Index   Back Top Print

[ IT ]

PAPA FRANCESCO

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Emarginati dunque salvi

Lunedì, 24 marzo 2014

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.068, Mart. 25/03/2014)

 

È sulla strada dell’emarginazione che Dio ci trova e ci salva. Lo ha ricordato Papa Francesco nella messa celebrata lunedì mattina, 24 marzo, nella cappella della Casa Santa Marta, incentrando la sua omelia su un forte richiamo all’umiltà.

Per spiegare cosa significa stare “ai margini” per essere salvati, il Pontefice si è riferito alla liturgia del giorno, che presenta due brani particolarmente eloquenti, tratti dal secondo Libro dei Re (5, 1-15a) e dal Vangelo di Luca (4, 24-30). Nel passo evangelico, ha notato il Santo Padre, Gesù afferma di non poter fare miracoli nella sua Nazareth «per mancanza di fede»: proprio lì, dove era cresciuto, «non avevano fede». Precisamente, ha aggiunto, Gesù dice: «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria». E ricorda poi la storia di Naamàn il siro con il profeta Eliseo, narrata nella prima lettura, e quella della vedova di Sidone con il profeta Elia.

«I lebbrosi e le vedove in quel tempo erano emarginati» ha sottolineato il Papa. In particolare «le vedove vivevano della carità pubblica, non entravano nella normalità della società», mentre i lebbrosi dovevano vivere fuori, lontano dal popolo.

Così nella sinagoga di Nazareth, racconta il Vangelo, «Gesù dice che qui non ci sarà miracolo: qui voi non accettate il profeta perché non avete bisogno, siete troppo sicuri». Le persone che Gesù aveva davanti infatti «erano tanto sicure nella loro “fede” fra virgolette, tanto sicure nella loro osservanza dei comandanti, che non avevano bisogno di un’altra salvezza». Un atteggiamento che rivela, ha spiegato il Pontefice, «il dramma dell’osservanza dei comandamenti senza fede: io mi salvo da solo perché vado alla sinagoga tutti i sabati, cerco di obbedire i comandamenti»; e «che non venga questo a dirmi che sono meglio di me quel lebbroso e quella vedova, quegli emarginati!».

Ma la parola di Gesù va in senso contrario. Egli dice: «Guarda se tu non ti senti ai margini, non avrai salvezza! Questa è l’umiltà, la strada della umiltà: sentirsi tanto emarginato» da avere «bisogno della salvezza del Signore. E solo lui salva; non la nostra osservanza dei precetti».

Questo insegnamento di Gesù però, si legge ancora nel passo di Luca, non è piaciuto alla gente di Nazareth, tanto che «si sono arrabbiati e volevano ucciderlo». È «la stessa rabbia» che prende anche Naamàn il siro, secondo quanto riferisce l’Antico Testamento. Per essere guarito dalla lebbra, ha spiegato il vescovo di Roma, Naamàm «va dal re con tanti doni, con tante ricchezze: si sente sicuro, è il capo dell’esercito». Ma il profeta Eliseo lo invita a emarginarsi e a bagnarsi «sette volte» nel fiume Giordano. Un invito che, ha riconosciuto il Papa, deve essergli sembrato «un po’ ridicolo». Tanto che Naamàn «si sentì umiliato, si sdegnò e se ne andò», proprio come «quelli della sinagoga di Nazareth». La Scrittura, ha notato il Pontefice, usa lo stesso verbo per tutte e due le situazioni: sdegnarsi.

Dunque a Naamàn viene chiesto «un gesto di umiltà, di obbedire come un bambino: fare il ridicolo!». Ma lui reagisce, appunto, con sdegno: «Noi abbiamo tanti bei fiumi a Damasco, come l’Abanà il Parpar, e io vado a bagnarmi sette volte in questo fiumicello? C’è qualcosa che non va!». Sono però i suoi collaboratori, con il buon senso, che «lo hanno aiutato a emarginarsi, a fare un atto di umiltà». E dal fiume Naamàn esce guarito dalla lebbra.

Proprio questo, ha sottolineato il Papa, è «il messaggio di oggi, in questa terza settimana di Quaresima: se noi vogliamo essere salvi, dobbiamo scegliere la strada della umiltà, dell’umiliazione». Valga come testimonianza Maria, che «nel suo cantico non dice di essere contenta perché Dio ha guardato la sua verginità, la sua bontà, la sua dolcezza, le tante virtù che lei aveva», ma esulta «perché il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva, la sua piccolezza». È proprio «l’umiltà che guarda il Signore».

Così anche noi, ha affermato il Pontefice, «dobbiamo imparare questa saggezza di emarginarci perché il Signore ci trovi». Infatti Dio «non ci troverà al centro delle nostre sicurezze. No, lì non va il Signore! Ci troverà nell’emarginazione, nei nostri peccati, nei nostri sbagli, nelle nostre necessità di essere guariti spiritualmente, di essere salvati. È lì che ci troverà il Signore».

E questa, ha precisato ancora, «è la strada della umiltà. L’umiltà cristiana non è una virtù» che ci fa dire «io non servo per niente» e così ci fa «nascondere la superbia»; invece «l’umiltà cristiana è dire la verità: sono peccatore, sono peccatrice!». Si tratta, in sostanza, semplicemente di «dire la verità; e questa è la nostra verità». Ma, ha concluso il Papa, c’è anche «l’altra verità: Dio ci salva! Ma ci salva là, quando noi siamo emarginati. Non ci salva nella nostra sicurezza». Da qui la preghiera a Dio perché ci dia «la grazia di avere questa saggezza di emarginarci; la grazia dell’umiltà per ricevere la salvezza del Signore».

 



Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana