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PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Meno parole, più fatti

Giovedì, 7 maggio 2015

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.103, 08/05/2015)

Per distinguere il vero amore da quello falso «da telenovela», Francesco ha suggerito «due criteri»: anzitutto «concretezza, fatti e non parole», per non vedere «un Dio lontano» come gli gnostici; e poi «comunicazione», perché chi ama non è mai isolato. Seguendo questi due criteri si arriva a vivere l’amore come gioia autentica, ha assicurato il Papa durante la messa celebrata giovedì mattina, 7 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta.

«Il Signore ci chiede di rimanere nel suo amore, cioè rimanere nell’amore che lui ha», ha affermato il Pontefice riferendosi al passo evangelico di Giovanni (15, 9-11) proposto dalla liturgia del giorno e ponendo subito la domanda centrale: «Qual è quell’amore?». È «l’amore del Padre» e Gesù stesso ci assicura: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi». È, dunque, «la pienezza dell’amore: rimanere nell’amore di Gesù».

Questa realtà del vero amore, ha spiegato il Papa, «bisogna capirla bene». Dunque, «come è l’amore di Gesù? Come so che io che sento il vero amore?». Francesco ha indicato «due criteri che ci aiuteranno a distinguere il vero dal non vero amore». Il primo criterio è che «l’amore si deve porre più nei fatti che nelle parole». E il «secondo criterio» consiste nel fatto che «è proprio dell’amore comunicare: l’amore si comunica». Solo «con questi due criteri possiamo trovare il vero amore di Gesù nei fatti, ma nei fatti concreti».

La concretezza è dunque fondamentale, ha puntualizzato il Papa: «Noi possiamo guardare una telenovela, un amore di telenovela: è una fantasia. Sì, sono storie, ma non ci coinvolgono. Ci fanno battere un po’ il cuore, ma niente di più». Da parte sua, invece, Gesù ammoniva i suoi: «Non quelli che dicono: “Signore! Signore!” entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che hanno fatto la volontà del Padre mio, che hanno osservato i miei comandamenti. Se osservate i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore».

Queste parole ci riportano alla «concretezza dell’amore di Gesù». Esso, ha affermato Francesco, «è concreto, è nei fatti, non nelle parole». E così «quando quel giovane dottore della legge è venuto da Gesù e gli ha chiesto: “Dimmi, Signore, qual è il più grande comandamento della legge?”, Gesù ha detto la legge com’era: “Amerai il tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima e il prossimo come te stesso”». A quel punto, ha proseguito il Papa, quel giovane «si è sentito un po’ imbarazzato e non sapeva come uscire da quella piccola vergogna». E «per uscire ha fatto la domanda: chi è il prossimo?». Per spiegarglielo «Gesù ha raccontato la parabola del buon samaritano». E alla fine ha proposto a quel giovane: «Va’ e fai lo stesso».

Con questa esortazione Gesù mostra che «il vero amore è concreto, è nelle opere, è un amore costante; non è un semplice entusiasmo». Ma «tante volte è anche un amore doloroso: pensiamo all’amore di Gesù portando la croce». In ogni caso, «le opere dell’amore sono quelle che Gesù ci insegna nel brano del capitolo 25 di san Matteo». Le parole sono chiare e concrete, come a dire: «chi ama fa questo». È un po’ «il protocollo del giudizio: ero affamato, mi hai dato da mangiare, eccetera...».

«Anche le beatitudini, che sono il programma pastorale di Gesù, sono concrete», ha rimarcato il Pontefice. Così, ha ribadito, «il primo criterio per rimanere nell’amore di Gesù è che questo nostro amore sia concreto, e come lui dice: osservare i comandamenti, i suoi comandamenti». A conferma dell’importanza della concretezza, Francesco ha ricordato che «una delle prime eresie nel cristianesimo è stata quella del pensiero gnostico», che vedeva un «Dio, lontano e non c’era concretezza». Non a caso «l’apostolo Giovanni la condanna bene: “Questi non credono che il Verbo si è fatto carne”». Invece con il suo amore il Padre «è stato concreto, ha inviato suo Figlio, che si è fatto carne per salvarci». Quindi, ha riepilogato il Papa, «il primo criterio è l’amore: è più nelle opere, nei fatti, che nelle parole».

Il «secondo criterio», invece, è che «l’amore si comunica, non rimane isolato: l’amore dà se stesso e riceve, si fa quella comunicazione che è tra il Padre e il Figlio, una comunicazione che la fa lo Spirito Santo». Perciò, ha riaffermato il Pontefice, «non c’è amore senza comunicare, non c’è amore isolato». Qualcuno, ha aggiunto, potrebbe obiettare che «i monaci e le monache di clausura sono isolati». Non è così, ha spiegato Francesco, perché sono persone che «comunicano, e tanto, con il Signore, e anche con quelli che vanno per trovare una parola di Dio».

«Il vero amore non può isolarsi», perché «se è isolato non è amore» e diventa piuttosto «una forma spiritualista di egoismo, un rimanere chiuso in se stesso, cercando il proprio profitto». In una parola è «egoismo». Così, ha spiegato il Pontefice, «rimanere nell’amore di Gesù significa rimanere nell’amore del Padre che ci ha inviato Gesù; rimanere nell’amore di Gesù significa fare, non solo dire; rimanere nell’amore di Gesù significa capacità di comunicare, di dialogo, sia con il Signore sia con i nostri fratelli».

In fondo, ha fatto notare Francesco, «è così semplice; ma non è facile, perché l’egoismo, il proprio interesse attira», spingendoci a non «fare gesti concreti: ci attira per non comunicare». Di più: cosa dice il Signore di quelli che rimarranno nel suo amore? «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». Dunque, ha detto il Papa, «il Signore che rimane nell’amore del Padre è gioioso»; e aggiunge: «se voi rimarrete nel mio amore, la vostra gioia sarà piena». Si tratta, in verità, di «una gioia che tante volte viene insieme alla croce». Ma è anche una «gioia; Gesù stesso ce lo ha detto: nessuno ve la potrà togliere».

Nel proseguire la celebrazione eucaristica, «con il Signore che verrà da noi sull’altare», il Papa ha chiesto la grazia «di rimanere nel suo amore: con i nostri fatti e con le nostre comunicazioni». Il Signore, ha concluso, ci dia anche «la grazia della gioia, quella gioia che il mondo non può dare».

 



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