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SINTESI DELLA LETTERA APOSTOLICA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II "NOVO MILLENNIO INEUNTE", 06.01.2001


SINTESI IN LINGUA POLACCA

SINTESI IN LINGUA ITALIANA

La Lettera Apostolica Novo millennio ineunte sarà firmata dal Papa in Piazza San Pietro il 6 gennaio 2001, solennità dell'Epifania, in occasione della chiusura della Porta Santa. È il documento conclusivo dell'Anno giubilare. Interpreta l'esigenza di una Chiesa che, dopo un anno di intensa esperienza spirituale, si sente chiamata a "prendere il largo" – duc in altum!, secondo l'ordine dato da Gesù a Pietro (cfr Lc 5, 4) - affrontando le sfide del futuro.
La Lettera è articolata in quattro capitoli, con un solo filo conduttore: Cristo.
- Il primo capitolo - L'incontro con Cristo, eredità del Grande Giubileo - si muove sull'onda della memoria. Giovanni Paolo II rilegge gli eventi principali dell'Anno giubilare, non tanto per farne un bilancio, quanto per elevare un inno di lode e insieme «decifrare» i messaggi che lo Spirito di Dio ha inviato alla Chiesa nel corso di quest'anno di grazia. Tornano così alcuni momenti significativi, dal grande esordio ecumenico nella Basilica di San Paolo all'intenso atto di "purificazione della memoria", dal pellegrinaggio in Terra Santa ai numerosi incontri con le più diverse categorie di persone. Una menzione speciale è riservata ai giovani, il cui Giubileo ha largamente impressionato, lasciando un monito di impegno più ardito nel lavoro pastorale a favore delle nuove generazioni. Al di là degli eventi esteriori, il Grande Giubileo è colto da Giovanni Paolo II soprattutto quale evento di grazia, nella speranza che esso abbia toccato innumerevoli esistenze orientandole a un cammino di conversione. Il titolo ben dice la conclusione che il Papa ne tira: il rinnovato incontro con Cristo è la vera "eredità" del Giubileo, che occorre ora tesoreggiare e investire per il futuro.
- Il secondo capitolo - Un volto da contemplare – ha una forte ispirazione contemplativa. Prima di guardare al futuro in termini immediatamente operativi, il Papa invita la Chiesa a non smarrire, ed anzi ad approfondire, la contemplazione del mistero di Cristo, restando con gli occhi fissi sul suo volto. Il rischio è infatti quello segnalato dallo stesso Gesù a Marta di Betania ["Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose" (Lc 10, 41)]: buttarsi a capofitto nell'attività pastorale, dimenticando la contemplazione, che ne è la sorgente. A questa la Chiesa deve continuamente attingere. Di qui l'intero capitolo in cui il Papa rilegge il mistero di Cristo nelle sue dimensioni fondamentali. Non vuol essere una trattazione dottrinale, quanto un far riecheggiare la voce di Pietro nella confessione di Cesarea di Filippo - "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16) - e riproporla a tutta la Chiesa come fondamento perenne. La Lettera si sofferma a tratteggiare innanzitutto i lineamenti storici di Cristo, sottolineando la veridicità e credibilità dei documenti evangelici. Si immerge poi nella contemplazione del volto di Cristo, nella profondità del suo mistero divino-umano, e ne mette a fuoco l'autocoscienza divina, perdurante anche nel momento drammatico della croce. Lo fissa infine nel fulgore della Risurrezione.
- Seguono i due capitoli che si calano direttamente sul terreno programmatico. Il terzo - Ripartire da Cristo - esordisce con l'appello alle Chiese locali, invitandole a continuare e ad approfondire la loro programmazione pastorale, secondo le esigenze dei vari contesti. La Lettera non si propone dunque di tracciare una sorta di piano pastorale per tutta la Chiesa, ma si limita ad indicare alcune urgenze e priorità. Il capitolo si modula sulla necessità di orientare la pastorale cristiana ad un'esperienza di fede solida, che faccia fiorire la santità, nella linea tracciata dal cap. V della Lumen gentium ("universale vocazione alla santità"). A questo deve mirare la pedagogia ecclesiale, proponendo ideali alti e non accontentandosi di una religiosità mediocre. Di qui la necessità di far riscoprire la preghiera nella profondità a cui è capace di portarla l'esperienza cristiana di Dio, sulla base del ricco patrimonio pastorale e mistico di duemila anni di storia. Preghiera personale, ma soprattutto comunitaria, a partire da quella liturgica, "fonte e culmine" della vita ecclesiale. Il Papa invita specialmente a riscoprire la domenica, Pasqua della settimana, facendo in modo che l'Eucaristia ne diventi il cuore. Segue l'invito a riproporre con forza il Sacramento della Riconciliazione. Il Giubileo ha mostrato che questo Sacramento, ben presentato e coltivato, è in grado di superare quella crisi da cui sembrava irrimediabilmente afflitto negli scorsi decenni. Infine, quale anima di tutto, il Papa ricorda il primato dell'ascolto della Parola di Dio, a cui segue per logica interna il dovere dell'annuncio. La "nuova evangelizzazione" - appello tante volte ripetuto in questi anni - resta, dopo il Giubileo, più urgente che mai.
- L'ultimo capitolo - Testimoni dell'amore - continua il discorso programmatico sul versante della comunione, della carità, della testimonianza nel mondo. La comunione (koinonía), riscoperta dal Concilio Vaticano II come categoria centrale per cogliere il mistero stesso della Chiesa, è proposta dal Papa a partire dal suo versante spirituale, e poi nelle esigenze operative che ne scaturiscono. Ci sono nella Chiesa ambiti e strumenti di comunione che hanno un loro ben definito profilo istituzionale. Essi vanno coltivati e promossi. La Lettera accenna a tal proposito ai molteplici istituti (Sinodi, Conferenze episcopali, Consigli presbiterali e pastorali), presenti nella Chiesa universale e in quelle particolari, ammonendo tuttavia che essi diventerebbero apparati senz'anima, se non si coltivasse una "spiritualità della comunione", ossia la capacità di percepire la comunione come dono dall'Alto e insieme di viverla in termini di relazione fraterna, nella stima accogliente per i reciproci doni. Tra gli impegni irrinunciabili emerge quello dell'ecumenismo, per vivere sempre di più, con tutti i fratelli di fede, quella piena unità che già la Chiesa misteriosamente gode in Cristo. Si apre poi il grande scenario della carità fraterna, grande «scommessa» della pastorale. Il Papa ricorda le molteplici sfide che interpellano la Chiesa, spingendola a farsi, con rinnovata «fantasia» e generosità, espressione dell'amore concreto di Dio nelle più svariate situazioni di sofferenza e indigenza. Si colloca qui anche il «segno» di carità che il Papa desidera sia lasciato come frutto e memoria dell'Anno giubilare. Con le offerte che sono affluite, una volta saldati i conti per le spese sostenute, sarà realizzata a Roma un'opera, che vuol essere simbolo di quella fioritura di carità di cui la Chiesa universale deve continuare a farsi carico nel nuovo millennio. L'ultimo scenario è quello della testimonianza coraggiosa che i cristiani sono chiamati a rendere in tutti i settori della vita sociale e culturale, specie dove particolarmente urge la presenza del fermento evangelico: dalle questioni concernenti la famiglia e la tutela della vita, ai problemi posti dal dissesto ecologico e da una sperimentazione scientifica priva di riferimento etico. Tra le testimonianze da non trascurare, si pone quella che i cristiani devono offrire, alla luce del dettato conciliare, nell'ambito del dialogo interreligioso. Senza nulla togliere al dovere dell'annuncio cristiano, il dialogo resta una direttrice importante per la crescita di tutti nella ricerca della verità e nella promozione della pace.
- La Lettera si conclude, com'era iniziata, evocando l'invito fatto da Gesù a Pietro nell'episodio della pesca miracolosa: "Duc in altum!". La Porta Santa si chiude, ma resta più che mai aperta la "porta viva", Cristo Gesù, che essa simboleggia. Non è ad un grigio quotidiano che la Chiesa ritorna dopo l'entusiasmo giubilare. Al contrario l'attende un nuovo slancio apostolico, animato e sostenuto dalla fiducia nella presenza di Cristo e nella forza dello Spirito.

