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CONFERENZA STAMPA PER LA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO "MEMORIA E RICONCILIAZIONE: LA CHIESA E LE COLPE DEL PASSATO", E DELLA GIORNATA DEL PERDONO DEL 12 MARZO 2000, 07.03.2000


CONFERENZA STAMPA PER LA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO "MEMORIA E RICONCILIAZIONE: LA CHIESA E LE COLPE DEL PASSATO", E DELLA GIORNATA DEL PERDONO DEL 12 MARZO 2000

INTERVENTO DEL CARD. ROGER ETCHEGARAY

INTERVENTO DI S.E. MONS. PIERO MARINI 

INTERVENTO DEL REV.MO P. GEORGES MARIE MARTIN COTTIER 

Alle ore 11.30 di oggi, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si tiene la Conferenza Stampa per la presentazione del documento "Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato", a cura della Commissione Teologica Internazionale, e della "Giornata del Perdono" del 12 marzo.

Prendono parte alla Conferenza Stampa l’Em.mo Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Presidente della Commissione Teologica Internazionale; l’Em.mo Card. Roger Etchegaray, Presidente del Comitato del Grande Giubileo dell’Anno 2000; S.E. Mons. Piero Marini, Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie; il Rev.mo P. Georges Marie Martin Cottier, O.P., Segretario Generale della Commissione Teologica Internazionale; e Mons. Bruno Forte, Membro della medesima Commissione.

Pubblichiamo di seguito gli interventi dell’Em.mo Card. Roger Etchegaray, di S.E. Mons. Piero Marini, e del Rev.mo P. Georges Marie Martin Cottier:

INTERVENTO DEL CARD. ROGER ETCHEGARAY

TESTO ITALIANO

TESTO ORIGINALE IN LINGUA FRANCESE

TESTO ITALIANO

Se sono il primo a parlare, è semplicemente per assicurare l’articolazione tra le due parti del dittico di questa conferenza stampa: uno studio teologico e una celebrazione liturgica, tutti e due incentrati su uno dei grandi momenti dell'anno giubilare. Sappiamo che il Papa, accanto ai "segni" tradizionali, ha suscitato per questo Giubileo dell'Anno 2000, dei segni nuovi il primo dei quali è quello che chiama "la purificazione della memoria". Come per marcarne l'importanza, gli dedica il paragrafo più lungo della Bolla di indizione. (n.11 ).

Tale segno, così familiare al pensiero di Giovanni Paolo II, ha bisogno di essere spiegato, addirittura giustificato per essere ricevuto bene da tutti. "Memoria e Riconciliazione," queste due parole si interpellano in seno alla Chiesa che scopre una sorta di dimensione storica della coscienza. Se assumiamo sempre di più una solidarietà nello spazio che ci conduce spesso fino ad una responsabilità collettiva, stentiamo a riconoscere una solidarietà nel tempo che ci lega alle generazioni di ieri tanto più che il passato non è mai completamente morto e sopravvive con postumi persistenti che possono renderci eredi di attitudini o di mentalità errate.

Il corpo della Chiesa è pieno di cicatrici e di protesi, le sue orecchie sono piene del canto del gallo evocatore di rinnegamento, il suo taccuino è pieno di appuntamenti mancati per negligenza o lassitudine. E Giovanni Paolo II ci dice con un tono raramente così pressante :"Come successore di Pietro, chiedo che, in questo anno di misericordia, la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi davanti a Dio e implori il perdono dei peccati passati e presenti dei suoi figli"(LM.n.11 ). Ma un tale passo penitenziale, per quanto pubblico, non può assumere l'aspetto di una autoflagellazione spettacolare, ancora meno essere osservato come da un balcone con una certa malsana curiosità.

Solo quelli che amano profondamente la Chiesa sono capaci di portare su di essa uno sguardo lucido e forte. Quelli che sono fuori rischiano di non afferrare il senso religioso di un gesto di pentimento: sant'Agostino diceva che meno gli uomini sono attenti ai propri peccati, più sono curiosi dei peccati altrui. Ecco perchè la richiesta di perdono affonderà le proprie radici nel cuore di una celebrazione liturgica: la liturgia è il momento misterioso in cui la Chiesa vive più intensamente la duplice gioia nata dalla santità del suo Signore e dal perdono dei peccati dei suoi membri, in particolare nel corso della Quaresima. La vera penitenza non ha niente di morboso, di chiassoso, è tutta serenità e intimità, assapora la fedeltà assoluta e inalterabile di Cristo alla sua Chiesa.

Tale convinzione porta ad una riflessione per dare il pieno significato e la vera misura alla celebrazione del 12 marzo. Se la Chiesa si volge umilmente verso il suo passato è per meglio assumere il proprio presente ed entrare risolutamente nel nuovo millennio. Il "dovere di memoria" incalza il dovere di conversione e di riconciliazione. È tutt'altra cosa che abbeverarsi di processi iconoclasti fatti alla storia. È un richiamo coraggioso ed esigente a costruire il futuro a partire dal tempo presente: nè fuga all'indietro, nè fuga in avanti. I "mea culpa" ripiegati sul petto servirebbero a poco se non si prolungassero in mani aperte e riparatrici verso i nostri fratelli, se non ci rendessero più avvertiti sulla Chiesa di oggi, mediante un affinamento della coscienza per non ricadere nelle stesse colpe, negli stessi errori, come Giovanni Paolo II ha detto espressamente nella T.M.A. (n.33).

