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CELEBRAZIONE EUCARISTICA PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE PER IL GIUBILEO DEI GOVERNANTI E DEI PARLAMENTARI, 05.11.2000


Alle ore 10 di questa mattina, XXXI domenica del tempo "per annum", il Santo Padre Giovanni Paolo II presiede, in Piazza San Pietro, la Celebrazione Eucaristica in occasione del Giubileo dei Governanti, dei Parlamentari e dei Politici.
Concelebrano con il Papa i Cardinali Angelo Sodano, Segretario di Stato e Roger Etchegaray, Presidente del Comitato del Grande Giubileo dell’Anno 2000; gli Arcivescovi: François Xavier Nguyên Van Thuân, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; Leonardo Sandri, Sostituto della Segreteria di Stato; Jean-Louis Tauran, Segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato; Crescenzio Sepe, Segretario del Comitato del Grande Giubileo dell’Anno 2000.
Pubblichiamo di seguito l’indirizzo di omaggio che il Cardinale Segretario di Stato Angelo Sodano rivolge al Papa all’inizio della Santa Messa e il testo dell’omelia che Giovanni Paolo II pronuncia nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la lettura del Santo Vangelo:

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL CARDINALE ANGELO SODANO

Beatissimo Padre,

in quest’anno di grazia la splendida Piazza di S. Pietro sta accogliendo uomini e donne di ogni parte del mondo, qui venuti per professare la propria fede cristiana o almeno, in alcuni casi, per confrontarsi con quel Vangelo di Cristo che la Chiesa di Roma da due mila anni annunzia al mondo.

Oggi è la volta dei Governanti, dei Parlamentari, dei pubblici Amministratori, che qui sono convenuti dai cinque continenti per pregare con Vostra Santità ed ascoltare un messaggio di speranza per l'umanità, all'alba del terzo millennio cristiano.

C'è chi ha scritto che oggi nell’emiciclo di Piazza S. Pietro è riunito il Parlamento del mondo. Certo è riunita un'assemblea che è cosciente dell'importanza fondamentale del messaggio cristiano nella creazione di una nuova civiltà, la civiltà dell'amore.

A Vostra Santità giunga il saluto di tutti i presenti. La vostra preghiera sostenga il loro comune impegno di servizio alle rispettive comunità. La vostra parola illumini il loro cammino, affinché essi possano contribuire a preparare un nuovo Millennio in cui tutti gli uomini siano rispettati ed amati, come figli dello stesso Padre che sta nei cieli.

Con Lei, Padre Santo, tutti i presenti intendono infine pregare per la pace nel mondo, soprattutto sulla terra ove Gesù nacque duemila anni fa e che oggi è provata da tante sofferenze.

Con questi sentimenti partecipiamo a questa celebrazione eucaristica.

[02195-01.01] [Testo originale: Italiano]

OMELIA DEL SANTO PADRE

Testo in lingua originale 

Traduzione in lingua francese 

Traduzione in lingua inglese 

Traduzione in lingua tedesca 

Traduzione in lingua spagnola 

Traduzione in lingua portoghese 

Testo in lingua originale 

1. "Ascolta, Israele!" (Dt 6,3.4).

La parola di Dio, in forma solenne e nello stesso tempo amorevole, ci ha rivolto poc'anzi l'invito ad «ascoltare». Ad ascoltare «oggi», «ora»; e a farlo non singolarmente o privatamente, ma insieme: "Ascolta, Israele!".

Questo appello giunge stamani in modo particolare a voi, Governanti, Parlamentari, Politici, Amministratori, convenuti a Roma per celebrare il vostro Giubileo. Tutti saluto cordialmente, con uno speciale pensiero per i Capi di Stato presenti tra noi.

Nella celebrazione liturgica si attualizza, qui ed ora, l'evento dell'Alleanza con Dio. Quale risposta Dio s'attende da noi? L'indicazione or ora ricevuta nella proclamazione del testo biblico è perentoria: occorre innanzitutto mettersi in ascolto. Non un ascolto passivo e disimpegnato. Gli Israeliti compresero bene che Dio attendeva da loro una risposta attiva e responsabile. Per questo promisero a Mosè: "Ci riferirai tutto ciò che ti avrà detto il Signore nostro Dio e noi lo ascolteremo e lo faremo" (Dt 5,27).

Nell'assumere questo impegno, essi sapevano di aver a che fare con un Dio di cui potevano fidarsi. Dio amava il suo popolo e ne voleva la felicità. In cambio, Egli chiedeva l'amore. Nello "Shema Israel", che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, accanto alla richiesta della fede nell'unico Dio, è espresso il comando fondamentale, quello dell'amore per Lui: "Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Dt 6,5).

2. Il rapporto dell'uomo con Dio non è un rapporto di paura, di schiavitù o di oppressione; al contrario, è un rapporto di sereno affidamento, che scaturisce da una libera scelta motivata dall'amore. L'amore che Dio attende dal suo popolo è la risposta a quello fedele e premuroso che Egli per primo gli ha manifestato attraverso le varie tappe della storia della salvezza.

Proprio per questo i Comandamenti, prima che come un codice legale e un regolamento giuridico, sono stati compresi dal popolo eletto come un evento di grazia, come un segno della propria appartenenza privilegiata al Signore. E' significativo che Israele non parli mai della Legge come di un fardello, di un'imposizione, ma come di un dono e di un favore: "Beati noi, o Israele, - esclama il profeta - perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato" (Bar 4,4).

Il popolo sa che il Decalogo è un impegno vincolante, ma sa anche che è la condizione per la vita: Ecco, dice il Signore, io pongo dinanzi a te la vita e la morte, cioè il bene e il male; ti comando di osservare i miei comandi, perché tu abbia la vita (cfr Dt 30,15). Con la sua Legge Dio non intende coartare la volontà dell'uomo, bensì liberarlo da tutto ciò che può comprometterne l'autentica dignità e la piena realizzazione.

3. Mi sono soffermato, Signore e Signori, a riflettere sul senso e sul valore della Legge divina, perché questo è un argomento che vi tocca da vicino. Non è forse, la vostra quotidiana fatica, quella di elaborare leggi giuste e di farle accettare ed applicare? Nel fare ciò voi siete convinti di rendere un importante servizio all'uomo, alla società, alla stessa libertà. E a buon diritto. La legge umana infatti, se giusta, non è mai contro, ma a servizio della libertà. Questo aveva intuito già il saggio pagano, che sentenziava: "Legum servi sumus, ut liberi esse possimus" - "Siamo servi delle leggi, per poter essere liberi" (Cic., De legibus, II,13).

La libertà a cui fa riferimento Cicerone, tuttavia, si situa principalmente a livello dei rapporti esterni tra cittadini. Come tale, essa rischia di ridursi ad un congruo bilanciamento dei rispettivi interessi, e magari dei contrapposti egoismi. La libertà a cui fa appello la parola di Dio, invece, affonda le proprie radici nel cuore dell'uomo, un cuore che Dio può liberare dall'egoismo, rendendolo capace di aprirsi all'amore disinteressato.

Non a caso, nella pagina evangelica poc'anzi ascoltata, allo scriba che gli chiede quale sia il primo di tutti i comandamenti, Gesù risponde citando lo "Shema": "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza" (Mc 12,30). L'accento è posto sul «tutto»: l'amore di Dio non può che essere "totalitario". Ma solo Dio è in grado di purificare il cuore umano dall'egoismo e di «liberarlo» alla piena capacità di amare.

Un uomo dal cuore così «bonificato» può aprirsi al fratello e farsi carico di lui con la stessa premura con cui si preoccupa di se stesso. Per questo Gesù aggiunge: "Il secondo (comandamento) è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mc 12,31). Chi ama Dio con tutto il cuore e lo riconosce come «unico Dio», e perciò come Padre di tutti, non può guardare a quanti incontra sul suo cammino che come ad altrettanti fratelli.