[00024-01.01]

SINTESI IN LINGUA FRANCESE

La Lettre apostolique Novo millennio ineunte sera signée par le Pape, Place Saint-Pierre, le 6 janvier 2001, en la solennité de l'Épiphanie, à l'occasion de la fermeture de la Porte Sainte. C'est le document qui tire les conclusions de l'Année jubilaire. Il fait apparaître la nécessité d'une Église qui, après une année d'intense expérience spirituelle, se sent appelée à "avancer au large" - duc in altum!, selon l'ordre donné par Jésus à Pierre (cf. Lc 5, 4) - en affrontant les défis de l'avenir.
La Lettre est articulée en quatre chapitres, avec un unique fil conducteur: le Christ.
- Le premier chapitre - La rencontre avec le Christ, héritage du grand Jubilé - nous entraîne dans le domaine de la mémoire. Jean-Paul II relit les événements principaux de l'année jubilaire, non tant pour en faire un bilan que pour élever une hymne de louange et en même temps "déchiffrer" les messages que l'Esprit de Dieu a envoyés à l'Église au cours de cette année de grâce. C'est ainsi que sont évoqués certains moments significatifs, du grand préambule œcuménique dans la Basilique Saint-Paul à l'acte intense de "purification de la mémoire", du pèlerinage en Terre Sainte aux nombreuses rencontres avec les catégories de personnes les plus diverses. Une mention spéciale est réservée aux jeunes, dont le Jubilé a largement impressionné, appelant à un engagement plus audacieux dans le travail pastoral en faveur des nouvelles générations. Au-delà des événements extérieurs, le grand Jubilé est perçu par Jean-Paul II surtout comme un événement de grâce, dans l'espérance qu'il aura touché d'innombrables existences, les orientant sur un chemin de conversion. Le titre dit bien la conclusion que le Pape en tire : la rencontre renouvelée avec le Christ est le véritable "héritage" du Jubilé, qu'il faut maintenant thésauriser et investir pour l'avenir.
- Le deuxième chapitre - Un visage à contempler - a une forte inspiration contemplative. Avant de regarder l'avenir en termes immédiatement opérationnels, le Pape invite l'Église à ne pas abandonner la contemplation du mystère du Christ, mais au contraire à l'approfondir en restant les yeux fixés sur son visage. En effet, le risque est celui qui a été signalé par Jésus lui-même à Marthe de Béthanie ("Tu t'inquiètes et tu t'agites pour bien des choses" Lc 10, 41): se lancer à corps perdu dans l'activité pastorale, en oubliant la contemplation, qui en est la source. L'Église doit continuellement y puiser. D'où ce chapitre tout entier où le Pape relit le mystère du Christ dans ses dimensions fondamentales. Cela ne veut pas être un traité doctrinal, mais plutôt une façon de faire résonner à nouveau l'exclamation de Pierre dans la confession de Césarée de Philippe - "Tu es le Messie, le Fils du Dieu vivant" (Mt 16, 16) - et de la proposer à nouveau à toute l'Église comme fondement permanent. La Lettre s'attache à esquisser avant tout les traits historiques du Christ, en soulignant la véracité et la crédibilité des documents évangéliques. Elle se plonge ensuite dans la contemplation du visage du Christ, dans la profondeur de son mystère divin et humain, et précise son autoconscience divine, qui persiste aussi au moment dramatique de la Croix. Elle le fixe enfin dans la splendeur de la résurrection.
- Suivent les deux chapitres qui descendent directement sur le terrain des programmes. Le troisième - Repartir du Christ - commence par l'appel aux Églises locales, les invitant à continuer et à approfondir leur programmation pastorale, selon les exigences des différents contextes. La Lettre ne se propose donc pas de tracer une sorte de plan pastoral pour toute l'Église, mais elle se limite à indiquer quelques urgences et quelques priorités. Le chapitre insiste sur la nécessité d'orienter la pastorale chrétienne vers une solide expérience de foi, qui fasse fleurir la sainteté, dans la ligne tracée par le chapitre 5 de Lumen gentium ("la vocation universelle à la sainteté"). C'est ce que doit viser la pédagogie ecclésiale, en proposant des idéaux élevés et en ne se contentant pas d'une religiosité médiocre. D'où la nécessité de faire redécouvrir la prière dans la profondeur à laquelle l'expérience chrétienne de Dieu est capable de la conduire, sur la base du riche patrimoine pastoral et mystique de deux mille ans d'histoire. Prière personnelle, mais surtout communautaire, à partir de la prière liturgique, "source et sommet" de la vie ecclésiale. Le Pape invite spécialement à redécouvrir le dimanche, Pâque hebdomadaire, faisant en sorte que l'Eucharistie en devienne le cœur. Suit l'invitation à proposer à nouveau avec force le sacrement de la Réconciliation. Le Jubilé a montré que ce sacrement, bien présenté et entretenu, est en mesure de surmonter la crise dont il semblait irrémédiablement affligé dans les dernières décennies. Enfin, le Pape rappelle le primat de l'écoute de la Parole de Dieu, ce qui est l'âme de tout; il s'ensuit tout logiquement le devoir de l'annonce. La "nouvelle évangélisation" - appel si souvent répété ces dernières années - demeure, après le Jubilé, plus urgente que jamais.
- Le dernier chapitre - Témoins de l'amour - poursuit le thème concernant la programmation sous l'aspect de la communion, de la charité, du témoignage dans le monde. La communion (koinonia), redécouverte par le Concile Vatican II comme catégorie centrale pour saisir le mystère même de l'Église, est proposée par le Pape à partir de son aspect spirituel, et ensuite dans les exigences concrètes qui en découlent. Il y a dans l'Église des domaines et des instruments de communion qui ont un profil institutionnel bien défini. Ils doivent être entretenus et encouragés. À ce propos, la Lettre fait allusion aux multiples institutions (Synodes, Conférences épiscopales, Conseils presbytéraux et pastoraux), présentes dans l'Église universelle et dans les Églises particulières, soulignant toutefois qu'elles deviendraient des appareils sans âme si on n'entretenait pas une "spiritualité de la communion", c'est-à-dire la capacité de percevoir la communion comme don d'en haut et en même temps de la vivre en termes de relations fraternelles, dans l'estime et l'accueil des dons mutuels. Parmi les engagements auxquels on ne peut renoncer ressort celui de l'œcuménisme, pour vivre toujours plus, avec tous nos frères dans la foi, la pleine unité dont l'Église jouit déjà mystérieusement dans le Christ. S'ouvre ensuite le grand tableau de la charité fraternelle, grand "défi" de la pastorale. Le Pape rappelle les multiples défis qui interpellent l'Église, la poussant à se faire, avec une "imagination" et une générosité renouvelées, l'expression de l'amour concret de Dieu dans les situations de souffrance et d'indigence les plus diverses. Ici prend place aussi le "signe" de charité que le Pape désire voir laissé comme fruit et mémoire de l'année jubilaire. Avec les offrandes qui ont afflué, une fois soldés les comptes pour les dépenses effectuées, sera réalisée à Rome une œuvre qui veut être un symbole de la floraison de charité que l'Église universelle doit continuer à prendre en charge dans le nouveau millénaire. Le dernier tableau est celui du témoignage courageux que les chrétiens sont appelés à rendre dans tous les secteurs de la vie sociale et culturelle, surtout là où la présence du ferment évangélique est particulièrement urgente : des questions concernant la famille et la sauvegarde de la vie, aux problèmes posés par la débâcle écologique et par une expérimentation scientifique privée de référence éthique. Parmi les témoignages à ne pas négliger, se trouve celui que les chrétiens doivent donner, à la lumière des directives conciliaires, dans le domaine du dialogue interreligieux. Sans rien enlever au devoir de l'annonce chrétienne, le dialogue demeure une ligne directrice importante pour la croissance de tous dans la recherche de la vérité et dans la promotion de la paix.
- La Lettre se conclut, comme elle avait commencé, en évoquant l'invitation faite par Jésus à Pierre dans l'épisode de la pêche miraculeuse: "Duc in altum!" La Porte Sainte se ferme, mais la "porte vivante", le Christ Jésus, qu'elle symbolise, reste plus que jamais ouverte. Ce n'est pas à la grisaille du quotidien que l'Église retourne après l'enthousiasme jubilaire. Au contraire, un nouvel élan apostolique l'attend, animé et soutenu par la confiance en la présence du Christ et dans la force de l'Esprit.

