PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Quando si anestetizza la coscienza
Giovedì, 28 settembre 2017
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.223, 29/09/2017)
Di fronte ai «rimorsi della coscienza», c’è chi prova a rimuoverli, a nasconderli, addirittura ad «anestetizzarli» coprendoli con altre colpe. Ma per «guarire» dalle «piaghe del cuore e dell’anima» occorre «tirare fuori la verità» e avere «la saggezza di accusare se stessi». Lo ha spiegato Papa Francesco che, nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta il 28 settembre, ha preso lo spunto dall’esperienza negativa di Erode Antipa per suggerire a ogni cristiano il corretto rapporto con la sua coscienza.
Come si legge nel vangelo di Luca (9, 7-9), il tetrarca Erode sentiva parlare delle cose che Gesù faceva, ma «non sapeva cosa pensare». Era confuso, perché alcuni dicevano che Gesù fosse Elia o un altro profeta risorto, altri ancora pensavano a Giovanni Battista. E lui «cercava di vederlo». Ma, ha spiegato il Pontefice, quella di Erode «non era una semplice curiosità». Il suo problema «era qualcosa che sentiva dentro: un rimorso nell’anima, un rimorso nel cuore». Lo si intuisce chiaramente quando dice: «No, Giovanni non c’è perché l’ho fatto decapitare io». Tira cioè subito fuori un «crimine che aveva fatto». Erode si «portava» dentro quella colpa e «cercava di vedere Gesù per tranquillizzarsi, aveva quel rimorso dentro».
Significativo è il modo in cui il tetrarca «risolve il problema». Lo ha evidenziato il Papa: Erode «voleva vedere dei miracoli», ma Gesù non fece «il circo» davanti a lui che, quindi, invece di dire «ma lasciamolo andare...» e salvarlo, «lo consegnò a Pilato». Allora i due «divennero amici» e «Gesù ha pagato». Cosa ha fatto in definitiva Erode? Ha coperto «un crimine con un altro», «il rimorso della coscienza con un altro crimine».
Del resto anche suo padre, Erode il Grande, «aveva fatto lo stesso» ha ricordato il Papa. Quando da lui — che «aveva un potere grande» ma aveva commesso «tanti atti criminali» — giunsero i magi a dirgli: «È nato il Re dei giudei», Erode si sconvolse: «aveva paura che gli togliessero il regno». Perciò chiese loro di riferirgli quanto avrebbero visto, e perciò, non avendo avuto notizie dai magi che invece non tornarono da lui, uccise i bambini.
Perché, si è chiesto il Pontefice, Erode «ha ucciso i bambini»? La risposta, che scava nella psiche e nel cuore del re della Giudea, si ritrova in un antico autore cristiano, «e la Chiesa canta questo il 28 dicembre: “Tu uccidi i bambini nella carne. Tu uccidi il timore nel cuore”». Il sovrano, ha quindi spiegato Francesco, «uccide per timore; per coprire un crimine con un altro». Padre e figlio, quindi, andavano avanti «coprendo dei crimini», coprendo «il rimorso della coscienza».
Proprio questo aspetto è stato approfondito dal Pontefice, il quale ha analizzato cosa sia davvero «il rimorso della coscienza». Questo infatti, ha detto, non è «un semplice ricordare qualcosa», ma «è una piaga! Una piaga che a noi quando nella vita abbiamo fatto dei mali, fa male». Ma questa piaga è «nascosta, non si vede; neppure io la vedo, perché mi abituo a portarla e poi si anestetizza». È dentro di noi e quando «fa male, sentiamo il rimorso». In quel momento, ha chiarito Francesco, «non solo sono conscio di avere fatto del male, ma lo sento: lo sento nel cuore, lo sento nel corpo, nell’anima, lo sento nella vita». Ed è proprio quello il momento in cui si ha la «tentazione di coprire» il dolore «per non sentirlo più».