La nostra solidarietà con la Chiesa di ieri ci fa così scoprire meglio la nostra responsabilità per la Chiesa di domani. Mi ricordo, da bambino, della pubblicità di una marca di liscivia che diceva, mostrando una lavandaia: "Lei credeva che la sua biancheria fosse bianca!" Oggi, non pensiamo talvolta, con compiacenza, che tutto sia bianco nelle vesti della Chiesa del nostro battesimo? Come saremo valutati anche noi tra cento anni, dalle generazioni future, per le nostre cecità attuali? Accompagnare Giovanni Paolo II nel suo cammino di pentimento giubilare è anche seguirlo nei suoi sforzi di rinnovamento conciliare. Non possiamo lasciarlo solo nè su una riva nè sull'altra. È uno stesso fiume che ci trascina tutti insieme, tutta la Chiesa, tutta l'umanità sotto il soffio dello Spirito sempre creatore.

L'umorismo di Dio fa sì che il calendario giubilare infili la domenica della richiesta di perdono subito dopo quella della beatificazione di martiri: i due gesti di Giovanni Paolo II sono inscindibili, e l'uno non può eludere l'altro, tutti e due sono richiamo alla santità, lanciato da una Chiesa che è una Chiesa di testimoni e non di parti in causa , una Chiesa di martiri e non di superstiti.

Quale scrittore moderno, più di Georges Bernanos, è stato segnato dall'incubo del peccato? Ma è lui che ha scritto il focoso finale della sua "Giovanna, relapsa e santa", ritmato dal ritornello: "La nostra Chiesa è la Chiesa dei santi"... "Chi l'ha capito una volta, dice Bernanos, è entrato nel cuore della fede cattolica, ha sentito trasalire, nella propria carne mortale, un terrore diverso da quello della morte, una speranza sovrumana."

[00552-01.01] [Testo originale:francese]

TESTO ORIGINALE IN LINGUA FRANCESE

Si je suis le premier à parler, c’est tout simplement pour assurer l’articulation entre les deux volets du diptyque de cette conférence de presse: une étude théologique et une célébration liturgique, toutes deux centrées sur un de grands moments de l’Année jubilaire. Nous savons que le Pape, à côté des "signes" traditionnels, a suscité pour ce Jubilé de l’An 2000 des signes nouveaux dont le premier est ce qu’il appelle "la purification de la mémoire". Comme pour en marquer l’importance, il lui consacre le paragraphe le plus long de la Bulle d’indiction (n.11).

Ce signe, si familier à la pensée de Jean-Paul II, a besoin d’être expliqué, voire justifié pour être bien reçu par tous. "Mémoire et Réconciliation", voilà deux mots s’interpellant au sein de l’Eglise qui découvre une sorte de dimension historique de la conscience. Si nous assumons de plus en plus une solidarité dans l’espace qui nous conduit souvent à une responsabilité collective, nous avons du mal à reconnaître une solidarité dans le temps qui nous lie aux générations d’hier d’autant plus que le passé n’est jamais complètement mort et qu’il survit avec des séquelles persistantes qui peuvent nous rendre héritiers d’attitudes ou de mentalités erronées.

Le corps de l’Eglise est plein de cicatrices et de prothèses, ses oreilles sont pleines du chant du coq évocateur de reniement, son carnet est plein de rendez-vous manqués par négligence ou lassitude. Et Jean-Paul II nous dit d’un ton rarement aussi pressant: "Comme successeur de Pierre, je demande que, en cette année de miséricorde, l’Eglise, forte de la sainteté qu’elle reçoit de son Seigneur, s’agenouille devant Dieu et implore le pardon des péchés passés et présents de ses fils" (n.11). Mais une telle démarche pénitentielle, si publique soit-elle, ne peut prendre l’allure d’une autoflagellation spectaculaire, encore moins être observée comme d’un balcon avec quelque curiosité malsaine.

Seuls ceux qui aiment profondément l’Eglise sont capables de porter sur elle un regard lucide et fort. Ceux de l’extérieur risquent de ne pas saisir le sens proprement religieux d’un geste de repentance: saint Augustin disait que moins les hommes font attention à leurs propes péchés et plus ils sont curieux des péchés d’autrui. Voilà pourquoi la demande de pardon plongera ses racines au coeur d’une célébration liturgique: la liturgie est le moment mystérieux où l’Eglise vit le plus intensément la double joie née de la sainteté de son Seigneur et du pardon des péchés de ses membres, en particulier tout au long du Carême. La vraie pénitence n’a rien de morbide, ni rien de tapageur, elle est toute de sérénité et d’intimité, elle savoure la fidélité absolue et inaltérable du Christ à son Eglise.

Cette conviction conduit à une réflexion pour donner son plein sens et sa vraie mesure à la célébration du 12 mars. Si l’Eglise se tourne aussi humblement vers son passé, c’est pour mieux assumer son présent et pour entrer plus délibérément dans le nouveau millénaire. Le "devoir de mémoire" presse le devoir de conversion et de réconciliation. Il est toute autre chose que de s’abreuver de procès iconoclastes faits à l’histoire. Il est un appel courageux et exigeant pour bâtir le futur à partir du temps présent: ni fuite en arrière, ni fuite en avant. Les "mea culpa" repliés sur notre poitrine serviraient peu s’ils ne se prolongeaient en mains ouvertes et réparatrices vers nos frères, s’ils ne nous rendaient pas plus éveillés sur l’Eglise d’aujourd’hui par un affinement de la conscience afin de ne pas retomber dans les mêmes fautes, les mêmes erreurs, comme Jean-Paul II l’a dit expressément dans T.M.A. (n. 33)

Notre solidarité avec l’Eglise d’hier nous fait ainsi mieux découvrir notre responsabilité envers l’Eglise de demain. Je me souviens, enfant, d’une publicité pour une marque de lessive qui disait en montrant une lavandière: "elle croyait que son linge était blanc!" Aujourd’hui, ne pensons-nous parfois complaisamment, que tout est blanc dans les vêtements de l’Eglise de notre baptême? Comment serons-nous appréciés dans cent ans, par les générations futures, pour nos aveuglements actuels? Accompagner Jean-Paul II dans sa démarche de repentance jubilaire c’est aussi le suivre dans ses efforts de renouveau conciliaire. Nous ne pouvons le laisser seul ni sur une berge ni sur l’autre. C’est un même fleuve qui nous entraîne tous ensemble, toute l’Eglise, l’humanité entière sous le souffle de l’Esprit toujours créateur.