[00024-03.01]

TESTO IN LINGUA INGLESE

The Apostolic Letter Novo millennio ineunte will be signed by the Holy Father in Saint Peter’s Square on 6 January 2001, the Solemnity of the Epiphany, on the occasion of the closing of the Holy Door. It is the concluding document of the Jubilee Year. It gives voice to the Church’s sense of her need, after a year of intense spiritual experience, to "put out into the deep" – in obedience to the command given by Jesus to Peter: duc in altum! (cf. Lk 5:4) – and to face the challenges of the future.
The Letter, in four chapters, has but one theme throughout: Jesus Christ.
The first chapter – Meeting Christ, the Legacy of the Great Jubilee – is centred on remembrance. Pope John Paul II re-reads the principal events of the Jubilee Year, not so much to evaluate them as to raise a hymn of praise and to "decipher" the messages which the Spirit of God has given to the Church throughout this year of grace. A few significant moments are revisited: from the great ecumenical beginning in the Basilica of Saint Paul to the powerful act of "purification of memory", from the pilgrimage to the Holy Land to the numerous meetings with highly diverse groups of people. Young people receive special mention, since their Jubilee left a profound impression and served as a reminder of the need for a bold and committed pastoral outreach to the coming generation. Beyond its external events, Pope John Paul II views the Great Jubilee above all as an event of grace, confident that it has touched countless people’s lives and has summoned them to undertake a journey of conversion. The title nicely captures the conclusion drawn by the Pope: a renewed meeting with Christ is the Jubilee’s true "legacy", one which must now be treasured and invested for the future.
The second chapter – A Face to Contemplate – has a strongly contemplative flavour. Before looking to the future and its practical tasks, the Pope encourages the Church not to neglect, but indeed to deepen, her contemplation of the mystery of Christ, her eyes fixed upon his face. Here there is the risk which Jesus himself pointed out to Martha of Bethany ["you are anxious and troubled about many things" (Lk 10:41)]: the risk of throwing oneself headlong into pastoral activity and neglecting the contemplation which is its origin and source. From this source the Church continually needs to draw. Hence in this entire chapter the Pope re-reads the mystery of Christ in its fundamental aspects. The chapters is less a doctrinal treatise than a re-echoing of the voice of Peter in his confession at Caesarea Philippi – "You are the Christ, the Son of the living God" (Mt 16:16). It holds Peter’s confession up to the whole Church as her perennial foundation. The Letter then sketches a comprehensive historical portrait of Jesus, emphasizing the truth and credibility of the Gospels. It turns to the contemplation of Christ’s face, to the depths of his divine-human mystery, focusing on his divine self-awareness, even amid the drama of the Cross. It then lifts its gaze to the splendour of the Resurrection.
There follow two chapters directly related to the question of pastoral planning. The third chapter – Starting Afresh from Christ – opens with an appeal to the local Churches, inviting them to continue to intensify their pastoral planning according to the needs of their various situations. In this sense, the Letter does not attempt to outline a kind of pastoral plan for the whole Church, but simply points to some urgent needs and priorities. The chapter stresses that Christian pastoral activity has as its goal an experience of solid faith, leading to a holiness of the kind traced by Chapter 5 of Lumen Gentium ("the universal call to holiness"). It is to this goal that all teaching in the Church must look, presenting the highest ideals and not resting content with religious mediocrity. This implies the need to rediscover prayer at the depth to which the Christian experience of God can lead it, taking our cue from the rich pastoral and mystical heritage of two thousand years of history: personal prayer, but above all community prayer, starting with the liturgy, "source and summit" of the Church’s life. The Pope issues a special invitation to rediscover Sunday, the weekly Easter, in such a way that the Eucharist becomes its heart. Then comes the call for a more resolute presentation of the Sacrament of Reconciliation. The Jubilee has shown that this Sacrament, when properly presented and fostered, can move beyond the seemingly irreversible crisis which it has experienced in recent decades. Finally, as the soul of everything, the Pope underlines the primacy of listening to the Word of God, from which flows logically the proclamation of the Word. The "new evangelization" – a summons so often repeated in recent years – remains more urgent than ever after the Jubilee.
The final chapter – Witnesses to Love – applies the reflection on pastoral planning to aspects of communion, charity and witness in the world. Communion (koinonia), which the Second Vatican Council rediscovered as a key term for understanding the mystery of the Church, is put forward by the Pope first in its spiritual aspect, and then in some of the more practical aspects which flow from this. In the Church, there are areas and instruments of communion with a clear institutional profile. These need to be developed and promoted. In this regard, the Letter mentions a range of structures (Synods, Episcopal Conferences, Presbyteral and Pastoral Councils), already present in the universal Church and in the particular Churches, with the warning however that these will become soulless if a spirituality of communion is not fostered, that is, an ability to see communion as a gift from on high and also to live it in a fraternal way, valuing and welcoming each other’s gifts. Among the indispensable commitments, one is ecumenism, so that with all our brothers and sisters in faith we may live more and more of the full unity which the Church already enjoys in Christ. Then there is the extensive issue of fraternal charity, which is such a defining part of all pastoral activity. The Holy Father reminds us of the many challenges facing the Church, impelling her to become, with still greater "imagination" and generosity, an expression of God’s concrete love in the countless situations of human suffering and poverty. Here we also find the "sign" of charity which the Pope wants to leave as a fruit and a memento of the Jubilee Year. Once expenses have been paid, what is left of the Jubilee offerings will go to form an endowment in Rome, a symbol of that flowering of charity to which the Church will continue to be committed in the new millennium. A further theme is the courageous witness to which Christians are called in every area of social and cultural life, especially where the leaven of the Gospel is urgently needed: including the family, the protection of life, the ecological crisis, and unethical scientific experimentation. What must not be forgotten is the witness which Christians must give, as the Council taught, in the area of interreligious dialogue. Without in any way diminishing the need for Christian proclamation, dialogue remains an important sign-post for everyone in advancing the search for truth and the promotion of peace.
The Letter finishes, as it began, by recalling Jesus’ invitation to Peter in the story of the miraculous catch of fish: Duc in altum! The Holy Door closes, but the living door, Christ Jesus whom it symbolizes, remains open more than ever. It is not to a dull routine that the Church returns after the zest of the Jubilee. On the contrary, what awaits her is a new apostolic outreach, inspired and sustained by confidence in the presence of Christ and the power of the Holy Spirit.