Qualcuno, ha aggiunto il Papa, potrebbe chiedere se il sentire questo dolore sia una «cosa cattiva». E, in realtà non lo è: «No, magari tutti sentiamo dove è la piaga!», ha risposto. E ha ricordato, a tale proposito, la storia del re Davide che «aveva fatto due grandi crimini. Un peccato di adulterio grosso e poi, per coprirlo, ha fatto un assassinio». Davide, ha spiegato il Pontefice, non sentiva nulla, «era tranquillo». Ma giacché «Dio gli voleva bene, inviò il profeta Natan a muovere il suo cuore». Fu allora che Davide si chiese: «Ma chi ha fatto questo?». Alla risposta del profeta «Tu», egli «se ne accorse e sentì il rimorso della coscienza». Perciò, ha concluso il Papa, «è una grazia sentire che la coscienza ci accusa, ci dice qualcosa».
Proseguendo nel ragionamento, ci si potrebbe chiedere: «Come posso guarire quando sento la piaga?». Ma, Francesco ha avvisato: bisogna prima domandarsi: «Come posso guarirmi quando non la sento?». Infatti, ha sottolineato, «nessuno di noi è un santo... tutti abbiamo fatto delle cose. E se non sento nulla, segnale rosso». Occorre quindi comprendere come fare affinché la piaga «venga fuori», e «per non nasconderla di più».
La tentazione di rimuovere la piaga è sempre dietro l’angolo: «Alcuni cercano di dimenticarla e non avere questo rimorso e pensano agli altri: “Ma quella povera gente, come soffre quella gente nella guerra, quei dittatori che ammazzano la gente...”». Si pensa, cioè ai peccati degli altri per non riconoscere i propri.
Ecco allora il suggerimento del Pontefice: «Noi dobbiamo — permettetemi la parola — “battezzare” la piaga, cioè darle un nome». E come si fa a farla emergere? «Prima di tutto prega: “Signore, abbi pietà di me che sono peccatore”. Il Signore ascolta la tua preghiera». Il secondo passo è: «esamina la tua vita». Può però accadere che anche facendo questo non si capisca «da dove viene quel dolore», di cosa sia «sintomo», e allora: «Chiedi aiuto a qualcuno che ti aiuti» a fare uscire la piaga «e poi a darle un nome». Ma attenzione, ha raccomandato il Papa, ci vuole «concretezza». Riconoscere: «Io ho questo rimorso di coscienza perché ho fatto questo». Questa è «la vera umiltà davanti a Dio e Dio si commuove davanti alla concretezza».
E a tale riguardo, Francesco ha confidato che gli «piacciono le confessioni dei bambini, perché i bambini non dicono: “Eh, ho mancato di rispetto... “. I bambini dicono: “Ho fatto questo, questo, questo”. E anche quando dicono alcune parole un po’...: “Ho detto questo”, loro dicono tutto! Sono concreti». Allo stesso modo tutti dovrebbero avere «la concretezza di dire, dire a noi stessi, a me stesso: “Ho fatto questo Signore”. E viene fuori la verità. E così si guarisce».
In sintesi, ha concluso il Pontefice, occorre «imparare la scienza, la saggezza di accusare se stesso». L’itinerario interiore è chiaro: «Io accuso me stesso, sento il dolore della piaga, faccio di tutto per sapere da dove viene questo sintomo e poi accuso me stesso». Perciò non si deve «avere paura dei rimorsi della coscienza», anzi, essi «sono un sintomo di salvezza». Bisogna, al contrario, «avere paura di coprirli, di truccarli, di dissimularli, di nasconderli». Fondamentale è «essere chiari» con se stessi. E allora «il Signore ci guarisce».
L’invito del Papa è stato quindi quello di chiedere al Signore la grazia «di avere quel coraggio di accusare noi stessi» e di «dire la verità sulla nostra vita»; dirlo a se stessi «e poi dirlo al Signore perché perdoni». Con «concretezza». È come, ha concluso, «quando un chirurgo ti porta nella sala per farti un intervento chirurgico»: non è che anestetizza e poi non fa nulla, il medico «ti apre, cerca e quando trova il concreto lo toglie». Lo stesso accade con se stessi: bisogna essere concreti, «così si toglie la piaga, si guarisce la piaga e il rimorso della coscienza viene guarito e se ne va».
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