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MEDITAZIONE DEL PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI IN OCCASIONE DELLA VEGLIA DI PREGHIERA IN RISPOSTA ALL’APPELLO DEL PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI, 05.08.2000


Carissimi Fratelli e Sorelle,

Siamo raccolti nella Basilica Cattedrale di San Giovanni in Laterano per rispondere questa sera all’appello che il Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, ha rivolto a «tutti coloro che credono in Cristo e combattono la buona battaglia per lui, ovunque essi si trovino sulla terra, a celebrare le 24 ore del 6 agosto - Festa della Trasfigurazione -, con servizi liturgici, con altre manifestazioni possibili per dar gloria all’eterno Dio "nato sotto la leggere, per riscattare coloro che erano nati sotto la legge" (Gal 4,5)».

Il Santo Padre, Giovanni Paolo II, ha accolto di buon grado l’invito del Patriarca Bartolomeo e mi ha designato a presiedere questa preghiera in suo nome. La Festa della Trasfigurazione, celebrata nello stesso giorno dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa, non soltanto ci chiama a riflettere sugli elementi essenziali della fede in Cristo in questo anno giubilare; ma essa al contempo ci ricorda che tale fede è un patrimonio comune di tutti coloro che guardano a Cristo come al loro unico Signore e Salvatore.

Il brano del Vangelo di San Marco (9, 2-10) ci conduce sul Monte Tabor dove Gesù si è recato insieme a Pietro, Giacomo e Giovanni. In quel luogo essi fanno un’esperienza che non potranno mai dimenticare. Davanti ai loro occhi, avviene la trasfigurazione di Gesù. Con le vesti diventate di un bianco splendente, lo vedono parlare con il profeta Elia e con Mosè; Quando Mosé discende dal Monte Sinai recando le Tavole dell'Alleanza, i Dieci Comandamenti, con il volto inondato di luce, gli Israeliti temono di accostarsi a lui (cfr. Es 34,30). Gesù, l’artefice della nuova Alleanza, Colui che ci ha riconciliati con il Padre con l’effusione del suo sangue, ci ricollega, sul Monte Tabor, alla scena del Patto, dell’Alleanza che Dio, per mezzo di Mosè, ha concluso con il popolo d’Israele. Come ha affermato il Concilio Vaticano Secondo: «la Chiesa non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell’antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’antica alleanza, e che essa si nutre della radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i popoli pagani» .

Come gli Israeliti davanti a Mosè, Pietro, Giacomo e Giovanni sono anch’essi spaventati davanti al Cristo trasfigurato. Odono poi quella voce che discende dalla nube che li sovrasta: «Questi è il Figlio mio diletto, ascoltatelo» (Mc 9, 6-7). Non si potrebbero trovare parole più adatte di queste per riecheggiare il tema centrale dell’anno giubilare. Con la celebrazione del giubileo, noi proclamiamo che Gesù Cristo è Figlio del Padre, la seconda Persona della Trinità, vero Dio e vero Uomo, il quale, per la potenza dello Spirito Santo, è nato dalla Vergine Maria e si è fatto uomo. Celebrando il giubileo, cerchiamo di rispondere più fedelmente al comandamento che il Padre ci ha amorevolmente dato: ascoltatelo. Noi che siamo battezzati nel Corpo di Cristo, siamo anche noi figli di quello stesso Padre, siamo anche noi figli amati da Lui, siamo veramente i suoi figli diletti ! Per opera della grazia, siamo trasformati a sua immagine e tendiamo, con fiducia, alla nostra gloria futura.

Come afferma il Patriarca Bartolomeo nel messaggio con il quale ha indetto questa Vigilia di preghiera:

«Forse nessuna festa dell’anno liturgico può essere considerata più adatta della Trasfigurazione del Signore ad esprimere e commemorare con forza la gloria futura delle cose ultime che ci sono state rivelate. Una gloria raggiunta, esercitando la perseveranza e la pazienza, attraverso le molte sofferenze del tempo presente».

La preghiera che eleviamo insieme questa sera costituisce la terza celebrazione ecumenica del Calendario romano dell’anno giubilare ed il nostro pensiero si rivolge agli altri due eventi ecumenici già avvenuti in questa città. In primo luogo, la celebrazione in San Paolo fuori le mura, il 18 gennaio scorso, quando Papa Giovanni Paolo II assieme all’inviato del Patriarca ecumenico, all’Arcivescovo di Canterbury e ad altri rappresentanti cristiani, ha varcato la soglia di un nuovo millennio passando attraverso la Porta della Basilica, simbolo di Cristo, ed ha rinnovato, con tutti i presenti, l’impegno a portare la Sua luce ad un mondo malato, tanto spesso paragonabile ad una valle oscura. Il ricordo si rivolge anche al secondo evento ecumenico del giubileo, la celebrazione avvenuta non lontano da qui, al Colosseo, quando il Papa, il 7 maggio scorso, e vari autorevoli rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, hanno commemorato gli eroici testimoni della fede in Cristo e nel Vangelo del secolo che si è appena concluso. Al Colosseo, nell’irradiazione che emana dal patrimonio dei santi appartenenti a tutte le comunità, il dialogo della conversione verso l’unità piena e visibile è apparso sotto una luce di speranza. Infatti, la comunione imperfetta ma reale, che è mantenuta e cresce a molti livelli della vita ecclesiale, è già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l’apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo che effonde il suo sangue e, in questo sacrificio, fa diventare vicini coloro che un tempo erano lontani (Ef 2,13) .

