand Vermögen hat und sein Herz vor dem Bruder verschließt, den er in Not sieht, wie kann die Gottesliebe in ihm bleiben?" (1Joh 3,17).
Brüder und Schwestern! Der griechische Prediger Johannes Chrysostomus vermerkt bei der Erklärung von Jesu Weg nach Jerusalem, dass Christus die Jünger nicht im Ungewissen läßt über die Kämpfe und Opfer, die sie erwarteten. Er hebt die Schwierigkeiten hervor, das eigene "Ich" hintanzusetzen. Möglich sei es dem, der auf die Hilfe Gottes zähle, die uns "durch die Gemeinschaft mit der Person Christi" (PG 58, 619s) gewährt wird.
So möchten, das ist meine Bitte, Sie alle in dieser Fastenzeit den Herrn in einem vertrauensvollen Gebet suchen, auf dass er jedem einzelnen die Erfahrung seines Erbarmens schenke. Diese Gabe seiner Nähe hilft uns, die Liebe Christi anzunehmen und diese auf immer freudigere und großzügigere Weise zu leben: "Sie läßt sich nicht zum Zorn reizen, trägt das Böse nicht nach: Sie freut sich nicht über das Unrecht, sondern freut sich an der Wahrheit" (1 Kor 13,5-6).
Für den Weg der Fastenzeit erflehe ich der Gemeinschaft aller Gläubigen den Schutz der Mutter der Barmherzigkeit und erteile von Herzen den Apostolischen Segen.
Aus dem Vatikan, am 7. Januar 2001
IOANNES PAULUS II
[00207-05.01] [Originalsprache: Italienisch]
○ Traduzione in lingua spagnola
"La caridad no toma en cuenta el mal" (1 Cor 13,5)
1. "Mirad que subimos a Jerusalén" (Mc 10, 33). Mediante estas palabras el Señor invita a los discípulos a recorrer junto a Él el camino que partiendo de Galilea conduce hasta el lugar donde se consumará su misión redentora. Este camino a Jerusalén, que los Evangelistas presentan como la culminación del itinerario terreno de Jesús, constituye el modelo de vida del cristiano, comprometido a seguir al Maestro en la vía de la Cruz. Cristo, también, dirige esta misma invitación de "subir a Jerusalén" a los hombres y mujeres de hoy. Y lo hace con particular fuerza en este tiempo de Cuaresma, favorable para convertirse y encontrar la plena comunión con Él, participando íntimamente en el misterio de su muerte y resurrección. Por tanto, la Cuaresma representa para los creyentes la ocasión propicia para una profunda revisión de vida. En el mundo contemporáneo, junto a generosos testigos del Evangelio, no faltan bautizados que, frente a la exigente llamada para emprender la "subida a Jerusalén", adoptan una posición de sorda resistencia y, a veces, también de abierta rebelión. Son situaciones en las que la experiencia de la oración se vive de manera bastante superficial, de modo que la palabra de Dios no incide sobre la existencia. Muchos consideran insignificante el mismo Sacramento de la Penitencia y la Celebración eucarística del domingo simplemente un deber que hay que cumplir.
¿Cómo acoger la llamada a la conversión que Jesús nos dirige también en esta Cuaresma? ¿Cómo llevar a cabo un serio cambio de vida? Es necesario, ante todo, abrir el corazón a los conmovedores mensajes de la liturgia. El periodo que prepara la Pascua representa un providencial don del Señor y una preciosa posibilidad de acercarse a Él, entrando en uno mismo y poniéndose a la escucha de sus sugerencias interiores.