[00024-02.01]

SINTESI IN LINGUA TEDESCA

Das Apostolische Schreiben Novo millennio ineunte wird vom Papst auf dem Petersplatz am Fest der Erscheinung des Herrn, 6. Januar 2001, anläßlich der Schließung der Heiligen Pforte unterzeichnet. Es ist das Schlußdokument des Heiligen Jahres. Es offenbart den inneren Anspruch einer Kirche, die sich nach einem Jahr intensiver geistlicher Erfahrung gerufen fühlt, "hinauszufahren" - duc in altum!, wie Jesus Petrus befohlen hat (vgl. Lk 5,4) - und den Herausforderungen der Zukunft zu begegnen.
Das Schreiben ist in vier Kapitel gegliedert mit einem einzigen Leitfaden: Christus.
- Das erste Kapitel - Die Begegnung mit Christus, das Erbe des Großen Jubiläums - ist eine Rückschau. Johannes Paul II. ruft die Hauptereignisse des Heiligen Jahres in Erinnerung. Er tut es aber nicht, um Bilanz zu ziehen, sondern um Gott zu danken und zu lobpreisen und um die Botschaft zu "entschlüsseln", die der Geist Gottes im Laufe dieses Gnadenjahres der Kirche gesandt hat. So wird an einige bedeutsame Stationen erinnert, an die große ökumenische Feier in der Basilika Sankt Paul vor den Mauern, an den eindrucksvollen Akt der "Reinigung des Gedächtnisses", an die Pilgerfahrt ins Heilige Land sowie an die vielen Begegnungen mit den einzelnen Personen und Gruppen. Besonders erwähnt werden die Jugendlichen. Ihre Heilig-Jahr-Feier hat einen tiefen Eindruck und die Mahnung zu verstärkter Pastoralarbeit für die jungen Generationen hinterlassen. Papst Johannes Paul II. faßt das Große Jubiläum, abgesehen von den äußeren Ereignissen, vor allem als eine Zeit der Gnade auf in der Hoffnung, daß es viele Menschen berührt und zur Umkehr bewegt hat. Der Titel bringt die Schlußfolgerung des Papstes gut zum Ausdruck: Die neue Begegnung mit Christus ist das wahre "Erbe" des Jubiläums, das jetzt auszuwerten und in die Zukunft einzubringen ist.
- Das zweite Kapitel - Das Antlitz, das es zu betrachten gilt - hebt den Wert der Kontemplation hervor. Bevor die Kirche beginnt, nächste Schritte für die Zukunft zu planen, lädt der Papst sie dazu ein, die Betrachtung des Geheimnisses Christi nicht zu vernachlässigen sondern zu vertiefen und den Blick auf sein Antlitz zu richten. Denn es besteht die Gefahr, von der Jesus zu Marta in Betanien gesprochen hat ("Du machst dir viele Sorgen und Mühen": Lk 10,41): sich kopfüber in die Pastoraltätigkeit zu stürzen und die Kontemplation zu vergessen, die ihre Quelle ist. Aus dieser muß die Kirche ständig schöpfen. Deshalb widmet der Papst das ganze Kapitel dem Geheimnis Christi in seinen grundlegenden Dimensionen. Es soll keine theologische Abhandlung sein, sondern will durch die Stimme des Petrus sein Bekenntnis von Cäsarea Philippi von neuem bekräftigen - "Du bist der Messias, der Sohn des lebendigen Gottes" (Mt 16,16) - und es der ganzen Kirche als immerwährendes Fundament vorstellen. Das Schreiben zeichnet vor allem die geschichtlichen Züge Christi nach und hebt die Zuverlässigkeit und Glaubwürdigkeit der Evangelien hervor. Es folgt eine eingehende Betrachtung über Christus, die Tiefe seines gott-menschlichen Geheimnisses, wobei sein göttliches Selbstbewußtsein beleuchtet wird, das auch in dem dramatischen Augenblick des Kreuzestodes anhielt. Das Kapitel endet mit der Betrachtung des Auferstandenen.
- Es folgen zwei Kapitel, die unmittelbar programmatische Punkte behandeln. Am Anfang des dritten Kapitels - Neu anfangen bei Christus - werden die Ortskirchen eingeladen, ihr Pastoralprogramm den Erfordernissen der jeweiligen Situation entsprechend fortzuführen und auszufalten. Das Schreiben will also nicht eine Art Pastoralprogramm für die ganze Kirche vorlegen, sondern beschränkt sich darauf, auf dringende Fragen und Prioritäten hinzuweisen. In diesem Kapitel wird die Notwendigkeit unterstrichen, die christliche Pastoral auf eine solide Glaubenserfahrung auszurichten, die zur Heiligkeit hinführt, wie es im V. Kapitel von Lumen gentium ("Die allgemeine Berufung zur Heiligkeit") heißt. Das soll das Ziel der kirchlichen Pädagogik sein, während sie hohe Ideale vorstellt und sich nicht mit einer mittelmäßigen Religiosität zufrieden gibt. Daraus erwächst die Notwendigkeit, das Gebet in seiner Tiefe wiederzuentdecken, zu dem die christliche