4. Amare il prossimo come se stessi. Questa parola trova sicuramente eco nei vostri animi, cari Governanti, Parlamentari, Politici e Amministratori. Essa pone oggi a ciascuno di voi, in occasione del vostro Giubileo, una questione centrale: in che modo, nel vostro delicato e impegnativo servizio allo Stato e ai cittadini, potete dare adempimento a questo comandamento? La risposta è chiara: vivendo l'impegno politico come un servizio. Prospettiva luminosa quanto esigente! Essa non può, infatti, ridursi a una riaffermazione generica di principi o alla dichiarazione di buone intenzioni. Il servizio politico passa attraverso un preciso e quotidiano impegno, che esige una grande competenza nello svolgimento del proprio dovere e una moralità a tutta prova nella gestione disinteressata e trasparente del potere.

D'altra parte, la coerenza personale del politico ha bisogno di esprimersi anche in una corretta concezione della vita sociale e politica che egli è chiamato a servire. Sotto questo profilo, un politico cristiano non può non fare costante riferimento a quei principi che la dottrina sociale della Chiesa ha sviluppato nel corso del tempo. Essi, com'è noto, non costituiscono un'"ideologia" e nemmeno un "programma politico", ma offrono le linee fondamentali per una comprensione dell'uomo e della società alla luce della legge etica universale presente nel cuore di ogni uomo e approfondita dalla rivelazione evangelica (cfr Sollicitudo rei socialis, 41). Tocca a voi, carissimi Fratelli e Sorelle impegnati in politica, farvene interpreti convinti e operosi.

Certo, nell'applicazione di questi principi alla complessa realtà politica, sarà spesso inevitabile incontrarsi con ambiti, problemi e circostanze che possono dare legittimamente adito a diverse valutazioni concrete. Al tempo stesso, però, non può giustificarsi un pragmatismo che, anche rispetto ai valori essenziali e fondanti della vita sociale, riduca la politica a pura mediazione degli interessi o, ancor peggio, a una questione di demagogia o di calcoli elettorali. Se il diritto non può e non deve coprire l'intero ambito della legge morale, va anche ricordato che esso non può andare "contro" la legge morale.

5. Ciò assume particolare rilevanza in questa fase di intense trasformazioni, che vede emergere una nuova dimensione della politica. Il declino delle ideologie s'accompagna ad una crisi delle formazioni partitiche, che spinge ad intendere in modo nuovo la rappresentanza politica e il ruolo delle istituzioni. Occorre riscoprire il senso della partecipazione, coinvolgendo maggiormente i cittadini nella ricerca delle vie opportune per avanzare verso una realizzazione sempre più soddisfacente del bene comune.

In tale impegno il cristiano si guarderà dal cedere alla tentazione della contrapposizione violenta, fonte spesso di grandi sofferenze per la comunità. Il dialogo resta lo strumento insostituibile per ogni confronto costruttivo, sia all'interno degli Stati che nei rapporti internazionali. E chi potrebbe assumere questa «fatica» del dialogo meglio del politico cristiano, che ogni giorno deve confrontarsi con quello che Cristo ha qualificato come «il primo» dei comandamenti, il comandamento cioè dell'amore?

6. Carissimi Fratelli e Sorelle, numerosi ed esigenti sono i compiti che attendono, all'inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio, i responsabili della vita pubblica. E' proprio pensando a questo che, nel contesto del Grande Giubileo, ho voluto, come sapete, offrirvi il sostegno di uno speciale Patrono: il santo martire Tommaso Moro.

La sua figura è veramente esemplare per chiunque sia chiamato a servire l'uomo e la società nell'ambito civile e politico. L'eloquente testimonianza da lui resa è quanto mai attuale in un momento storico che presenta sfide cruciali per la coscienza di chi ha responsabilità dirette nella gestione della cosa pubblica. Come statista, egli si pose sempre al servizio della persona, specialmente se debole e povera; gli onori e le ricchezze non ebbero presa su di lui, guidato com'era da uno spiccato senso dell'equità. Soprattutto, egli non scese mai a compromessi con la propria coscienza, giungendo fino al sacrificio supremo pur di non disattenderne la voce. Invocatelo, seguitelo, imitatelo! La sua intercessione non mancherà di ottenervi, anche nelle situazioni più ardue, fortezza, buon umore, pazienza e perseveranza.

È l'auspicio che vogliamo corroborare con la forza del sacrificio eucaristico, nel quale ancora una volta Cristo si fa nutrimento e orientamento della nostra vita. Vi conceda il Signore di essere politici secondo il suo Cuore, emuli di san Tommaso Moro, coraggioso testimone di Cristo e integerrimo servitore dello Stato.

[02194-01.01] [Testo originale: Italiano]

Traduzione in lingua francese

1. "Écoute, Israël !" (Dt 6, 4).

La parole de Dieu, sous une forme solennelle et en même temps affectueuse, nous a invités il y a un instant à "écouter". À écouter "aujourd'hui", "maintenant"; et à le faire non pas tout seuls ou en privé, mais ensemble : "Écoute, Israël !"

Cet appel vous parvient ce matin de manière particulière, à vous, chers Responsables de Gouvernements, Parlementaires, Hommes politiques, Administrateurs, réunis à Rome pour célébrer votre jubilé. Je vous salue tous cordialement, avec une pensée spéciale pour les Chefs d'État présents parmi nous.

Dans la célébration liturgique s’actualise, ici et maintenant, l'événement de l'Alliance avec Dieu. Quelle réponse Dieu attend-il de nous ? L'indication reçue à l'instant dans la proclamation du texte biblique est péremptoire : il faut avant tout se mettre à l’écoute. Non pas une écoute passive et désengagée. Les israélites comprirent bien que Dieu attendait d'eux une réponse active et responsable. C’est pourquoi ils promirent à Moïse : "Tu nous répéteras ce que le Seigneur notre Dieu t'aura dit; nous l'écouterons et le mettrons en pratique" (Dt 5, 27).

En prenant cet engagement, ils savaient qu'ils avaient à faire à un Dieu en qui ils pouvaient avoir confiance. Dieu aimait son peuple et voulait son bonheur. En échange, il demandait l'amour. Dans le "Shema Israël", que nous avons entendu dans la première lecture, conjointement à l’exigence de la foi dans le Dieu unique est exprimé le commandement fondamental, celui de l'amour pour Lui : "Tu aimeras le Seigneur ton Dieu de tout ton cœur, de toute ton âme et de toute ta force" (Dt 6, 5).

2. La relation de l'homme avec Dieu n'est pas une relation de peur, d'esclavage ou d'oppression; au contraire, c'est une relation de confiance sereine, qui jaillit d'un libre choix motivé par l'amour. L'amour que Dieu attend de son peuple est la réponse à l'amour fidèle et prévenant qu'il lui a manifesté le premier à travers les diverses étapes de l'histoire du salut.

C’est précisément pour cette raison que les commandements, avant d'être compris comme un code légal et un règlement juridique, ont été compris par le peuple élu comme un événement de grâce, comme un signe de son appartenance privilégiée au Seigneur. Il est significatif qu'Israël ne parle jamais de la Loi comme d'un fardeau, de quelque chose d'imposé, mais comme d'un don et d'une faveur : "Heureux sommes-nous, Israël ! - s'exclame le prophète - Car ce qui plaît à Dieu, nous le connaissons" (Ba 4, 4).

Le peuple sait que le Décalogue est un engagement contraignant, mais aussi que c’est la condition pour la vie: voici, dit le Seigneur, je te propose la vie et la mort, c’est-à-dire le bien et le mal; je te prescris d’observer mes commandements, pour que tu aies la vie (cf. Dt 30, 15). Par sa loi, Dieu n’entend pas forcer la volonté de l’homme, mais au contraire le libérer de tout ce qui peut compromettre son authentique dignité et sa pleine réalisation.