L’humour de Dieu fait que le calandrier jubilaire enfile le dimanche de la demande de pardon après celui de la béatification de martyrs: les deux gestes de Jean-Paul II sont inséparables, et l’un ne peut escamoter l’autre, tous deux sont appel à la sainteté, lancé par une Eglise qui est une Eglise de témoins et non de plaideurs, une Eglise de martyrs et non de rescapés.

Quel écrivain moderne, plus que Georges Bernanos, a été marqué par l’angoisse du péché? Mais c’est lui qui a écrit le fougueux final de sa "Jeanne relapse et sainte", rytmé par le refrain: "Notre Eglise est l’Eglise des saints"... "Qui l’a une fois compris, dit Bernanos, est entré au coeur de la foi catholique, a senti tressaillir, dans sa chair mortelle, une autre terreur que celle de la mort, une espérance surhumaine."

[00548-03.01] [Texte original:français]

INTERVENTO DI S.E. MONS. PIERO MARINI

 TESTO   ITALIANO

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE 

TESTO   ITALIANO

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA 12 MARZO 2000

GIORNATA DEL PERDONO

Indicazioni sulla celebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre

I. Significato della celebrazione

1. Il 12 marzo 2000, prima domenica di Quaresima, il Santo Padre celebra l’Eucaristia insieme con i Cardinali e domanda perdono al Signore per i peccati passati e presenti dei figli della Chiesa.

La celebrazione della giornata del perdono è voluta espressamente dal Santo Padre quale segno forte dell’Anno Giubilare che è, per sua natura, momento di conversione.

"Come Successore di Pietro, chiedo che in questo anno di misericordia la Chiesa, forte della santità che riceve dal suo Signore, si inginocchi dinanzi a Dio ed implori il perdono per i peccati passati e presenti dei suoi figli. Tutti hanno peccato e nessuno può dirsi giusto dinanzi a Dio (cf. 1 Re 8,46)… I cristiani sono invitati a farsi carico, davanti a Dio a agli uomini offesi dai loro comportamenti, delle mancanze da loro commesse. Lo facciano senza nulla chiedere in cambio, forti solo dell’" amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori " (Rm 5, 5)" (Incarnationis Mysterium, 11; cf. Tertio millennio adveniente, 33).

2. La Chiesa dunque, all’inizio del cammino quaresimale, in una celebrazione eucaristica, quindi nel ringraziamento al Signore, confessa, narra, magnifica l’azione del Signore in lei in questi duemila anni di cristianesimo. Il Signore è stato Signore vivente e presente nella sua Chiesa e attraverso i santi ha mostrato che Egli opera ancora nella storia, nella sua comunità. Certo, i cristiani, nella loro condizione di viandanti e pellegrini verso il Regno, restano peccatori, fragili, deboli, insidiati da Satana, il Principe di questo mondo, nonostante il loro inserimento nel Corpo di Cristo. In tutte le generazioni è brillata la santità della Chiesa, testimoniata da innumerevoli suoi figli; essa è stata tuttavia contraddetta dalla presenza del peccato che ha continuato ad appesantire il cammino del popolo di Dio. La Chiesa è capace di cantare il Magnificat per l’azione di Dio in lei e il Miserere per i peccati dei cristiani che la rendono bisognosa di purificazione, di penitenza e di rinnovamento (cf. LG 8).

3. "La Chiesa non può varcare la soglia del nuovo millennio senza spingere i suoi figli a purificarsi, nel pentimento, da errori, infedeltà, incoerenze e ritardi" (TMA 33). La liturgia della richiesta di perdono a Dio per i peccati compiuti dai cristiani nel corso dei secoli, dunque, non solo è legittima, ma è la forma più adeguata per esprimere il pentimento e per ottenere la purificazione.

Giovanni Paolo II, con un atto primaziale, confessa i peccati commessi dai cristiani nel corso dei secoli fino a oggi, nella coscienza che la Chiesa è un soggetto unico nella storia, "una mistica persona". La Chiesa è comunione di santi, ma c’è una solidarietà anche nel peccato tra tutte le componenti del Popolo di Dio: ministero petrino, episcopato, presbiterato, vita religiosa, laicato.

4. Questa liturgia, ricordando i peccati commessi, rende reale la domanda del perdono e apre la strada ed un impegno preso, oltre che davanti a Dio, anche davanti agli uomini: apre un cammino di conversione, di mutamento rispetto al passato.

Confessare i peccati nostri e di quelli che ci hanno preceduti è atto opportuno della Chiesa che da sempre ha saputo discernere le infedeltà dei suoi figli, ha saputo dire e fare la verità sui peccati commessi.

Come il popolo di Dio nell’Antico Testamento ha confessato il peccato del vitello d’oro e lo ha ricordato, e come la Chiesa nascente nel Nuovo Testamento confessa e ricorda il rinnegamento di Pietro senza nasconderlo o edulcorarlo, così la Chiesa oggi, attraverso il successore di Pietro, nomina, dice, confessa gli errori dei cristiani di ogni tempo.

