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CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO "ETICA NELLE COMUNICAZIONI SOCIALI", 30.05.2000


CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO "ETICA NELLE COMUNICAZIONI SOCIALI"

INTERVENTO DI S.E. MONS. JOHN P. FOLEY

INTERVENTO DI S.E. MONS. PIERFRANCO PASTORE

Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa di presentazione del Documento "Etica nelle Comunicazioni Sociali" a cura del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

Prendono parte alla Conferenza Stampa: S.E. Mons. John Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; S.E. Mons. Pierfranco Pastore, Segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e il Dott. Angelo Scelzo, Sotto-Segretario del medesimo Pontificio Consiglio.

Pubblichiamo di seguito gli interventi di S.E. Mons. John Foley e di S.E. Mons. Pierfranco Pastore:

INTERVENTO DI S.E. MONS. JOHN P. FOLEY

Amici comunicatori:

S.E. Mons. Pastore ed io siamo molto felici di essere qui con voi oggi, e di avere insieme a noi per la prima volta in un evento pubblico il Dottor Angelo Scelzo, che è stato nominato Sottosegretario del nostro Pontificio Consiglio solamente due settimane fa. Come voi, anche lui è un professionista delle comunicazioni, e siamo davvero contenti che sia entrato a far parte del nostro Ufficio.

Come voi tutti sapete, la nostra vita si sviluppa in un ambiente. In una cultura di comunicazione, alla quale partecipiamo non solamente come comunicatori di professione, abbiamo bisogno di una cornice etica entro cui vivere e lavorare.

Dopo la risposta positiva oltre ogni previsione, che ottenne nel 1997 la nostra pubblicazione " Etica nella Pubblicità", abbiamo ricevuto diversi suggerimenti da tutte le parti del mondo ad allargare la riflessione all’intero campo delle comunicazioni: il documento che ora avete in mano, "Etica nelle Comunicazioni Sociali", è la risposta a questa richiesta.

Abbiamo tentato di preparare un documento che fosse relativamente breve, facilmente leggibile e in primo luogo (soprattutto) pratico.

In una delle prime pagine si dice che "l’approccio della Chiesa ai mezzi di comunicazione sociale è fondamentalmente positivo e incoraggiante" (n.4).

Di fatto, relativamente ad alcuni punti abbiamo voluto seguire il formato assai apprezzato del documento precedente, trattando per primi gli aspetti positivi della comunicazione che sono utili alla persona, poi quelli che ne violano il bene, indi i principi etici fondamentali ed infine una applicazione conclusiva dell’esempio di Gesù al mondo contemporaneo dei media.

Il documento non vuole essere l’ultima parola sul tema dell’etica nelle comunicazioni sociali; deve piuttosto intendersi come un invito ed uno stimolo alla riflessione personale e di gruppo sulla sfida che, come esseri umani, ci troviamo a dover affrontare: l’uso non solamente effettivo ma anche morale e responsabile dei potenti mezzi di comunicazione che Dio ci ha permesso di scoprire e di sviluppare.

Il documento delinea brevemente i possibili vantaggi ed abusi economici, politici, culturali, educativi, e religiosi della comunicazione sociale; afferma quindi che nei tre ambiti che la costituiscono, il messaggio, il processo di comunicazione, le questioni strutturali e sistematiche, "il principio etico fondamentale è il seguente: la persona umana e la comunità umana sono il fine e la misura dell’uso dei mezzi di comunicazione sociale. La comunicazione dovrebbe essere fatta da persone a beneficio dello sviluppo integrale di altre persone" (n.21).

"Un secondo principio è complementare al primo: il bene delle persone non si può realizzare indipendentemente dal bene comune delle comunità alle quali le persone appartengono" (n. 22).

In questo contesto e in questo particolare momento, una frase risalta per il suo speciale significato: "Le decisioni sui contenuti e sugli orientamenti dei media non dovrebbero essere affidate solo al mercato e a fattori economici, ossia al profitto, perché non ci si può basare su questi ultimi né per tutelare l’interesse pubblico generale né gli interessi legittimi delle minoranze in particolare" (n. 24). Tali minoranze non sono solo razziali o etniche, ma comprendono anche i poveri, gli ammalati, i portatori di handicap, gli anziani e i giovanissimi. Così, sebbene le frequenze televisive possano essere attribuite a compagnie private, che hanno quindi il diritto ad un guadagno legittimo sul loro investimento, esse sono considerate un bene pubblico e le decisioni relative al palinsesto non possono limitarsi alle solite considerazioni demografiche, che tengono in conto solo i gruppi sociali commercialmente più attivi e ricettivi.

Il documento pone l’accento sulla necessità, per i media, di essere veritieri nei contenuti, e non dimentica la responsabilità della Chiesa cattolica in questo settore, laddove dice: "Chi rappresenta la Chiesa deve essere onesto e aperto nei suoi rapporti con i giornalisti… Quanti parlano a nome della Chiesa devono dare risposte credibili e veritiere… a domande apparentemente scomode" (n. 26).

Arriveremo tra poco alle domande, e forse ve ne saranno anche di "scomode"; vorrei però prima ricordare, per la vostra riflessione personale, la citazione dalla lettera di San Paolo agli Efesini riportata nell’ultimo paragrafo:

"Perciò, bando alla menzogna, dite ciascuno la verità al proprio prossimo, perché siamo membri gli uni degli altri… Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione" (Eph. 4, 24-29).