3. J’ai voulu réfléchir avec vous, Responsables de Gouvernements, Parlementaires et Hommes politiques, sur le sens et sur la valeur de la Loi divine, car il s’agit d’une question qui vous touche de près. N’est-ce pas votre labeur quotidien que d’élaborer des lois justes, et de les faire accepter et appliquer ? En réalisant cela, vous êtes convaincus de rendre un service important à l’homme, à la société, à la liberté elle-même. Et cela à bon droit. En effet, la loi humaine, si elle est juste, n’est jamais contre la liberté, mais à son service. C’est ce que le sage païen avait déjà perçu lorsqu’il déclarait: "Legum servi sumus, ut liberi esse possimus" - "Nous sommes les esclaves des lois, pour pouvoir être libres" (Cicéron, De legibus, II, 13).

Cependant, la liberté à laquelle Cicéron fait référence se situe principalement au niveau des relations extérieures entre les citoyens. Comme telle, elle risque de se réduire à un équilibre convenable entre des intérêts respectifs, et à la rigueur entre des égoïsmes contradictoires. Au contraire, la liberté à laquelle fait appel la parole de Dieu s’enracine dans le cœur de l’homme, un cœur que Dieu peut libérer de l’égoïsme, le rendant capable de s’ouvrir à l’amour désintéressé.

Ce n’est pas par hasard que, dans la page évangélique que nous venons d’écouter, au scribe qui lui demande quel est le premier de tous les commandements, Jésus répond en citant le "Shema": "Tu aimeras le Seigneur ton Dieu de tout ton cœur, de toute ton âme, de tout ton esprit et de toute ta force" (Mc 12, 30). L’accent est mis sur le "tout": l’amour de Dieu ne peut qu’être "totalitaire". Mais Dieu seul est en mesure de purifier le cœur de l’homme de l’égoïsme et de "le libérer" en vue de la pleine capacité d’aimer.

Un homme au cœur "rendu aussi bon" peut s’ouvrir à son frère et prendre soin de lui avec la même attention avec laquelle il se préoccupe de lui-même. C’est pourquoi Jésus ajoute: "Voici le second (commandement): Tu aimeras ton prochain comme toi-même" (Mc 12, 31). Celui qui aime Dieu de tout son cœur et le reconnaît comme "Dieu unique", et donc comme Père de tous, ne peut considérer ceux qu’il rencontre que comme des frères.

4. Aimer son prochain comme soi-même. Ces paroles trouvent certainement un écho dans vos cœurs, chers Responsables de Gouvernements, Parlementaires, Hommes politiques et Administrateurs. À l’occasion de votre jubilé, elles posent à chacun de vous une question essentielle: de quelle manière, dans votre service de l’État et des citoyens, qui requiert délicatesse et engagement, pouvez-vous appliquer ce commandement ? La réponse est claire: en vivant l’engagement politique comme un service. C’est une perspective lumineuse autant qu’exigeante ! Elle ne peut en effet se réduire à une nouvelle affirmation générique de principes ou à une déclaration de bonnes intentions. Le service politique passe par un engagement précis et quotidien, qui exige une grande compétence dans l’accomplissement de son devoir et une moralité à toute épreuve dans la gestion désintéressée et transparente du pouvoir.

D’autre part, la cohérence personnelle de l’homme politique a besoin de s’exprimer aussi par une conception correcte de la vie sociale et politique, qu’il est appelé à servir. Dans cette perspective, un homme politique chrétien ne peut pas faire autrement que de se référer aux principes que la doctrine sociale de l’Église a développés au cours de l’histoire. Comme on le sait, ces principes ne constituent pas une "idéologie" et moins encore un "programme politique", mais ils offrent les lignes de force d’une compréhension de l’homme et de la société à la lumière de la loi éthique universelle, qui est présente dans le cœur de l’homme et qui a été approfondie par la révélation évangélique (cf. Sollicitudo rei socialis, n. 41). Il vous revient, chers Frères et Sœurs engagés dans la vie politique, de vous en faire des interprètes convaincus et actifs.

Certes, dans l’application de ces principes à la réalité politique complexe, il sera souvent inévitable de rencontrer des domaines, des problèmes et des circonstances qui peuvent légitimement donner lieu à des évaluations concrètes différentes. Mais en même temps, on ne peut justifier un pragmatisme qui, même en ce qui concerne les valeurs essentielles et fondatrices de la vie sociale, réduirait la politique à une pure médiation d’intérêts ou, pire encore, à une question de démagogie ou de calculs électoralistes. Si le droit ne peut pas et ne doit pas couvrir toute la sphère de la loi morale, il faut aussi rappeler qu’il ne peut aller "à l’encontre" de la loi morale.

5. Cela prend une importance particulière dans la période actuelle d’intenses transformations, qui voit apparaître une nouvelle dimension de la politique. Le déclin des idéologies s’accompagne d’une crise des formations politiques, qui pousse à entendre de manière renouvelée la représentation politique et le rôle des institutions. Il convient de redécouvrir le sens de la participation, en engageant davantage les citoyens dans la recherche de voies opportunes pour aller dans le sens d’une réalisation toujours plus satisfaisante du bien commun.

Dans un tel engagement, le chrétien se gardera de céder à la tentation de l’opposition violente, souvent source de grandes souffrances pour la communauté. Le dialogue reste l’instrument irremplaçable pour toute confrontation constructive, au sein même des États comme dans les relations internationales. Et qui pourrait assumer cette "charge" du dialogue mieux que l’homme politique chrétien qui, chaque jour, doit se confronter avec ce que le Christ a qualifié de "premier" des commandements, le commandement de l’amour ?

6. Chers Responsables de Gouvernements, Parlementaires, Hommes politiques, Administrateurs, nombreux et exigeants sont les devoirs qui attendent, au début du nouveau siècle et du nouveau millénaire, les responsables de la vie publique. C’est précisément en pensant à cela que, dans le cadre du grand Jubilé, j’ai voulu, comme vous le savez, vous offrir le soutien d’un Patron spécial: le saint martyr Thomas More.

Sa figure est vraiment exemplaire pour quiconque est appelé à servir l’homme et la société dans le cadre civil et politique. Le témoignage éloquent qu’il a rendu est on ne peut plus actuel dans un moment historique qui présente des défis cruciaux pour la conscience des responsables directs de la gestion des affaires publiques. Comme homme d’État, il s’est toujours mis au service de la personne, spécialement quand elle était faible et pauvre; les honneurs et les richesses n’eurent aucune prise sur lui, guidé qu’il était par un sens aigu de l’équité. Par-dessus tout, il ne s’abaissa jamais à des compromis avec sa conscience, allant jusqu’au sacrifice suprême plutôt que de ne pas en écouter la voix. Invoquez-le, suivez-le, imitez-le ! Son intercession ne manquera jamais de vous obtenir force, bonne humeur, patience et persévérance, même dans les situations les plus inextricables.

Ce souhait, nous voulons l’affermir avec la force du sacrifice eucharistique, dans lequel une fois encore le Christ se fait nourriture et orientation de notre vie. Que le Seigneur vous accorde d’être des hommes politiques selon son Cœur, émules de saint Thomas More, lui qui fut un courageux témoin du Christ et un serviteur parfaitement intègre de l’État.

[02194-03.01] [Texte original: Italien]

Traduzione in lingua inglese

1. "Hear, O Israel!" (Dt 6:3,4)

The word of God, in a solemn yet loving way, has just invited us to "hear". To hear "today", "now", and to do so not as individuals or in private but together: "Hear, O Israel!".