Gotteserfahrung es führen kann auf Grund des reichen pastoralen und mystischen Erbes der zweitausendjährigen Geschichte. Dies gilt für das persönliche Gebet, aber vor allem auch für das gemeinschaftliche Gebet, angefangen von der Liturgie, "der Quelle und dem Höhepunkt" des kirchlichen Lebens. Der Papst lädt vor allem dazu ein, den Sonntag, das Ostern der Woche, hochzuhalten und die Eucharistie wieder in die Mitte zu rücken. Es folgt die Einladung, verstärkt zum Sakrament der Versöhnung aufzufordern. Im Heiligen Jahr hat sich erwiesen, daß dieses Sakrament, wenn es entsprechend angeboten und gepflegt wird, die Krise überwinden kann, in die es in den vergangenen Jahrzehnten scheinbar unwiderruflich geraten war. Schließlich erinnert der Papst an den wichtigsten Punkt, die Seele des ganzen, das Hören auf das Wort Gottes, aus dem die Pflicht der Verkündigung folgt. Der in den vergangenen Jahren so oft wiederholte Aufruf zur "neuen Evangelisierung" ist nach dem Jubiläum notwendiger denn je.
- Das letzte Kapitel - Eine Zukunft der Liebe - leitet die programmatische Rede über auf die Gemeinschaft, die Liebe zum Nächsten und das Zeugnis in der Welt. Die Gemeinschaft (koinonía, communio), die das II. Vatikanische Konzil als grundlegend erachtet hat, um das Geheimnis der Kirche selbst zu erfassen, wird vom Papst dargelegt. Er geht von der Spiritualität aus und erläutert dann die vielfältigen Berufungen, die daraus erwachsen. Es gibt in der Kirche gemeinschaftliche Bereiche und Mittel, die ein genaues institutionelles Profil haben. Sie sollen gepflegt und gefördert werden. Das Schreiben weist hier auf die vielen Einrichtungen hin (Synoden, Bischofskonferenzen, Priester- und Pastoralräte), die in der universalen Kirche und in den Teilkirchen präsent sind. Er warnt aber davor, sie nicht zu seelenlosen Institutionen verkümmern zu lassen. Sie sollten hingegen eine "Spiritualität der Gemeinschaft" pflegen, das heißt die Fähigkeit, die Gemeinschaft als ein Geschenk von oben zu verstehen, sie als brüderliche Beziehung in gegenseitiger Wertschätzung der Gaben der anderen zu leben. Zu den unverzichtbaren Pflichten gehört die der Ökumene, so daß mit allen Glaubensbrüdern jene volle Einheit immer mehr verwirklicht wird, die die Kirche bereits in Christus in geheimnisvoller Weise genießt. Dann öffnet sich der Ausblick auf die brüderliche Liebe, auf die die Pastoral "setzen" muß. Der Papst erinnert an die vielfachen Herausforderungen, vor die die Kirche gestellt ist. Er drängt sie, sich mit neuer "Phantasie" und Hochherzigkeit zum Zeichen der konkreten Liebe Gottes in den verschiedenen Notsituationen des Leidens und der Armut zu machen.
Hier findet auch das "Zeichen" der Nächstenliebe seinen Platz, das der Papst als Frucht und Erinnerung an das Heilige Jahr hinterlassen möchte. Mit den eingegangenen Spenden wird, nach Begleichung der erforderlichen Spesen, in Rom eine Stiftung als Symbol dieser "Caritas" errichtet, die die universale Kirche sich auch im neuen Jahrtausend zur Aufgabe machen muß. Das letzte Bild ist das mutige Zeugnis, das die Christen in allen Bereichen des gesellschaftlichen und kulturellen Lebens geben sollen, vor allem dort, wo der Sauerteig des Evangeliums besonders notwendig zu sein scheint: In den Fragen, die die Familie und den Schutz des Lebens betreffen; in den Problemen der ökologischen Mißstände und einer wissenschaftlichen Forschung ohne ethischen Bezug. Nicht zu vergessen ist das Zeugnis, das die Christen dem konziliären Auftrag gemäß im Bereich des interreligiösen Dialogs geben sollen. Ohne die Pflicht der christlichen Verkündigung zu schmälern, bleibt der Dialog eine wichtige Aufgabe für das Wachstum aller in der Suche nach der Wahrheit und in der Förderung des Friedens.
- Der Brief endet, wie er begonnen hat mit der Einladung, die Jesus beim wunderbaren Fischfang an Petrus gerichtet hat: "Duc in altum!" Die Heilige Pforte wird geschlossen, aber mehr denn je bleibt die "lebendige Tür", Jesus Christus, die sie darstellt, offen. Nach dem Enthusiasmus des Jubiläums fällt die Kirche nicht in den grauen Alltag zurück. Im Gegenteil, sie erwartet einen neuen apostolischen Aufbruch, der vom Vertrauen auf die Gegenwart Christi und die Kraft des Geistes beseelt und gestützt wird.

