VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL IV INCONTRO MONDIALE DEI GIOVANI
PROMOSSO DALLA FONDAZIONE “SCHOLAS OCCURRENTES” E DA WORLD ORT
[Città del Messico, 28-31 ottobre 2019]
Cari giovani di Scholas Occurrentes riuniti da tante nazioni del mondo, celebro con voi il finale di questo incontro. Desidero restare lì, desidero trattenermi lì, nel finale.
Che ne sarebbe di questo incontro se non ci fosse un finale? Forse non sarebbe un incontro. E che cosa ne sarebbe di questa vita se non avesse anch’essa il suo finale?
So che qualcuno dirà: «Padre, non diventi funebre». Ma pensiamoci bene. So da fonte certa che avete mantenuto accesa, durante tutta l’esperienza, la domanda sulla morte. Lì avete giocato, pensato e creato a partire dalle vostre differenze.
Ebbene, me ne compiaccio e vi ringrazio per questo. Perché, sapete una cosa? La domanda sulla morte è la domanda sulla vita, e mantenere aperta la domanda sulla morte, forse, è la responsabilità umana più grande per mantenere aperta la domanda sulla vita.
Così, come le parole nascono dal silenzio e lì finiscono, permettendoci di ascoltare i loro significati, lo stesso succede con la vita. Forse suona un po’ paradossale, ma... è la morte a permettere alla vita di restare viva!
È la fine che fa sì che si scriva un racconto, che si dipinga un quadro, che due corpi si abbraccino. Ma attenzione, la fine non sta solo nel finale. Forse dobbiamo prestare attenzione a ogni piccola fine della vita quotidiana. Non solo al finale del racconto, che non sappiamo mai quando terminerà, ma anche al finale di ogni parola, al finale di ogni silenzio, di ogni pagina che si sta scrivendo. Soltanto una vita consapevole di questo istante finisce, riesce a far sì che questo istante sia eterno.
D’altra parte la morte ci ricorda l’impossibilità di essere, comprendere e includere tutto. È uno schiaffo alla nostra illusione di onnipotenza. Ci insegna nella vita a relazionarci con il mistero. La fiducia di saltare nel vuoto e renderci conto che non cadiamo, che non sprofondiamo; che da sempre e per sempre c’è qualcuno lì che ci sostiene. Prima e dopo la fine.
È il “non sapere” di questa domanda il luogo della fragilità che ci apre all’ascolto e all’incontro con l’altro; è questo sorgere della commozione che ci invita a creare, e del senso che ci riunisce per celebrarlo.
In definitiva, attorno alla domanda sulla morte si sono formate da sempre — nel corso del tempo e ovunque sulla terra — le diverse comunità, popoli e culture. I diversi racconti che lottano in tanti angoli per restare vivi, e altri, che ancora non sono nati. Perciò oggi, forse più che mai, dobbiamo affrontare questa domanda.
Il mondo è già configurato, dove tutto è complicato non c’è spazio per la domanda aperta. Non è vero? È vero ma non è vero. Questo è il nostro mondo. Si è configurato e non c’è posto per la domanda aperta. In un mondo che rende culto all’autonomia, all’autosufficienza e all’autorealizzazione sembra che non ci sia posto per il resto. Il mondo dei progetti e dell’accelerazione infinita, della “rapidizzazione”, non consente interruzioni, e perciò la cultura mondana che rende schiavi cerca di anestetizzarci per farci dimenticare ciò che significa fermarci alla fine.
Ma la dimenticanza della morte è anche il suo inizio e inoltre una cultura che dimentica la morte inizia a morire dentro. Chi dimentica la morte ha già iniziato a morire.
Per questo vi ringrazio tanto! Perché avete avuto il coraggio di aprire questa domanda e sperimentare con il corpo le tre morti che svuotandoci riempiono la vita: la morte di ogni istante, la morte dell’ego e la morte di un mondo che cede il passo a un altro nuovo.
Ricordatevi, se la morte non ha l’ultima parola, è perché in vita abbiamo imparato a morire per altro.
Desidero infine ringraziare in modo particolare Ort Mundial e ognuna delle persone e delle istituzioni che hanno reso possibile questa attività nella quale appare tangibile la cultura dell’incontro.
E chiedo per favore a ognuno di voi, a ognuno a suo modo, a ognuno in base alle proprie convinzioni, di non dimenticarsi di pregare per me. Grazie.
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