This summons is directed this morning in a particular way to you, the Government Leaders, Members of Parliament, Politicians and Public Administrators who have come to Rome to celebrate your Jubilee. I greet all of you cordially, with a special thought for the Heads of State present among us.

In the celebration of the Liturgy, the event of our Covenant with God becomes present, here and now. What response does God expect from us? The command which we have just received in the proclamation of the Biblical text is peremptory: we need first and foremost to listen. Not a passive and uninvolved listening. The Israelites understood very well that God expected from them an active and responsible answer. That is why they promised Moses: "Speak to us all that the Lord our God will speak to you, and we will hear and do it" (Dt 5:27).

In taking on this responsibility, they knew they were dealing with a God whom they could trust. God loved his people and he desired their happiness. In exchange, he asked for love. In the "Shema Israel", which we heard in the First Reading, together with the demand for faith in the one God, there is expressed the fundamental commandment of love for him: "You shall love the Lord your God with all your heart, and with all your soul, and with all your might" (Dt 6:5).

2. Man’s relationship with God is not one of fear, of slavery or oppression; rather, it is a relationship of serene trust born of a free choice motivated by love. The love which God expects from his people is their response to that faithful and solicitous love which he first made known in all the various stages of salvation history.

For this very reason the Commandments, before being a legal code and a set of juridic regulations, were understood by the Chosen People as an event of grace, as a sign of their being privileged to belong to the Lord. It is significant that Israel never speaks of the Law as a burden, but rather as a gift and a grace: "Happy are we, O Israel", exclaims the Prophet, "for we know what is pleasing to God" (Bar 4:4).

The people knew that the Decalogue involves a binding commitment, but they also knew that it is the condition for life: Behold, says the Lord, I am setting before you life and death, good and evil; and I command you to observe my commands, that you may have life (cf. Dt 30:15). By his Law God does not intend to coerce man’s will, but rather to set it free it from everything that could compromise its authentic dignity and its full realization.

3. Distinguished Government Leaders, Members of Parliament and Politicians: I have been reflecting on the meaning and the value of the divine Law, because this is a subject which very closely affects you. Does not your daily work consist of creating just laws and seeking to have them accepted and applied? In doing this you are convinced that you are rendering an important service to man, to society and to freedom itself. And rightly so. Human law, in fact, if just, is never against, but in the service of freedom. This was already perceived by the ancient sage who said: "Legum servi sumus, ut liberi esse possimus" – "We are servants to the law, so that we might be free" (Cicero, De Legibus, II:13).

The freedom to which Cicero referred, however, is found chiefly on the level of outward relationships between citizens. As such, it can risk being reduced to a commensurate balancing of respective interests, and even of counterbalancing selfish interests. But the freedom of which the word of God speaks is one rooted in the human heart, a heart which God can liberate from selfishness and open up to a selfless love.

It is not by chance that, in the Gospel we have just heard, Jesus answers the scribe who asks him what is the first of all the commandments by quoting the "Shema": "You shall love the Lord your God with all your heart, and with all your soul, and with all your mind, and with all your strength" (Mk 12:30). The emphasis is placed on the "all": the love of God can only be "totalitarian". But God alone is able to purify the human heart from selfishness and to "free it" for its full capacity to love.

People whose hearts have thus been "reclaimed" are able to open themselves to their brothers and sisters and take responsibility for them with the same care with which they are concerned for themselves. That is why Jesus goes on to say: "The second (commandment) is this: ‘You shall love your neighbour as yourself’" (Mk 12:31). Anyone who loves God with all his heart and acknowledges him as the "one God", and thus as the Father of all, cannot fail to look upon everyone whom he meets on the way as a brother or a sister.

4. Love your neighbour as yourself. This saying surely strikes a chord in your hearts, dear Government Leaders, Members of Parliament, Politicians and Public Administrators. To each of you, today, on the occasion of your Jubilee, it poses a fundamental question: how, in your delicate and demanding service to the State and to its citizens, can you carry out this commandment? The answer is clear: by living your involvement in politics as a service to others. An approach as magnificent as it is demanding! It cannot in fact be reduced to some generic restatement of principles or a declaration of good intentions. Political service is lived in a precise and daily commitment which calls for great competence in the fulfilment of one’s duties and unswerving morality in the selfless and accountable exercise of power.

On the other hand, the personal integrity of the politician also needs to find expression in a correct conception of the social and political life which he or she is called to serve. From this standpoint, Christian politicians need to make constant reference to those principles which the Church’s social doctrine has developed in the course of time. These principles, as we know, do not constitute an "ideology" and even less a "political programme"; rather, they offer a fundamental approach to understanding the human person and society in the light of the universal ethical law present in the heart of every human being, a law which is clarified by the revelation of the Gospel (cf. Sollicitudo Rei Socialis, 41). You, dear brothers and sisters engaged in political life, must be eloquent and effective proponents of these principles.

Certainly, the application of these principles to the complexities of political life will often and inevitably meet up with situations, problems and circumstances which can legitimately give rise to diverse concrete judgements. Yet at the same time there is no justification for a pragmatism which, even with regard to essential and fundamental values of social life, would reduce politics to the mere balancing of interests or, worse yet, to a matter of demagogy or of winning votes. If legislation cannot and must not be coextensive with the whole of the moral law, neither can it run "counter" to the moral law.

5. All of this takes on particular importance in the present situation of profound change which has seen the emergence of a new dimension of politics. The decline of ideologies has been accompanied by a crisis of partisan alliances, which in turn calls for a new way of understanding political representation and the role of institutions. There is a need to rediscover the true meaning of participation and to involve more citizens in seeking suitable ways of advancing towards an ever more satisfactory attainment of the common good.

In this undertaking, Christians must guard against yielding to the temptation to violent conflicts, which often cause great suffering to the community. Dialogue remains the irreplaceable instrument for every constructive confrontation, both within States and in international relations. And who could better take on the "burden" of this dialogue than a Christian politician, who every day must measure up to what Christ has called "the first" of the commandments, the commandment of love?

6. Distinguished Government Leaders, Members of Parliament, Politicians, Public Administrators: at the beginning of the new century and the new millennium, those responsible for public life are faced with many demanding responsibilities. It is precisely with this in mind that, in the context of the Great Jubilee, I have wished, as you know, to offer you the support of a special Patron: the martyr Saint Thomas More.

Thomas More’s life is truly an example for all who are called to serve humanity and society in the civic and political sphere. The eloquent testimony which he bore is as timely as ever at an historical moment which presents crucial challenges to the consciences of everyone involved in the field of governance. As a statesman, he always placed himself at the service of the person, especially the weak and the poor. Honour and wealth held no sway over him, guided as he was by an outstanding sense of fairness. Above all, he never compromised his conscience, even to the point of making the supreme sacrifice so as not to disregard its voice. Invoke him, follow him, imitate him! His intercession will not fail – even in the most difficult of situations – to bring you strength, goodnaturedness, patience and perseverance.

This is the hope which we now wish to strengthen with the power of the Eucharistic Sacrifice, in which Christ once more becomes nourishment and direction for our lives. May the Lord help you to become politicians after his own heart, emulators of Saint Thomas More, courageous witnesses of Christ and conscientious servants of the State.

[02194-02.01] [Original text: Italian]

Traduzione in lingua tedesca

1. "Höre Israel!" (Dt 6, 3.4).

Das Wort Gottes hat soeben in feierlicher und zugleich liebevoller Weise an uns die Einladung zum "Hören" gerichtet. Wir sollen hören "heute" und "jetzt". Wir sollen es nicht jeder für sich privat tun, sondern gemeinsam: "Höre, Israel!"

Dieser Aufruf geht an diesem Morgen besonders an Euch, die Regierenden, Abgeordneten, Politiker und in der Verwaltung Tätigen. Ihr seid nach Rom gekommen, um Euer Jubiläum zu feiern. Alle grüße ich herzlich, besonders die Staatsoberhäupter, die unter uns sind.

