PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Miserando atque eligendo
Giovedì, 21 settembre 2017
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.217, 22/09/2017)
Miserando atque eligendo. C’è l’essenza e la radice della missione di Jorge Mario Bergoglio nella meditazione proposta nel giorno della festa di san Matteo, giovedì 21 settembre, durante la messa celebrata a Santa Marta. Il motto che il Papa ha scelto per sé proprio per rilanciare l’atteggiamento di Gesù verso il pubblicano è tratto dall’homilia 21 di san Beda il venerabile, proposta nell’Ufficio delle letture per la festa liturgica dell’evangelista.
E le modalità concrete, passo per passo, della conversione di Matteo — così come è stata fissata nel capolavoro del Caravaggio esposto nella chiesa romana di San Luigi dei francesi — sono state ripercorse, attualizzandole, dal Pontefice nella sua omelia. «Questo passo preso dal Vangelo di Matteo — ha subito fatto presente il Papa, riferendosi al brano suggerito dalla liturgia (9, 9-13) — racconta la conversione di Matteo: come il Signore lo chiamò, lo scelse per seguirlo». E «possiamo vederlo in tre passi: l’incontro, la festa e lo scandalo».
«L’incontro», anzitutto: «Gesù veniva da guarire un paralitico e mentre andava via — forse per uscire, erano alla porta questi che facevano pagare le imposte — trovò quest’uomo chiamato Matteo». E il Vangelo dice, appunto, che Gesù «vide un uomo chiamato Matteo — e dove era quell’uomo? — seduto al banco delle imposte». In fin dei conti Matteo «era uno di quelli che facevano pagare le imposte al popolo di Israele, per darle ai romani: un traditore della patria». Tanto che questi uomini, ha aggiunto il Papa, «erano disprezzati».
Ecco che Matteo, ha proseguito Francesco, «si sente guardato da Gesù» che, «dice il Vangelo, gli disse: “seguimi”. Ed egli si alzò e lo seguì». Ma «cosa è successo?» è la domanda suggerita da Francesco, prendendo spunto da questo incontro. Cosa ha convinto Matteo a seguire il Signore? «Quella è la forza dello sguardo di Gesù» — ha spiegato il Pontefice — che «sicuramente lo ha guardato con tanto amore, con tanta misericordia: quello sguardo di Gesù misericordioso» per dire: «Seguimi, vieni». E Matteo, da parte sua, aveva «uno sguardo sfiduciato, guardando di lato, con un occhio Dio e con l’altro il denaro, aggrappato ai soldi come lo dipinse il Caravaggio: proprio così, aggrappato e guardando di lato e anche con uno sguardo scontroso, burbero».
Invece lo sguardo di Gesù, è «amorevole, misericordioso». Di fronte a questo sguardo ecco che «la resistenza di quell’uomo che voleva i soldi — era tanto schiavo dei soldi — cade». Il Vangelo ci dice, infatti, che Matteo «si alzò e lo seguì».
Nella prospettiva di questa «lotta fra la misericordia e il peccato», ha affermato il Pontefice, è importante chiedersi: «Come è entrato l’amore di Gesù nel cuore di quell’uomo? Qual è stata la porta per poter entrare?». Il fatto, ha spiegato Francesco, è che «quell’uomo sapeva di essere peccatore: sapeva di non essere ben voluto da nessuno, anche disprezzato». Proprio «quella coscienza di peccatore aprì la porta alla misericordia di Gesù: lasciò tutto e se ne andò». Ecco «l’incontro fra il peccatore e Gesù: tutti i peccatori che trovarono Gesù hanno avuto il coraggio di seguirlo, ma se non si sentivano peccatori non potevano seguirlo». Per questa ragione, ha detto il Papa, «la prima condizione per essere salvato è sentirsi in pericolo; la prima condizione per essere guarito è sentirsi ammalato». Dunque, ha proseguito, «sentirsi peccatore è la prima condizione per ricevere questo sguardo di misericordia». Di più, ha aggiunto Francesco, «pensiamo allo sguardo di Gesù: tanto bello, tanto buono, tanto misericordioso, e anche noi quando preghiamo sentiamo questo sguardo su di noi: è lo sguardo dell’amore, lo sguardo della misericordia, lo sguardo che ci salva» e ci suggerisce di «non aver paura».