5. Il riferimento ad errori e peccati in una liturgia dev’essere aperto, capace di individuare la colpa; ma poiché i secoli trascorsi sono venti e i peccati sono molti, ci si deve accontentare di un linguaggio riassuntivo. È opportuno inoltre che tenga conto di ammissioni di colpa già fatte sia da Paolo VI sia, a più riprese, da Giovanni Paolo II nel suo pontificato.

Queste colpe si possono così riassumere:

a) confessione dei peccati in generale: purificare la memoria e impegnarsi in un cammino di vera conversione

(cf. Paolo VI, 4 gennaio 1964 al Calvario a Gerusalemme)

b) peccati commessi nel servizio della verità: intolleranza e violenza contro i dissidenti, guerre di religione, violenze e soprusi nelle crociate, metodi coattivi nell’inquisizione…

(cf. Giovanni Paolo II, Promemoria Concistoro 7, 13 giugno 1994; "Tertio millennio adveniente" 35)

c) peccati che hanno compromesso l’unità del Corpo di Cristo:: scomuniche, persecuzioni, divisioni…

(cf. Giovanni Paolo II, "Tertio millennio adveniente" 34; "Ut unum sint" 34 e 82; Paderborn, 22 giugno 1996)

d) peccati commessi nell’ambito dei rapporti con il popolo della prima Alleanza, Israele: disprezzo, atti di ostilità, silenzi …

(cf. Giovanni Paolo II, Mainz, 17 novembre 1980; Basilica Vaticana, 7 dicembre 1991; Commissione Rapporti con l’Ebraismo, "Noi ricordiamo" 4, 16 marzo 1998)

e) peccati contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle altre religioni, in concomitanza con l’evangelizzazione…

(cf. Giovanni Paolo II, Assisi, 27 ottobre 1986; Santo Domingo, 13 ottobre 1992; Udienza generale, 21 ottobre 1992)

f) peccati contro la dignità umana e l’unità del genere umano: verso le donne, le razze e le etnie…

(cf. Giovanni Paolo II, Saluto domenicale, 10 giugno 1995; Lettera alle donne, 29 giugno 1995)

g) peccati nel campo dei diritti fondamentali della persona e contro la giustizia sociale: gli ultimi, i poveri, i nascituri, ingiustizie economiche e sociali, emarginazione…

(cf. Giovanni Paolo II, Yaoundé, 13 agosto 1985; Udienza generale, 3 giugno 1992)

Va detto con forza: la confessione dei peccati che il Papa fa si rivolge a Dio, che solo può rimettere i peccati, ma è fatta davanti agli uomini, ai quali non si possono nascondere le responsabilità dei cristiani.

6. Questa confessione non significa giudizio su coloro che ci hanno preceduto: il giudizio spetta solo a Dio e sarà manifestato nell’ultimo giorno. I cristiani di oggi non pensano di essere "migliori dei loro padri" (cf. 1 Re 19,4), ma vogliono dire quali nella storia sono stati oggettivamente errori di comportamento rispetto al Vangelo e allo Spirito di Cristo. Per questo nella confessione si indicano in modo chiaro alcune mancanze storiche, ma non si giudicano né si nominano i responsabili. La confessione avviene nella solidarietà dei peccatori: i battezzati di oggi, infatti, si sentono legati ai battezzati di ieri. Non si giudicano i cristiani del passato, né si escludono circostanze attenuanti, ma ci si rammarica e si confessa il male perpetrato, facendoci carico delle mancanze commesse da chi ci ha preceduti.

7. Ponendo il culmine della confessione dei peccati nell’ambito della liturgia, Giovanni Paolo II vuole manifestare che questo atto procede unicamente da una dinamica interiore e ha come fine la purificazione della memoria, la riconciliazione tra cristiani e tra Chiesa e umanità.

La confessione dei peccati storici dei cristiani non intende tuttavia operare solo una purificazione della memoria: vuole essere anche un’occasione perché cambi la mentalità, la prospettiva di certi atteggiamenti ecclesiali, e perché emerga un insegnamento per il futuro, nella consapevolezza che i peccati del passato permangono come tentazione nell’oggi.

La confessione dei peccati favorisce il dialogo, la riconciliazione, la pace.

8. Questa liturgia è un servizio alla verità: la Chiesa non ha paura di misurarsi con le colpe dei cristiani, quando si accorge dei loro errori.

È un servizio alla fede: il riconoscimento e la confessione dei peccati aprono la via a una rinnovata adesione al Signore.

È un servizio alla carità, una testimonianza di amore nell’umiltà di chi chiede perdono. La Chiesa è maestra anche quando chiede al Signore il perdono, la remissione dei peccati.

II. Elementi caratteristici della celebrazione

1. La presenza del Crocifisso

Accanto all’altare della Confessione della Basilica Vaticana è collocato il Crocifisso di S. Marcello al Corso (sec. XIV) tradizionalmente venerato in S. Pietro in occasione degli Anni Santi. La presenza del Crocifisso intende sottolineare che la confessione dei peccati e la richiesta di perdono si rivolgono a Dio che solo può rimettere i peccati.

2. La "statio" iniziale

All’inizio della celebrazione ha luogo una "statio" del Santo Padre con i Cardinali concelebranti davanti alla immagine della Pietà all’ingresso della Basilica: la chiesa, come Maria, vuole abbracciare il Salvatore crocifisso, farsi carico del passato dei suoi figli e invocare il perdono del Padre.

3. Le litanie dei Santi

Alla "statio" fa seguito la processione penitenziale verso l’altare aperta dalla Croce con sette candelabri e dal Libro dei Vangeli, mentre si cantano le invocazioni litaniche. I Santi nella Communio Sanctorum intercedono per i fratelli e le sorelle peccatori, ancora pellegrini verso la Gerusalemme celeste.