[00024-05.01]

SINTESI IN LINGUA SPAGNOLA

La Carta Apostólica Novo millennio ineunte será firmada por el Papa en la Plaza de San Pedro el 6 de enero de 2001, solemnidad de la Epifanía, con ocasión de la clausura de la Puerta Santa. Es el documento conclusivo del Año Jubilar. Interpreta la exigencia de una Iglesia que, tras un año de intensa experiencia espiritual, se siente llamada a "ir mar adentro" - duc in altum!, según la orden que Jesús dio a Pedro (cf. Lc 5, 4) - afrontando los desafíos del mundo.
La Carta se articula en cuatro capítulos, con un hilo único conductor: Cristo.
- El primer capítulo - El encuentro con Cristo, herencia del Gran Jubileo - se desarrolla en clave del recuerdo. Juan Pablo II repasa los principales acontecimientos del Año Jubilar, no tanto para hacer un balance, cuanto para elevar un himno de alabanza y "descifrar", al mismo tiempo, los mensajes que el Espíritu de Dios ha enviado a la Iglesia a lo largo de este año de gracia. Así, mencionan algunos momentos significativos, desde el gran exordio ecuménico en la Basílica de San Pablo al intenso acto de "purificación de la memoria", desde la peregrinación a Tierra Santa a los numerosos encuentros con las más diversas categorías de personas. Dedica una mención especial a los jóvenes, cuyo jubileo ha causado un gran impacto, dejando en el aire una llamada a la necesidad de un compromiso más audaz en el trabajo pastoral en favor de las nuevas generaciones. Más allá de los hechos externos, Juan Pablo II percibe el Gran Jubileo como un evento de gracia, con la esperanza de que haya llegado a la vida de numerosas personas, orientándolas hacia un camino de conversión. El título expresa bien la conclusión que saca el Papa: el renovado encuentro con Cristo es la verdadera "herencia" del Jubileo, de la que ahora es preciso hacer acopio para invertir en favor del futuro.
- El segundo capítulo - Un rostro para contemplar - tiene una intensa inspiración contemplativa. Antes de mirar hacia el futuro en términos inmediatamente operativos, el Papa invita a la Iglesia a no descuidar, más aún, a profundizar la contemplación del misterio de Cristo, con la mirada fija en su rostro. En efecto, existe el riesgo indicado por Jesús mismo a Marta de Betania ("te preocupas y te agitas por muchas cosas": Lc 10, 41): volcarse completamente en la actividad pastoral olvidando la contemplación, que es su fuente. A ésta debe recurrir la Iglesia continuamente. De aquí todo este capítulo, en el que el Papa repasa el misterio de Cristo en sus dimensiones fundamentales. No pretende ser un tratado doctrinal, sino hacerse eco de la voz de Pedro en la confesión de Cesarea de Felipe - "Tú eres el Cristo, el Hijo de Dios vivo" (Mt 16, 16) - y proponerla de nuevo a toda la Iglesia como fundamento perenne. La Carta se detiene ante todo en trazar el perfil histórico de Cristo, subrayando la veracidad y credibilidad de los documentos evangélicos. Se sumerge a continuación en la contemplación del rostro de Cristo, en la profundidad de su misterio divino-humano, fijándose en la autoconciencia divina, que perdura también en el momento dramático de la cruz, para plasmarlo, en fin, en el explandor de la resurrección.
- Siguen dos capítulos que se adentran directamente en el campo de la programación. El tercero - Caminar desde Cristo - comienza con una llamada a las Iglesias locales para invitarlas a continuar y profundizar su programación pastoral, según las exigencias de los diversos contextos. La Carta, pues, no se propone trazar una especie de plan pastoral para toda la Iglesia, sino que se limita a indicar algunas urgencias y prioridades. El capítulo se articula en torno a la necesidad de orientar la pastoral cristiana hacia una experiencia de fe sólida, que haga florecer la santidad, en la línea indicada por el cap. V. de la Lumen gentium ("la vocación universal a la santidad"). Esto es a lo que debe orientarse la pedagogía eclesial, proponiendo ideales elevados y no contentándose con una religiosidad mediocre. De aquí la necesidad de hacer redescubrir la oración en toda la profundidad a la que la experiencia cristiana de Dios puede llevarla, sobre la base del rico patrimonio pastoral y místico de dos mil años de historia. Oración personal, pero sobre todo comunitaria, comenzando por la litúrgica, "fuente y culmen" de la vida eclesial. El Papa invita especialmente a redescubrir el domingo, Pascua de la semana, haciendo que la Eucaristía sea su corazón. Sigue la invitación a proponer de nuevo con fuerza el sacramento de la Reconciliación. El Jubileo ha puesto de manifiesto que este Sacramento, bien presentado y cultivado, es capaz de superar aquella crisis de la que parecía irremediablemente aquejado en los decenios pasados. Finalmente, como alma de todo, el Papa recuerda el primado de la escucha de la Palabra de Dios, a lo que sigue, por su propia lógica, el deber del anuncio. La "nueva evangelización" - tantas veces invocada en estos años - sigue siendo después del Jubileo más urgente que nunca.
- El cuarto y último capítulo - Testigos del amor - continúa la reflexión programática desde la vertiente de la comunión, de la caridad, del testimonio en el mundo. La comunión (koinonía), redescubierta por el Concilio Vaticano II como categoría central para comprender el misterio mismo de la Iglesia, es propuesta por el Papa a partir de su dimensión espiritual y, después, de las exigencias operativas que se derivan. Hay en la Iglesia ámbitos e instrumentos de comunión que tienen un perfil institucional bien definido. Éstos han de ser cultivados y promovidos. A este propósito, la Carta alude a las muchas instituciones (Sínodos, Conferencias episcopales, Consejos presbiterales y pastorales) existentes en la Iglesia universal y en las particulares, advirtiendo sin embargo que éstas se convertirían en estructuras sin alma si no se cultivase una "espiritualidad de comunión", o sea, la capacidad de percibir la comunión como don de lo alto y, al mismo tiempo, de vivirla en términos de relación fraterna, en la estima acogedora de los dones recíprocos. Entre los compromisos irrenunciables destaca el del ecumenismo, para vivir cada vez más con todos los hermanos de fe esa plena unidad de la que la Iglesia goza ya misteriosamente en Cristo. Se abre después el gran escenario de la caridad fraterna, la gran "apuesta" de la pastoral. El Papa recuerda los muchos desafíos que interpelan a la Iglesia, impulsándola a hacerse, con renovada "fantasía" y generosidad, expresión del amor concreto de Dios en las más variadas situaciones de sufrimiento y de indigencia. Aquí se sitúa también el "signo" de caridad que el Papa desea que quede como fruto y recuerdo del Año jubilar. Con las ofrendas que se han recibido, una vez cubiertos los gastos que se han hecho, se realizará en Roma una obra que quiere ser símbolo de la floreciente caridad de la que la Iglesia universal debe continuar realizando en el nuevo milenio. El último escenario es el del testimonio valiente que los cristianos están llamados a dar en todos los sectores de la vida social y cultural, especialmente allí donde es particularmente urgente la presencia del fermento evangélico: desde las cuestiones sobre la familia y la tutela de la vida a los problemas que plantea el desorden ecológico y un experimentación científica carente de referencias éticas. Entre los testimonios que no se han de descuidar, se encuentra también el que los cristianos deben dar, a la luz de las orientaciones conciliares, en el ámbito del diálogo interreligioso. Sin quitar nada al anuncio cristiano, el diálogo sigue siendo una directriz importante para el crecimiento de todos en la búsqueda de la verdad y en la promoción de la paz.
- La Carta concluye como había comenzado, evocando la invitación de Jesús a Pedro en el episodio de la pesca milagrosa: "Duc in altum!". La Puerta Santa se cierra, pero queda más abierta que nunca la "puerta viva", Cristo Jesús, simbolizado en la Puerta Santa. La Iglesia, después del entusiasmo jubilar, no vuelve a una cotidianidad anodina. Por el contrario, le espera un nuevo impulso apostólico, animado y sostenido por la confianza en la presencia de Cristo y en la fuerza del Espíritu.

[00024-04.01]

