PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Come si fa la pace
Giovedì, 10 settembre 2015
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.206, 11/09/2015)
«Parole parole parole» cantava Mina in un famoso brano. E anche il Papa ha ripetuto quel ritornello proprio per richiamare l’essenzialità dello «stile cristiano». Che, senza tante chiacchiere e belle parole appunto, deve ruotare intorno al binomio «pace e misericordia», e perciò al perdono e alla capacità di sopportarsi a vicenda. Nella messa celebrata a Santa Marta giovedì mattina, 10 settembre, Francesco ha ricordato anche le grandi guerre che si combattono, con la vergogna del commercio delle armi, e i piccoli conflitti che dilaniano famiglie, posti di lavoro e persino le comunità cristiane.
«Alcuni giorni fa — ha ricordato anzitutto il Papa — la liturgia ci parlava del lavoro che ha fatto Gesù Cristo, il Signore: lavoro di pacificare e di riconciliare». E, ha aggiunto, «l’altro ieri, nella commemorazione liturgica della nascita della Madonna, abbiamo chiesto questa grazia della pace e della riconciliazione».
«Pace e riconciliazione», dunque, è ciò che «ha fatto Gesù: lui ha fatto la pace». Proprio «per questo lo si chiama il principe della pace». Il profeta Michea dice in proposito: «E lui sarà la pace», colui «che porta la pace, che fa la pace». Anche «nei nostri cuori, nelle nostre anime», ha precisato Francesco. «E come ha fatto la pace? Dando la sua vita come un’offerta, una preghiera per il perdono di tutti».
«Io mi domando — ha proseguito il Papa — se noi ringraziamo tanto per questo dono della pace che abbiamo ricevuto in Gesù». Perché «la pace è stata fatta, ma non è stata accettata». E così, ha fatto notare, «ancora, tutti i giorni, sui telegiornali, sui giornali, vediamo che ci sono le guerre, le distruzioni, l’odio, l’inimicizia, E quell’inimicizia che il Signore ha detto al serpente dopo il peccato, c’è!».
Del resto, ha ricordato, «ci sono anche uomini e donne che lavorano tanto — ma lavorano tanto! — per fabbricare armi per uccidere, armi che alla fine divengono bagnate nel sangue di tanti innocenti, di tanta gente». Ci sono «le guerre e c’è quella cattiveria di preparare la guerra, di fare le armi contro l’altro, per uccidere».
I termini della questione sono chiari: «La pace salva, la pace ti fa vivere, ti fa crescere; la guerra ti annienta, ti porta giù». È facile sentire la gente che dice: «Padre, è brutto questo che è successo là!». Ma certe situazioni, ha ricordato Francesco, non avvengono solo lontano da noi: «La guerra è anche nelle nostre comunità cristiane, fra noi». E, come risposta, il Papa ha rilanciato «il consiglio che oggi ci dà la liturgia: “Fate la pace fra voi”», riferendosi al passo della lettera ai Colossesi (3, 12-17).
Dunque, ha detto, «sono due le parole chiave». La prima «è il perdono: se noi non impariamo a perdonarci, sempre saremo in guerra». Da qui l’invito di Paolo: «Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi». Ma «se tu non sai perdonare — ha aggiunto ancora Francesco — tu non sei cristiano, perché non fai quello che ha fatto il Signore». Di più: «Se tu non perdoni, tu non puoi ricevere la pace del Signore, il perdono del Signore».
Il Pontefice ha ricordato che «ogni giorno, quando preghiamo il Padre Nostro, diciamo: perdonaci, come noi perdoniamo». Ed è — ha spiegato — un “condizionale”: cerchiamo di convincere Dio di essere buono, come noi siamo buoni perdonando: al rovescio». In proposito il Papa ha commentato: «Parole, no? Come si cantava in quella bella canzone: “Parole, parole, parole”, no? Credo che la cantasse Mina... Parole!».