4. La confessione delle colpe e la richiesta di perdono

Dopo la professione di fede ha luogo la preghiera universale con la quale il Santo Padre compie l'atto di confessione delle colpe e della richiesta di perdono.

La preghiera si apre con una monizione del Papa ed è seguita da un invitatorio e da un’orazione intercalata da una breve pausa di silenzio e dal canto di un triplice Kyrie eleison.

L’invitatorio è detto da alcuni Capi Dicastero della Curia Romana, l’orazione dal Santo Padre.

Durante il canto del Kyrie eleison vengono accese le lampade davanti al Crocifisso.

Dopo l’orazione conclusiva il Santo Padre abbraccia e bacia il Crocifisso in segno di venerazione e di richiesta di perdono.

5. Impegno per un cambiamento di vita

Al termine della celebrazione dopo la solenne benedizione, il Santo Padre rivolge l’invito affinché la purificazione della memoria e la richiesta di perdono si traducano per la Chiesa e per ciascuno in impegno di rinnovata fedeltà al Vangelo.

APPENDICE

Alcuni testi da omelie, discorsi e preghiere di Giovanni Paolo II

(cf. anche "Tertio millennio adveniente" 34 e 35; "Ut unum sint" 34 e 83;

Noi ricordiamo 4, 5 e 6)

"Signore, nostro liberatore, nelle comunità cristiane d’Europa non sempre abbiamo attuato il tuo comandamento ma, confidando nelle sole forze umane, abbiamo perseguite logiche mondane con guerre di religione, con lotte di cristiani contro cristiani, con la passività di fronte alle persecuzioni e all’Olocausto degli ebrei, con l’infierire contro tanti giusti.

Perdonaci e abbi pietà di noi".

(Basilica Vaticana, 7 dicembre 1991, celebrazione ecumenica a chiusura del Sinodo europeo)

"Se non evadiamo i fatti, ci rendiamo conto che le colpe degli uomini ci hanno portato all’infelice divisione dei cristiani e la nostra colpa impedisce sempre di nuovo i passi possibili e necessari verso l’unità".

(Mainz, 17 novembre 1980, incontro con i rappresentanti delle altre chiese)

"Come potrebbe la Chiesa, che con i suoi religiosi, sacerdoti e vescovi è sempre stata accanto agli indigeni, dimenticare le sofferenze enormi inflitte agli abitanti di questo Continente durante l’epoca della conquista e della colonizzazione? Bisogna riconoscere in tutta sincerità gli abusi commessi, dovuti alla mancanza di amore da parte di quelle persone che non seppero vedere negli indigeni dei fratelli, figli dello stesso Dio Padre".

(Santo Domingo, 13 ottobre 1992, messaggio agli Indios)

"Di fronte a questo grande Giubileo la Chiesa ha bisogno della "metanoia", cioè del discernimento delle mancanze storiche e delle negligenze dei suoi figli nei confronti delle esigenze del Vangelo. Solo il riconoscimento coraggioso delle colpe e anche delle omissioni di cui i cristiani si sono resi in qualche modo responsabili, come pure il generoso proposito di rimediarvi con l’aiuto di Dio, possono dare efficace impulso alla nuova evangelizzazione e rendere più facile il cammino verso l’unità".

(Concistoro straordinario, 13 giugno 1994)

"Siamo purtroppo eredi di una storia di enormi condizionamenti che, in tutti i tempi e in ogni latitudine, hanno reso difficile il cammino della donna, misconosciuta nella sua dignità, travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù… Se in questo non sono mancate, specie in determinati contesti storici, responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa, me ne dispiaccio sinceramente. Tale rammarico si traduca per tutta la Chiesa in un impegno di rinnovata fedeltà all’ispirazione evangelica, che – proprio sul tema della liberazione delle donne da ogni forma di sopruso e di dominio – ha un messaggio di perenne attualità sgorgante dall’atteggiamento stesso di Cristo".

(Lettera alle donne, 29 giugno 1995)

"I discepoli di Cristo dovranno sempre, nel mondo intero, svolgere "una pastorale di guarigione e di compassione", come fece il buon Samaritano del Vangelo, semplicemente perché l’uomo che si trova nel bisogno, sul ciglio della strada, è il loro fratello, il loro "prossimo" (cf. Lc 10, 33-37).

Nel corso della storia uomini appartenenti a nazioni cristiane purtroppo non sempre si sono comportati così e noi ne chiediamo perdono ai nostri fratelli africani che tanto hanno sofferto, per esempio per la tratta degli schiavi. Il Vangelo, tuttavia, rimane un appello inequivocabile".

(Yaoundé, 13 agosto 1985, Discorso agli intellettuali).

TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE

FIRST SUNDAY OF LENT, 12 MARCH 2000

DAY OF PARDON

Notes on the Eucharistic Celebration of His Holiness Pope John Paul II

I. The meaning of the celebration

1. On 12 March 2000, the First Sunday of Lent, the Holy Father will celebrate the Eucharist with the Cardinals and will ask forgiveness from the Lord for the sins, past and present, of the sons and daughters of the Church.

The celebration of the Day of Pardon was expressly desired by the Holy Father as a powerful sign in this Jubilee Year, which is by its very nature a moment of conversion.

"As the Successor of Peter, I ask that in this year of mercy the Church, strong in the holiness which she receives from her Lord, should kneel before God and implore forgiveness for the past and present sins of her sons and daughters. All have sinned and none can claim righteousness before God (cf. 1 Kgs 8:46)... Christians are invited to acknowledge, before God and before those offended by their actions, the faults which they have committed. Let them do so without seeking anything in return, but strengthened only by the ‘love of God which has been poured into our hearts’ (Rom 5:5)" (Incarnationis Mysterium, 11; Tertio millennio adveniente, 33).