Tali eventi ecumenici ci incoraggiano, durante l’anno giubilare, a riflettere su ciò che noi cristiani abbiamo in comune; essi ci sollecitano anche a comprendere l’urgenza del compito di ristabilire l’unità di tutti i discepoli di Cristo, in risposta alla preghiera che Gesù stesso ha elevato al Padre.

Riferendosi ai discepoli che condividono con Lui l’Ultima Cena, egli, alzati gli occhi al cielo, dice «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).

Perché il mondo creda che tu mi hai mandato; perché il mondo conosca il Figlio, Colui che è trasfigurato sul Monte Tabor; ascolti le sue parole, sia trasformato e abbia la speranza che proviene dalle sue promesse. Questa è la nostra missione, una missione sacra che, troppo spesso, è indebolita e ostacolata dalle nostre divisioni.

San Paolo è costretto a rimproverare la prima comunità cristiana di Corinto a causa delle divisioni e delle gelosie che l’affliggono; Papa San Clemente I è indotto per gli stessi motivi a scrivere una lettera ai Corinzi. Le domande che egli rivolse loro suonano per noi, oggi, come inquietanti interrogativi :

«Non abbiamo forse tutti lo stesso Dio, e lo stesso Cristo ? Non è forse lo stesso spirito di grazia che è effuso su tutti noi ? Non abbiamo forse ricevuto tutti la stessa chiamata in Cristo ? E allora, per quale motivo laceriamo e dilaniamo le membra di Cristo, fomentando la discordia nel nostro stesso corpo ? Per quale motivo siamo tanto insensati ed irragionevoli da dimenticare che apparteniamo, gli uni e gli altri, ad uno stesso corpo ?» (Liturgia delle Ore, XIV Settimana, Lunedì).

Come è lontana, diametralmente opposta, questa situazione dall’esempio di Gesù, il Figlio di Dio, che lava i piedi dei discepoli ed insegna loro:

«Colui che vorrà diventare grande fra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà diventare primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20, 26-28).

Negli ultimi anni del secolo scorso, i discepoli di Cristo hanno finalmente cercato di imparare la lezione. Essi hanno riscoperto di essere fratelli in Cristo, ed hanno, con risolutezza, intrapreso il cammino che li conduce ad approfondire la loro unità e la loro fraternità. Hanno cercato di non lacerare e dilaniare le membra di Cristo e di ricordare che essi appartengono, gli uni gli altri, allo stesso Corpo. In questa celebrazione, nella nostra preghiera di questa sera, dobbiamo rinnovare il nostro impegno ad operare per il nobilissimo scopo del ristabilimento della nostra unità.

Vorrei terminare le mie riflessioni con alcune parole che Giovanni Paolo II ha rivolta al Patriarca di Romania, Sua Beatitudine Theoctist, in occasione della storica visita che il Santo Padre ha compiuto a Bucarest nel mese di maggio dell’anno scorso:

«[...] ridiamo un’unità visibile alla Chiesa, altrimenti questo mondo sarà privato di una testimonianza che solo i discepoli del Figlio di Dio, morto e risorto per amore, possono rendergli per indurlo ad aprirsi alla fede (cfr. Gv. 17,21). Cosa può spingere gli uomini di oggi a credere in Lui, se noi continuiamo a strappare la tunica inconsutile della Chiesa, se non riusciamo ad ottenere da Dio il miracolo dell’unità adoperandoci per eliminare gli ostacoli che impediscono la sua piena manifestazione ? Chi ci perdonerà questa mancanza di testimonianza ? Ho cercato l’unità con tutte le mie forze e continuerò a prodigarmi fino alla fine affinché essa sia fra le preoccupazioni principali delle Chiese e di coloro che le governano attraverso il ministero apostolico».

Rispondiamo all’invito di Sua Santità il Patriarca ecumenico, Bartolomeo I, facendo nostre queste parole di Giovanni Paolo II. Ricerchiamo anche noi l’unità con tutte le nostre forze, e Dio benedica questo impegno. Così sia !

[01644-01.01] [Testo originale: Italiano]