In der liturgischen Feier wird hier und jetzt das Ereignis des Bundes mit Gott gegenwärtig. Welche Antwort erwartet sich Gott von uns? Die Anweisung, die wir soeben in der Verkündigung des Evangeliums gehört haben, ist deutlich: Man muß vor allem bereit sein zu hören. Dabei geht es nicht um ein passives und unbeteiligtes Hören. Die Israeliten verstanden gut, daß Gott von ihnen eine aktive und überlegte Antwort erwartete. Deshalb versprach er dem Mose: "Berichte uns alles, was der Herr, unser Gott, dir gesagt hat, und wir werden es hören und halten" (Dt 5,27).

Als sie diesen Auftrag annahmen, wußten sie, daß sie es mit einem Gott zu tun hatten, dem sie vertrauen konnten. Gott liebte sein Volk und wollte, daß es glücklich sei. Als Gegengabe wünschte Er Liebe. Im "Höre Israel", das wir in der ersten Lesung gehört haben, ist neben der Bitte um den Glauben an den einzigen Gott das Grundgebot ausgedrückt, die Gottesliebe: "Du sollst den Herrn, deinen Gott, lieben mit ganzem Herzen, mit ganzer Seele und mit ganzer Kraft" (Dt 6,5).

2. Die Beziehung des Menschen mit Gott ist nicht von Angst, Sklaverei oder Unterdrückung bestimmt. Im Gegenteil: Sie zeichnet sich durch gelassenes Vertrauen aus, das einer freien Entscheidung aus Liebe entspringt. Die Liebe, die Gott von einem Volk erwartet, ist die Antwort auf jene treue und fürsorgliche Liebe, die Gott ihm zuerst gezeigt hat auf den verschiedenen Etappen der Heilsgeschichte.

Gerade deshalb wurden die Gebote, bevor sie als Gesetzeskatalog und rechtliches Regelwerk begriffen wurden, vom auserwählten Volk als Ereignis der Gnade verstanden, als ein Zeichen dafür, in ganz besonderer Weise dem Herrn zu gehören. Es spricht für sich, daß Israel niemals vom Gesetz als auferlegte Bürde redet, sondern als wohlwollendes Geschenk. Der Prophet ruft daher aus: "Glücklich sind wir, das Volk Israel; denn wir wissen, was Gott gefällt" (Bar 4,4).

Das Volk weiß, daß der Dekalog ein bindender Auftrag ist, aber es weiß auch, daß es die Bedingung ist zum Leben. Hiermit lege ich dir, spricht der Herr, das Leben und das Glück, den Tod und das Unglück vor; ich trage dir auf, meine Gebote zu beachten, damit du das Leben hast (vgl. Dt 30,15). Mit seinem Gesetz möchte Gott den Willen des Menschen nicht einzwängen, sondern von all dem befreien, was seine wahre Würde und volle Verwirklichung beeinträchtigen kann.

3. Ich habe dargelegt, verehrte Regierende, Abgeordnete und Politiker, was den Sinn und den Wert des göttlichen Gesetzes ausmacht, da dies ein Thema ist, das Euch persönlich angeht. Besteht nicht eure tägliche Beschäftigung darin, gerechte Gesetze auszuarbeiten, ihnen Akzeptanz zu verschaffen und sie zur Anwendung zu bringen? Ihr tut das aus der Überzeugung heraus, damit einen wichtigen Dienst zu leisten für den Menschen, die Gesellschaft und die Freiheit selbst. Zu Recht seid ihr davon überzeugt! Denn wenn das menschliche Gesetz gerecht ist, dann ist es niemals gegen die Freiheit, sondern steht im Dienst der Freiheit. Das hat schon der weise Heide erfaßt, als er feststellte: "Legum servi sumus, ut liberi esse possimus". - "Wir sind Diener der Gesetze, um frei zu sein" (Cicero, De legibus, II,13).

Die Freiheit, auf die sich Cicero bezieht, ist freilich vorallem auf der Ebene der äußeren Beziehungen unter Bürgern anzusiedeln. Als solche läuft sie Gefahr, sich auf einen angemessenen Ausgleich jeweiliger Interessen, vielleicht sogar gegensätzlicher Egoismen zu beschränken. Die Freiheit, auf die das Wort Gottes sich beruft, wurzelt indes im Herzen des Menschen, in einem Herzen, das Gott vom Egoismus befreien und fähig machen kann, sich der uneigennützigen Liebe zu öffnen.

Es ist kein Zufall, daß Jesus in dem soeben vernommenen Abschnitt aus dem Evangelium dem Schriftgelehrten, der ihn nach dem ersten aller Gebote fragt, mit dem "Höre Israel" antwortet: "Du sollst den Herrn, deinen Gott, lieben mit ganzem Herzen und ganzer Seele und mit deiner ganzen Kraft" (Mk 12,30). Der Akzent liegt auf "ganz": Die Gottesliebe muß "ganzheitlich" sein. Doch Gott allein kann das menschliche Herz vom Egoismus reinigen und ihn dazu befreien, daß er voll und ganz lieben kann.

Ein Mensch, der ein so "gereinigtes und gutes" Herz hat, kann sich dem Mitmenschen öffnen und sich mit der derselben Umsicht um ihn kümmern, wie er sich um sich selbst sorgt. Deshalb fügt Jesus an: "Als zweites (Gebot) kommt hinzu: Du sollst deinen Nächsten lieben wie dich selbst" (Mk 12,31). Wer Gott aus ganzem Herzen liebt, wer ihn als "einzigen Gott" und damit als Vater aller anerkennt, der muß alle, denen er auf seinem Weg begegnet, ebenso als seine Brüder ansehen.

4. Den Nächsten lieben wie sich selbst. Dieses Wort trifft sicher auf ein Echo in Eurem Inneren, liebe Regierende, Abgeordnete, Politiker und in der Verwaltung Tätige. Es stellt heute im Rahmen Eures Jubiläums an jeden von Euch eine zentrale Frage: In welcher Weise könnt Ihr in Eurem delikaten und fordernden Dienst am Staat und an den Bürgern dieses Gebot erfüllen? Die Antwort ist klar: indem Ihr den politischen Auftrag als Dienst lebt. Was ist das für eine leuchtende und anspruchsvolle Perspektive! Man kann sie in der Tat nicht auf eine allgemeine Bestätigung von Prinzipien oder auf eine Erklärung guter Absichten reduzieren. Der politische Dienst vollzieht sich in einem klar umrissenen täglichen Einsatz, der hohe Kompetenz bei der Erfüllung der eigenen Pflicht und ein bewährtes Ethos in der uneigennützigen und transparenten Machtausübung erfordert.

Anderseits muß sich die Stimmigkeit der Politikerpersönlichkeit auch in einem richtigen Verständnis des gesellschaftlichen und politischen Lebens ausdrücken, dem er zu dienen berufen ist. In dieser Hinsicht muß sich der christliche Politiker stets auf jene Grundsätze zurückbeziehen, die die Soziallehre der Kirche im Lauf der Zeit entwickelt hat. Diese stellen bekanntlich keine "Ideologie" und auch kein "politisches Programm" dar, sondern bieten die grundlegenden Linien, um den Menschen und die Gesellschaft im Lichte des allgemeinen Sittengesetzes zu begreifen, das im Herzen eines jeden Menschen gegenwärtig ist und von der Offenbarung des Evangeliums vertieft wird (vgl. Sollicitudo rei socialis, 41). Es liegt an Euch, liebe Brüder und Schwestern in der Politik, daß Ihr zu überzeugten und tatkräftigen Übersetzern dieser Botschaft werdet.