2. Consequently, the Church, in a Eucharistic celebration at the beginning of her Lenten journey, and thus in an act of thanksgiving to the Lord, confesses, proclaims and glorifies God’s work within her during the past two thousand years of Christianity. The Lord has been living and present in his Church, and through the Saints he has demonstrated that he continues to be at work in human history, in the midst of his community. Certainly, Christians, as pilgrims and wayfarers towards the Kingdom, remain sinners, frail, weak and subject to the temptations of Satan, the Prince of this world, despite their incorporation into the Body of Christ. In every generation the holiness of the Church has shone forth, witnessed by countless numbers of her sons and daughters; yet this holiness has been contradicted by the continuing presence of sin which burdens the journey of God’s People. The Church can sing both the Magnificat for what God has accomplished within her and the Miserere for the sins of Christians, for which she stands in need of purification, penance and renewal (cf. Lumen Gentium 8).

3. "The Church cannot cross the threshold of the new millennium without encouraging her children to purify themselves through repentance of past errors and instances of infidelity, inconsistency and slowness to act" (Tertio millennio adveniente, 33). Consequently, a liturgy seeking pardon from God for the sins committed by Christians down the centuries is not only legitimate; it is also the most fitting means of expressing repentance and gaining purification.

Pope John Paul II, in a primatial act, confesses the sins of Christians over the centuries down to our own time, conscious that the Church is a unique subject in history, "a single mystical person". The Church is a communion of saints, but a solidarity in sin also exists among all the members of the People of God: the bearers of the Petrine ministry, Bishops, priests, religious and lay faithful.

4. This liturgy, by recalling the sins committed, concretizes the request for forgiveness and opens the way to a commitment made not only before God but also before men; it inaugurates a journey of conversion and change vis-à-vis the past.

Confessing our sins and the sins of those before us is a fitting act on the part of the Church, which has always felt bound to acknowledge the failures of her children and to confront the truth about sins committed.

Like the People of God in the Old Testament, who confessed the sin of the golden calf and perpetuated its memory, and the early Church in the New Testament, which recorded and recalled Peter’s denial without denying or diminishing it, so the Church today, through the Successor of Peter, names, declares and confesses the errors of Christians in every age.

5. The reference to errors and sins in a liturgy must be frank and capable of specifying guilt; yet given the number of sins committed in the course of twenty centuries, it must necessarily be rather summary. It is also appropriate that it should take into account the admissions of sin already made both by Pope Paul VI and Pope John Paul II himself, on numerous occasions in the course of his Pontificate.

These include:

a) a general confession of sin: purification of memory and commitment to the path of true conversion

(cf. Paul VI, 4 January 1964 at Calvary in Jerusalem)

b) sins committed in the service of truth: sins of intolerance and violence against dissidents, wars of religion, acts of violence and oppression during the Crusades, methods of coercion employed in the Inquisition...

(cf. John Paul II, Pro Memoria for the Consistory of 13 June 1994, 7; "Tertio millennio adveniente", 35)

c) sins which have compromised the unity of the Body of Christ: excommunications, persecutions, divisions...

(cf. John Paul II, "Tertio millennio adveniente", 34; "Ut unum sint", 34 and 82; Paderborn, 22 June 1996)

d) sins regarding relations with the people of the first Covenant, Israel: contempt, hostility, failure to speak out...

(cf. John Paul II, Mainz, 17 November 1980; Vatican Basilica, 7 December 1991; Commission for Religious Relations with the Jews, "We Remember", 16 March 1998, No. 4)

e) sins against love, peace, the rights of peoples and respect for cultures and other religions which took place during the work of evangelization...

(cf. John Paul II, Assisi, 27 October 1986; Santo Domingo, 13 October 1992; General Audience, 21 October 1992)

f) sins against human dignity and the unity of the human race: against women, races and ethnic groups...

(cf. John Paul II, Angelus Message, 10 June 1995; Letter to Women, 29 June 1995)

g) sins against basic rights of the person and against social justice: the defenceless, the poor and the unborn, economic and social injustices, emargination...

(cf. John Paul II, Yaoundé, 13 August 1985; General Audience, 3 June 1992)

One thing must be forcibly stated: the confession of sins made by the Pope is addressed to God, who alone can forgive sins, but it is also made before men, from whom the responsibilities of Christians cannot be hidden.

6. This confession does not entail a judgment on those who have gone before us: judgment belongs to God alone and will be declared on the last day. Christians today do not believe that they are "better than their fathers" (cf. 1 Kg 19:4), but they do wish to state what have been, in the light of the Gospel and the Spirit of Christ, objective historical errors in ways of acting. Consequently the confession clearly points to certain historical failings, but the parties responsible are neither judged nor named. The confession takes place within context of the solidarity of sinners: the baptized of the present are conscious of their link to the baptized of the past. Judgment is not passed on Christians of earlier times, nor are extenuating circumstances overlooked, but regret is expressed and the evil done is confessed as we take upon ourselves the failings of those who have preceded us.

7. By placing the highpoint of the confession of sins within the context of the liturgy, Pope John Paul II wishes to demonstrate that this act has its own inner meaning and aims at the purification of memory and at reconciliation between Christians and between the Church and humanity.

Confessing the historical sins of Christians is not however aimed solely at the purification of memory: it is also meant to be an occasion for a change of mentality and certain attitudes in the Church, as well as the source of a new teaching for the future, in the consciousness that the sins of the past remain as temptations in the present.

The confession of sins is a means of favouring dialogue, reconciliation and peace.

