PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Accorciamo le distanze
Venerdì, 26 giugno 2015
(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.144, 27/06/2015)
Avvicinarsi alle persone emarginate, accorciare le distanze fino a toccarle senza aver paura di sporcarsi: ecco la «vicinanza cristiana» che ci ha mostrato concretamente Gesù liberando il lebbroso dall’impurità della malattia e anche dall’esclusione sociale. A ogni cristiano, e alla Chiesa intera, il Papa ha chiesto di avere questo atteggiamento di «vicinanza» durante la messa di venerdì mattina, 26 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta. La prossima celebrazione è prevista per martedì 1° settembre.
«Quanto Gesù scese dal monte, molta folla lo seguì»: Francesco ha iniziato l’omelia ripetendo proprio le prime parole del Vangelo di Matteo (8, 1-4) proposto dalla liturgia. E tutta quella gente, ha spiegato, «aveva ascoltato le sue catechesi: erano stupiti perché parlava loro “con autorità”, non come i dottori della legge» che erano abituati a sentire. «Erano stupiti» precisa il Vangelo.
E, dunque, proprio «questa gente» si mise a seguire Gesù senza stancarsi di ascoltarlo. Tanto che, ha ricordato il Papa, quelle persone «sono rimaste tutta la giornata e, alla fine, gli apostoli» si resero conto che avevano sicuramente fame. Ma «sentire Gesù per loro era gioia». E così «quando Gesù finì di parlare, scese dal monte e la gente lo seguiva» radunandosi «intorno a lui». Questa gente, ha ricordato, «andava per le strade, per i cammini, con Gesù».
Però «c’era altra gente che non lo seguiva: lo guardava da lontano, con curiosità», chiedendosi: «Ma chi è questo?». Del resto, ha spiegato Francesco, «non avevano sentito le catechesi che stupivano tanto». E così c’era «gente che guardava dal marciapiede» e «c’era altra gente che non poteva avvicinarsi: le era vietato dalla legge, perché erano “impuri”». Proprio fra loro c’era il lebbroso di cui parla Matteo nel vangelo.
«Questo lebbroso — ha fatto notare il Papa — sentì nel suo cuore la voglia di avvicinarsi a Gesù: si fece coraggio e si avvicinò». Ma «era un emarginato», e dunque «non poteva farlo». Però «aveva fede in quell’uomo, si fece coraggioso e si avvicinò», rivolgendogli «semplicemente la sua preghiera: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”». Disse così «perché era “impuro”». Infatti «la lebbra era una condanna a vita». E «guarire un lebbroso era tanto difficile come resuscitare un morto: per questo li emarginavano, erano tutti lì, non potevano mischiarsi con la gente».
C’erano, però, ha proseguito Francesco, «anche gli auto-emarginati, i dottori della legge che guardavano sempre con quella voglia di mettere alla prova Gesù per farlo scivolare e poi condannarlo». Invece il lebbroso sapeva di essere «impuro, malato, e si avvicinò». E «Gesù, cosa ha fatto?» si è chiesto il Papa. Non è rimasto fermo, senza toccarlo, ma si è avvicinato ancora di più e gli ha teso lo mano guarendolo.
«Vicinanza», ha spiegato il Pontefice, è una «parola tanto importante: non si può fare comunità senza vicinanza; non si può fare pace senza vicinanza; non si può fare il bene senza avvicinarsi». In realtà Gesù avrebbe potuto dirgli: «Sii guarito!». Invece gli si è avvicinato e lo ha toccato. «Di più: nel momento in cui Gesù toccò l’impuro, divenne impuro». E «questo è il mistero di Gesù: prende su di sé le nostre sporcizie, le nostre cose impure».
È una realtà, ha proseguito il Papa, che san Paolo dice bene quando scrive: «Essendo uguale a Dio, non stimò un bene irrinunciabile questa divinità; annientò se stesso». E, poi, Paolo va oltre affermando che «si fece peccato»: Gesù si è fatto peccato, Gesù si è escluso, ha preso su di sé l’impurità per avvicinarsi all’uomo. Quindi «non stimò un bene irrinunciabile essere uguale a Dio», ma «si annientò, si avvicinò, si fece peccato, si fece impuro».
«Tante volte penso — ha confidato Francesco — che sia non dico impossibile, ma molto difficile fare del bene senza sporcarsi le mani». E «Gesù si sporcò» con la sua «vicinanza». Ma poi, racconta Matteo, andò anche oltre, dicendo all’uomo liberato dalla malattia: «Vai dai sacerdoti e fa’ quello che si deve fare quando un lebbroso viene guarito».
Insomma, «quello che era escluso dalla vita sociale, Gesù include: include nella Chiesa, include nella società». Gli raccomanda: «Vai, perché tutte le cose siano come devono essere». Dunque «Gesù non emargina mai alcuno, mai!». Di più, Gesù «emargina sé stesso per includere gli emarginati, per includere noi, peccatori, emarginati, con la sua vita». Ed è «bello questo», ha commentato il Pontefice.
«Quanta gente seguì Gesù in quel momento e segue Gesù nella storia perché è stupita di come parla» ha fatto notare Francesco. E «quanta gente guarda da lontano e non capisce, non le interessa; quanta gente guarda da lontano ma con cuore cattivo, per mettere Gesù alla prova, per criticarlo, per condannarlo». E, ancora, «quanta gente guarda da lontano perché non ha il coraggio che ha avuto» quel lebbroso, «ma ha tanta voglia di avvicinarsi». E «in quel caso Gesù ha teso la mano, prima; non come in questo caso, ma nel suo essere ci ha teso la mano a tutti, facendosi uno di noi, come noi: peccatore come noi ma senza peccato; ma peccatore, sporco dei nostri peccati». E «questa è la vicinanza cristiana».
«Bella parola, quella della vicinanza, per ognuno di noi» ha proseguito il Papa. Suggerendo di domandarci: «Ma io so avvicinarmi? Io ho forza, ho coraggio di toccare gli emarginati?». E «anche per la Chiesa, le parrocchie, le comunità, i consacrati, i vescovi, i preti, tutti», è bene rispondere a questa domanda: «Ho il coraggio di avvicinarmi o sempre prendo distanza? Ho il coraggio di accorciare le distanze, come ha fatto Gesù?».
E «adesso sull’altare», ha sottolineato Francesco, Gesù «si avvicinerà a noi: accorcerà le distanze». Perciò «chiediamogli questa grazia: Signore, che io non abbia paura di avvicinarmi ai bisognosi, ai bisognosi che si vedono o a quelli che hanno le piaghe nascoste». È questa, ha concluso, «la grazia di avvicinarmi».
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