Wenn es darum geht, diese Grundsätze in der komplizierten politischen Wirklichkeit anzuwenden, wird es gewiß oft unvermeidlich sein, mit Umfeldern, Problemen und Umständen in Berührung zu kommen, die berechtigterweise unterschiedliche konkrete Wertungen zulassen können. Gleichzeitig darf man aber keinen Pragmatismus rechtfertigen, der auch im Hinblick auf wesentliche und grundlegende Werte des gesellschaftlichen Lebens die Politik reduziert auf reine Interessensvermittlung oder, was noch schlimmer ist, auf eine Frage der Demagogie oder Wahltaktik. Wenn auch das Recht nicht das gesamte Feld des moralischen Gesetzes abdecken kann und darf, muß man daran erinnern, daß das Recht nicht "gegen" das moralische Gesetz stehen darf.

5. Das bekommt eine besondere Bedeutung in dieser Phase großer Umwälzungen, die eine neue Dimension der Politik heraufziehen sieht. Der Untergang der Ideologien wird von einer Krise der Parteiena begleitet, die dazu drängt, die politische Vertretung und die Rolle der Institutionen neu zu überdenken. Man muß neu entdecken, was Teilnahme bedeutet und noch mehr die Bürger einbeziehen, wenn es darum geht, geeignete Wege zu suchen, um im Hinblick auf eine immer zufriedenstellendere Verwirklichung des Allgemeinwohls voranzukommen.

Bei diesem Unterfangen wird sich der Christ davor hüten, der Versuchung zum gewaltsamen Widerstand nachzugeben, der oft Quelle großer Leiden für die Gemeinschaft ist. Der Dialog bleibt das unersetzliche Instrument für jeden konstruktiven Vergleich. Das gilt für das Innere der Staaten ebenso wie für die internationalen Beziehungen. Wer könnte diese "Mühe" des Dialogs besser auf sich nehmen als der christliche Politiker, der sich tagtäglich an dem messen lassen muß, was Christus als "erstes" Gebot qualifiziert hat, d.h. am Gebot der Liebe?

6. Verehrte Regierende, Abgeordnete, Politiker und in der Verwaltung Tätige! Zahlreich und anspruchsvoll sind die Aufgaben, die am Anfang des neuen Jahrhunderts und des neuen Jahrtausends auf die Verantwortlichen des öffentlichen Lebens warten. Gerade im Hinblick darauf wollte ich Euch, wie Ihr wißt, im Rahmen des Großen Jubiläums den Halt eines besonderen Patrons anbieten: des heiligen Märtyrers Thomas Morus.

Seine Gestalt ist wahrhaft beispielgebend für jeden, der berufen ist, dem Menschen und der Gesellschaft im bürgerlichen und politischen Umfeld zu dienen. Das sprechende Zeugnis, das er abgelegt hat, ist mehr denn je aktuell in einem historischen Augenblick, der das Gewissen dessen, der in der Staatsführung direkte Verantwortung trägt, vor entscheidende Herausforderungen stellt. Als Staatsmann stellte er sich immer in den Dienst der Person, besonders der Schwachen und Armen. Ehrentitel und Reichtum betörten ihn nicht, da er sich von einem ausgeprägten Sinn für Unparteilichkeit leiten ließ. Vor allem jedoch hat er sich nie zu Kompromissen im Hinblick auf sein Gewissen eingelassen. So ist er bis zum höchsten Opfer gelangt, einfach weil er die Gewissensstimme nicht mißachten wollte. Ruft ihn an, folgt ihm und ahmt ihn nach! Seine Fürsprache wird Euch auch in den heikelsten Situationen Stärke, Heiterkeit, Geduld und Ausdauer schenken.

Das ist der Wunsch, den wir mit der Kraft des eucharistischen Opfers untermauern wollen. In diesem Opfer wird Jesus Christus erneut Nahrung und Richtung für unser Leben. Der Herr mache Euch zu Politikern nach Seinem Herzen, die dem heiligen Thomas Morus nacheifern, dem mutigen Zeugen Christi und untadeligen Diener des Staates.

[02194-05.01] [Originalsprache: Italienisch]

Traduzione in lingua spagnola

1. "¡Escucha, Israel!" (Dt 6,3.4)

La palabra de Dios, solemne y al mismo tiempo afectuosa, nos ha dirigido, hace un momento, la invitación a "escuchar". A escuchar "hoy", "ahora"; y a hacerlo no individualmente o privadamente, sino juntos: "¡Escucha, Israel!".

Esta apelación os afecta esta mañana de modo particular, Gobernantes, Parlamentarios, Políticos, Administradores, llegados a Roma para celebrar vuestro Jubileo. Saludo a todos cordialmente, especialmente a los Jefes de Estado presentes entre nosotros.

En la celebración litúrgica se actualiza, aquí y ahora, el acontecimiento de la Alianza con Dios. ¿Qué respuesta espera Dios de nosotros?. La indicación recibida ahora mismo en la proclamación del texto bíblico es apremiante: es preciso ante todo ponerse a la escucha. No una escucha pasiva y desentendida. Los Israelitas comprendieron bien que Dios esperaba de ellos una respuesta activa y responsable. Por esto prometieron a Moisés: "Nos dirás todo lo que el Señor nuestro Dios te haya dicho y nosotros lo escucharemos y lo pondremos en práctica" (Dt 5,27).

Al asumir este compromiso, sabían lo que tenían que hacer con un Dios del cual podían fiarse. Dios amaba a su pueblo y quería su felicidad. En cambio, Él pedía el amor. En el "Shema Israel", que hemos oído en la primera Lectura, junto a la petición de fe en el único Dios, se manifiesta el mandamiento fundamental, el del amor a Él: "Amarás al Señor tu Dios con todo tu corazón, con toda tu alma y con todas tus fuerzas" (DT 6,5).

2. La relación del hombre con Dios no es una relación de temor, de esclavitud o de opresión; al contrario, es una relación de serena confianza, que brota de una libre elección motivada por el amor. El amor que Dios espera de su pueblo es la respuesta a aquel amor fiel y diligente que Él le ha manifestado primeramente a través de las distintas etapas de la historia de la salvación.

Precisamente por esto los Mandamientos, antes que como un código legal y una regulación jurídica, han sido comprendidos por el pueblo elegido como un acontecimiento de gracia, como signo de la privilegiada y exclusiva pertenencia al Señor. Es significativo que Israel no hable nunca de la ley como de un fardo, de una imposición, sino como de un don y de un favor, "Felices nosotros, Israel, -exclama el profeta-, porque lo que agrada a Dios nos ha sido revelado" "BAR 4,4).

El pueblo sabe que el Decálogo es un compromiso obligatorio, pero sabe también que es la condición para la vida: Mira, dice el Señor, yo pongo ante ti la vida y la muerte, es decir el bien y el mal; te prescribo cumplir mis mandamientos, para que tengas vida (cfr Dt 30,15). Con su Ley Dios no quiere coartar la voluntad del hombre, sino liberarlo de todo aquello que puede comprometer su auténtica dignidad y plena realización.

3. Me he detenido, ilustres Gobernantes, Parlamentarios y Políticos, a reflexionar sobre el sentido y sobre el valor de la Ley divina, porque éste es un argumento que os toca de cerca. ¿No es quizás, vuestra tarea cotidiana, la de elaborar leyes justas y hacerlas aprobar y aplicarlas?. Al hacer esto estáis convencidos de rendir un importante servicio al hombre, a la sociedad, a la libertad misma. Y justamente. La ley humana en efecto, si es justa, no está nunca contra, sino al servicio de la libertad. Esto lo había intuido ya el sabio pagano, cuando sentenciaba: "Legum servi sumus, ut liberi esse possimus"- "Somos siervos de la ley, para poder ser libres" (Cic., De legibus, II,13).