8. This liturgy is a service to truth: the Church is not afraid to confront the sins of Christians when she becomes conscious of their errors.

It is a service to faith: the acknowledgment and confession of sins opens the way to a renewed fidelity to the Lord.

It is a service to charity: a witness of love in the humility of one who begs pardon. The Church is also a teacher when she asks the Lord for pardon and the forgiveness of sins.

II. Typical elements of the celebration

1. The presence of the Crucifix

Beside the Altar of the Confession of the Vatican Basilica stands the fifteenth-century Crucifix from the Church of San Marcello al Corso which has traditionally been venerated in Saint Peter’s during the Holy Years. The presence of the Crucifix is meant to emphasize that the confession of sins and the begging of pardon are addressed to God, who alone can forgive sins.

2. The initial "statio"

At the beginning of the celebration there is a "statio" of the Holy Father with the Cardinal concelebrants before the statue of the Pietà at the entrance of the Basilica: the Church, like Mary, wishes to embrace the crucified Saviour, to take responsibility for the past of her children and to implore the Father’s forgiveness.

3. The Litany of the Saints

The "statio" is followed by a penitential procession towards the altar. The Cross is accompanied by seven candles and the Gospel Book, and a litany is sung. The Saints of the Communio Sanctorum intercede for their sinful brothers and sisters still on their pilgrim way towards the heavenly Jerusalem.

4. The confession of sins and the request for pardon

Following the profession of faith comes the Prayer of the Faithful, in which the Holy Father makes the act of confession of sins and the request for pardon.

The prayer opens with an introduction by the Pope followed by an invitatory and a prayer preceded by a brief moment of silence and the chanting of a triple Kyrie eleison.

The invitatory is recited by authorities of the Roman Curia, while the Holy Father recites the prayer.

During the chanting of the Kyrie eleison the lamps in front of the Crucifix are lighted.

After the concluding prayer the Holy Father embraces and kisses the Crucifix as a sign of veneration and the imploring of pardon.

5. Commitment for a conversion of life

At the end of the celebration, following the solemn blessing, the Holy Father asks that the purification of memory and the request for forgiveness may be translated into a commitment of renewed fidelity to the Gospel on the part of the Church and each of her members.

APPENDIX

Some texts from the homilies, addresses and prayers of Pope John Paul II

(cf. also Tertio millennio adveniente, 34-35; Ut unum sint, 34 and 83;

We Remember, 4-6)

"Lord, you who have set us free. In the Christian communities of Europe we have not always put into practice your commandment of love, but, trusting in human strength alone, we have pursued worldly ways of thinking, with wars of religion, with Christians fighting each another, with passivity in the face of persecutions and the Jewish Holocaust, and with cruelty against so many just people.

Pardon us and have mercy upon us".

(Vatican Basilica, 7 December 1991, Ecumenical Prayer Service for the Conclusion of the European Synod)

"If we do not evade the facts, we realize that the faults of men led to the unhappy division of Christians, and that our faults again hinder the possible and necessary steps towards unity".

(Mainz, 17 November 1980, Meeting with Representatives of Other Churches)

"The Church has always been at the side of the indigenous people through her religious, priests and Bishops; ... how could she possibly forget the enormous suffering inflicted on the peoples of this continent during the age of conquest and colonization? In all truth there must be a recognition of the abuses committed due to a lack of love on the part of some individuals who did not see their indigenous brothers and sisters as children of God, their Father.

(Santo Domingo, 13 October 1992, Message to Indigenous Peoples)

"As she faces this Great Jubilee, the Church needs "metanoia", that is, the discernment of her children’s historical shortcomings and negligence with regard to the demands of the Gospel. Only the courageous acknowledgment of the faults and omissions for which Christians have in some way been responsible, as well as the generous intention to remedy them with the help of God, can give an effective impetus to the new evangelization and make the path to unity easier".

(Extraordinary Consistory, 13 June 1994)

"Women’s dignity has often been unacknowledged and their prerogatives misrepresented; they have often been relegated to the margins of society and even reduced to servitude ... If objective blame, especially in particular historical contexts, has belonged to not just a few members of the Church, for this I am truly sorry. May this regret be transformed, on the part of the whole Church, into a renewed commitment of fidelity to the Gospel vision. When it comes to setting women free from every kind of exploitation and domination, the Gospel contains an ever relevant message which goes back to the attitude of Jesus Christ himself".

(Letter to Women, 29 June 1995)

"Christ’s disciples in the world must always carry out "a pastoral service of healing and compassion", like the Good Samaritan in the Gospel, simply because the one in need along the roadside is their brother, their "neighbour" (cf. Lk 10:33-37).

Sadly, in the course of history, people from Christian nations have not always done this, and we ask pardon for it from our African brothers and sisters who have so greatly suffered, for example, from the treatment of the blacks. Yet the Gospel remains as a unequivocal call".

(Yaoundé, 13 August 1985. Address to Academics)

[00532-01.07] [Testo originale:italiano]

INTERVENTO DEL REV.MO P. GEORGES MARIE MARTIN COTTIER

La Commissione teologica internazionale è stata instituita da Paolo VI nell’aprile del 1969. Ricevette allora degli statuti "ad experimentum". A conferma dell’opera del suo predecessore, Giovanni Paolo II l’ha dotata di statuti definitivi, con un Motu Proprio in data del 6 agosto 1982.

La sua funzione è une funzione di ricerca riguardo alle questioni nuove e ai modi più appropriati di esprimere ai nostri contemporanei la dottrina della fede.