SINTESI IN LINGUA PORTOGHESE

A Carta apostólica Novo millennio ineunte será assinada pelo Papa na Praça de S. Pedro a 6 de Janeiro de 2001, solenidade da Epifania, na altura do encerramento da Porta Santa. É o documento conclusivo do ano jubilar. Espelha o ânimo da Igreja que, depois de um ano de intensa experiência espiritual, se sente chamada a «fazer-se ao largo» (duc in altum!) - como Jesus tinha ordenado a Pedro (cf. Lc 5, 4) -, enfrentando os desafios do futuro.
A Carta está estruturada em quatro capítulos, com um único motivo condutor: Cristo.
O primeiro capítulo - O encontro com Cristo, legado do Grande Jubileu - move-se ao ritmo da memória. João Paulo II relê os principais acontecimentos do ano jubilar, não tanto para fazer um balanço deles, como sobretudo para elevar um hino de louvor e, ao mesmo tempo, «decifrar» as mensagens que o Espírito de Deus enviou à Igreja ao longo deste ano de graça. Nesta linha, recordam-se alguns momentos significativos: do grande exórdio ecuménico na basílica de S. Paulo ao gesto intenso de «purificação da memória», da peregrinação à Terra Santa aos numerosos encontros com as mais diversas categorias de pessoas. Uma menção especial é reservada aos jovens, cujo Jubileu causou grande impressão, recomendando um empenho mais corajoso no trabalho pastoral com as novas gerações. Mais do que factos exteriores, João Paulo II vê o Grande Jubileu principalmente como um acontecimento de graça, esperando que tenha atingido existências sem conta, orientando-as para um caminho de conversão. O título exprime justamente a conclusão a que o Papa chegou: um renovado encontro com Cristo é o verdadeiro «legado» do Jubileu, que importa agora conservar e investir no futuro.
O segundo capítulo - Um Rosto a contemplar - caracteriza-se por uma forte inspiração contemplativa. Antes de debruçar-se sobre o futuro para ver imediatamente as acções a desenvolver, o Papa convida a Igreja a não perder de vista - antes, a aprofundar - a contemplação do mistério de Cristo, permanecendo com os olhos fitos no seu rosto. De facto, corre-se o risco que o próprio Jesus apontara a Marta de Betânia («Andas inquieta e perturbada com muitas coisas»: Lc 10, 41): mergulhar de cabeça na actividade pastoral, esquecendo a contemplação que é a sua fonte. A esta, deve vir a Igreja continuamente beber. Assim nasce um capítulo inteiro, onde o Papa relê o mistério de Cristo nas suas dimensões fundamentais. Não é sua intenção apresentar um tratado doutrinal, mas sobretudo fazer ecoar a voz de Pedro na confissão de Cesareia de Filipe - «Tu és o Cristo, o Filho de Deus vivo» (Mt 16, 16) - e propô-la novamente a toda a Igreja como fundamento perene. A Carta detém-se, em primeiro lugar, a delinear os traços históricos de Cristo, sublinhando o carácter verídico e credível dos documentos que são os Evangelhos. Demora-se depois na contemplação do rosto de Cristo, na profundidade do seu mistério divino-humano, concentrando-se de modo especial na sua autoconsciência divina, que se manteve mesmo na hora dramática da cruz. Fixa-O, por fim, no fulgor da Ressurreição.
Os dois capítulos seguintes entram directamente no âmbito da programação. O terceiro - Partir de Cristo - abre com o apelo às Igrejas locais, convidando-as a prosseguir e aprofundar a sua programação pastoral, conforme as exigências dos diversos contextos. Por conseguinte, a Carta não pretende traçar uma espécie de plano pastoral para toda a Igreja, mas limita-se a indicar algumas urgências e prioridades. O capítulo parte da necessidade de se orientar a pastoral cristã para uma experiência de fé sólida, que faça florir a santidade, segundo a linha traçada pelo capítulo V da Lumen gentium («vocação universal à santidade»). É este o alvo que deve visar a pedagogia eclesial, propondo ideais elevados e não se contentando com uma religiosidade medíocre. Daí a necessidade de fazer descobrir novamente a oração em toda a profundidade a que é capaz de levá-la a experiência cristã de Deus, segundo o rico património pastoral e místico de dois mil anos de história. Oração pessoal, mas sobretudo comunitária, a começar da oração litúrgica, «meta e fonte» da vida eclesial. O Papa convida de modo especial a redescobrir o domingo, Páscoa da semana, procurando que a Eucaristia seja o seu coração. Segue-se o convite para se propor de novo e intensamente o sacramento da Reconciliação. O Jubileu demonstrou que este sacramento, condignamente apresentado e fomentado, é capaz de superar a crise de que parecia sofrer irremediavelmente nos decénios passados. Por último e como alma de tudo, o Papa recorda o primado da escuta da palavra de Deus e, no seu prolongamento lógico, o dever do anúncio. A «nova evangelização» - apelo tantas vezes repetido nestes anos - permanece, depois do Jubileu, ainda mais urgente.
O último capítulo - Testemunhas do amor - continua a falar da programação, mas agora na vertente da comunhão, da caridade, do testemunho no mundo. A comunhão (koinonía), vista pelo Concílio Vaticano II como categoria central para descrever o próprio mistério da Igreja, é apresentada pelo Papa partindo da sua dimensão espiritual para passar depois às exigências práticas que daí derivam. Existem, na Igreja, âmbitos e instrumentos de comunhão, que têm o seu perfil institucional bem definido. Há que valer-se deles e dinamizá-los. A Carta cita, a propósito disto, as várias instituições (Sínodos, Conferências Episcopais, Conselhos Presbiterais e Pastorais) presentes na Igreja universal e nas Igrejas particulares, advertindo porém que seriam estruturas sem alma, caso não se cultivasse uma «espiritualidade da comunhão», ou seja, a capacidade de ver a comunhão como dom do Alto e, ao mesmo tempo, de vivê-la em termos de relacionamento fraterno, com apreço e acolhimento dos dons recíprocos. De entre os compromissos irrenunciáveis, sobressai o empenho do ecumenismo para se viver cada vez mais, com todos os irmãos na fé, aquela unidade plena de que a Igreja já goza misteriosamente em Cristo. Abre-se depois o largo horizonte da caridade fraterna, grande «aposta» da pastoral. O Papa refere os múltiplos desafios que interpelam a Igreja, impelindo-a a tornar-se, com renovada «fantasia» e generosidade, a expressão do amor concreto de Deus nas mais variadas situações de sofrimento e de indigência. Também nesta linha se coloca o «sinal» de caridade que o Papa deseja como fruto e recordação do ano jubilar. Com as ofertas que chegaram, depois de saldar as despesas havidas, será realizada em Roma uma obra, que se pretende símbolo daquele florescimento de caridade que continuará a ser objecto dos cuidados da Igreja universal no novo milénio. O último cenário é o do testemunho corajoso que os cristãos são chamados a dar em todos os sectores da vida social e cultural, sobretudo onde mais se sente a urgência do fermento evangélico: desde as questões relativas à família e à tutela da vida até aos problemas suscitados pelo desequilíbrio ecológico e por uma experimentação científica sem referências éticas. Entre os testemunhos a não transcurar coloca-se aquele que os cristãos devem prestar, à luz do ditame conciliar, no âmbito do diálogo inter-religioso. Sem diminuir em nada o dever do anúncio cristão, o diálogo permanece um vector importante para o crescimento de todos na busca da verdade e na promoção da paz.
A Carta termina, como tinha começado, recordando o convite de Jesus a Pedro no episódio da pesca milagrosa: Duc in altum! A Porta Santa fecha-se, mas continua ainda mais aberta a «porta viva» que aquela simboliza: Jesus Cristo. Não é a um dia-a-dia cinzento que a Igreja regressa depois do entusiasmo jubilar; mas, ao contrário, espera-a um novo impulso apostólico, animado e sustentado pela confiança na presença de Cristo e na força do Espírito.

[00024-06.01]

