VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN COLOMBIA
(6-11 SETTEMBRE 2017)
LITURGIA DI RICONCILIAZIONE
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Parque Las Malocas (Villavicencio)
Venerdì, 8 settembre 2017
Cari fratelli e sorelle!
Fin dal primo giorno desideravo che venisse questo momento del nostro incontro. Voi portate nel vostro cuore e nella vostra carne delle impronte, le impronte della storia viva e recente del vostro popolo, segnata da eventi tragici ma anche piena di gesti eroici, di grande umanità e di alto valore spirituale di fede e di speranza. Lo abbiamo ascoltato. Vengo qui con rispetto e con la chiara consapevolezza di trovarmi, come Mosè, a posare i piedi su una terra sacra (cfr Es 3,5). Una terra irrigata con il sangue di migliaia di vittime innocenti e col dolore lacerante dei loro familiari e conoscenti. Ferite che stentano a cicatrizzarsi e che ci addolorano tutti, perché ogni violenza commessa contro un essere umano è una ferita nella carne dell’umanità; ogni morte violenta ci “diminuisce” come persone.
Io sono qui non tanto per parlare ma per stare vicino a voi e guardarvi negli occhi, per ascoltarvi e aprire il mio cuore alla vostra testimonianza di vita e di fede. E, se me lo permettete, vorrei anche abbracciarvi e, se Dio me ne dà la grazia – perché è una grazia – vorrei piangere con voi, vorrei che pregassimo insieme e che ci perdoniamo – anch’io devo chiedere perdono – e che così, tutti insieme, possiamo guardare e andare avanti con fede e speranza.
Ci siamo riuniti ai piedi del Crocifisso di Bojayá, che il 2 maggio 2002 assistette e patì il massacro di decine di persone rifugiate nella sua chiesa. Questa immagine ha un forte valore simbolico e spirituale. Guardandola contempliamo non solo ciò che accadde quel giorno, ma anche tanto dolore, tanta morte, tante vite spezzate e tanto sangue versato nella Colombia degli ultimi decenni. Vedere Cristo così, mutilato e ferito, ci interpella. Non ha più braccia e il suo corpo non c’è più, ma conserva il suo volto e con esso ci guarda e ci ama. Cristo spezzato e amputato, per noi è ancora “più Cristo”, perché ci mostra ancora una volta che è venuto a soffrire per il suo popolo e con il suo popolo; e anche ad insegnarci che l’odio non ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte e della violenza. Ci insegna a trasformare il dolore in fonte di vita e risurrezione, affinché insieme a Lui e con Lui impariamo la forza del perdono, la grandezza dell’amore.
Grazie a voi quattro, nostri fratelli, che avete voluto condividere la vostra testimonianza, a nome di tanti e tanti altri. Come ci fa bene – sembra egoista – ma come ci fa bene ascoltare le vostre storie! Sono commosso. Sono storie di sofferenza e di amarezza, ma anche, e soprattutto, sono storie di amore e di perdono che ci parlano di vita e di speranza, di non lasciare che l’odio, la vendetta e il dolore si impadroniscano del nostro cuore.
L’oracolo finale del Salmo 85: «Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (v. 11) viene dopo il ringraziamento e la supplica in cui si chiede a Dio: Rinnovaci! Grazie, Signore, per la testimonianza di coloro che hanno inflitto dolore e chiedono perdono; di quanti hanno sofferto ingiustamente e perdonano. Questo è possibile solo con il tuo aiuto e con la tua presenza, ed è già un segno enorme che tu vuoi ricostruire la pace e la concordia in questa terra colombiana.
Pastora Mira, tu lo hai detto molto bene: vuoi mettere tutto il tuo dolore, e quello di migliaia di vittime, ai piedi di Gesù Crocifisso, perché si unisca al suo e così sia trasformato in benedizione e capacità di perdono per spezzare la catena della violenza che ha regnato in Colombia. E hai ragione: la violenza genera violenza, l’odio genera altro odio, e la morte altra morte. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile, e ciò è possibile soltanto con il perdono e la riconciliazione concreta. E tu, cara Pastora, e tanti altri come te, ci avete dimostrato che questo è possibile. Con l’aiuto di Cristo, di Cristo vivo in mezzo alla comunità, è possibile vincere l’odio, è possibile vincere la morte, è possibile cominciare di nuovo e dare vita a una Colombia nuova. Grazie, Pastora; che gran bene fai oggi a tutti noi con la testimonianza della tua vita! E’ il Crocifisso di Bojayá che ti ha dato la forza di perdonare e di amare, e ti ha aiutato a vedere nella camicia che tua figlia Sandra Paola ha regalato a tuo figlio Jorge Aníbal, non solo il ricordo della loro morte ma la speranza che la pace trionfi definitivamente in Colombia. Grazie, grazie!
Ci commuove anche quello che ha detto Luz Dary nella sua testimonianza: che le ferite del cuore sono più profonde e difficili da sanare di quelle del corpo. E’ così. E ciò che è più importante, ti sei resa conto che non si può vivere nel rancore, che solo l’amore libera e costruisce. E in questo modo hai cominciato a guarire anche le ferite di altre vittime, a ricostruire la loro dignità. Questo uscire da te stessa ti ha arricchito, ti ha aiutato a guardare in avanti, a trovare pace e serenità e anche un motivo per continuare a camminare. Ti ringrazio per la stampella che offri. Benché ti rimangano ancora ferite, ti rimangano conseguenze fisiche delle tue ferite, la tua andatura spirituale è veloce e salda. Questa andatura spirituale non ha bisogno di stampelle; ed è rapida e salda perché pensi agli altri – grazie! – e vuoi aiutarli. Questa tua stampella è un simbolo di quell’altra stampelle più importante, di cui tutti abbiamo bisogno, che è l’amore e il perdono. Col tuo amore e il tuo perdono stai aiutando tante persone a camminare nella vita, e a camminare rapidamente come te. Grazie!
