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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI CHIERICI REGOLARI POVERI DELLA MADRE DI DIO DELLE SCUOLE PIE (SCOLOPI)

Sala del Concistoro
Venerdì, 10 novembre 2017

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Buongiorno, e grazie, Padre Generale, per le Sue parole.

Avrete immaginato che, dopo aver ricevuto da me questo documento [Messaggio in occasione dell’Anno Giubilare Calasanziano, 27 novembre 2016], non avrei fatto un discorso. Così ho chiesto al Padre in che lingua potevo parlare, se in spagnolo o in italiano, e lui mi ha detto: “Quasi tutti capiscono lo spagnolo”.

Grazie per essere venuti così, grazie per aver portato la famiglia... — le Montales, che stavano dietro al Collegio El Salvador, le conosco bene —; la famiglia. Questo è bello, una congregazione religiosa ha una famiglia che la circonda, gente che lavora, laici, tutti... La famiglia è un segno di fecondità e di umanità. Grazie per essere venuti così.

Tre cose, tre parole ho scritto nel messaggio e ora le riprendo per commentarle e salutarvi. Educare, annunciare e trasformare.

Mi soffermo sulla prima: educare. Educare in questo momento è una cosa molto seria. È una grande sfida perché il patto educativo in generale si è rotto. Il patto educativo — io sono molto influenzato dalla mia patria, ma vedo che dappertutto succede più o meno lo stesso — il patto tra scuola, famiglia e giovani si è rotto. Allora bisogna ricostruire questo patto educativo, come si può ricostruire, ma è fondamentale. Ed educare ricostruendo il patto educativo, il che coinvolge necessariamente la famiglia; oggi nell’educazione la famiglia, comunque essa sia, non può essere assente. È vero che ci sono famiglie distrutte, ma nei ragazzi si possono ricomporre molte cose. Bisogna allora cercare di riabilitare il patto educativo, e contribuire al riconoscimento degli insegnanti, che danno la vita e che in molti paesi sono quelli peggio pagati. Ci sono insegnanti che devono fare il doppio turno per poter avere uno stipendio dignitoso. Quegli insegnanti, quando arrivano a casa, come fanno a trovare il tempo per preparare le lezioni, per pensare... Il dialogo tra la famiglia e i docenti, tra la famiglia, la scuola e i ragazzi, questo triplice dialogo. E poi, che il ragazzo sia attivo nell’educazione. Dunque, tutto questo per ricostruire il patto educativo. E questa è una missione molto seria che dovete avere: ricostruirlo.

Secondo: un’educazione completa. Uscire dall’eredità che ci ha lasciato l’Illuminismo, ossia che educare significa riempire la testa di concetti, non è così?, e quanto più si sa qui [indica la testa], migliore è l’educazione. Educare è far maturare la persona mediante i tre linguaggi: il linguaggio delle idee, il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Ci deve essere armonia tra loro, ossia, i nostri studenti devono sentire quello che pensano e fare quello che pensano e sentono. L’armonia della persona, educare la persona. Credo che se non educhiamo così, è inutile. Alcuni pedagogisti lo esprimono in altri termini, ma è la stessa cosa: educare nei contenuti, nelle abitudini e nei valori, è lo stesso, è la stessa educazione. E io aggiungerei — il che è fondamentale oggi — che la gioventù va educata in movimento: la gioventù statica, oggi, non esiste, e se non la mettiamo in movimento noi, la metteranno in movimento mille cose, soprattutto i sistemi digitali, che rischiano, in questa “velocità liquida e gassosa” della nostra civiltà — ed è il terzo punto che voglio toccare — di togliere le radici ai ragazzi.

I ragazzi oggi crescono senza radici; non hanno radici perché non hanno tempo di mettere radici; o meglio, le hanno ma non le fanno proprie, perché non hanno tempo di farle proprie, non le lasciano crescere, non le lasciano consolidare, perché vivono continuamente in questa “liquidità” di cultura, non è così? Occorre rafforzare le radici. Giovani senza radici è ciò che vediamo ora. E allora che facciamo? Innesti di radici. Io vedo sempre che è molto importate, e mi torna spesso in mente, e soprattutto in modo ispirato — lo dico con semplicità — mentre prego, la parola del profeta Gioele quando dice: “I vecchi sogneranno e i giovani profetizzeranno”. Oggi i giovani hanno bisogno di parlare con gli anziani, è l’unico modo che hanno per ritrovare le proprie radici. Parlare con i genitori sì, è fondamentale, ma soprattutto oggi è necessario che incontrino gli anziani, perché i genitori sono già parte di questa società liquida; che incontrino gli anziani! Per favore, cercate di promuovere il dialogo tra nonni e nipoti. Non dite: “No, ma i ragazzi...”. No. Esperienze ne ho fatte tante e me lo hanno detto anche altri: mettete i giovani in movimento. Dite loro: “Che ne dite? Andiamo a suonare la chitarra in quella casa di riposo?”. Dicono “sì”, “no”… e ci vanno, e poi non vogliono più andar via, perché succede che gli anziani dicono: “La conosci questa canzone?”, e cominciano a parlare e i ragazzi restano incantati, e gli anziani iniziano a risvegliarsi e si rendono conto che possono ancora sognare. Per favore, vi affido questa missione: cercate di promuovere — finché c’è tempo, prima che se ne vadano — il dialogo tra i giovani e gli anziani. Cercate le mille maniere, i mille modi per farlo... ma sempre in movimento, perché i giovani statici non funzionano. Questo è un altro criterio di cui occorre tener conto nell’educazione e in tutto: i giovani statici stanno nelle enciclopedie; nella realtà, se volete che i giovani ricevano qualcosa di vostro, dovete tenerli in movimento.

Bene. Se si educa così, allora si può annunciare e trasformare, ma mi limito all’educare, con le cose che vi ho detto. Per questo sono rimasto seduto, perché non ho letto un discorso, volevo essere più spontaneo.

Grazie, e ora vi invito a recitare un’Ave Maria alla Vergine; e anche a chiedere la protezione di San Faustino. Mi è piaciuto il modo in cui gli ha chiesto il miracolo il padre del bambino appena nato, quello cileno: “Fai qualcosa, Pelatino!”.



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