SINTESI IN LINGUA POLACCA

List Apostolski Novo millennio ineunte zostanie podpisany przez Papieża na Placu św. Piotra 6 stycznia 2001 r., w uroczystość Objawienia Pańskiego, z okazji zamknięcia Drzwi Świętych. Jest to końcowy dokument Roku Jubileuszowego. Daje on wyraz potrzebie odczuwanej przez Kościół, który po roku głębokich przeżyć duchowych słyszy wezwanie, aby «wypłynąć na głębię» - duc in altum!, zgodnie z poleceniem, jakie Jezus dał Piotrowi (por. Łk 5, 4) - i stawić czoło wyzwaniom przyszłości.
List podzielony jest na cztery rozdziały, które łączy jeden wspólny motyw przewodni: Chrystus.
- Rozdział pierwszy - Spotkanie z Chrystusem, dziedzictwo Wielkiego Jubileuszu - porusza się w przestrzeni pamięci. Jan Paweł II odczytuje na nowo główne wydarzenia Roku Jubileuszowego, nie tyle, aby dokonać ich podsumowania, lecz raczej by wznieść hymn uwielbienia i zarazem «odczytać» orędzie Ducha Świętego, skierowane do Kościoła w tym roku łaski. Przypomina zatem niektóre istotne wydarzenia, od wielkiej inauguracji ekumenicznej w bazylice św. Pawła za Murami po przejmujący akt «oczyszczenia pamięci», od pielgrzymki do Ziemi Świętej po liczne spotkania z najróżniejszymi kategoriami osób. Szczególną uwagę poświęca młodym, których Jubileusz wywarł wielkie wrażenie, stając się wezwaniem do śmielszych działań duszpasterskich na rzecz nowych pokoleń. Wychodząc poza zewnętrzny wymiar wydarzeń, Jan Paweł II postrzega Wielki Jubileusz przede wszystkim jako wydarzenie łaski i żywi nadzieję, że wywarło ono wpływ na życie bardzo wielu ludzi, wskazując im drogę nawrócenia. Tytuł rozdziału dobrze wyraża wniosek, jaki formułuje Ojciec Święty: nowe spotkanie z Chrystusem jest prawdziwym «dziedzictwem» Jubileuszu, które mamy teraz uczynić naszym skarbem i inwestycją na przyszłość.
- Rozdział drugi - Oblicze do kontemplacji - odznacza się głębokim duchem kontemplacyjnym. Papież, zanim skieruje spojrzenie w przyszłość w perspektywie czysto praktycznej, wzywa Kościół, aby nie zaniedbywał kontemplacji tajemnicy Chrystusa, ale raczej ją pogłębiał, wpatrując się nieustannie w Jego oblicze. Istnieje bowiem zagrożenie, które sam Jezus wskazał Marcie z Betanii («troszczysz się i niepokoisz o wiele»: Łk 10, 41), a które polega na tym, że można poświęcić się bez reszty działalności duszpasterskiej zapominając o kontemplacji, która jest jej ródłem. Z tego ródła Kościół musi nieustannie czerpać. Dlatego właśnie Papież poświęca cały rozdział ponownemu odczytaniu tajemnicy Chrystusa w jej podstawowych wymiarach. Nie ma to być traktat doktrynalny, ale jak gdyby przypomnienie wyznania wiary Piotra, złożonego w Cezarei Filipowej - «Ty jesteś Mesjasz, Syn Boga żywego» (Mt 16, 16) - i ponowne ukazanie go całemu Kościołowi jako trwałego fundamentu. List kreśli najpierw historyczne rysy postaci Chrystusa, zwracając uwagę na prawdziwość i wiarygodność świadectw ewangelicznych. Z kolei oddaje się kontemplacji oblicza Chrystusa w całej głębi Jego Bosko-ludzkiej tajemnicy i skupia uwagę na Boskiej samoświadomości, którą zachował On nawet w dramatycznej godzinie krzyża. Na koniec wpatruje się w Niego w blasku Zmartwychwstania.
- Następne dwa rozdziały poświęcone są bezpośrednio sprawom programowym. Rozdział trzeci - Na nowo rozpoczynać od Chrystusa - zwraca się najpierw z apelem do Kościołów lokalnych, wzywając je, aby kontynuowały i pogłębiały pracę nad programami duszpasterskimi, uwzględniając potrzeby różnych środowisk. List nie próbuje zatem sformułować jakiegoś planu duszpasterskiego dla całego Kościoła, ale ogranicza się do wskazania pewnych najpilniejszych zadań i najważniejszych celów. Przewodnim motywem rozdziału jest konieczność takiego kształtowania chrześcijańskiego duszpasterstwa, aby prowadziło do doświadczenia dojrzałej wiary, która zakwita świętością, zgodnie ze wskazaniami V rozdziału konstytucji Lumen gentium («powszechne powołanie do świętości»). Ku temu powinna zmierzać kościelna pedagogia, proponując wzniosłe ideały i nie zadowalając się powierzchowną religijnością. Dlatego należy dopomagać w odkrywaniu głębokich pokładów modlitwy, do jakich można dotrzeć dzięki chrześcijańskiemu doświadczeniu Boga, korzystając z bogatego dziedzictwa pastoralnego i mistycznego dwóch tysięcy lat historii. Mowa tu o modlitwie osobistej, ale przede wszystkim wspólnotowej, poczynając od modlitwy liturgicznej, która stanowi «ródło i szczyt» życia Kościoła. Papież wzywa zwłaszcza do ponownego odkrycia niedzieli, Paschy tygodnia, i do starań o to, by jej sercem stała się Eucharystia. Z kolei zachęca, aby przypominać zdecydowanie o wartości Sakramentu Pojednania. Jubileusz dowiódł, że sakrament ten, jeśli jest właściwie przedstawiany i sprawowany, może przezwyciężyć kryzys, na pozór nieodwracalny, jakim dotknięty został w ostatnich dziesięcioleciach. Na koniec Ojciec Święty przypomina o pierwszeństwie słuchania słowa Bożego, które powinno być duszą wszystkiego, i z którego wynika na mocy wewnętrznej logiki obowiązek głoszenia. «Nowa ewangelizacja» - wezwanie wielokrotnie ponawiane w ostatnich latach - pozostaje po Jubileuszu zadaniem niezwykle pilnym.
- Rozdział ostatni - Świadkowie miłości - prowadzi dalej rozważania nad programem, podejmując zagadnienia komunii, miłosierdzia i świadectwa w świecie. Komunia (koinonia), odkryta na nowo przez Sobór Watykański II jako podstawowe pojęcie pozwalające zrozumieć tajemnicę samego Kościoła, ukazana zostaje przez Papieża najpierw w perspektywie duchowej, a następnie z punktu widzenia działań, jakie nakazuje ona podejmować. Istnieją w Kościele środowiska i środki służące komunii, mające ściśle określony profil instytucjonalny. Należy je rozwijać i popierać. List wspomina w tym kontekście o licznych instytucjach (Synodach, Konferencjach Episkopatów, Radach kapłańskich i duszpasterskich), istniejących w Kościele powszechnym i w Kościołach partykularnych, przypominając wszakże, że stałyby się one bezdusznymi strukturami, gdyby nie kultywowano «duchowości komunii», to znaczy zdolności postrzegania komunii jako daru z Wysoka oraz przeżywania jej w kategoriach braterskiej więzi, opartej na szacunku i otwartej na wzajemne dary. Do zadań pierwszoplanowych należy dialog ekumeniczny, który trzeba koniecznie rozwijać, abyśmy mogli w coraz większej mierze zaznawać wraz z wszystkimi braćmi w wierze owej pełnej jedności, którą Kościół w tajemniczy sposób już teraz cieszy się w Chrystusie. Z kolei otwiera się przed nami rozległy obszar braterskiego miłosierdzia - wielkie «wyzwanie» dla duszpasterstwa. Jan Paweł II przypomina rozliczne problemy, które są zadaniem dla Kościoła i przynaglają go, by z twórczą «wyobranią» i wielkodusznością stawał się konkretnym znakiem Bożej miłości w obliczu różnych przejawów cierpienia i ubóstwa. W ten kontekst wpisuje się także «znak» miłosierdzia, który zgodnie z pragnieniem Papieża ma pozostać jako owoc i pamiątka Roku Jubileuszowego. Dzięki ofiarom, jakie napłynęły - po pokryciu poniesionych wydatków - zostanie zrealizowanie w Rzymie dzieło, mające być symbolem wielorakiego miłosierdzia, które Kościół powszechny winien nadal traktować jako swoje zadanie w nowym tysiącleciu.
Ostatnia dziedzina to świadectwo, jakie chrześcijanie mają odważnie składać we wszystkich sferach życia społecznego i kultury, zwłaszcza tam gdzie najbardziej potrzebny jest ewangeliczny zaczyn: od spraw dotyczących rodziny i ochrony życia, do problemów związanych z degradacją środowiska naturalnego oraz z eksperymentami naukowymi pozbawionymi odniesień etycznych. Nie należy też zaniedbywać świadectwa, jakie w świetle zaleceń soborowych chrześcijanie winni składać w dziedzinie dialogu międzyreligijnego. Nie umniejszając bynajmniej powinności głoszenia chrześcijańskiego orędzia, dialog pozostaje dla wszystkich ważnym kierunkiem poszukiwania prawdy i dążenia do pokoju.
- Na zakończenie List przywołuje - podobnie jak na początku - wezwanie skierowane przez Jezusa do Piotra przed cudownym połowem: «Duc in altum!». Zamykają się Drzwi Święte, ale pozostaje na oścież otwarta «żywa brama», której są symbolem: Jezus Chrystus. Po porywających przeżyciach jubileuszowych Kościół nie powraca do szarej codzienności. Przeciwnie, czeka go czas apostolskiego wysiłku, ożywianego i wspieranego przez wiarę w obecność Chrystusa i w moc Ducha Świętego.

[00024-09.01]