La libertad a la que hace referencia Cicerón, todavía, se sitúa principalmente al nivel de las relaciones externas entre los ciudadanos. Como tal, esa corre el peligro de reducirse a un equilibrio congruente de intereses respectivos, y tal vez de egoísmos contrapuestos. La libertad a la que hace referencia la palabra de Dios, al contrario, se enraíza en el corazón del hombre, un corazón que Dios puede liberar del egoísmo, haciéndolo capaz de abrirse al amor desinteresado.

No en vano, en la página evangélica escuchada anteriormente, al escriba que le pregunta cuál es el primero de todos los mandamientos, Jesús le responde citando el "Shema": "Amarás al Señor tu Dios con todo tu corazón, con toda tu mente, con toda tu fuerza" (Mt 12,30). El acento está puesto en el "todo": el amor de Dios no puede más que ser "total". Pero sólo Dios tiene la facultad de purificar el corazón humano del egoísmo y «liberarlo» para dotarlo con plena capacidad de amar.

Un hombre con el corazón así «enriquecido» puede abrirse al hermano y hacerse cargo de él con la misma solicitud con la que se preocupa de sí mismo. Por esto Jesús añade: "El segundo (mandamiento) es este: Amarás al prójimo como a ti mismo" (Mc 12,31). Quien ama a Dios con todo el corazón y lo reconoce como «único Dios», y por tanto como Padre de todos, no puede ver a cuantos se encuentran en su camino más que como otros hermanos.

4. Amar al prójimo como a sí mismo. Estas palabras encuentran seguramente eco en vuestras almas, queridos Gobernantes, Parlamentarios, Políticos y Administradores. Os plantean hoy a cada uno, con ocasión de vuestro Jubileo, una cuestión central: ¿de qué manera, en vuestro delicado y comprometido servicio al estado y a los ciudadanos, podéis dar cumplimiento a este mandamiento?. La respuesta es clara: viviendo el compromiso político como un servicio. ¡Perspectiva tan obvia como exigente!. Esa no puede, en efecto, reducirse a una reafirmación genérica de principios o a la declaración de buenas intenciones. El servicio político pasa a través de un diligente y cotidiano compromiso, que exige una gran competencia en el desarrollo del propio deber y una moralidad a toda prueba en la gestión desinteresada y transparente del poder.

Por otra parte, la coherencia personal del político ha de expresarse también en una correcta concepción de la vida social y política a la que él está llamado a servir. Bajo este punto de vista, un político cristiano no puede dejar de hacer constante referencia a aquellos principios que la doctrina social de la Iglesia ha desarrollado a lo largo de tiempo. Esos, como es sabido, no constituyen una "ideología" y menos un "programa político", sino que ofrecen las líneas fundamentales para una comprensión del hombre y de la sociedad a la luz de la ley ética universal presente en el corazón de todo hombre e iluminada por la revelación evangélica (cfr Sollicitudo rei socialis, 41). A vosotros corresponde, queridos Hermanos y Hermanas comprometidos en política, haceros intérpretes convencidos y activos.

Ciertamente, en la aplicación de estos principios a la compleja realidad política, será frecuentemente inevitable encontrarse con ámbitos, problemas y circunstancias que pueden dar legítimamente lugar a diversas valoraciones concretas. Al mismo tiempo, sin embargo, no se puede justificar un pragmatismo que, también respecto a los valores esenciales y básicos de la vida social, reduzca la política a pura mediación de los intereses o, aún peor, a una cuestión de demagogia o de cálculos electorales. Si el derecho no puede y no debe cubrir todo el ámbito de la ley moral, se debe también recordar que no puede ir "contra" la ley moral.

5. Esto adquiere particular relieve en esta fase de transformaciones intensas, que ve surgir una nueva dimensión de la política. El declive de las ideologías se acompaña de una crisis de formaciones partidistas, que reta a comprender de modo nuevo la representación política y el papel de las instituciones. Es necesario redescubrir el sentido de la participación, implicando en mayor medida a los ciudadanos en la búsqueda de vías oportunas para avanzar hacia una realización siempre más satisfactoria del bien común.

En tal tarea el cristiano evitará ceder a la tentación de la oposición violenta, fuente, a menudo, de grandes sufrimientos para la comunidad. El diálogo se presenta siempre como instrumento insustituible de toda confrontación constructiva, sea en las relaciones internas de los Estados como en las internacionales. ¿Y quién podrá asumir esta «tarea» del diálogo mejor que el político cristiano, que cada día debe confrontarse con aquello que Cristo ha denominado como «el primero» de los mandamientos, el mandamiento del amor?.

6. Ilustres Gobernantes, Parlamentarios, Políticos, Administradores, son numerosas y exigentes las tareas que esperan, al comienzo del nuevo siglo y del nuevo milenio, a los responsables de la vida pública. Precisamente pensando en esto, en el contexto del Gran Jubileo, he querido, como sabéis, ofreceros la protección de un Patrono especial: el santo mártir Tomás Moro.

Su figura es verdaderamente ejemplar para quienquiera que esté llamado a servir al hombre y a la sociedad en el ámbito civil y político. Su elocuente testimonio es más que nunca actual en un momento histórico que presenta retos cruciales para la conciencia de quien tiene la responsabilidad directa en la gestión pública. Como estadista, él se puso siempre al servicio de la persona, especialmente del débil y del pobre; los honores y las riquezas no hicieron mella en él, guiado como estaba de un distinguido sentido de la equidad. Sobre todo, él no aceptó nunca ir contra la propia conciencia, llegando hasta el sacrificio supremo con tal de no desoír su voz. ¡Invocadlo, seguidlo, imitadlo!. Su intercesión no os faltará para obtener, también en las situaciones más arduas, fortaleza, buen humor, paciencia y perseverancia.

Es el auxilio que queremos corroborar con la fuerza del sacrificio eucarístico, en el cual una vez más Cristo se hace alimento y orientación para nuestra vida. Que el Señor os conceda ser políticos según su Corazón, imitadores de San Tomás Moro, testigo valiente de Cristo e íntegro servidor del Estado.

[02194-04.01] [Texto original: Italiano]

Traduzione in lingua portoghese

1. «Escuta, Israel!» (Dt 6, 3.4).

Foi assim, de forma solene e simultaneamente amável que a palavra de Deus nos fez, há pouco, o convite para «escutar»... escutar «hoje», «agora». E convidou a fazê-lo, não singular nem privadamente, mas em conjunto: «Escuta, Israel».

Nesta manhã, um tal apelo é feito de modo particular a vós, Governantes, Parlamentares, Políticos, Administradores, reunidos em Roma para celebrar o vosso Jubileu. A todos saúdo cordialmente, com menção especial dos Chefes de Estado aqui presentes.

Por meio da celebração litúrgica, actualiza-se, aqui e agora, o evento da Aliança com Deus. Que resposta espera Deus de nós? A indicação que acabamos de receber do texto bíblico proclamado é decisiva: antes de mais nada, é preciso colocar-se à escuta. Não uma escuta passiva e apática. Os Israelitas compreenderam, justamente, que Deus esperava deles uma resposta activa e responsável. Por isso, prometeram a Moisés: «Tu contar-nos-ás tudo o que te tiver dito o Senhor, nosso Deus, e nós, ouvindo-O, obedeceremos» (Dt 5, 24).

Ao assumirem este compromisso, eles sabiam que estavam a tratar com um Deus de quem podiam fiar-se. Deus amava o seu povo e queria a sua felicidade. Em troca, Ele pedia amor. No «Shemá Israel», que ouvimos na primeira Leitura, ao lado do requisito da fé no único Deus aparece o mandamento fundamental, que é o do amor a Ele: «Amarás o Senhor, teu Deus, de todo o teu coração, de toda a tua alma e de todas as tuas forças» (Dt 6, 5).

