PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Noi siamo servi
Venerdì, 2 giugno 2017
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.127, 03/06/2017)
«A testa in giù», proprio come Pietro ha chiesto di essere crocifisso, consapevole di essere «il più peccatore degli apostoli» — tanto da aver «rinnegato il Signore» — ma di essere stato scelto «per pascere con amore il popolo». È questa una delle icone che Papa Francesco ha delineato venerdì mattina, 2 giugno, durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta, prendendo spunto dal dialogo tra Gesù e Pietro così com’è raccontato da Giovanni nel brano evangelico (21, 15-19) proposto dalla liturgia del giorno.
«Questo dialogo fra il Signore e Pietro — ha fatto notare Francesco — è un dialogo tranquillo, fra amici, un dialogo sereno, pudico, sulla riva del lago dove Pietro era stato chiamato all’inizio». Ad animarlo, ha spiegato il Papa, sono «parole» come «amore, pascere, le mie pecore, seguimi: parole serene, parole di quell’atmosfera della risurrezione» che «il Signore porta avanti». Siamo così dinanzi a «un dialogo di amici e servizio, perché si fa dopo la colazione che lo stesso Gesù aveva preparato». Ed è un dialogo, ha insistito il Pontefice, «nel quale Gesù, che è il grande pastore, affida le sue pecore a Pietro».
«Un dialogo da amici», dunque. E infatti Gesù dice a Pietro: «Mi ami? Ama. Anche tu vuoi essere mio amico? Tu sei mio amico?». Proprio «questa — ha proseguito il Papa — è l’atmosfera di questo dialogo, di questa pagina del Vangelo così serena, così pudica».
Francesco ha scelto di «segnalare tre cose» proprio riguardo «questo dialogo». E «la prima» è proprio «quel “seguimi”». Gesù, ha spiegato, «sceglie il più peccatore degli apostoli: gli altri sono scappati, questo lo ha rinnegato» dicendo: «Non lo conosco». Ma ecco che «Gesù gli domanda: “Ma tu mi ami più di costoro?”». Dunque, ha affermato il Pontefice, «Gesù sceglie il più peccatore». A questo proposito, ha confidato, «mi viene in mente un dialogo di un santo del XVII secolo con Gesù, un santo al quale Gesù aveva fatto tanti, tanti favori. Era una donna, una santa: “Ma, Signore, a me che sono tanto piccola, tanto peccatrice”. E le dice il Signore: “Se io avessi trovato uno più peccatore di te, a lui avrei dato questo”». Perciò, ha proseguito Francesco, «il più peccatore è stato scelto per pascolare il popolo di Dio, per “pascere” il popolo di Dio: questo ci fa pensare».
Il secondo punto suggerito dal Papa è «la parola “amore”» che «gira in questo dialogo: “pasci, perché mi ami “pasci”, perché sei mio amico, “pasci”». Dunque, «pascere con amore». E «Pietro riprende questo nella sua prima lettera: ha imparato». Non bisogna «pascere con la testa in su, come il grande dominatore, no: pascere con umiltà, con amore, come ha fatto Gesù». E «questa è la missione che dà Gesù a Pietro: sì, con i peccati, con gli sbagli». Tanto che «proprio dopo questo dialogo, Pietro fa una scivolata, uno sbaglio: viene tentato dalla curiosità e dice al Signore: “Ma quest’altro discepolo dove andrà, cosa farà?”». Ma «con amore, in mezzo ai suoi sbagli, ai suoi peccati, ma con amore». Perché «“queste pecorelle non sono le tue pecorelle, sono le mie pecorelle”, dice il Signore». Dunque «ama, se tu sei amico mio, devi essere amico di questi».
La terza cosa che scaturisce dal dialogo tra Gesù e Pietro è racchiusa in «due icone». C’è quella «del Giovedì santo — ha spiegato — quando Pietro sicuro di se stesso, con la stessa sicurezza con cui aveva detto “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, dice alla serva del sommo sacerdote: “Io non conosco quell’uomo, io non sono del gruppo di questo”». Insomma, ha affermato il Pontefice, «Pietro che rinnega Gesù e poi si incrociano gli sguardi: quando Gesù esce, lo guarda, e Pietro coraggioso, anche coraggioso nel rinnegare, è capace di piangere amaramente». E «poi dopo tutta la vita al servizio del Signore — ha aggiunto Francesco — finì come il Signore: in croce. Ma non si vanta» dicendo «“Finisco come il mio Signore!”. No, chiede: “Per favore, mettimi in croce con la testa in giù, perché almeno si veda che non sono il Signore, sono il servo”».
«Questo è quello che noi possiamo prendere di questo dialogo tanto bello, tanto sereno, tanto amichevole, tanto pudico» ha concluso il Pontefice. Auspicando «che il Signore ci dia sempre la grazia di andare nella vita con la testa in giù: la testa in alto per la dignità che Dio ci dà, ma la testa in giù, sapendo che siamo peccatori e che l’unico Signore è Gesù: noi siamo servi».
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