Dà la sua collaborazione alla Santa Sede e innanzitutto alla Congregazione della Dottrina della Fede. Quindi, senza appartenere a quest’ultima, vi è legata da un vincolo instituzionale, il cui segno più evidente, è che il Presidente è il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

L’internazionalità è una caratteristica essenziale della Commissione. I suoi membri, che sono trenta, rappresentano non soltanto delle aere geografiche distinte, ma soprattutto delle sensibilità e delle esperienze culturali differenti; provengono da diverse scuole teologiche.

Certo, questi membri lavorano in comunione con il Magistero, nella coscienza che uno è il compito di quest’ultimo, altro quello del teologo. La teologia, comme tutte le discipline scientifiche, obedisce a delle leggi e ha esigenze proprie.

Dalla sua origine la C.T.I ha pubblicato una serie di documenti che sono stati riuniti in volumi in diverse lingue. Il più recente che copre il periodo dal 1969 al 1996 è quello in traduzione spagnola, pubblicato dalla BAC, 1998. La lingua originale può variare in funzione della composizione delle sottocommissioni.

Partendo da quanto precede si può porre la domanda: qual’è l’autorità dottrinale di questo tipo di documento?

Per rispondere a questa domanda, non è inutile percorrere l’iter di un documento.

Il tema studiato può essere proposto dal Magistero, e più direttamente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Può essere ugualmente fissato dopo una discussione tra i membri, eletti per cinque anni, durante la prima assemblea plenaria annuale. Infatti, durante la seduta, la Commissione si mette d’accordo sui temi da trattare nel quinquennio.

Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato: il tema è stato proposto del nostro Presidente, il Cardinale Ratzinger.

Dopo la scelta dei temi, il Cardinale nomina per ogni argomento, una sottocommissione con a capo un presidente. Nel caso specifico, il Professore Bruno Forte è stato incaricato di questo compito.

Il tema preso in considerazione è oggetto di uno scambio di vedute durante l’assemblea plenaria, che si riunisce a Roma ogni anno per una settimana.

Sulla base di queste discussioni, la sottocommissione che si riunisce tante volte quanto è necessario in un luogo di sua scelta, elabora un primo testo. In generale ogni membro, in funzione delle sue competenze, bibliche, dogmatiche, etiche, redige un capitolo.

Il testo, spedito in tempo a tutti i membri della commissione, è oggetto di un dibattito durante la plenaria seguente. Questo dibattito termina con un voto indicativo: placet, non placet, placet iuxta modum, a scheda segreta. Il placet iuxta modum è molto importante, in quanto la sottocommissione deve prendere in considerazione l’insieme dei modi. Partendo da ciò elabora un nuovo testo, che sarà sottoposto alla votazione definitiva durante la plenaria dell’anno seguente; si vota allora: placet o non placet. Tuttavia ci si può astenere. Per evitare ogni malinteso è richiesto, prima di votare per l’insieme, un voto per ogni parte.

A causa dell’imminenza dell’Anno del Grande Giubileo, questo voto è stato anticipato e fatto per corrispondenza. Il testo ha ricevuto una larga approvazione. Precisiamo che un tale documento non è considerato come l’opera di un’unica persona ne della sola sottocommissione. È un documento della C.T.I. nel suo insieme, che ne ha la responsabilità.

Quando, come in questo caso, porta sul testo in se nel suo insieme e in ogni sua parte, l’approvazione è detta "in forma specifica".

La pubblicazione del testo è sottoposta al giudizio del Presidente, il Cardinale, Ratzinger, che ne informa il Santo Padre.

Queste precisazioni ci permettono di rispondere alla domanda sull’autorità di tale documento.

È chiaro che non si tratta di un documento del Magistero.

Tuttavia, la sua autorità supera in un certo modo quella di ognuno dei suoi membri o di un gruppo di teologi, la quale dipende in definitiva della competenza scientifica e dell’accordo con l’insegnamento della Chiesa.

Infatti, si devono prendere in considerazione due punti: i teologi della C.T.I. non esprimono nei loro documenti, l’opinione di una particolare scuola, ma quella che considerano essere la dottrina comune della Chiesa. E soprattutto,- secondo punto -, la pubblicazione è autenticata dall’autorizzazione del suo Presidente, il quale è anche il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che le conferisce una certa autorità senza che diventi con ciò un testo del Magistero.

Può accadere che alcuni Dicasteri della Chiesa riprendono per proprio conto degli elementi di alcuni documenti della C.T.I., ciò che le conferisce un peso supplementare.

Aggiungo che in quanto testi teologici, i nostri documenti hanno l’ambizione di fare il punto sullo stato di una questione e sulle prospettive aperte. A questo titolo sono un invito ai loro fratelli teologi ad approfondire le problematiche sollevate. Questo è particolarmente il caso con le questioni innovatrici, come quelle che portano sulla domanda di perdono per le colpe del passato e sulla purificazione della memoria.

In conclusione mi piacerebbe attirare l’attenzione su un pericolo inerente alla lettura di siffatto documento. Tertio Millennio adveniente mette un legame tra la coscienza delle colpe del passato e quella delle colpe del presente. Il pericolo, infatti, è che la domanda di perdono delle colpe del passato serva quale alibi per l’amnesia delle colpe recenti o per i mali della nostra epoca. Per una felice coincidenza, il numero di Civiltà Cattolica del 5 marzo che pubblica il nostro documento, contiene un articolo molto importante sulle forme di schiavitù contemporanee che sono il trafico dei bambini e la prostituzione sù grande scala, fenomeni che si svuluppano sotto i nostri occhi, nella più grande indifferenza. Non siamo migliori degli uomini o delle donne del passato. È con modestia e "timore et tremore" che dobbiamo giudicare dei loro atti. Che penseranno di noi gli uomini e le donne di domani?

[00549-01.01] [Testo originale:italiano]