Matteo, ha affermato il Papa, «si sentì tanto felice e sicuramente, anche se non è nel testo, ha invitato Gesù a pranzo a casa sua, come ha fatto anche Zaccheo». È il momento della «festa», appunto. «Hanno fatto festa» ha affermato il Pontefice, evidenziando che «dopo quell’incontro viene la festa con tutti quelli dello stesso sindacato: erano tutti uguali. E lui ha chiamato gli amici che erano tutti così: peccatori, pubblicani e sicuramente domandavano al Signore cose e il Signore rispondeva mentre sedeva a tavola nella casa». Dunque «erano a tavola, mangiavano insieme con i peccatori: lo stesso è successo nel pranzo che aveva fatto Zaccheo per festeggiare la conversione, l’incontro con il Signore». E «questo ci fa pensare a quello che Gesù dice nel capitolo 15 di Luca: ci sarà più festa nel cielo per un peccatore che si converte che per cento giusti che rimangono giusti». Questa è, appunto, «la festa dell’incontro del Padre, la festa della misericordia; e Gesù spreca misericordia, per tutti».
Però mentre il Signore «sedeva a tavola» — è il terzo momento dopo l’incontro e la festa — ecco che arriva «lo scandalo». Il Vangelo, ha spiegato Francesco, racconta che «sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con Gesù e i suoi discepoli». E «vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: “come mai questo?”». Perché, ha spiegato il Papa, «uno scandalo incomincia sempre con questa frase: “Ma come mai?”». Perciò, ha aggiunto, «quando voi sentite questa frase, puzza: dietro viene lo scandalo, si strappano le vesti».
Ecco infatti che i farisei chiedono ai discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Il vostro maestro è un impuro, perché salutare questa gente ti contagia». Per loro «è la malattia, l’impurezza di non seguire la legge, e la legge dice che non si può andare da loro». Anzi, sono persone che ripetono che «la legge dice, la dottrina dice...: questi sapevano bene la dottrina, la sapevano benissimo, sapevano come si doveva andare sulla strada del regno di Dio, conoscevano meglio di tutti come si doveva fare». Ma, ha fatto notare il Papa, «avevano dimenticato il primo comandamento dell’amore e sono stati chiusi in questa gabbia dei sacrifici: “Facciamo un sacrificio a Dio, facciamo il sabato, tutto quello che si deve fare e così ci salviamo”». Invece no, ha rilanciato Francesco, perché «ci salva Dio, ci salva Gesù Cristo e questi non avevano capito, si sentivano sicuri, credevano che la salvezza veniva da loro».
Per questa ragione domandano ai discepoli: «Come mai?»: proprio quel «“come mai?” che tante volte abbiamo sentito fra i fedeli cattolici quando vedevano opere di misericordia: come mai?». Da parta sua, invece, «Gesù è chiaro, è molto chiaro: “Andate a imparare”». Perciò «li ha mandati a imparare: “Andate a imparare che cosa vuol dire misericordia, quello che io voglio, e non sacrifici, perché io non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti ma i peccatori». Dunque, ha affermato il Pontefice, «se tu vuoi essere chiamato da Gesù, riconosciti peccatore».
Certo, «uno può dire: “Padre, ma è una grazia sentirsi peccatore, davvero?». Sì, perché vuol dire «sentire la verità». Ma «non peccatore in astratto: peccatore per questo, per questo, per questo, per questo. Peccato concreto, peccati concreti! E tutti noi ne abbiamo tanti!». Allora «andiamo lì e lasciamoci guardare da Gesù con quello sguardo misericordioso pieno di amore».
Ecco allora, ha detto Francesco ripercorrendo i punti essenziali della sua meditazione, «l’incontro fra la misericordia e il peccato; la festa, perché Gesù ci ha detto che c’è festa quando un peccatore si converte; e sempre lo scandalo: ce ne sono tanti, tanti, sempre, anche nella Chiesa oggi». Magari «dicono: no, non si può, è tutto chiaro, è tutto, no, no, sono peccatori quelli, dobbiamo allontanarli». E «anche tanti santi sono stati perseguitati o sospettati: pensiamo a santa Giovanna d’Arco, mandata al rogo perché pensavano fosse una strega e condannata: una santa! Pensate a santa Teresa, sospettata di eresia, pensate al beato Rosmini».
In conclusione il Papa ha rilanciato l’espressione evangelica: «Misericordia io voglio e non sacrifici», ricordando che «la porta per incontrare Gesù è riconoscersi come siamo, la verità: peccatori. E lui viene e ci incontriamo: è tanto bello incontrare Gesù!».
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