2. Hay cristianos que creen poder prescindir de dicho constante esfuerzo espiritual, porque no advierten la urgencia de confrontarse con la verdad del Evangelio. Ellos intentan vaciar y convertir en inocuas, para que no turben su manera da vivir, palabras como: "Amad a vuestros enemigos, haced bien a los que os odien" (Lc 6, 27). Tales palabras, para estas personas, resultan difíciles de aceptar y de traducir en coherentes comportamientos de vida. De hecho, son palabras que, si tomadas en serio, obligan a una radical conversión. En cambio, cuando se está ofendido y herido, se está tentado a ceder a los mecanismos psicológicos de la autocompasión y de la revancha, ignorando la invitación de Jesús a amar al proprio enemigo. Sin embargo, los sucesos humanos de cada día sacan a la luz, con gran evidencia, cómo el perdón y la reconciliación son imprescindibles para llevar a cabo una real renovación personal y social. Esto vale en las relaciones interpersonales, pero también en las relaciones entre las comunidades y entre las naciones.
3. Los numerosos y trágicos conflictos que atenazan a la humanidad, tal vez causados también por malentendidas cuestiones religiosas, han hecho que profundos fosos de odio y de violencia surgieran entre pueblos y pueblos. En algunas ocasiones, esto se ha producido entre grupos y fracciones de una misma nación. De hecho, a veces asistimos con doloroso sentido de impotencia, al reflorecer de conflictos que creíamos definitivamente superados y se tiene la impresión que algunos pueblos viven atrapados en una espiral de imparable violencia, que continuará a cosechar víctimas y víctimas, sin una concreta perspectiva de solución. Y los auspicios de paz, que se elevan de todas las partes del mundo, resultan ineficaces: el compromiso necesario para encaminar la concordia deseada no logra afianzarse.
Frente a este inquietante escenario, los cristianos no pueden permanecer indiferentes. Es por ello que en el Año jubilar, apenas concluido, me he hecho eco de la petición de perdón de la Iglesia a Dios por los pecados de sus hijos. Somos conscientes que, por desgracia, las culpas de los cristianos han ofuscado el rostro inmaculado, pero confiando en el amor misericordioso de Dios que no tiene en cuenta el mal al ver el arrepentimiento, sabemos también que podemos continuamente retomar el camino llenos de esperanza. El amor de Dios encuentra su más alta expresión justo cuando el hombre, pecador e ingrato, es readmitido a la plena comunión con Él. Bajo esta óptica, la "purificación de la memoria" es ante todo una renovada confesión de la misericordia divina, una confesión que la Iglesia, en sus diferentes niveles, está llamada constantemente a hacer propia con renovada convicción.
4. El único camino de la paz es el perdón. Aceptar y ofrecer el perdón hace posible una nueva cualidad de relaciones entre los hombres, interrumpe la espiral de odio y de venganza, y rompe las cadenas del mal que atenazan el corazón de los contrincantes. Para las naciones en busca de reconciliación y para cuantos esperan una coexistencia pacífica entre los individuos y pueblos, no hay más camino que éste: el perdón recibido y ofrecido. ¡Cuan ricas de saludables enseñanzas resuenan las palabras del Señor: "Amad a vuestros enemigos y rogad por los que os persigan, para que seáis hijos de vuestro Padre celestial, que hace salir su sol sobre malos y buenos, y hace llover sobre justos e injustos!" (Mt 5, 44-45). Amar a quien nos ha ofendido desarma al adversario y puede incluso transformar un campo de batalla en un lugar de solidaria cooperación.
Éste es un desafío que concierne a cada individuo, pero también a las comunidades, a los pueblos y a la entera humanidad. Afecta, de manera especial, a las familias. No es fácil convertirse al perdón y a la reconciliación. Reconciliarse puede resultar problemático cuando en el origen se encuentra una culpa propia. Si en cambio la culpa es del otro, reconciliarse puede incluso ser visto como una irrazonable humillación. Para dar semejante paso es necesario un camino interior de conversión; se precisa el coraje de la humilde obediencia al mandato de Jesús. Su palabra no deja lugar a dudas: no sólo quien provoca la enemistad, sino también quien la padece debe buscar la reconciliación (cfr. Mt 5, 23-24). El cristiano debe hacer la paz aún cuando se sienta víctima de aquel que le ha ofendido y golpeado injustamente. El Señor mismo ha obrado así. Él espera que el discípulo le siga, cooperando de tal manera a la redención del hermano.