Questa è, insomma, la strada giusta: «Perdonatevi! Come il Signore vi ha perdonato, così fate voi! Perdonatevi gli uni agli altri! E per perdonarci un bel consiglio: sopportandovi a vicenda in famiglia, nel quartiere, nel lavoro... Sopportandoci a vicenda». Senza mettersi a sussurrare: «Questo ha fatto quello...». Bisogna «sopportare, perché anche quello sopporta me». In una parola, serve la «pazienza cristiana».
«Quante donne eroiche — ha proseguito Francesco — ci sono nel nostro popolo che sopportano per il bene della famiglia, dei figli, tante brutalità, tante ingiustizie: sopportano e vanno avanti con la famiglia». E ancora: «Quanti uomini eroici ci sono nel nostro popolo cristiano che sopportano di alzarsi presto al mattino e andare al lavoro — tante volte un lavoro ingiusto, mal pagato — per tornare in tarda serata, per mantenere la moglie e i figli». Proprio «questi sono i giusti».
Ma, ha affermato il Papa, «quanti altri ci sono che, invece di fare quello che devono, fanno lavorare la lingua e fanno la guerra». Infatti, ha rimarcato, «lo stesso danno che fa una bomba in un paesino, fa la lingua in una famiglia, in un quartiere, in un posto di lavoro». Perché «la lingua distrugge, fa la guerra». E «questo — ha precisato — non lo dico io, lo dice l’apostolo Giacomo». Dunque ecco riproposto il consiglio pratico di san Paolo: «Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi: sopportatevi a vicenda e perdonatevi gli uni agli altri».
«C’è un’altra parola — ha spiegato il Pontefice — che viene detta da Gesù nel Vangelo, perché si ripete lo stesso argomento: misericordia» Nel brano di Luca (6, 27-38) il Signore dice: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso». L’invito è a «capire gli altri, non a condannarli: il Signore, il Padre è tanto misericordioso, sempre ci perdona, sempre vuol fare la pace con noi». Ma, ha chiesto Francesco, «se tu non sei misericordioso, come potrà il Signore essere misericordioso con te, perché noi saremo giudicati con la stessa misura con la quale noi giudichiamo gli altri?».
Perciò, ha affermato, «se tu sei prete e non te la senti di essere misericordioso, di’ al tuo vescovo che ti dia un lavoro amministrativo, ma non scendere in confessionale, per favore!». Perché «un prete che non è misericordioso fa tanto male nel confessionale: bastona la gente!». Magari uno potrebbe giustificarsi dicendo «No, padre, io sono misericordioso, ma sono un po’ nervoso...». Questa la risposta del Papa: «È vero, prima di andare in confessionale va’ dal medico che ti dia una pastiglia contro i nervi! Ma sii misericordioso!».
E si deve essere «misericordiosi anche fra di noi». Invece di lamentarsi — «ma quello ha fatto questo...» — bisogna chiedersi: «Io cosa ho fatto?». Del resto, chi può dire «quello è più peccatore di me? Nessuno di noi può dire questo. Soltanto il Signore sa». Tutti noi, ha proseguito il Papa, «possiamo dire: “sono un peccatore e ho bisogno di misericordia e ho bisogno di perdono. E per questo sopporto gli altri, perdono gli altri e sono misericordioso con gli altri”». E «quando l’anima è così, lo stile cristiano è quello che Paolo insegna ai suoi: “Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità”», come si legge appunto nella lettera ai Colossesi.
Proprio questo, dunque, «è lo stile cristiano: non è la superbia, non è la condanna, non è sparlare degli altri». Lo stile cristiano è «tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità». È, in definitiva, «lo stile di Gesù, lo stile col quale Gesù ha fatto la pace e la riconciliazione, fino alla fine». Tanto che, «alla fine, negli ultimi aneliti di vita, è riuscito a sentire qualcosa che diceva quel ladrone: “Sì, sì, sì, vieni con me, caro, vieni in Paradiso”».
Francesco ha concluso la sua meditazione con una preghiera: «Che il Signore dia a tutti noi la grazia di sopportarci a vicenda, di perdonare, di essere misericordiosi, come il Signore è misericordioso con noi; e di avere questo stile cristiano di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine e di magnanimità».
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