Il documento conclude, ed io farò altrettanto, con queste parole:

"Il servizio alla persona umana, mediante l’edificazione di una comunità umana basata sulla solidarietà, sulla giustizia e sull’amore e la diffusione della verità sulla vita umana e sul suo compimento in Dio erano, sono e resteranno il punto focale della comunicazione sociale" (n. 33). Grazie.

[01244-01.01] [Testo originale:italiano]

INTERVENTO DI S.E. MONS. PIERFRANCO PASTORE

Come lo ha già fatto presente S.E. Mons. Foley, la proposta di preparare un documento che trattasse di Etica nelle Comunicazioni Sociali fu una proposta che nacque nel dicembre 1997 mentre ci trovavamo a Salonicco per partecipare, a nome della Santa Sede, alla 5a Conferenza dei Ministri Europei responsabili dei Mezzi di Comunicazione di Massa.

Eravamo su di un bus di trasferimento con gli altri partecipanti alla Conferenza, ed una personalità che faceva parte della delegazione di un Paese del Centro-Europa si rivolse ad Hans-Peter Rothlin, Sottosegretario di allora del Pontificio Consiglio ed a me esprimendo il desiderio (che ci disse essere anche di altri) di un Documento del nostro Dicastero che, sulla falsariga di quello su Etica nella Pubblicità, trattasse di Etica nelle Comunicazioni Sociali: ci assicurò che sarebbe stato accolto con interesse.

A noi parve di interpretare quell’invito come espressione di una esigenza sempre più sentita, sempre più diffusa tra la gente del nostro tempo.

D’altra parte l’interesse dimostrato dal mondo dei pubblicitari per il Documento "Etica nella Pubblicità" (interesse che continua tutt’ora: siamo chiamati con frequenza, in particolare il nostro Presidente, a partecipare ad incontri organizzati per trattare il tema, da quel "mondo"), comprovava quella nostra interpretazione.

Credemmo quindi che non impegnarci per dare adeguata risposta a questo desiderio, significasse, in qualche modo, mancare al nostro dovere.

Ecco dunque il perché e l’origine del Documento che viene oggi presentato nella Sala Stampa della Santa Sede, alla vigilia delle celebrazioni per il Giubileo dei giornalisti e a pochi giorni dalla XXXIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che, nella gran parte dei Paesi, verrà celebrata domenica prossima 4 giugno.

Nel mio intervento mi limito a riferire brevemente di come ci siamo mossi nella preparazione del testo, preparazione che ha visto coinvolti tutti i Membri e parte dei Consultori del Dicastero, nel corso di oltre 2 anni.

Per riuscire ad offrire in modo corretto una adeguata risposta alla domanda che ci veniva proposta, pensammo fosse indispensabile, direi ovvio, tener presente nel nostro lavoro innanzitutto:

- la configurazione dell’ambiente cui era destinato il messaggio e, poi,

- il nostro "essere" Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, chiamato a dare risposta alla domanda che ci era stata posta.

Cogliere nella loro vera fisionomia queste due realtà è servito, a mio parere, ad evitare due possibili rischi che avremmo potuto incontrare nello svolgimento, per così dire, del "tema":

da un lato il rischio di chiuderci in noi stessi rendendo impossibile o quanto meno assai difficile l’incontro con il nostro interlocutore;

dall’altro, il rischio di mimetizzarci, di annacquare il "messaggio" che sentivamo il dovere di trasmettere, giacché a noi era stata fatta la richiesta e l’interesse era per la nostra risposta.

In questo modo pensiamo di essere riusciti a formulare i nostri suggerimenti ispirando al dialogo il nostro atteggiamento; ci è sembrato importante non dimenticare che la questione della verità, invita a condividere la ricerca di tutti nei confronti di essa; ma tenendo ben presente che sarebbe stato grave errore relativizzare le nostre posizioni, mettendo in secondo piano quell’identità religiosa specifica che costituisce la ragione ultima della nostra presenza sociale.

Pensiamo di essere d’accordo con molti se affermiamo che le possibilità manipolatorie, insite nella potenza e sofisticazione degli strumenti, assieme ad un uso spregiudicato e sostanzialmente "immorale" dei mezzi di comunicazione, rendono realmente possibile il processo di condizionamento, se non addirittura di distruzione della libertà individuale e della democrazia in generale.

Quando si arriva a mettere in discussione o in pericolo tali valori, non è assolutamente pensabile di potersi sottrarre ad una più attenta riflessione etica; anzi, bisogna insistere sul fatto che l’etica è il cuore dell’informazione ed ogni informazione senza etica può essere immorale.

Permettetemi di concludere citando una frase pronunciata da Paolo VI, in anni ormai lontani, e che ha ispirato, in certo senso, il nostro impegno:

"l’esperienza ci dice che la Chiesa ‘esperta in umanità’ ha molto da offrire al mondo d’oggi: non deve mancarLe il coraggio di farlo".

Riecheggia in questa espressione il "non abbiate paura" che il Papa Giovanni Paolo II va ripetendo alla Chiesa e al mondo fin dagli albori del Suo Pontificato.

Grazie.

[01245-01.01] [Testo originale:italiano]