En nuestro tiempo, el perdón aparece principalmente como dimensión necesaria para una auténtica renovación social y para la consolidación de la paz en el mundo. La Iglesia, anunciando el perdón y el amor a los enemigos, es consciente de introducir en el patrimonio espiritual de la entera humanidad una nueva forma de relacionarse con los demás, una forma ciertamente fatigosa, pero rica en esperanza. En esto, ella sabe que puede contar con la ayuda del Señor, que nunca abandona a quien, frente a las dificultades, recurre a Él.
5. "La caridad no toma en cuenta el mal" (l Cor 13,5). En esta expresión de la primera Epístola a los Corintios, el apóstol Pablo recuerda que el perdón es una de las formas más elevadas del ejercicio de la caridad. El periodo cuaresmal representa un tiempo propicio para profundizar mejor sobre la importancia de esta verdad. Mediante el Sacramento de la reconciliación, el Padre nos concede en Cristo su perdón y esto nos empuja a vivir en la caridad, considerando al otro no como un enemigo, sino como un hermano.
Que este tiempo de penitencia y de reconciliación anime a los creyentes a pensar y a obrar bajo la orientación de una caridad autentica, abierta a todas las dimensiones del hombre. Esta actitud interior los conducirá a llevar los frutos del Espíritu (cfr Gal 5, 22) y a ofrecer, con corazón nuevo, la ayuda material a quien se encuentra en necesidad. Un corazón reconciliado con Dios y con el prójimo es un corazón generoso. En los días sagrados de la Cuaresma la "colecta" asume un valor significativo, porque no se trata de dar lo que nos es superfluo para tranquilizar la propia conciencia, sino de hacerse cargo con solidaria solicitud de la miseria presente en el mundo. Considerar el rostro doliente y las condiciones de sufrimiento de muchos hermanos y hermanas no puede no impulsar a compartir, al menos parte de los propios bienes, con aquellos que se encuentran en dificultad. Y la ofrenda de Cuaresma resulta todavía más rica de valor, si quien la cumple se ha librado del resentimiento y de la indiferencia, obstáculos que alejan de la comunión con Dios y con los hermanos.
El mundo espera de los cristianos un testimonio coherente de comunión y de solidaridad. Al respecto, las palabras del apóstol Juan son más que nunca iluminadoras: "Si alguno que posee bienes de la tierra y ve a su hermano padecer necesidad y le cierra su corazón, ¿cómo puede permanecer en él el amor de Dios?" (1 Jn 3, 17).
¡Hermanos y Hermanas! San Juan Crisostomo, comentando la enseñanza del Señor sobre el camino a Jerusalén, recuerda que Cristo no oculta a los discípulos las luchas y los sacrificios que les aguardan. Él mismo subraya cómo la renuncia al proprio "yo" resulta difícil, pero no imposible cuando se puede contar con la ayuda que Dios nos concede "mediante la comunión con la persona de Cristo" (PG 58, 619s).
He aquí porque en esta Cuaresma deseo invitar a todos los creyentes a una ardiente y confiada oración al Señor, para que conceda a cada uno hacer una renovada experiencia de su misericordia. Sólo este don nos ayudará a acoger y a vivir de manera siempre más jubilosa y generosa la caridad de Cristo, que "no se irrita; no toma en cuenta el mal; no se alegra de la injusticia; se alegra de la verdad" (1 Cor 13, 5-6).
Con estos sentimientos invoco la protección de la Madre de la Misericordia sobre el camino cuaresmal de la entera Comunidad de los creyentes y de corazón imparto a cada uno la Bendición Apostólica.
Ciudad del Vaticano, 7 de Enero 2001
IOANNES PAULUS II
[00207-04.01] [Texto original: Italiano]