Voglio ringraziare anche per la testimonianza eloquente di Deisy e Juan Carlos. Ci hanno fatto comprendere che tutti, alla fine, in un modo o nell’altro, siamo vittime, innocenti o colpevoli, ma tutti vittime, da una parte e dall’altra: tutti vittime. Tutti accomunati in questa perdita di umanità che la violenza e la morte comportano. Deisy lo ha detto chiaramente: hai capito che tu stessa eri stata una vittima e avevi bisogno che ti fosse concessa un’opportunità. Quando l’hai detto, questa parola mi è risuonata nel cuore. E hai cominciato a studiare, e adesso lavori per aiutare le vittime e perché i giovani non cadano nelle reti della violenza e della droga, che è un’altra forma di violenza. C’è speranza anche per chi ha fatto il male; non tutto è perduto. Gesù è venuto per questo: c’è speranza per chi ha fatto il male. Certamente, in questa rigenerazione morale e spirituale dei carnefici la giustizia deve compiersi. Come ha detto Deisy, si deve contribuire positivamente a risanare questa società che è stata lacerata dalla violenza.
Risulta difficile accettare il cambiamento di quanti si sono appellati alla violenza crudele per promuovere i loro fini, per proteggere traffici illeciti e arricchirsi o per credere, illusoriamente, di stare difendendo la vita dei propri fratelli. Sicuramente è una sfida per ciascuno di noi avere fiducia che possano fare un passo avanti coloro che hanno procurato sofferenza a intere comunità e a tutto un paese. E’ chiaro che in questo grande campo che è la Colombia c’è ancora spazio per la zizzania. Non inganniamoci. Fate attenzione ai frutti: abbiate cura del grano e non perdete la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni allarmistiche. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché in apparenza siano imperfetti e incompleti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Anche quando perdurano conflitti, violenza, o sentimenti di vendetta, non impediamo che la giustizia e la misericordia si incontrino in un abbraccio che assuma la storia di dolore della Colombia. Risaniamo quel dolore e accogliamo ogni essere umano che ha commesso delitti, li riconosce, si pente e si impegna a riparare, contribuendo alla costruzione dell’ordine nuovo in cui risplendano la giustizia e la pace.
Come ha lasciato intravedere nella sua testimonianza Juan Carlos, in tutto questo processo, lungo, difficile, ma ricco di speranza di riconciliazione, risulta anche indispensabile accettare la verità. E’ una sfida grande ma necessaria. La verità è una compagna inseparabile della giustizia e della misericordia. Tutt’e tre unite, sono essenziali per costruire la pace e, d’altra parte, ciascuna di esse impedisce che le altre siano alterate e si trasformino in strumenti di vendetta contro chi è più debole. La verità non deve, di fatto, condurre alla vendetta, ma piuttosto alla riconciliazione e al perdono. Verità è raccontare alle famiglie distrutte dal dolore quello che è successo ai loro parenti scomparsi. Verità è confessare che cosa è successo ai minori reclutati dagli operatori di violenza. Verità è riconoscere il dolore delle donne vittime di violenza e di abusi.
Vorrei, infine, come fratello e come padre, dire: Colombia, apri il tuo cuore di popolo di Dio e lasciati riconciliare. Non temere la verità né la giustizia. Cari colombiani: non abbiate paura di chiedere e di offrire il perdono. Non fate resistenza alla riconciliazione che vi fa avvicinare, ritrovare come fratelli e superare le inimicizie. E’ ora di sanare ferite, di gettare ponti, di limare differenze. E’ l’ora di spegnere gli odi, rinunciare alle vendette e aprirsi alla convivenza basata sulla giustizia, sulla verità e sulla creazione di un’autentica cultura dell’incontro fraterno. Che possiamo abitare in armonia e fraternità, come vuole il Signore! Chiediamogli di essere costruttori di pace; che là dove c’è odio e risentimento, possiamo mettere amore e misericordia (cfr Preghiera attribuita a san Francesco di Assisi).
E tutte queste intenzioni, le testimonianze ascoltate, le cose che ognuno di voi conosce nel suo cuore, storie di decenni di dolore e di sofferenza, le voglio porre davanti all’immagine del Crocifisso, il Cristo nero di Bojayá:
O Cristo nero di Bojayá,
che ci ricordi la tua passione e morte;
insieme con le tue braccia e i tuoi piedi
ti hanno strappato i tuoi figli
che cercarono rifugio in te.
O Cristo nero di Bojayá,
che ci guardi con tenerezza
e con volto sereno;
palpita anche il tuo cuore
per accoglierci nel tuo amore.
O Cristo nero di Bojayá,
fa’ che ci impegniamo
a restaurare il tuo corpo. Che siamo
tuoi piedi per andare incontro
al fratello bisognoso;
tue braccia per abbracciare
chi ha perso la propria dignità;
tue mani per benedire e consolare
chi piange nella solitudine.
Fa’ che siamo testimoni
del tuo amore e della tua infinita misericordia.
Amen.
[Dopo la preghiera:]
Abbiamo pregato Gesù, il Cristo, il Cristo mutilato. Prima di darvi la benedizione vi invito a pregare nostra Madre, che ha avuto il cuore trafitto dal dolore: “Ave, o Maria…”
[Benedizione]
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