2. A relação do homem com Deus não é uma relação de medo, de escravidão ou opressão; pelo contrário, é uma relação de doacção serena, que nasce duma livre opção ditada pelo amor. O amor que Deus espera do seu povo é resposta ao amor fiel e carinhoso que Ele, antecipando-Se, lhes manifestou através das sucessivas etapas da história da salvação.

Por isso mesmo, os Mandamentos, mais do que um código legal e um regulamento jurídico, foram vistos pelo Povo eleito como um evento de graça, como um sinal da sua pertença privilegiada ao Senhor. É significativo que Israel nunca fale da Lei como um fardo ou uma imposição, mas como um dom e um favor: «Felizes somos nós, ó Israel, porque nos foi revelado o que agrada a Deus» (Bar 4, 4).

O povo sabe que o Decálogo é um compromisso vinculativo, mas sabe também que é a condição para possuir a vida: Vê - diz o Senhor -, coloco diante de ti a vida e a morte, isto é, o bem e o mal; ordeno-te que observes os meus mandamentos, para teres a vida (cf. Dt 30, 15-16.19). Pela sua Lei, Deus não pretende coarctar a liberdade do homem, mas antes libertá-lo de tudo o que pode comprometer a sua autêntica dignidade e plena realização.

2. Detive-me, ilustres Governantes, Parlamentares e Políticos, a reflectir sobre o sentido e o valor da Lei divina, porque é um assunto que vos diz intimamente respeito. Não é, porventura, a vossa canseira diária elaborar leis justas e fazê-las aceitar e aplicar? Fazeis isto, convencidos de prestar um importante serviço ao homem, à sociedade, à própria liberdade... e justamente. De facto, a lei humana, quando é justa, nunca é contra a liberdade, mas ao serviço dela. Tinha-o já intuído aquele sábio pagão que sentenciara: «Legum servi sumus, ut liberi esse possimus», «somos servos das leis, para podermos ser livres» (Cícero, De legibus, II, 13).

Mas, a liberdade, a que alude Cícero, situa-se principalmente ao nível das relações externas entre cidadãos. Como tal, corre o risco de ficar reduzida a um côngruo equilíbrio dos interesses de cada um, ou mesmo dos egoísmos contrapostos. Mas, a liberdade, de que fala a palavra de Deus, afunda as próprias raízes no coração do homem, um coração que Deus pode libertar do egoísmo, tornando-o capaz de se abrir ao amor desinteressado.

Não é por acaso que, na página do Evangelho há pouco ouvida, Jesus, respondendo ao escriba que lhe pergunta qual é o primeiro de todos os mandamentos, cita o «Shemá»: «Amarás o Senhor teu Deus, de todo o teu coração, de toda a tua alma, de toda a tua mente e de todas as tuas forças » (Mc 12, 30). Ressalta o termo «todo»: o amor de Deus não pode deixar de ser «totalizante». Mas, só Deus é capaz de purificar o coração humano do egoísmo e «libertá-lo» para a plena capacidade de amar.

Um homem, com o coração assim «bonificado», pode abrir-se ao irmão e tomar cuidado dele com a mesma solicitude com que trata de si mesmo. Por isso Jesus acrescenta: «O segundo [mandamento] é este: Amarás o teu próximo como a ti mesmo» (Mc 12, 31). Quem ama a Deus com todo o coração e O reconhece como «único Deus» e, por conseguinte, Pai de todos, não pode deixar de ver irmãos em quantos encontra no seu caminho.

3. Amar o próximo como a si mesmo. Estou certo que esta frase encontra um eco favorável no mais íntimo de vós, amados Governantes, Parlamentares, Políticos e Administradores. Ela coloca hoje a cada um de vós, por ocasião do vosso Jubileu, uma questão central: Como é possível cumprir este mandamento no vosso delicado e exigente serviço ao Estado e aos cidadãos? A resposta é clara: vivendo o compromisso político como um serviço. Perspectiva gloriosa, mas exigente! Com efeito, não pode reduzir-se a uma genérica afirmação de princípios ou à declaração de boas intenções. O serviço político requer um empenho concreto e diário, que exige uma grande competência no cumprimento do próprio dever e uma moralidade a toda a prova na gestão magnânima e transparente do poder.

Por outro lado, a coerência pessoal do político necessita de exprimir-se também numa concepção correcta da vida social e política, que é chamado a servir. Sob este aspecto, um político cristão não pode deixar de fazer constantemente referência aos princípios que a doutrina social da Igreja desenvolveu ao longo do tempo. Tais princípios, como se sabe, não constituem uma «ideologia» nem um «programa político», mas oferecem as linhas fundamentais para uma compreensão do homem e da sociedade à luz da lei ética universal presente no coração de cada homem e aprofundada pela revelação evangélica (cf. Sollicitudo rei socialis, 41). Compete a vós, caríssimos Irmãos e Irmãs empenhados na política, serdes os seus intérpretes convictos e diligentes.

É certo que, na aplicação destes princípios à complexa realidade política, será frequentemente inevitável encontrar âmbitos, problemas e circunstâncias que podem legitimamente dar lugar a avaliações concretas diversas. Mas, em caso algum, se pode justificar um pragmatismo que leve, mesmo nos valores essenciais e basilares da vida social, a reduzir a política a mera mediação de interesses ou, pior ainda, a uma questão demagógica ou de cálculos eleitorais. Se é verdade que o direito não pode nem deve cobrir todo o âmbito da lei moral, há que recordar também que aquele não pode «ir» contra esta.

4. Isto assume um relevo particular nesta fase de intensas transformações, que vê surgir uma nova dimensão da política. O declínio das ideologias é acompanhado por uma crise dos Partidos, o que impele a entender de outro modo a representação política e o papel das instituições. É preciso descobrir novamente o sentido da participação, envolvendo mais os cidadãos na busca dos caminhos adequados que permitam avançar para uma realização cada vez mais satisfatória do bem comum.

Neste empenho, o cristão terá cuidado em não ceder à tentação da contraposição violenta, fonte frequente de grandes sofrimentos para a comunidade. O diálogo permanece o instrumento insubstituível para todo o confronto construtivo, tanto no âmbito dos Estados como nas relações internacionais. E quem poderia assumir esta «canseira» do diálogo melhor do que o político cristão, que cada dia deve confrontar-se com aquilo que Cristo qualificou como «o primeiro» dos mandamentos, isto é, o mandamento do amor?

5. Ilustres Governantes, Parlamentares, Políticos, Administradores, numerosas e exigentes são as obrigações que, ao início do novo século e do novo milénio, esperam os responsáveis da vida pública. Foi precisamente a pensar nisto que, no contexto do Grande Jubileu, quis - como sabeis - oferecer-vos o apoio dum especial Patrono: o santo mártir Tomás Moro.

A sua figura é verdadeiramente exemplar para todo o que é chamado a servir o homem e a sociedade no âmbito civil e político. O testemunho eloquente dado por ele é muito actual num momento histórico que apresenta desafios cruciais para a consciência de quem tem responsabilidades directas na gestão da vida pública. Como estadista, ele coloca-se sempre ao serviço da pessoa, especialmente quando débil e pobre; as honras e as riquezas não o fascinaram, guiado como era por um elevado sentido da equidade. Sobretudo, ele nunca desceu a compromissos com a própria consciência, preferindo o sacrifício supremo a desobedecer à sua voz. Invocai-o, segui-o, imitai-o! A sua intercessão não deixará de obter-vos, mesmo nas situações mais árduas, fortaleza, bom humor, paciência e perseverança.

São os votos que queremos corroborar com a força do Sacrifício Eucarístico, no qual uma vez mais Cristo Se torna alimento e guia da nossa vida. O Senhor vos conceda ser políticos segundo o seu Coração, émulos de São Tomás Moro, que foi testemunha corajosa de Cristo e servidor integérrimo do Estado.

[02194-06.01] [Texto original: Italiano]